-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

178. LA PRUSSIA E LA CONFEDERAZIONE DEL RENO

 

La forte influenza di Napoleone si articolava in un sistema continentale molto vasto organizzato in Stati satelliti, ma molti di questi (come il Regno d'Italia, di Polonia, ducato di Varsavia, Piemonte, Lucca, Parma, Belgio, Province Illiriche ecc. ecc. quanto a ricchezze erano poca cosa in confronto alla Germania così ricca e opulenta (soprattutto Vestfalia, Sassonia, Baviera, Prussia). Inoltre essendo popolosa, questi paesi fornivano ampi contingenti di soldati all'armata napoleonica (ne inviò circa 100.000 in Spagna)

Non è da meravigliarsi che la mano dell'imperatore dei Francesi insiste soprattutto sulla Germania, le cui condizioni (mal governo ecc.) gli rendevano più facile il raggiungimento dei suoi scopi. II confine della Francia non era più formato dal Reno, ma si era in parte spostato più avanti a nord fino a Lubecca. La Prussia, dopo che fu infranta la sua potenza politica, era stata al pari dell'Austria ricacciata indietro dall'occidente. Perciò lungo la frontiera francese rimanevano soltanto degli Stati, che troppo deboli per un'esistenza separata, in seguito all'atto di costituzione della confederazione renana, erano soggetti (e sembra che non dispiacesse affatto) a Napoleone.
Questi poteva veramente essere considerato come capo dell'impero romano; l'ideale di Carlo Magno parve esteriormente raggiunto. I principi della confederazione del Reno dovevano obbedire a lui all'esterno, ma in compenso ricevevano a casa loro un esteso potere sovrano, che nel complesso ha operato in modo benefico, perché esso solo poteva abbattere istituzioni ormai morte e creare le forme politiche moderne.

I principi tedeschi stessi intendevano restare uniti strettamente con Napoleone, finché lo richiedesse il loro utile, quindi di non persistere in una unione inviolabile con lui, quando le cose cambiassero.
Lo Stato più considerevole era la Baviera, il cui principe elettore Massimiliano I (Giuseppe) il 1° gennaio 1806 prese il titolo di re. Ne dirigeva il governo il barone Mongelas, uomo accorto, d'idee politiche chiare, che si adoperava ad innalzare la casa dei Wittelsbach. Trovò molto da fare, perché l'amministrazione era miseramente demoralizzata, e i nuovi acquisti di territorio rendevano il regno anche più rappezzato.
Qui Mongelas procedette energicamente al modo dei Francesi. Fece dichiarare tutti i cittadini uguali dinanzi alla legge, avviare un catasto esatto, dividere il paese in circoli di governo, migliorare l'ordinamento giudiziario. Tutte le confessioni cristiane furono equiparate e la maggior parte dei monasteri aboliti, limitati i diritti delle corporazioni, ampliata la rete stradale, create misure e monete uniformi e si fece molto per elevare la vita intellettuale.

L'accademia delle scienze ottenne un nuovo statuto, nel 1808 fu istituita in Monaco un'accademia di arti del disegno, fu sottratta l'università all'influenza dei gesuiti e introdotta l'istruzione obbligatoria.
Uomini di gran valore vennero dall'estero o vennero su dalla cittadinanza; così il filosofo Schelling, il filosofo Thiersch, il professore di diritto Savigny, lo stenografo Gabelsberger ed altri. L'onesto Westenrieder si domandava perfino se il paese potrebbe ad un tratto sopportare tanta luce.

Più duramente che in Baviera gravava l'autorità del sovrano nel Württemberg per parte del re Carlo, principe pieno d'ingegno e di spirito, ma capriccioso e violento. Anch'egli creò istituzioni politiche moderne, nelle quali si palesava il suo carattere sgradevole. Nel tempo stesso cercava di far vedere la sua nuova dignità con lo sforzo e con la presunzione.
Lo Stato, veramente modello era il regno di Vesfalia, tutto alla maniera francese. Comprendeva una serie di diversi territori fra il Reno e l'Elba sotto il dominio di Gerolamo, fratello di Napoleone. Le popolazioni fino allora separate, spesso nemiche perché vicine, furono ricolme dei benefici di tutte le conquiste moderne: del «Code Napoléon», della divisione in dipartimenti e in «mairies», delle monete francesi e perfino della lingua francese per gli editti pubblici. Ma la dipendenza dalla Francia, l'intervento personale di Napoleone e il carattere di Gerolamo, indolente e libertino, resero poi impossibile ogni prosperità.

La corte di Cassel divenne un ritrovo di scioperati, di dissipatori e di buontemponi. Lo storico svizzero Giovanni von Miiller fu abbastanza avido da prender sopra di sé la direzione dell'insegnamento pubblico, ma sentì presto quale triste parte vi rappresentasse e morì nel 1809, turbato e accasciato. Tutto andava indietro; la paga insufficiente dei soldati fu cagione nel 1809 di un grave ammutinamento, e il disprezzo diffusosi verso il governo condusse al sollevamento del barone di Dornberg. In alcuni rami pratici, per esempio nella costruzione delle strade, fu fatto invece qualche cosa di buono.

Nel loro complesso gli Stati della confederazione renana dimostrarono un sentimento nazionale straordinariamente debole, che all'inizio si estinse quasi del tutto davanti allo splendore della signoria mondiale napoleonica. Tuttavia a poco per volta se ne sentì il peso, si riconobbe che essa sfruttava le energie dei popoli per i suoi scopi particolari. Ebbe così origine la brama di una liberazione e il desiderio di libertà sviluppò un sentimento ostile a quello che era ormai considerato il "despota corso".

Però i confederati del Reno erano troppo deboli per aiutarsi da loro stessi. La salvezza poteva venir soltanto di fuori, per il rinascimento di un nuovo spirito nazionale, consapevole di sé. E questo sorse proprio nella Prussia.
Napoleone aveva maltrattato a sangue la Prussia, forse perché il suo genio presentiva di dovere appunto naufragare contro lo Stato di Federico il Grande.

Diminuita della metà del suo territorio, dissanguata da una lunga guerra e dalle depredazioni nemiche, oppressa da esorbitanti contribuzioni e imposte di guerra, senza esercito, senza armi, priva del maggior numero delle sue fortezze, minacciata all'interno dalle guarnigioni francesi, alle spalle dal granducato di Varsavia e impedita a causa del blocco continentale di avvalersi del mare per i suoi commerci, la Prussia parve esser caduta in una malattia insanabile.
Si vuole che Napoleone mirasse appunto alla sua completa distruzione. La sua leva principale per questo malcontento era formata dalla somma, che le aveva imposto di pagare e che più volte aumentò, mentre nell'esigerla l'intendente francese Daru in Berlino si permetteva di aggiungere tutti i possibili aggravi d'imposte o le usurpazioni più incredibili, secondo il principio fondamentale che il modo di calcolare non era una questione di aritmetica, ma di politica.

Finalmente Napoleone nella convenzione di Parigi dell'8 settembre 1808 ridusse la sua richiesta da 154 a 140 milioni di franchi, ma nello stesso tempo limitò l'esercito prussiano ed impose anche altre condizioni umilianti. Fino a che non fu messa insieme tutta la somma le milizie francesi rimasero nel paese. Questa occupazione militare della Prussia costituiva una parte della previdente politica francese; quello stato militare non doveva risollevarsi e la Francia voleva possedere una forte posizione vicino ai confini russi.

Le sofferenze della Prussia furono indicibili; ogni possibile acquisto era paralizzato dal difetto di denaro e di vie per vendere le proprie merci; la quantità del bestiame allevato si vuole che scendesse fino a un dodicesimo. Si aggiungeva a questo l'oppressione della polizia francese, che vigilava fino sulle corrispondenze epistolari e sulle scuole. Da ogni parte impoverimento, diffidenza, sfiducia e disperazione. Ma appunto l'eccesso della sventura purificò gli uomini, abbatté le barriere e i pregiudizi che erano loro d'impaccio, diresse gli sguardi a fini più alti e produsse un'appassionata ricerca di una condizione migliore. Allora si riconobbe che il benessere dei singoli riposava sulla prosperità dello Stato, e non l'incontrario, che governo e popolo formavano un'unità, che si possedeva una patria comune e che si era una nazione.

Questa era una cosa nuova, perché fin allora il governo aveva comandato e il popolo ubbidito; tutto era dipeso dal re ed aveva in lui il suo vertice; ma non tutti erano dei Federico II !!
Nella forma le cose rimanevano così, mal ridotte, ma nella realtà lo spirito del tempo prendeva il predominio; erano le idee della rivoluzione francese, era la ferrea necessità, la questione dell'essere e del non essere che allora imperavano. Federico Guglielmo si sentì accasciato. Questa disposizione dell'animo infranse il suo sentimento autocratico, paralizzò la sua volontà limitata e fece che cedesse il luogo a quella di uomini più rilevanti. Colpi tremendi del destino gli avevano mostrato che non si poteva andare avanti per la strada prima percorsa, ma egli non ne conosceva un'altra migliore e lasciò quindi che altri la trovassero. Inconsapevolmente egli seguì l'impulso giusto per la conservazione della sua Casa.

Sotto molti rispetti la sciagura tornò a beneficio della Prussia per un suo rinnovamento. In seguito alla perdita dei paesi polacchi ad oriente e di frammenti sparpagliati ad occidente le era rimasto un territorio di carattere economico abbastanza uniforme e certo un territorio tedesco in contrasto con l'Austria dai molti linguaggi. La Prussia apparve così come l'ultima speranza della Germania e, per quanto fosse debole, produsse pure uomini d'azione. Le doti personali, l'ingegno divennero una potenza. Già avevano preparato il terreno le idee della rivoluzione francese, la poesia e la filosofia; allora occorreva innalzare su quello un nuovo edificio.
A questo però si opponeva il vecchio spirito prussiano con le sue ristrette convinzioni e così avvenne che l'opera fu compiuta da uomini estranei alla Prussia, ai quali però si unirono altri nati in questo paese e d'ingegno elevato. Quasi tutti i principali riformatori furono degli stranieri. Stein era del Nassau, Hardenberg annoverese e così pure Scharnhorst, Blucher meclenburghese, Arndt era nato nella Pomerania svedese, Niebuhr nell'Holstein danese, Gneisenau nella Sassonia.

Dopo avere all'inizio molto esitato, gli sguardi del re si apuntarono a chi era già stato suo ministro delle finanze, al barone di Stein, d'indole ardente e imperiosa, di una ruvidezza incomoda, ma di mente perspicace e creatrice, che si dedicava ad una causa senza digressioni personali. Il 1° ottobre 1807 in Memel fu posto a capo del governo. Ha poi dato l'opera sua in questa posizione soltanto fino al 24 novembre 1808, quindi per poco più di un anno, eppure durante questo breve spazio di tempo ha dato la sua impronta alla riforma e ne ha fatto un capitolo importante della storia della Prussia, anzi di quella dell'Europa.
A quel grande organizzatore, che fu Napoleone, sta a fronte un altro di tendenze del tutto differenti. Mentre il dominio di Napoleone posava sul dispotismo e sull'obbedienza, Stein aveva in mira la libertà morale e politica e l'educazione dei singoli uomini, il rinascimento dell'amore di patria, dell'indipendenza e del nazionalismo. Si appoggiava ai risultati della storia, voleva che la potenza e l'energia nazionale maturassero in un amore del bene comune, attivo e pronto al sacrificio. La felicità del cittadino e la prosperità dello Stato erano per lui un tutto inseparabile e si sostenevano a vicenda. Stato, nazione e individuo dovevano essere uniti, ma senza frasi vuote e senza dottrinarismi di scuola, in una comunità di liberi cittadini con un saggio equilibrio di doveri e di diritti. Richiedeva perciò un serio lavoro del popolo per il bene dello Stato e gli apriva la via a partecipare al governo.

Naturalmente Stein non ha potuto nemmeno lontanamente compiere quello che era nei suoi arditi piani; e ciò di cui venne a capo non procedette sempre da lui e non fu nemmeno completo, poiché gli si opponevano poderose difficoltà, con le quali egli doveva fare i conti. Ma tuttavia il terreno, quando egli ebbe il suo congedo, era già pronto a dare frutto ed era indicata la via, sulla quale poterono e dovettero procedere i suoi successori, soprattutto Hardenberg, che quale cancelliere di Stato condusse avanti nel 1810 l'opera di riforma dello Stein.
Hardenberg aveva una mente non comune e singolarmente versatile e dovunque si raccapezzava facilmente, sapendo restare in relazioni eccellenti col re. Era un funzionario nato, di fedeltà instancabile ai suoi doveri e seguiva il concetto «principi democratici in un governo monarchico». Voleva perciò che il cittadino fosse libero nello svolgimento della sua attività, ma che fosse rafforzata adeguatamente la considerazione dello Stato grazie a un'amministrazione burocratica bene ordinata, senza una maggiore partecipazione dei governanti. Desiderava quindi meno un'unione e una collaborazione dello Stato e del popolo quanto un'azione parallela di ambedue.

Data la condizione delle cose, il suo carattere arrendevole e conciliante corrispondeva in pieno ai bisogni di un paese oppresso. Se lo Stein era più tedesco che prussiano e più patriota che uomo politico, l'Hardenberg accentuava esclusivamente le necessità della Prussia. Quegli aveva più carattere e più genialità, questi più talento e maggior forza di lavoro.
Consideriamo ora brevemente l'opera riformatrice dello Stein e dell'Hardenberg. Il governo di gabinetto, che vi era stato fin allora, fu messo in disparte, e al suo posto si formò con titolari autonomi e responsabili nel loro ufficio un ministero, nel quale invece di ministri provinciali vi furono capi di dipartimento per l'intera monarchia.
Le province continuarono a sussistere con la loro esistenza storica separata, ed ebbero dei presidenti superiori e i così detti «governi» ordinati collegialmente. A lato ai presidenti superiori dovevano stare delle diete provinciali, quali rappresentanti dei tre Stati dell'aristocrazia, delle città e dei comuni rurali di contadini. Ma a questi mancava ancora la necessaria preparazione per una utile azione parlamentare, così che le diete non giunsero ad una attuazione pratica. L'amministrazione e la giustizia furono separate.

Bisognava educare per opera dello Stato a libertà politica e ad indipendenza una popolazione priva di pensiero politico. Questo fu fatto con l'ordinamento delle città del 19 novembre 1808, col quale si limitò la tutela esercitata prima dalle autorità sulll'amministrazione comunale, si tolsero di mezzo le corporazioni e i ceti e in luogo di questi fu introdotta un'assemblea di deputati della città, eletti dai cittadini con ampia competenza per un'amministrazione autonoma.
All'ordinamento delle città avrebbe dovuto corrispondere un ordinamento dei villaggi, ma dato il predominio oppressivo della nobiltà e le molteplici gradazioni si poté soltanto avviare un ordinamento simile. Questo fece l'editto del 9 ottobre 1907, che aboli la servitù ereditaria rurale, senza dimenticare le pretese e le esigenze dei proprietari di terre. L'intenzione del legislatore era di sostituire una sola classe sociale, quella dei cittadini dello Stato, alla ripartizione in classi ormai antiquata; questo riuscì però soltanto fino ad un certo punto e lentamente, almeno presso la nobiltà, che voleva mantenere quanto più era possibile dell'antico.

La conseguenza fu perfino che la nobiltà si rafforzò economicamente, diminuendo invece la classe dei contadini liberi. Hardenberg favorì questo ancora di più con l'abolizione dei carichi, che gravavano sugli affitti, la quale per mezzo di una cessione mutava i già fittaioli in proprietari liberi, ma così poveri da non possedere in massima parte alcuna energia di durata e di resistenza, per cui la nobiltà subentrava ad essi nella loro proprietà, mentre essi scendevano alla condizione di operai giornalieri o di fittaioli a tempo.
Anche se a dire il vero il proprietario ormai rafforzato era in grado di praticare un'agricoltura più intensiva.

Con l'atterramento delle barriere derivanti dalle corporazioni e con l'introduzione della libertà dei mestieri il dispotismo illuminato cedette a favore dell'individualismo e del suo spirito d'impresa. Da questo risultarono molti beni, ma anche molti pericoli. Quello che più importava era che cessò sempre di più la dipendenza industriale della popolazione di campagna dalla città. Nella Prussia Orientale e in quella Occidentale nel luogo dell'antico sistema tributario prussiano, si introdusse un'imposta sull'entrata, che però non poté sostenersi.
Infine lo Stein pensava ad una rappresentanza dell'intera nazione con un parlamento (Reichstag), per unire governo e nazione in un lavoro comune.

Doveva risultare di una Camera bassa e di una alta e godere all'inizio solo di diritti modesti, per esercitare un'azione maggiormente educatrice. Tuttavia il disegno grandioso cadde con lui. Hardenberg lo riprese in senso burocratico e nel 1811 convocò un'assemblea di notabili, scelti dal governo. Dal 1812 al 1815 sedette una «rappresentanza nazionale interinale», corpo essenzialmente consultivo, formato dai tre Stati, con forte prevalenza della nobiltà. Questa atrofia era tanto più deplorevole, in quanto la cittadinanza cominciava a ridestarsi politicamente e desiderava adoperare a vantaggio dello Stato il suo patrimonio intellettuale.
Trovò essa un campione in Guglielmo di Humboldt, che dirigeva il ministero dell'istruzione e dei culti ed era un rappresentante geniale dell'idea di personalità, pure riconoscendo chiaramente che l'individuo può raggiungere il suo più alto sviluppo solamente nella vita per la collettività. Per creare a quest'idea un terreno durevole fu istituita nel 1810 secondo il disegno di Humboldt l'università di Berlino, con un atto ardito e vigoroso. Mentre lo Stato era inquieto per la sua stessa esistenza e in misere condizioni, si fondava uno stabilimento puramente idealistico, che doveva promuovere la luce del sapere e l'amore di patria. Le maggiori intelligenze della Germania furono chiamate a quella università : Niebuhr, Savigny, Fichte e Schleiermacher.

Alle riforme cittadine si accompagnarono quelle sull'ordinamento militare. II vecchio esercito prussiano aveva fatto naufragio; uno nuovo doveva prenderne il posto e di questo offriva un modello da tenere in gran conto proprio la despota Francia vittoriosa. In precedenza l'esercito era stato una classe da per sé, straniera alla nazione, una grossa macchina in mano del re; ora doveva provenire dalla nazione ed esser poi di nuovo restituito nel suo seno. L'esercito e il modo di guerreggiare dovevano pure rappresentare il ridestarsi della nazione, l'energia guerriera del popolo. Era appena sottoscritta la pace di Tilsit, quando il re convocò una «commissione per la riorganizzazione militare» sotto la presidenza del maggior generale von Scharnhorst.

Era questi figlio di un contadino dell'Annover, possedeva notevoli cognizioni teoriche e pratiche sull'arte della guerra, un'anima appassionata ed ardente, temperata da un forte dominio di sé stesso, ricca di sentimenti profondi; era inoltre di una grande e vasta attività, riflessivo e fermo. Divenne l'autore principale della riforma dell'esercito, come lo Stein di quella dell'amministrazione dello Stato. Con intimo sforzo riconobbe i gravi difetti dell'antico esercito, senza lasciarsi sfuggire i suoi lati buoni, così che dovunque poté scorgere senza preconcetti il meglio, mirando sempre a rendere possibile e forse anche assicurare la vittoria.
Volle così trasformare di nuovo i soldati in guerrieri, il generale da pedante sofistico in guida intelligente e operosa della battaglia.
Scharnhorst seppe allontanare dalla commissione di riorganizzazione quei membri, che con la loro ottusità turbavano il lavoro, sostituendoli con uomini delle sue stesse idee, finché non vi si trovarono insieme uomini, come il von Gneisenau, il laborioso von Boyen, il fidato von Guolmann, il valoroso conte Gotzen. Allora il ministero della guerra, migliorato nel capo e nelle membra, fu formato da due divisioni, il dipartimento generale della guerra con a capo Scharnhorst e il dipartimento dell'economia militare per gli affari amministrativi.

Tutti i reggimenti ad eccezione di sette furono disciolti e gli ufficiali indegni e incapaci furono puniti o licenziati. La ricostituzione dell'esercito soffrì gravi ritardi per il difetto di denaro e per la convenzione dell'8 settembre 1808, in forza della quale furono fissati l'effettivo totale in piede di pace (42.000 uomini) e il numero dei reggimenti.
Nondimeno l'esercito fu ripartito e armato in sei brigate miste. Conseguirono una grande importanza il tiro e l'esercizio da cacciatori, il privilegio della nobiltà sui posti di ufficiale cadde in disuso, la precedente amministrazione di compagnia fu sostituita da una paga fissa, fu rialzato quanto concerneva l'istruzione militare e fu istituita la «Scuola militare». L'autorità dei comandanti doveva fondarsi sull'istruzione e sulla superiorità intellettuale e morale.

Un mutamento anche più profondo che non il corpo degli ufficiali subì la truppa, nella quale il servizio militare universale prese il posto del sistema degli arruolamenti; esso richiedeva tutti i giovani idonei - fossero ricchi o poveri, istruiti o no - e ne domandava non solo i corpi, ma anche gli animi. Per accrescere il numero dei soldati, Scharnhorst si appigliò al così detto «sistema della riserva», secondo il quale ogni compagnia licenziava da tre a cinque uomini, che sempre erano sostituiti da coscritti, la cui istruzione durava un mese soltanto, e per i quali si tenevano sempre pronti uniformi ed armi nel caso di una guerra. Cessarono le gravi pene corporali o infamanti usati in precedenza da rozzi addestratori. Si tornò al saggio motto di Federico II "se addestrate gli uomini a ubbidire come le bestie, quando ne avrete bisogno avrete bestie invece che uomini".

Presto esercito e popolo e l'intero Stato furono penetrati da vita e movimento, da spirito di sacrificio, da amor patrio e da speranza. Le energie reali e quelle ideali armonizzavano potentemente insieme. L'avvenire doveva mostrare se questo affratellamento avrebbe potuto condurre in campo forze maggiori e di qualità, non solo possedute dal geniale Napoleone.

Mentre una rivoluzione politica e sociale violenta e poderosa imperversava in Francia e scuoteva il mondo, anche in Germania avveniva un profondo rivolgimento.

L'impero tedesco era un organismo miserevole, che soltanto in Austria e in Prussia lasciava attecchire una specie di sentimento pubblico, atrofizzato per di più dalla burocrazia e dal governo di casta. Non vi é quindi da meravigliarsi, se, come un tempo nel periodo del Rinascimento, l'individuo si sollevò sopra il concetto di Stato, seguendo prima piuttosto un individualismo razionalista e poi uno più idealista, sempre nei limiti del destino, che tutto governava. Anzi sotto l'influsso della rivoluzione si cominciò a trovarsi in diretto contrasto con le idee fridericiane, che concepivano lo Stato come un'istituzione utilitaria e di tutela.

Questo avvenne più chiaramente che mai per opera di Guglielmo di Humboldt che era dell' opinione che "lo Stato dovesse limitarsi alla sua funzione più necessaria, quella di assicurare la proprietà e la vita e nel resto lasciare governare liberamente i sovrani. L'educazione dell'uomo dev'essere il loro più alto scopo".

Insomma qualcosa da Napoleone avevano imparato. Iniziarono a combatterlo con le sue stesse armi.

E quando iniziarono a combatterlo Federico Guglielmo aveva in mano un nuovo esercito oltre che una nuova Germania.
Scrisse "il momento è giunto!"

Qui anticipiamo cosa scrisse il 20 marzo 1813
sulla "Gazzetta privilegiata della Slesia".


GAZZETTA PRIVILEGIATA DELLA SLESIA.


N. 34. Sabato 20 marzo 1813.
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S. M. IL RE HA CONCLUSO UN'ALLEANZA OFFENSIVA E DIFENSIVA CON S. M. L'IMPERATORE DI TUTTE LE RUSSIE
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AL MIO POPOLO.
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Nè per il mio popolo fedele né per i Tedeschi é necessario render ragione delle cause della guerra, che ora incomincia. Esse stanno evidenti dinanzi agli occhi dell'Europa non più abbagliata.
Soggiacemmo alla prepotenza francese. La pace, che mi rapiva la metà dei miei sudditi, non ci concedeva le sue benedizioni, poiché essa ci ferì più profondamente della stessa guerra. Il nostro paese fu dissanguato fino al midollo, le fortezze principali rimasero occupate dal nemico, l'agricoltura fu paralizzata al pari dell'industria, un tempo così fiorente nelle nostre città. La libertà dei commerci fu intralciata e con ciò fu chiusa la sorgente dei guadagni e della prosperità. Il paese divenne preda dell'immiserimento.
Con l'osservanza più stretta degli obblighi contratti io speravo di preparare al mio popolo un sollievo e di persuadere finalmente l'imperatore dei Francesi chi era suo proprio interesse lasciare alla Prussia la sua indipendenza. Ma le mie più pure intenzioni furono rese vane dall'altrui insolenza e perfidia, i noi vedemmo anche troppo chiaramente che gli accordi presi con l'imperatore ci avrebbero mandato lentamente in rovina, anche più della guerra. E' giunto ora il momento, in cui cessi ogni illusione intorno alle nostri condizioni.
Brandeburghesi, Prussiani, Slesiani, Pomerani, Lituani ! Voi sapete ciò che avete sofferto già da quasi sette anni, sapete quale sarà il misero vostro destino, se non termineremo onorevolmente la lotta, che stiamo per impegnare. Ricordatevi del nostro passato, del Grandi Elettore, del gran Federico. Non dimenticate i benefici che sotto di loro i nostri avi hanno conquistato col proprio sangue libertà di coscienza, onore, indipendenza, commerci, industria e sapere. Pensate al grande esempio dei nostri potenti alleati, i Russi, pensate a quello degli Spagnoli, dei Portoghesi. Anche popoli più piccoli, che noi non siamo, accettarono la lotta per la conquista di quei beni contro nemici più potenti e conseguirono la vittoria. Ricordatevi degli eroici Svizzeri i dei Neerlandesi !
Grandi sacrifici saranno richiesti ad ogni ceto, poiché l'impresa, che iniziamo è grande e non sono scarsi certo il numero e i mezzi dei nostri nemici. Voi soffrirete più volentieri per la vostra patria, per il vostro re, che per un sovrano straniero, il quale, come insegna la storia, consacrerebbe i vostri figli e le vostri ultime forze a scopi, che sono a voi del tutto estranei. La fiducia in Dio, la perseveranza, il coraggio e l'aiuto potente dei nostri alleati ci concederanno la vittoria in ricompensa dei nostri onesti sforzi.
Ma per quanti siano i sacrifici, che saranno richiesti a ciascuno di noi, mai non equivarranno a quei sacrosanti beni, per i quali li affrontiamo, per i quali dobbiamo combattere e vincere, se non vogliamo cessare di essere Prussiani e Tedeschi.
E' questa l'ultima lotta decisiva, che sosteniamo per la nostra esistenza, per la nostra indipendenza, per la nostra prosperità. Non abbiamo alcun'altra uscita che una pace onorevole od una fine gloriosa. Anche a questa dovreste voi fiduciosamente andare incontro per il vostro onore, poiché senza onore il Prussiano e il Tedesco non possono vivere. Dobbiamo tuttavia nutrire una sicura fiducia: Dio e la nostra ferma volontà concederanno alla nostra giusta causa la vittoria e con essa una pace sicura e gloriosa e il ritorno di tempi felici.
Breslavra 17 marzo 1813. FEDERICO GUGLIELMO.

 

AL MIO ESERCITO.
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Molti volte voi avite manifestato il desiderio di conquistare la libertà e l'indipendenza della patria.
- Il momento é giunto! -
Non vi é alcuno del nostro popolo che questo non senta. Volontariamente da ogni parte giovani ed uomini fatti corrono alle armi. Quello che per essi é libero volere, é dovere per voi, che appartenete all'esercito permanente. Da voi, - consacrati alla difesa della patria, - é giusto il richiedere quello, per cui gli altri offrono sé stessi.
Guardate quanti abbandonano ogni più cara cosa, per dare con voi la vita per la causa della patria! - Vi sia quindi doppiamente presente il vostro santo dovere! Ricordatevene tutti nel giorno della battaglia, come nelle privazioni, nei disagi e nel rigore della disciplina! L'ambizione personale di ciascuno - sia esso il maggiore o il minori di tutti nell'esercito - ceda dinanzi all'onore comune: chi ama la patria non pensa a sé stesso. Il disprezzo colpisca l'uomo che si mostra egoista, quando si tratta del bene generale. A questo tutto deve cedere. La vittoria ci viene da Dio. Mostratevi degni della Sua protezione con l'obbedire e col compiere il vostro dovere. Coraggio, perseveranza, fedeltà e ordine rigoroso siano la vostra gloria. Seguite l'esempio dei vostri avi; siate degni di loro e solleciti dei vostri nipoti I

Una ricompensa sicura toccherà a chi si sarà segnalato; una grande ignominia e un rigoroso castigo a chi dimenticasse il suo dovere !
Il vostro re resterà sempre con voi ; con lui il principe ereditario e i principi tutti della real casa. Essi combatteranno con voi ; essi e l'intero popolo con voi combatteranno, e al nostro fianco un popolo valoroso, venuto in aiuto di noi e della Germania, un popolo che con grandi gesta, ha acquistato la propria indipendenza. Esso confidò nel suo sovrano, nei suoi capi, nella sua causa, nella sua forza - e Dio fu con lui ! Tal sia pure di voi ! - poiché anche noi combattiamo la grande battaglia per l'indipendenza della patria.
Fiducia in Dio, coraggio e perseveranza sia la nostra parola d'ordine !

Breslavia 17 marzo 1813.
FEDERICO GUGLIELMO.

 

Napoleone onorava l'eroismo dei suoi reparti e dei suoi soldati
con la consegna delle "Aquile" ?
Federico Guglielmo istituì la ricompensa della "Croce di Ferro"
(questa fu nuovamente distribuita nell'esercito del III Reich di Hitler)


ATTO
DELL'ISTITUZIONE DELLA CROCE DI FERRO.

Noi Federico Guglielmo per grazia di Dio Re di Prussia, ecc. ecc.
Nel grande e decisivo momento odierno, dal quale dipende tutto l'avvenire della patria, il vigoroso sentimento, che solleva così in alto gli animi della nazione, merita di essere onorato ed eternato con monumenti ad esso affatto propri. Che la costanza, con la quale il popolo sopportò i mali irresistibili di un tempo ferreo, non degenerò in pusillanimità, lo conferma il grande coraggio, che ora riempie ogni petto e che potè durare soltanto perché si fondava sulla religione e sulla fedeltà al re ed alla patria.
Abbiamo quindi stabilito di segnalare in modo speciale il merito, che sarà acquistato nella guerra imminente, o in effettiva battaglia o nella campagna od anche nel proprio paese, ma in relazione a questa grande lotta per la libertà e per l'indipendenza, ed abbiamo insieme deciso di non concedere più siffatta speciale distinzione dopo questa guerra.

Conformemente a ciò, ordiniamo quanto segue
I. La distinzione, che per la sola durata di questa guerra si accorderà in ricompensa del merito dei nostri sudditi verso la patria, é
LA CROCE DI FERRO distinta due classi ed una Gran croce.
2. Le due classi hanno una croce nera di ferro fuse, legata in argento, del tutto uguale, col diritto senza iscrizione e il rovescio con le iniziali del nostro nome F. W. con la corona in alto, tre foglie di quercia nel mezzo e il millesimo 1813 in basso ; la croce per le due classi é portata all'occhiello, attaccata ad un nastro nero con orli bianchi, se il merito fu acquistato combattendo col nemico, ad un nastro bianco con orli neri, in caso diverso. La prima classe oltre questa decorazione ha ancora una croce con nastro nero ad orli bianchi, che si porta sul petto a sinistra; la gran croce, che é pure di grandezza uguale a quella delle due classi é portata al collo attaccata ad un nastro nero con orli bianchi.
3. Le decorazioni militari di prima e seconda classe non si distribuiranno per la durata di questa guerra; é pure sospeso di regola il conferimento dell'ordine dell'aquila rossa di seconda e terza classe, come dell'ordine « pour le mérite » eccetto in alcuni singoli casi. La croce di ferro sostituisce questi ordini e decorazioni ed é universalmente portata nello stesso modo da persona di ogni grado nelle due classi stabilite. L'ordine « pour le mérite » é in casi straordinari conferito con tre foglie di quercia in oro sull'anello.
4. La croce di ferro di seconda classe deve sempre essere accordata in precedenza all'altra ; la prima non può essere conferita se non a chi abbia già acquistato la seconda.
5. Da ciò segue che anche a coloro, che già possiedono ordini o decorazioni e si segnalano può essere dapprima conferita soltanto la croce di ferro di seconda classe.
6. La Gran croce può essere conseguita esclusivamente da chi eserciti un comando ed abbia vinta una battaglia decisiva, dopo la quale il nemico sia stato costretto ad abbandonare la sua posizione; come pure per l'espugnazione di una fortezza importante o per la difesa ostinata di una fortezza, che le abbia impedito di cadere nelle mani del nemico.
7. Gli ordini e le decorazioni già esistenti sono portati insieme con la croce di ferro.
8. Tutti i privilegi, concessi a chi possiede decorazioni di prima e di seconda classe s'intedono estesi alla croce di ferro. Il soldato, che già possiede la decorazione di seconda classe, segnalandosi ulteriormente, può conseguire dapprima soltanto la croce di ferro di seconda classe ; tuttavia riceve con essa ad un tempo il soprassoldo mensile di cui fruisce chi é insignito di una decorazione di prima classe: detto soprassoldo non può, peraltro, essere in seguito aumentato.
9. Quanto alla perdita di questo distintivo per demeriti rimandiamo alle prescrizioni date rispetto ai nostri altri ordini cavallereschi e distinzioni onorifiche.
Autenticato con la nostra sovrana sottoscrizione autografa e con l'apposizione del nostro regale sigillo.

Dato a Breslavia il 10 marzo 1813.
FEDERICO GUGLIELMO.

 

Noi qui abbiamo anticipato gli eventi per rimanere in tema.
Ma ora dobbiamo ritornare agli anni precedenti, a ....

LA GUERRA MARITTIMA E IL SISTEMA CONTINENTALE > >

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