-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

110 f - IL PERIODO DELLO SVILUPPO E DELLE RIFORME

Nel periodo intercorso tra due grandi guerre - la Guerra Civile e la prima guerra mondiale - gli Stati Uniti d'America raggiunsero la maggiore età. In un periodo di meno di cinquant'anni, si trasformarono da una repubblica rurale ad uno Stato urbano. Le zone incolte erano scomparse. Forza e prosperità del paese erano assicurate da grandi industrie ed acciaierie, da linee ferroviarie transcontinentali, da fiorenti città, da vaste aziende agricole.
A questo sviluppo vennero ad aggiungersi gli inconvenienti che ordinariamente lo accompagnano: cominciarono a manifestarsi tendenze al monopolio; le condizioni di lavoro nelle industrie erano inadeguate; le città s'ingrandirono così rapidamente da non potere fornire sufficienti alloggi e servizi alle dense popolazioni; la produzione delle fabbriche talvolta superò la possibilità di assorbimento.

La reazione contro questi abusi venne dal popolo americano e dai suoi governanti: Cleveland, Bryant, Theodore Roosevelt, Wilson. Le loro riforme, efficacemente articolate, idealistiche nei principi ma realistiche nell'applicazione, s'ispirarono al criterio che «la disciplina giuridica deve essere applicata appena se ne avverta la necessità».
Ed infatti i risultati a cui si pervenne nel periodo delle riforme servirono effettivamente ad eliminare gli inconvenienti sorti nel precedente periodo di sviluppo.

«La guerra civile - affermò uno scrittore - aprì una profonda fessura in tutta la storia del Paese; d'un colpo mise allo scoperto i cambiamenti che avevano cominciato a manifestarsi nei precedenti venti o trent'anni... ».
Le esigenze di guerra avevano enormemente stimolato la produzione industriale ed accelerato il processo economico, i cui caratteri fondamentali erano lo sfruttamento del ferro, del vapore, della corrente elettrica, ed avevano al tempo stesso favorito la marcia della scienza e delle invenzioni.

I trentaseimila brevetti concessi dal 1860 non fornivano che una pallida idea della marea d'invenzioni che sarebbe venuta dopo. Dal 1860 al 1890 furono concessi 440.000 brevetti; nel primo quarto del ventesimo secolo le concessioni raggiunsero quasi 1.000.000.
Il principio della dinamo, che era stata inventata sin dal 1831, rivoluzionò la vita americana dopo il 1880, allorché Thomas Edison ed altri l'applicarono praticamente. Dopo che nel 1844 Samuel F. B. Morse ebbe perfezionato la telegrafia elettrica, le parti più distanti del continente vennero ben presto collegate da una rete di pali e fili. Nel 1876 Alexander Graham Bell espose il primo apparecchio telefonico, e nei cinquant'anni successivi esistevano già 16.000.000 di tali apparecchi, che contribuivano ad accelerare il passo della vita economica e sociale della nazione.

Nel 1877 il ritmo della vita commerciale venne inoltre affrettato dall'invenzione della macchina da scrivere; nel 1888 dalla macchina addizionatrice; nel 1897 dal registratore di cassa. La linotype per la composizione tipografica, inventata nel 1886, la rotativa per la stampa e la macchina piegatrice della carta, fecero sì che fosse possibile stampare in un'ora 240.000 copie di un giornale a otto pagine. Dopo il 1880, la lampadina ad incandescenza di Edison portò in milioni di case un'illuminazione migliore, più sicura e più a buon mercato di quanto non fosse mai stato possibile ottenere prima. Lo stesso Edison perfezionò il grammofono e, in collaborazione con George Eastman, perfezionò il cinematografo. Queste, e molte altre applicazioni della scienza e dell'ingegno, fecero sì che si ottenesse praticamente in tutti i campi un nuovo livello di produttività.

Contemporaneamente, grandi passi venivano compiuti dall'industria fondamentale del Paese: quella del ferro e dell'acciaio, protetta da alte tariffe. Quest'industria, all'inizio concentrata negli Stati Orientali, in prossimità dei giacimenti, andò spostandosi verso Occidente a misura che i geologi scoprivano nuove miniere. Una zona particolarmente ricca di minerali era quella del Mesabi, in cima al Lago Superiore, la quale infatti in breve tempo si allineò fra le zone più produttrici del mondo. Il minerale si trovava alla superficie, quindi si poteva estrarre facilmente e con poca spesa. Particolarmente libero da impurità chimiche, esso poteva essere trasformato, con il nuovo sistema delle fornaci a ciclo aperto, in un acciaio di qualità superiore, che poteva essere messo in vendita al prezzo di 35 dollari la tonnellata invece che a quello di 300 dollari, fino ad allora prevalentemente praticato.

I progressi nella produzione dell'acciaio furono dovuti in massima parte ad Andrew Carnegie, una delle più importanti e singolari figure nella storia dell'industria. Venuto in America dalla Scozia all'età di 12 anni, cominciò quand'era ancora ragazzo, a lavorare in una filanda di cotone, passò poi a lavorare in un ufficio telegrafico, ed infine nelle ferrovie della Pennsylvania. Prima dei trent'anni aveva già effettuato degli abili ed intelligenti investimenti, che nel 1865 concentrò sulle azioni del ferro.
Entro pochi anni aveva organizzato delle società costruttrici di ponti in ferro, di binari e di locomotive, delle quali era il maggiore azionista. Dieci anni dopo, sul fiume Monongahela, in Pennsylvania, costruì l'acciaieria più grande d'America. Un anno dopo l'altro, il giro di affari di Carnegie si sviluppò sempre di più: non solo acquistò il controllo su tutte le nuove acciaierie, ma anche sulle aziende del carbone e del coke, sui depositi ferrosi del Lago Superiore, su una flottiglia di piroscafi dei Grandi Laghi, su una città portuale del Lago Erie e su una ferrovia che li collegava.

La sua impresa era associata ad una dozzina di altre: essa poteva inporre condizioni favorevoli alle ferrovie ed alle linee di navigazione; aveva capitale sufficiente per ulteriori investimenti, ed una grande abbondanza di mano d'opera. Niente di simile si era mai visto prima di allora, in America, nel campo dello sviluppo industriale.
Sotto molti punti di vista, la storia di Carnegie é la storia dell'alta finanza degli Stati Uniti. Sebbene per lungo tempo egli riuscisse a dominare l'industria, tuttavia non riuscì mai a crearsi un monopolio assoluto sulle risorse naturali, sui trasporti e sull'organizzazione industriale connessa alla produzione dell'acciaio.

Nel decennio successivo al 1890 sorsero delle società con l'intento di sfidare la sua supremazia. Infastidito dalla concorrenza, Carnegie minacciò in principio di comperare nuove miniere e di metter su un'organizzazione ancora più potente; ma, essendo vecchio e stanco, cedette alla fine al consiglio di fondere il suo patrimonio con la nuova organizzazione, che avrebbe abbracciato la maggior parte delle risorse nazionali nel settore del ferro e dell'acciaio.
La "United States Steel Corporation", sorta nel 1901 come risultato di questa fusione, illustra un processo che si era andato svolgendo per un trentennio. Essa costituiva l'unione di parecchie aziende industriali, una volta indipendenti, in società federate o centralizzate.

Determinatasi durante la guerra, questa tendenza guadagnò terreno dopo il 1870 e negli anni successivi. Gli uomini d'affari compresero che se fossero riusciti a riunire in una sola impresa le ditte concorrenti, avrebbero potuto ottenere il controllo tanto dalla produzione che dei mercati. Per raggiungere tale scopo vennero create le società per azioni ed i «trusts», che sotto molti punti di vista costituivano logiche forme di organizzazione per imprese di vasta portata.
In una società di questo genere ci si poteva servire di vaste ricerche di capitali: tutti coloro che volevano effettuare degli investimenti erano incoraggiati a farlo, dato che potevano attendersi buoni guadagni dall'acquisto di azioni ed obbligazioni che in caso di fallimento, li impegnavano soltanto per l'ammontare dell'investimento effettuato. Inoltre, la forma di società conferiva alle imprese durata permanente e continuità di controllo.

Il «trust» era in effetti una combinazione di società nella quale gli azionisti di ciascuna azienda partecipante ponevano le loro quote nelle mani di fiduciari, che dirigevano gli affari nell'interesse di tutti. I trusts permisero la realizzazione di combinazioni di vastissime proporzioni, l'accentramento della direzione e dell'amministrazione e lo sfruttamento in comune dei brevetti.
Grazie alle loro disponibilità di capitale, avevano non soltanto maggiore possibilità di sviluppo, ma potevano meglio sostenere la concorrenza con analoghe imprese straniere ed imporre le loro condizioni ai lavoratori, i quali, in quel tempo, erano appena all'inizio della fase di efficace organizzazione sindacale. Potevano, infine esigere condizioni favorevoli dalle Amministrazioni ferroviarie, ed esercitare anche una influenza politica.

La Standard Oil Company, una delle più vecchie e più forti società, venne ben presto seguita da altri «trusts» : per la produzione dell'olio di semi di cotone, del piombo, dello zucchero, del tabacco, della gomma. Intraprendenti uomini d'affari cominciarono a tracciarsi dei domini riservati nel campo industriale. I grandi produttori di carni in scatola, tra cui principalmente Philip Armour e Gustavus Swift, costituirono un trust dei loro prodotti; i Mc Cormick si crearono una posizione predominante nel settore delle macchine mietitrici.
Questa tendenza venne chiaramente rilevata in un'indagine condotta nel 1904, la quale mostrò che più di 5.000 imprese, che erano sorte indipendenti, si erano più tardi fuse in un totale di circa trecento trusts industriali.

Questa tendenza alla concentrazione monopolistica ebbe un aspetto stupefacente anche in altri campi, principalmente in quello delle comunicazioni e dei trasporti. La «Western Union» (Compagnia Telegrafica) uno dei trusts più antichi e più ampi, venne seguita dal «Bell Telephone System» ed infine dalla «American Telephone and Telegraph Company».
Da tempo Cornelius Vanderbilt, uno degli esponenti industriali del ramo, si era convinto che per ottenere una efficiente rete ferroviaria occorreva unificare le linee. Nel decennio fra il 1860 e il 1870 egli aveva riunito 13 ferrovie diverse in una sola linea che riuniva New York e Buffalo, con una percorrenza di circa 480 chilometri; nel decennio successivo egli acquistò le linee per Chicago e Detroit, e fu così che nacque il «New York Central System».
Altre combinazioni erano pure in corso, e ben presto le maggiori ferrovie del paese si organizzarono in tronchi ferroviari e « sistemi » diretti da una mezza dozzina di persone in tutto.

In questa nuova organizzazione industriale, la città costituiva il centro nervoso; nel suo ambito si accentravano infatti tutte le dinamiche forze economiche: vasto concentramento di capitali finanziari e commerciali, parchi ferroviari in crescente sviluppo, officine caliginose e schiere innumerevoli di operai e di impiegati. Con l'accorrere di popolazioni dalla campagna e da terre al di là del mare, i villaggi si trasformarono con ritmo rapidissimo in città e le città in metropoli.

Nel 1830, solo un quindicesimo degli abitanti viveva in centri di 8.000 o più anime; nel 1860 un sesto; nel 1890 poco meno di un terzo.
Nel 1860, nessuna città raggiungeva un milione di abitanti; ma trent'anni dopo New York ne aveva un milione e mezzo... (eccola in una incisione del 1860 una città fatta ancora di tante casette)

... mentre Chicago e Filadelfia avevano superato ciascuna il milione. In questi tre decenni, Filadelfia e Baltimore raddoppiarono la loro popolazione; Kansas City e Detroit la quadruplicarono; Cleveland la sestuplicò, e Chicago la decuplicò. Minneapolis e Omaha, nonché molti altri centri abitati che allo scoppiare della Guerra Civile non erano altro che villaggi, aumentarono la loro popolazione di cinquanta volte o più.

Da un censimento riportato da MARMOCCHI nella sua GEOGRAFIA UNIVERSALE in 4 volumi, cento capitoli (la prima e piu' completa del genere-edita in Italia nel 1853) prendiamo queste dati:

HUDSON 8.000 - DETROIT 4.000 - BUFFALO 12.000 - INDIANAPOLIS 3.000 - JEFFERSON 2.000 - NEW YORK 270.000 - BROOKLYN 20.000 - BRIGHTON 8.000 - FILADELFIA 200.000 - PITTSBURG 30.000 - RICHMOND 35.000 - NORFOLK 12.000 - WINCHESTER 5.000 - NUOVA ORLEANS 80.000 - - SPRINGFIELD 3.000 - - CINCINNATI 35.000 - LITTLE ROCK 2.000 - SAN FRANCISCO 80.000 - MADISON 3.000 - NASHVILLE 9.000 - BOSTON 100.000 - GLOUCESTER 10.000 - SPRINGFIELD 8.000 -RHODE ISLAND 10.000 - MIDDLETOWN 8.000 - BUFFALO 12.000 - DOVER 3.000 - ANNAPOLIS 4.000 - BALTIMORA 95.000.

Questo l'incremento della popolazione verificatosi negli ultimi 130 anni:
1800: 5.305.000 abitanti ---- 1820: 9.654.000 abitanti
1840: 17.69.000 abitanti ---- 1880: 50.155.00 abitanti
1900: 76.303.000 abitanti --- 1913: 98.500.000 abitanti
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Nonostante la grande importanza di questi avvenimenti, i contemporanei non furono in grado di comprenderli abbastanza, da poterne trarre le necessarie conseguenze politiche. Malgrado il popolo americano avesse una quantità di problemi, « tra il 1865 ed il 1897 - come scrive un illustre storico - alla raccolta federale delle leggi non furono aggiunte se non due o tre leggi che potessero richiamare l'attenzione di coloro che volessero cogliere solo quelle manifestazioni del potere politico che sono tali da produrre un nuovo equilibrio nei rapporti sociali ».

Nel 1884 era stato eletto alla presidenza un democratico, Grover Cleveland. Egli era il solo, fra i presidenti del dopoguerra, che comprendesse in qualche modo il significato e l'orientamento dei cambiamenti che andavano trasformando il paese, e l'unico che fece qualche sforzo per affrontare i problemi che ne derivavano.
Nella questione delle ferrovie, per esempio, si notavano molti abusi, che dovevano essere corretti. Particolarmente nociva era la differenziazione delle tariffe, fatta ai danni dei piccoli spedizionieri per consentire riduzioni a vantaggio dei grossi. Inoltre, talune linee ferroviarie imponevano arbitrariamente per determinati tragitti senza tener conto della distanza, tariffe più alte ad alcuni spedizionieri in confronto di altri. Se da un canto la concorrenza teneva basso il costo dei trasporti ferroviari fra le città che erano collegate da diverse linee, le tariffe erano invece eccessive fra quelle località che avevano un solo collegamento.

Come conseguenza di tutto ciò, costava meno spedire delle merci da Chicago a New York, su di un percorso di 1300 chilometri, che spedire le stesse merci ad est di Chicago, su un percorso di poche centinaia di chilometri. Le ferrovie cercarono pure di unire i loro sforzi per evitare la concorrenza. Uno dei sistemi escogitati fu quello di far sì che le società concorrenti si dividessero i trasporti in base ad uno schema preordinato, mettendo poi in comune i guadagni che venivano ridistribuiti.
Col passare del tempo crebbe nel popolo un vivo malumore per tali sistemi praticati dalle ferrovie, e alcuni Stati si adoperarono per imporre una disciplina. Ma questi sforzi isolati e sporadici non potevano risolvere un problema che per sua natura aveva carattere nazionale. Ne risultò una Legge per il commercio interstatale, firmata dal Presidente Cleveland nel 1887, che proibiva le tariffe eccessive, gli accordi delle società per la messa in comune dei profitti, le discriminazioni tariffarie a vantaggio di clienti determinati e creava una Commissione per il Commercio Interstatale, incaricata di vigilare sull'applicazione della legge stessa e sulla disciplina degli usi e delle tariffe delle ferrovie.

Cleveland fu anche un valente sostenitore della riforma tariffaria. Adottate in origine con carattere eccezionale e transitorio durante il periodo di guerra, le alte tariffe finirono poi con l'essere considerate come un sistema permanente. Cleveland, invece le riteneva nocive, e pensava fossero causa dell'oneroso aumento del costo della vita e della rapida creazione dei trusts. Per molti anni la questione delle tariffe non era stata nemmeno considerata come problema politico; ma nel 1880 i democratici chiesero un sistema tariffario che avesse esclusivo carattere fiscale, e ben presto si cominciò ad insistere per questo.

Nel suo messaggio annuale del 1887, Cleveland, malgrado fosse stato consigliato di evitare un argomento così spinoso, elettrizzò il paese, denunciando gli incredibili estremi a cui si era giunti in base al principio di proteggere l'industria americana dalla concorrenza straniera.
Questo problema divenne il principale motivo della successiva campagna elettorale per la Presidenza, vinta dal candidato repubblicano, Benjamin Harrison, il quale era sostenitore della tesi protezionista. Il suo Governo si adoperò perché venisse emanata una nuova legislazione che traducesse in pratica l'impegno della campagna elettorale, sicché nel 1890 venne approvata la legge McKinley sulle tariffe.
Tale provvedimento mirava non soltanto alla protezione delle industrie già esistenti, ma anche ad aiutare quelle appena sorte, ed a crearne delle nuove, attraverso l'imposizione di tariffe doganali addirittura proibitive.

Ben presto questa tariffe, generalmente molto alte, ebbero l'effetto di fare aumentare i prezzi al dettaglio, e non ci volle molto perché ciò provocasse un vivo malcontento generale in tutto il paese.

Nello stesso periodo, l'attenzione del pubblico si rivolgeva con preoccupazione sempre maggiore ai trusts. Sottoposte a violenti attacchi nel decennio successivo al 1880 da elementi riformatori come Henry George ed Edward Bellamy, le gigantesche imprese divennero oggetto non solo di impopolarità, ma anche di controversie politiche.
Nel 1890 venne approvata la legge Sherman contro i trusts, il cui scopo principale era di infrangere questi monopoli: essa proibiva tutte le combinazioni che potessero limitare il commercio tra uno Stato e l'altro, e prevedeva diversi metodi per la sua applicazione, comminando gravi pene.

La legge in sé non ebbe grandi effetti a breve distanza dalla sua approvazione, perchè era formulata in termini generali e non ben definiti. Ma dieci anni dopo, col Governo di Theodore Roosevelt, venne applicata con tale efficacia, da guadagnare al Presidente il nomignolo di « nemico dei monopoli ».

Malgrado questi importanti eventi, il quadro politico del periodo che va dalla fine della Guerra Civile alla fine del secolo, può considerarsi in generale negativo.

In quegli anni le energie più vitali del popolo americano erano assorbite altrove, e forse si fecero sentire più nettamente nella storia dell'Ovest. Nel 1865, la linea di frontiera seguiva più o meno i confini occidentali degli Stati costieri del Mississippi, comprendendovi però le regioni orientali del Kansas e del Nebraska. Al di là di questo margine sottile di fattorie tenute dai pionieri, vi era ancora molta terra disabitata, dopo la quale si estendevano le praterie sconfinate; queste si univano alla fine alle pianure steppose, le quali raggiungevano i contrafforti delle Montagne Rocciose. Quindi, per più di 1500 chilometri, si ergeva la massa imponente della catena montagnosa, che racchiudeva nel suo seno ricchi depositi di argento, oro e altri metalli.

Dal lato del Pacifico, altre pianure ed altri deserti si estendevano verso le Coste boscose e l'Oceano. Salvo che per pochi centri abitati della California, e per pochi posti avanzati qua e là, la vasta regione interna era popolata soltanto dagli indiani.
Appena un quarto di secolo più tardi, tuttavia, l'intero territorio nazionale era stato diviso in Stati e Territori. La colonizzazione era stata stimolata dalla Legge del 1862 per la distribuzione delle terre, che concedeva gratuitamente fattorie di 65 ettari a quei cittadini che avessero voluto dimorare sulla terra e procedere alla trasformazione fondiaria.
Verso il 1880, quasi 22.680.000 ettari di terreno erano passati, in questo modo, in proprietà di privati. Le lotte contro gli indiani erano terminate. Schiere di minatori si erano sparsi per tutta la zona montuosa, scavando la terra, costituendo piccoli centri abitati nel Nevada, nel Montana e nel Colorado. Gli allevatori di bestiame, approfittando delle vaste e ricche praterie, avevano rivendicato a sé il diritto alle vaste regioni che si estendono dal Texas alla vallata superiore del Missouri.

Anche i pastori si erano orientati verso quelle vallate e quei dorsi montani; poi gli agricoltori dilagarono per le pianure e le vallate, raccorciando la distanza fra l'Oriente e l'Occidente. Nel 1890, la frontiera era scomparsa. Cinque o sei milioni di persone erano ora dedite all'agricoltura, là dove soltanto un ventennio prima scorrazzavano i bisonti.

Le ferrovie contribuirono molto ad accelerare questo processo di colonizzazione. Nel 1862 il Congresso autorizzò l'esercizio dell "Union Pacific Railroad", società ferroviaria che spinse i syoi binari ad occidente di Council Bluffs, nello Iowa. Nello stesso tempo la "Central Pacific" cominciò a spingersi da Sacramento, nella California, verso est, in direzione di un ancora indeterminato punto di congiungimento. L'intero Paese era emozionato all'idea che le due linee si avvicinavano sempre più l'una all'altra, e che presto si sarebbe potuto andare comodamente in carrozza ferroviaria dalle coste dell'Atlantico a quelle del Pacifico; finchè il 10 maggio 1869 esse si riunirono a Promontory Point, nell'Utah.

La città di San Francisco che nel 1853 contava già 80.000 abitanti in brevissimo tempo si trasformò in un intero cantiere con la costruzione di palazzi giganteschi; ecco una incisione- veduta dell'anno 1870....

Mentre fino ad allora ci voleva un mese di laborioso viaggio per coprire la distanza fra l'Atlantico e il Pacifico, ora in nemmeno due giorni di tempo bastavano per l'intero tragitto. La rete ferroviaria continentale continuò a svilupparsi, e verso il 1884 quattro grandi linee univano al Pacifico la zona centrale della Vallata del Mississippi.

Il primo grande movimento della popolazione verso Occidente si era avuta trent'anni prima in direzione della zona montuosa. L'oro venne scoperto in California nel 1848; dieci anni più tardi nel Colorado e nel Nevada; negli anni successivi al 1860 nel Montana e nel Wyoming, e negli anni successivi al 1870 sulle Colline Nere della zona dei Dakota. In tutte queste zone i minatori popolarono il paese, fondarono centri abitati e gettarono le basi della vita civile a carattere permanente. E, al tempo stesso in cui scavavano nel cuore delle montagne, alcuni di essi si rendevano conto che la regione offriva larghe possibilità per l'agricoltura e per l'allevamento del bestiame.
Solo pochi centri continuarono a dedicarsi esclusivamente all'attività mineraria, poiché era divenuto evidente, alla fine, che la vera ricchezza del Montana, del Colorado, del Wyoming, dell'Idaho ed anche della California, era costituita dal terreno e dai pascoli.

Nel Texas, l'allevamento dei bestiame costituiva da tempo un'importante industria. Dopo la guerra uomini intraprendenti cominciarono a portare le loro mandrie di bestiame dalle lunghe corna nelle vaste praterie che non appartenevano a nessuno. Pascolando lungo il cammino, questi armenti arrivavano molto più grassi di quando erano partiti ai centri ferroviari dei Kansas da dove venivano spediti.
Ben presto questo «lungo viaggio» diventò un fatto comunissimo, e per migliaia di chilometri infatti i sentieri erano punteggiati di mandrie di bestiame che si spostavano verso il nord. Questa industria si sviluppò rapidamente nelle regioni al di là del Missouri, ed immense fattorie apparvero nel Colorado, nel Wyoming, nel Kansas, nel Nebraska e nel Dakota.
Le città occidentali cominciarono ad arricchirsi come centri di macellazione e lavorazione delle carni.

L'allevamento dei bestiame introdusse un pittoresco costume di vita che si imperniava sulla caratteristica figura del cowboy. "Conducevamo una vita dura e libera, con due compagni inseparabili: il cavallo e il fucile » scrisse Theodore Roosevelt, diventato poi il venticinquesimo presidente degli Stati Uniti, ricordando la sua vita nel Dakota. «Lavoravamo sotto il sole scottante dell'estate, quando le ampie pianure abbagliavano e ondeggiavano sotto il calore cocente, e conoscevamo il gelo e il disagio della guardia notturna attorno al bestiame, nelle veglie del tardo autunno...; ma sentivamo palpitare questa vita audace nelle nostre vene, ed era nostra la gloria del lavoro e la gioia di vivere ».

Tra il 1866 ed il 1888, circa sei milioni di capi di bestiame vennero spinti dal Texas verso nord, per svernare sugli altopiani del Colorado, del Wyoming e del Montana. L'allevamento del bestiame raggiunse infatti il suo culmine verso il 1885, ma in quel periodo i pascoli erano divenuti troppo frequenti perché potessero sopportare quel continuo sfruttamento, mentre, d'altra parte, cominciavano ad essere intersecati dalle ferrovie.
Non molto al di là dei recinti, si udiva per la prateria il sibilo dei battelli che portavano le mogli e i figli dei coloni agricoli, i loro cavalli da tiro, le vacche, i maiali. Sulla base della legge per la concessione di terre, si ammucchiavano le richieste di appezzamenti e si moltiplicavano le siepi di filo spinato che recintavano le nuove proprietà, spesso scacciando gli allevatori dalle zone che essi avevano già in possesso senza però titolo legale.

Nei due terribili inverni del 1886 e del 1887, le gelate distrussero le mandrie tenute all'addiaccio. Il romantico «selvaggio West» cedeva alle collettività organizzate, ai campi di frumento, di granturco e di avena.
In occidente, come per tutto il resto del Paese, l'agricoltura rimaneva l'attività prevalente, che assorbiva il lavoro del maggior numero di persone, nonostante i giganteschi progressi compiuti dall'industria. E allo stesso modo che i processi produttivi dell'industria si erano perfezionati nei decenni successivi alla guerra, l'agricoltura si avviava ora verso una rivoluzione, costituita dal trapasso dalla coltivazione di tipo familiare alla meccanizzazione, e dalla fase in cui i prodotti della terra dovevano servire per il sostentamento della famiglia colonica, a quella in cui miravano a rifornire i mercati.

Nel cinquantennio intercorso tra il 1860 ed il 1910, il numero delle fattorie degli Stati Uniti venne triplicato da due a sei milioni; la superficie più che raddoppiata, da 162.000.000 a 356.000.000 di ettari. La produzione di frumento aumentò da circa 60.070.000 a circa 229.000.000 di ettolitri; quella dei granturco da 295.600.000 a circa 1.020.000.000; e il cotone da 3.841.000 a 11.609.000 balle.

Nel trentennio successivo al 1860 la superficie di terreno messo a coltura superò quella di tutte le epoche precedenti, mentre nello stesso periodo, la popolazione nazionale era più che raddoppiata. La maggior parte dell'incremento demografico si verificava nelle città, ma l'agricoltore americano coltivava cereali e cotone, allevava manzi e suini e produceva lana in quantità sufficiente non solo per rifornire i lavoratori americani, ma anche per esportare le eccedenze, che divenivano sempre maggiori.

Questi eccezionali risultati si spiegano in gran parte con l'espansione verso Ovest. Altro fattore che concorse all'espansione economica fu l'adozione della meccanizzazione e l'applicazione di criteri scientifici all'agricoltura. Nel 1800, l'agricoltore, servendosi del falcetto a mano, poteva sperare di mietere in un giorno un quarto di ettaro; trent'anni più tardi, con la falce a rastrello, poteva mietere in un giorno un intero ettaro.

Nel 1840 Cyrus McCormick compì il miracolo di mietere in un sol giorno dai tre ai quattro ettari, con una curiosa macchina intorno alla quale aveva studiato per circa dieci anni. Dotato d'intuito, egli si trasferì all'Ovest, nella giovane città di Chicago, e vi impiantò una fabbrica di mietitrici: nel 1860 ne aveva già vendute 250.000.
In rapida successione vennero poi inventate altre macchine agricole: la mieti-legatrice, la trebbiatrice ed infine le mietitrebbie. In ogni campo, la macchina venne in aiuto all'agricoltore. Seminatrici meccaniche di granturco, falciatrici, sfogliatrici e sgranatrici di granturco, macchine scrematrici, spargitrici di concime, seminatrici per le patate, essiccatrici del fieno, incubatrici e centinaia di altre invenzioni resero meno pesante la fatica del contadino, ed aumentarono la sua produttività. La maggior parte delle nuove mietitrici, trebbiatrici e dei trattori venne venduta nelle zone occidentali. Le fattorie dell'Est erano troppo piccole, e la cultura intensiva non giustificava investimenti in macchine costose; mentre, nel Sud, le coltivazioni del cotone e del tabacco non potevano tanto presto adattarsi alla coltura meccanizzata.

Nella rivoluzione agricola spetta alla scienza un posto non meno importante di quello spettante alla tecnica. Nel 1862, con l'approvazione della legge Morril per la concessione di terre a Istituti universitari, il Congresso assegnò a ciascuno Stato delle terre demaniali per la costituzione di istituti agricoli e industriali, che dovevano servire tanto come scuole che come centri di ricerca scientifica nel campo agricolo. Successivamente, il Congresso stanziò fondi per la creazione in tutto il Paese di stazioni sperimentali di agricoltura, ed inoltre concesse fondi speciali per le ricerche al Ministero dell'Agricoltura. All'inizio del nuovo secolo, in tutto il Paese gli scienziati del ramo erano intenti a ricerche interessanti sull'agricoltura.

Uno di questi scienziati, Mark Carleton, del Ministero dell'Agricoltura, si recò in Russia, dove trovò un grano invernale, resistente alla ruggine ed alla siccità, che importò negli Stati Uniti, e che attualmente costituisce oltre la metà del grano coltivato in questo Paese. Altri scienziati agricoli fecero col passare degli anni scoperte di non minore importanza. Marion Dorset sconfisse il terribile colera dei suini; George Mohler, la minacciosa afta epizootica. Dall'Africa Settentrionale un ricercatore importò il granturco kaffir; un altro trasportò dal Turkestan la « alfalfa », erba medica a fiori gialli. In California, Luther Burbank produsse diecine di nuovi frutti e ortaggi. Nel Wisconsin, Stephen Babcock inventò un sistema per misurare il contenuto grasso del latte; all'Istituto Tuskegee, dell'Albama, il grande scienziato nero George Washington Carver trovò centinaia di nuovi impieghi per le arachidi, le patate dolci e la soia.

Eppure, malgrado tutti questi progressi, nel diciannovesimo secolo l'agricoltore americano incorreva in crisi periodiche; alla fine del secolo del maggiore sviluppo agricolo, i problemi della terra erano infatti divenuti della massima importanza. Essi derivavano da vari fattori fondamentali: l'eccessivo sfruttamento del terreno, le incostanze della natura, la sovrapproduzione di alcuni dei raccolti principali, la diminuita autosufficienza delle aziende agricole, costrette a dipendere, per il loro funzionamento, da un complesso di rapporti con altri settori della produzione; e, infine, la mancanza di una legislazione adeguata che fornisse protezione ed aiuti.

Nel meridione, il terreno era stato da tempo esaurito dalla coltivazione del tabacco e del cotone, mentre in occidente, ed anche nella zona delle pianure, i campi erano danneggiati dalle erosioni meteorologiche, dalle tempeste e dagli insetti nocivi.
Il rapido sviluppo della meccanizzazione ad occidente del Mississippi non si era dimostrato un vantaggio incondizionato. Esso aveva incoraggiato molti agricoltori ad allargare oltre misura le loro fattorie; favoriva la concentrazione dell'attività agricola su poche colture fondamentali; dava decisi vantaggi alle aziende maggiori su quelle minori, e al tempo stesso accelerava lo sviluppo delle affittanze e di coltivazioni oltremodo estensive.
Fin quando non si fosse cominciato a praticare su larga scala i moderni sistemi per la protezione della fertilità del terreno, tutti questi problemi dovevano restare necessariamente insoluti.

Ancora più complesso, per quanto suscettibile di una pronta azione riparatrice, era il problema dei prezzi. L'agricoltore vendeva i suoi prodotti sul mercato mondiale, dove governava la legge della concorrenza, ma acquistava le forniture, le macchine e quanto gli era necessario per le sue esigenze domestiche su un mercato protetto dalla concorrenza. Il prezzo che egli ricavava dalla vendita del suo cotone, del suo frumento, del suo bestiame, veniva determinato all'estero; ma i prezzi che egli pagava per la mietitrice, per i concimi, per il filo spinato, venivano fissati dai trusts, i quali li determinavano al riparo di tariffe protezionistiche.

Dal 1870 al 1890, i prezzi della maggior parte dei prodotti agricoli seguirono un irregolare movimento di discesa, ed il valore della produzione agricola americana aumentò soltanto di mezzo miliardo di dollari. Nello stesso periodo, invece, il valore dei prodotti industriali aumentò di 6 miliardi di dollari.
Questo squilibrio economico fece sì che si arrivasse alla costituzione di organizzazioni agricole aventi lo scopo di esaminare insieme le comuni lagnanze, e di proporre i metodi necessari per ovviare agli inconvenienti. La maggior parte di queste organizzazioni si modellarono sulla « Grange », istituita nel 1867.

Entro pochi anni, vi era una Grange quasi in ogni Stato, con un numero complessivo di aderenti che superava i 750.000. Questi gruppi cominciarono dapprima come organizzazioni a carattere ricreativo, allo scopo di attenuare gli svantaggi dell'isolamento degli agricoltori. Inevitabilmente, però, i loro membri passarono alle discussioni di problemi economici e politici. Dalle parole si passò alle realizzazioni, e ben presto molte delle Grange costituirono cooperative per la vendita dei prodotti, spacci cooperativi e persino officine cooperative. In gran numero negli Stati del centro, esse eleggevano membri dei parlamenti ed emanavano leggi che regolavano le ferrovie e i magazzini di deposito. Molte delle iniziative promosse dalle Grange, tuttavia, fallirono; al tempo stesso, verso la fine del decennio successivo al 1870, l'agricoltura ebbe una ripresa di prosperità e, come conseguenza, la Grange diminuì d'importanza.

Il movimento che essa aveva suscitato ritornò tuttavia nelle «Alleanze degli Agricoltori», che cominciarono ad apparire fra il 1880 ed il 1890. I tempi erano nuovamente difficili: la siccità aveva infierito sulle terre sfruttate; il prezzo del grano e del cotone era precipitato. Sotto la spinta di questi fatti, il movimento delle « Alleanze » guadagnò rapidamente terreno, e verso il 1890 contava quasi 2.000.000 di soci-membri. Oltre ad un ampio programma di istruzione, questi gruppi chiedevano attivamente delle riforme politiche. Prima che passasse molto tempo, essi si erano trasformati in gruppi politici militanti. Noti come Populisti, essi si opponevano energicamente ad entrambi i vecchi partiti, il democratico ed il repubblicano.

Mai prima d'allora, a dire il vero, la vita politica americana aveva conosciuto niente di simile alla febbre populista che si diffuse per le praterie e le piantagioni di cotone. Dopo una dura giornata di fatica nei campi, gli agricoltori salivano, con mogli e figli, sul carrozzino, e correvano al centro di raduno, per applaudire l'accesa oratoria dei loro capi.
Le elezioni del 1890 diedero al nuovo Partito il potere in una dozzina di Stati meridionali e occidentali, ed inviarono al Congresso una ventina di deputati e senatori di quel Partito. Incoraggiati da questo successo, i populisti tracciarono un programma politico progressista, che chiedeva ampie riforme, tra cui una imposta sul reddito, un sistema nazionale di prestiti agrari, la nazionalizzazione delle ferrovie, la giornata lavorativa di 8 ore ed un aumento della circolazione monetaria a mezzo della libera e illimitata coniatura dell'argento.

Nelle elezioni del 1892, i populisti ottennero successi impressionanti nell'Ovest e nel Sud. Il loro candidato presidenziale raccolse più di un milione dì voti. Venne però eletto il candidato democratico Grover Cleveland. Quattro anni più tardi, i dinamici populisti si erano quasi ovunque fusi con il partito democratico e, sotto la loro influenza, i nuovi capi di questo partito si accingevano a fare della questione monetaria uno dei principali argomenti elettorali.

Fin dalla loro fondazione, gli Stati Uniti erano stati un Paese a moneta bimetallica, vale a dire il Governo doveva trasformare in monete tutto l'oro e l'argento che fosse stato portato alla Zecca. Nel 1873, il Congresso procedette ad una riorganizzazione del sistema monetario e, fra le altre innovazioni adottate, omise dall'elenco delle monete valide per la circolazione interna il dollaro d'argento.
Il fatto non destò molta attenzione, perché da quarant'anni i dollari d'argento non si trovavano in circolazione, a causa della scarsezza di quel metallo. Ma la situazione cambiò rapidamente non appena si rese disponibile, sul mercato, una grande quantità d'argento: ciò che era dovuto, oltre che alla scoperta di nuove miniere di quel metallo, avvenuta negli Stati montani dell'Ovest, anche al fatto che molti Stati europei avevano rinunciato, nello stesso periodo di tempo, a coniare monete d'argento.

Nello stesso periodo, il paese attraversava dei momenti difficili. Convinti che la loro crisi derivasse da una insufficiente circolazione monetaria, i rappresentanti dei ceti agricoli dell'Ovest e del Sud, con l'appoggio dei gruppi sindacali dei centri industriali dell'Est, chiesero un ritorno alla coniazione illimitata dell'argento. Essi ritenevano che un allargamento del volume della moneta circolante avrebbe avuto come conseguenza indiretta un aumento dei prezzi agricoli ed un miglioramento dei salari industriali. Si sosteneva, inoltre, che sarebbe stato possibile soddisfare più rapidamente i debiti.

Dall'altro lato, i Conservatori erano convinti che una tale politica finanziaria avrebbe avuto effetti disastrosi. L'inflazione, una volta iniziata, non avrebbe potuto essere arrestata, e lo stesso Governo si sarebbe trovato in situazione fallimentare. Soltanto il sistema del «gold standard», essi affermavano, poteva offrire garanzia di stabilità.

Gli « argentisti » democratici e vecchi populisti uniti insieme - trovarono un capo in William Jenning Bryan del Nebraska, che fu il loro candidato alla Presidenza nelle elezioni del 1896. Dotato di un aspetto imponente e di una oratoria addirittura ipnotica, egli si conquistò la devozione di milioni di persone. Ma il suo partito era diviso, ed i suoi avversari erano forti. L'unico vantaggio indiscutibile che i democratici avevano era quello di aver Bryan come candidato; ma ciò non era abbastanza, e infatti le elezioni furono vinte da William Mc-Kinley, con un vantaggio di oltre mezzo milione di voti.

Tuttavia la campagna elettorale di Bryan era destinata a divenire leggendaria, e, fatta eccezione per la politica monetaria, molte delle idee allora esposte dai populisti e dai democratici agrari vennero successivamente codificate in legge.
Questa campagna fornisce inoltre una prova assai evidente della fusione a cui gli Stati dell'Unione erano pervenuti dalla Guerra Civile in poi. Infatti, sebbene i motivi di scontento degli agricoltori non fossero meno sentiti di quelli dei proprietari di schiavi di un tempo, non si parlò più di annullamento delle elezioni né di secessione. E questa unità nazionale ebbe un'altra chiara manifestazione nel conflitto contro la Spagna, che infiammò il paese nel 1898. Il Governo Spagnolo non aveva imparato nulla dalla rivoluzione che era scoppiata nelle sue maggiori Colonie dell'emisfero occidentale al principio del secolo, e continuava ad imporre dispoticamente la sua volontà alla piccola isola di Cuba, con la quale, nel frattempo, gli Stati Uniti avevano stretto importanti vincoli commerciali.

Nel 1895, il furore dei cubani esplose in una guerra di indipendenza. L'andamento di questa rivolta veniva seguito negli Stati Uniti con sempre maggiore preoccupazione, tanto più che l'America aveva sempre avuto un tradizionale interesse alle lotte per l'indipendenza dei Paesi dell'America Latina. Risoluto a non lasciarsi trascinare in una guerra, il Presidente Cleveland fece ogni sforzo per mantenere la neutralità. Però tre anni dopo, mentre era al Governa McKinley, la corazzata americana Maine venne distrutta mentre era pacificamente ancorata nel porto dell'Avana, e duecentosessanta uomini trovarono la morte nell'incidente.

Ne seguì uno scoppio di indignazione patriottica; per un certo tempo McKinley cercò di mantenere la pace, ma dopo pochi mesi, ritenendo inutile ogni indugio, propose i'intervento armato.
Le operazioni di guerra vere e proprie furono rapide e decisive e durarono in tutto quattro mesi. Gli americani non ebbero alcun insuccesso di rilievo. Una settimana dopo la dichiarazione di guerra, il Commodoro George Dewey, che allora si trovava a Hong Kong, si diresse con la sua squadra di sei navi verso le Filippine. Aveva avuto ordine di impedire alla flotta spagnola, che aveva là la sua base, di operare nelle acque americane. Prima dell'alba, egli superò le batterie della baia di Manila e, nel pomeriggio aveva già distrutto l'intera flotta spagnola senza la perdita di un solo marinaio americano.

Contemporaneamente approdavano a Cuba, nei pressi di Santiago, reparti americani equivalenti ad un Corpo di Armata, i quali vinsero rapidamente una serie di scontri ed aprirono il fuoco sul porto. Quattro incrociatori corazzati spagnoli furono così costretti ad uscire dalla baia di Santiago, e poche ore dopo furono distrutti.
Da Boston a San Francisco le bandiere sventolarono e le sirene fecero udire il loro grido di gioia, in quel caldo giorno di luglio in cui giunse la notizia della caduta di Santiago. I giornali inviarono in tutta fretta i loro corrispondenti a Cuba e nelle Filippine, e questi scrittori esaltarono la fama dei nuovi eroi nazionali. Tra questi erano il Commodoro George Dewey, l'eroe di Manila, e Theodore Roosevelt, capo dei «Rough Riders» (Rudi Cavalieri), che costituivano un reggimento di cavalleria reclutato con elementi volontari per la campagna di Cuba.

Poco tempo dopo la Spagna chiese la pace. In base al trattato di pace firmato il 10 dicembre 1898, la Spagna cedeva agli Stati Uniti in occupazione temporanea l'isola di Cuba, in attesa che questa fosse matura per la concessione dell'indipendenza. A titolo di indennità di guerra cedeva inoltre Puerto Rico e Guam, e, dietro pagamento di $ 20.000.000, le Filippine.
Insediatisi nell'Arcipelago delle Filippine, gli Stati Uniti concepivano ora buone speranze di potere intraprendere cospicue relazioni commerciali con la Cina. Però dal tempo della sconfitta della Cina da parte del Giappone, nella guerra del 1894-95, diverse nazioni europee avevano là acquistato basi navali, affittato territori e costituito sfere di influenza. Si erano assicurati non soltanto diritti commerciali a carattere monopolistico, ma anche, e con frequenza, concessioni di esclusività per gli investimenti di capitale in costruzioni di ferrovie e per lo sfruttamento minerario delle regioni adiacenti.

Fin dall'inizio delle sue relazioni diplomatiche con l'Oriente, il Governo americano aveva sempre insistito sulla necessità di una concessione di privilegi commerciali su basi di uguaglianza per tutte le nazioni. Se si voleva che questo principio fosse ora realizzato, era necessario agire con decisione. Nel settembre del 1899 John Hay, Ministro degli esteri degli Stati Uniti, inviò una nota circolare a tutti i governi interessati, i quali accettarono per la Cina il principio della "porta aperta" per tutte le nazioni, cioè a dire il criterio dell'eguale trattamento commerciale nelle zone da loro controllate (compresa la uguaglianza delle tariffe doganali, degli oneri portuali e delle tariffe ferroviarie).

Nel 1900 però i cinesi si ribellarono agli stranieri; e nel mese di giugno espugnarono Pechino e posero l'assedio alle Legazioni estere ivi esistenti. Il Ministro Hay prontamente annunciò alle varie potenze che gli Stati Uniti si sarebbero opposti a qualsiasi violazione dei diritti territoriali o amministrativi in Cina e del principio della « porta aperta ».
Una volta sedata la ribellione, ci volle però tutta la sua abilità per ottenere l'applicazione dei principi americani, e per impedire che la Cina fosse sottoposta al pagamento di indennità di guerra che l'avrebbero schiacciata. Nel mese di ottobre, tuttavia, la Gran Bretagna e la Germania, seguite ben presto da altre nazioni, confermarono l'intendimento di aderire al principio della «porta aperta» e del mantenimento dell'indipendenza cinese.

Frattanto, la campagna elettorale del 1900 per la Presidenza fornì al popolo americano l'occasione di esprimere la sua opinione sul Governo di McKinley, specialmente in materia di politica estera. Riuniti a Filadelfia, i repubblicani espressero la loro esultanza per la fine vittoriosa della guerra con la Spagna, per il ritorno del benessere economico e per la possibilità di ottenere nuovi mercati attraverso il principio della «porta aperta».
Era una conclusione scontata che McKinley sarebbe stato rieletto, con Theodoro Roosevelt alla Vice-Presidenza. Il Presidente tuttavia non visse a lungo per poter godere della sua vittoria. Nel settembre del 1901, mentre visitava un'esposizione a Buffalo, nello Stato di New York, un assassino gli esplodeva contro un colpo di arma da fuoco. La sua morte portò Theodoro Roosevelt alla Presidenza.

La nomina di Roosevelt all'alta carica coincide con una nuova Era della vita politica americana, tanto in materia di politica interna che di politica estera. Alla svolta del secolo, l'America poteva guardare al suo passato con soddisfazione, soprattutto per i progressi realizzati dalle tre ultime generazioni. Il continente era popolato, la « frontiera » sparita. Il Paese non era più una piccola repubblica che minacciata da tutte le parti, lottava per l'esistenza, ma era salito al rango di Potenza mondiale. Le sue salde basi politiche gli avevano permesso di sostenere l'urto della Guerra Civile e di una guerra straniera, nonché gli alti e bassi della prosperità e delle crisi economiche.
Tanto nel campo agricolo che in quello industriale, immensi progressi erano stati raggiunti. Era stato realizzato l'ideale della pubblica istruzione gratuita, seguitava ad essere applicato quello della libertà di stampa e sempre più apprezzato era quello della libertà di religione.

Nonostante tutto questo, gli americani non erano soddisfatti della loro situazione politica, economica e sociale, per il fatto che l'alta finanza era più che mai trincerata dietro i suoi privilegi, che i governi comunali e locali erano spesso nelle mani di politicanti corrotti, e che uno spirito materialista infettava ciascun elemento della compagine sociale.
Contro questa situazione si levò una vibrata protesta collettiva, che costituisce la nota dominante della politica americana, per quasi tutto il periodo che va
approssimativamente dal 1890 alla prima guerra mondiale.

Fin dall'inizio dello sconvolgimento economico, gli agricoltori avevano condotto una lotta contro il monopolio politico tenuto dalle città, e contro la prepotenza sempre più invadente dei magnati dell'industria. A partire dal decennio che va dal 1850 al 1860, individui animati da spirito di riforma avevano sollevato aspre critiche contro il sistema allora in uso e detto "delle spoglie", in base al quale le personalità politiche più in auge distribuivano ai loro sostenitori i principali posti nelle amministrazioni pubbliche.

Nel 1883, dopo trent'anni di lotta, i fautori delle riforme ottennero che fosse approvata la legge Pendleton a favore degli impiegati dello Stato, la quale istituiva nelle pubbliche Amministrazioni il sistema dell'avanzamento per merito, é segnava l'inizio di una riforma politica.
Anche i lavoratori dell'industria avevano fatto sentire la loro voce contro le ingiustizie. La prima organizzazione con la quale essi cercarono di proteggersi fu quella dei cosiddetti "Cavalieri del Lavoro". Fondata nel 1869, verso il 1885 si era sviluppata in modo spettacolare e contava circa 700.000 aderenti. Essa ebbe anche la sua fase di declino, ma il posto venne ben presto preso dalla Confederazione Americana del Lavoro, potente Organismo in cui si fusero sindacati operai ed artigiani.
Nel 1900, i sindacati costituivano in America una forza politica che nessun uomo di Governo poteva ignorare.

Non vi fu alcuna figura politica di rilievo, in questo periodo - tanto nel campo della politica come in quello della filosofia, dell'istruzione o della letteratura - che non traesse almeno in parte la propria fama dalla partecipazione al movimento di riforma. Gli eroi del giorno erano tutti più o meno riformatori, i quali esprimevano le necessità dell'epoca ribellandosi ai principi e alle consuetudini ereditati da una repubblica rurale del diciottesimo secolo e dimostratisi assolutamente inadeguati per uno Stato urbano del ventesimo secolo.

Quel senso di disagio e di confusione che disturbò l'America nell'epoca dello sviluppo industriale non era che la principale conseguenza della crescente complessità ed interdipendenza dei fattori sociali, e del diluirsi sempre più accentuato del principio della responsabilità personale, dovuto al rapido sviluppo delle grosse società anonime.
Un gruppo di giovani scrittori dedicò il suo talento a correggere questa situazione. La campagna venne aperta dai giornali e dalle riviste popolari; il tema venne ripreso dai romanzieri, ed infine la polemica venne trasferita dal terreno teorico a quello pratico, per opera di alcuni sostenitori delle riforme politiche, tra cui il nuovo Presidente degli Stati Uniti.

Il periodo della maggiore attività nel campo delle riforme è quello che va dal 1902 al 1908. Alcuni anni prima, nel 1873, Mark Twain aveva sottoposto ad attenta analisi la società americana nel libro The Gilded Age (L'età dorata). Nuovi violenti articoli sui trusts, sulle finanze, sulle ferrovie e sull'adulterazione dei generi alimentari apparivano in riviste come McClure's, Everybody's e Collier's.

Servendosi della narrativa, Upton Sinclair pubblicò un romanzo intitolato The Jungle (La giungla), nel quale illustrò le condizioni antigieniche dei grandi stabilimenti di Chicago adibiti al confezionamento dei cibi, e mise a nudo il dominio dispotico mantenuto dal trust della carne sul rifornimento di questa merce in tutto il Paese.
I libri The Financier (Il finanziere) e The Titan (II titano) di Theodore Dreiser resero più facile la comprensione delle macchinazioni dell'alta finanza, mentre The Pit (La Fossa) di Frank Norris spiegò in gran parte i motivi del malcontento dei ceti agricoli.
La corruzione politica venne messa a nudo dal libro The Shame of the Cities (La vergogna delle città) di Lincoln Steffens. Tutta questa letteratura verista ebbe un grande effetto nello spingere il popolo all'azione.

L'incessante martellamento di scrittori intransigenti ed un'opinione pubblica sempre più vigile costrinsero i dirigenti politici all'adozione di misure pratiche. Vari Stati cominciarono ad emanare leggi miranti al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle popolazioni. Nei primi quindici anni del nuovo secolo vennero infatti adottati provvedimenti a carattere sociale in misura maggiore di quanto non fosse mai avvenuto in tutta la precedente storia dell'America.
Vennero rinvigorite le leggi sul lavoro dei minorenni e ne vennero adottate delle nuove; furono aumentati i limiti di età; si provvide ad accorciare la giornata lavorativa, limitare il lavoro notturno e adottare l'istruzione obbligatoria.

Fu in questo periodo che la maggior parte delle città più importanti, e più della metà degli Stati, fissarono a otto ore la giornata lavorativa nelle aziende pubbliche. Una disciplina legislativa particolare venne attuata per regolare la durata del lavoro negli impieghi definiti pericolosi, e non meno importante fu la legge che attribuì ai datori di lavoro la responsabilità civile per gli incidenti di cui i loro dipendenti rimanessero vittime sul lavoro.
Vennero pure approvate nuove leggi fiscali miranti a far ricadere l'onere delle entrate del Governo su quelli che avevano la maggiore capacità contributiva, in virtù delle quali furono assoggettati a tassazione il trapasso di beni per causa di morte, i redditi dei singoli ed i beni e profitti delle Società.

Per quanto apprezzabili fossero questi provvedimenti, era chiaro che la maggior parte dei problemi a cui i riformatori si riferivano non potevano essere risolti se non su scala nazionale. Ciò venne chiaramente intuito dal Presidente Theodore Roosevelt, il quale s'interessava moltissimo, anche a titolo personale, alla riforma.
Realista in politica, ardente nazionalista e fedele repubblicano al tempo stesso, egli era, dopo Thomas Jefferson, il più versatile dei Presidenti; era stato un tempo allevatore di bestiame, poi governatore di uno Stato; in seguito aveva scritto libri, aveva fatto parte del Parlamento dello Stato di New York, era stato a capo della Polizia della stessa città, era stato ministro della Marina e combattente a Cuba.

Leggeva moltissimo ed a proposito di innumerevoli argomenti, ciò che gli permetteva di avere una opinione propria su qualsiasi problema. Come Andrew Jackson, aveva una dote speciale per accattivarsi la fiducia delle persone, e per dare colore a tutte le battaglie da lui sostenute. Dopo un solo anno di governo mostrò di aver compreso i grandi cambiamenti che si andavano verificando in America e di essere deciso a dare al popolo un, «programma onesto».

La sua politica, basata su un maggior intervento governativo nei settori economici, cominciò con una oculata applicazione della legge anti-trust. Tale intervento venne esteso poi alle ferrovie, e costituì una delle maggiori conquiste del suo Governo. Furono da lui sollecitate, in questo campo, due importanti leggi per la disciplina dei trasporti ferroviari, ch'egli definiva «il problema numero uno» della nazione.
La legge Elkins, del 1903, stabilì che le tariffe legali fossero quelle note al pubblico, con divieto assoluto di « sconti » e tariffe segrete di favore; in caso di inadempienza, erano ritenuti responsabili non solo le ferrovie, ma anche gli spedizionieri.
Avvalendosi di questa legge, il Governo seppe perseguire con successo le Società inadempienti. In un secondo tempo, il Congresso creò il nuovo Ministero del Commercio e del Lavoro, attribuendo al suo capo rango di ministro.

Uno degli uffici del nuovo Ministero aveva facoltà di compiere indagini sulle operazioni dei vasti complessi commerciali. Fu così che nel 1907 si scoprì, per esempio, che la American Sugar Refining Company aveva frodato il Governo per forti somme dovute per dazi di importazione. Il procedimento legale che ne seguì portò al recupero di oltre quattro milioni di dollari, ed alla condanna di vari funzionari della Società.
Nello stesso anno venne processata la Standard Oil Company, dell'Indiana, per aver ottenuto segretamente delle riduzioni tariffarie per le spedizioni effettuate dalla linea ferroviaria « Chicago and Alton Railroad ». La multa di 29.240.000 dollari, per violazioni in 1462 partite diverse, espresse la generale tendenza del tempo, che era quella di procedere ad ogni costo alla moralizzazione della vita nazionale.

Nel 1904, Theodore Roosevelt era già divenuto l'idolo dei repubblicani. Il fascino della sua personalità, e la sua attività di « nemico dei trusts », avevano colpito l'immaginazione dell'uomo comune. I democratici progressisti si sentivano più vicini a lui che non ai loro stessi candidati. Il grande benessere del Paese fu un altro dei fattori che contribuì alla nuova vittoria dei repubblicani nelle elezioni del 1904.
Incoraggiato da un trionfo incondizionato, il Presidente ritornò al suo ufficio con una nuova e più ferma determinazione di progredire sulla via delle riforme. Nel suo primo messaggio annuale chiese una disciplina ancora più severa delle ferrovie, e nel giugno del 1906 venne approvata la legge Hepburn, che dava alla Commissione per il Commercio Internazionale una effettiva autorità sulla questione delle tariffe, ne ampliava la competenza e costringeva le compagnie ferroviarie ad abbandonare il collegamento d'interessi con quelle di navigazione e con quelle carbonifere.

Alla fine del suo mandato presidenziale (1909), gli « sconti » ferroviari erano praticamente cessati, e si era affermato il principio che le ferrovie fossero un servizio di pubblico interesse.
Altri provvedimenti adottati dal Congresso spinsero ancora più oltre il principio del controllo federale. A seguito di una campagna condotta dagli elementi riformisti, venne approvata nel 1906 la legge per la vigilanza sui generi alimentari, la quale proibiva, nella confezione dei cibi in scatola e delle medicine, l'uso di droghe o sostanze chimiche che potessero avere effetti nocivi.
L'applicazione di questa legge venne resa ancor più efficace con un altro provvedimento che rese obbligatorie le ispezioni governative su tutte le aziende che vendevano carni destinate al commercio fra uno Stato e l'altro.

Ma, senza alcun dubbio, una delle conquiste più importanti del Governo Rossevelt fu quella di avere promosso la protezione delle risorse naturali del Paese. Si imponeva, infatti, che si arrestasse lo sfruttamento e lo spreco delle materie prime, e che si rivolgessero opportune cure a vaste zone di terreno apparentemente prive di valore, ma che potevano essere rese produttive.
Ancora nel 1901, nel suo primo messaggio al Congresso, Roosevelt definì i problemi idrici e forestali «forse il più importante problema interno degli Stati Uniti». Chiese pertanto l'adozione di un programma ben elaborato e lungimirante per la protezione del suolo, la bonifica e l'irrigazione. Mentre i suoi predecessori avevano costituito un demanio forestale di 19.035.000 ettari, Roosevelt portò tale superficie a 59.940.000 ettari, ed intraprese una serie sistematica di misure per prevenire gli incendi delle foreste e procedere al rimboschimento di alcuni tratti disboscati.

Nel 1907 nominò la Commissione Nazionale per le Acque Interne, con il compito di occuparsi delle relazioni fra i fiumi, il suolo e le foreste, dell'uso delle acque come forza motrice e dei trasporti fluviali. Questa Commissione propose fra l'altro la convocazione di una Conferenza Nazionale per la protezione delle risorse, e nello stesso anno Roosevelt invitò a parteciparvi tutti i membri del Gabinetto, tutti i governatori degli Stati e varie personalità eminenti nel campo della politica, della scienza e della istruzione.
Questa conferenza richiamò l'attenzione del Paese sul problema della protezione delle risorse naturali ed emanò una dichiarazione di principi in cui veniva posta in rilievo l'importanza della vigilanza non solo sulle foreste, ma anche sulle acque e sulle miniere, nonché il problema della erosione del suolo e della irrigazione. Fra l'altro essa propose che venisse disciplinato il taglio dei boschi nelle proprietà private, che si procedesse al miglioramento della navigazione fluviale ed alla protezione delle falde acquifere.
Come conseguenza di ciò, molti Stati costituirono nel 1909 delle proprie Commissioni per la protezione delle risorse, dopo di che venne creata una Associazione Nazionale per la Protezione delle Risorse, con il compito di diffondere ampiamente presso il pubblico questi principi.

Nel 1902 era stata approvata la Legge per le bonifiche, che autorizzava la costruzione di vaste dighe e la creazione di bacini idrici; provvedimento quanto mai opportuno, che valse infatti a trasformare molte zone aride in aree verdi e coltivabili.
All'avvicinarsi della campagna elettorale del 1908, Roosevelt era al culmine della popolarità. Egli non volle tuttavia portarsi candidato, per restare ossequiante alla tradizione, secondo cui nessun Presidente era stato eletto per la terza volta; per questo sostenne la elezione di William Howard Taft, che fu il suo successore.

Desideroso di continuare il programma di Roosevelt, Taft (1909-1913) compì alcuni ulteriori passi: mantenne il controllo sui trusts, rafforzò ancora i poteri della Commissione per il Commercio Interstatale, istituì il servizio dei pacchi e dei risparmi postali, sviluppò i servizi della Pubblica Amministrazione' e si fece fautore dell'adozione di due nuovi emendamenti costituzionali. Il 17° emendamento, ratificato nel 1913, stabilì che i Senatori del Congresso dovessero essere eletti direttamente dal popolo invece che dai Parlamenti degli Stati; il 16° autorizzò l'imposta federale sul reddito.

Di fronte a questi, che possono considerarsi i successi del suo Governo, stanno altri provvedimenti meno oculati: una tariffa protettiva che incontrò l'ostilità degli ambienti progressisti; l'opposizione all'ingresso dello Stato dell'Arizona nell'Unione, per via della sua costituzione progressista; e il sempre crescente appoggio dato agli elementi ultraconservatori del suo Partito.

Nel 1910, il Partito di Taft era diviso, ed i democratici ritornarono con una forte maggioranza a controllare il Congresso. Due anni dopo, nel corso delle elezioni presidenziali, il candidato democratico Woodrow Wilson, Governatore del New Jersey, si trovò a svolgere la campagna elettorale contro il candidato repubblicano Taft.
Roosevelt, il quale non era stato accettato come candidato al Congresso repubblicano, organizzò un terzo partito, quello Progressista, e si presentò alle elezioni con una lista propria. Con una vivace campagna Wilson sconfisse entrambi i suoi avversari; la sua elezione era una vittoria delle idee progressiste, dato che egli considerava una sua missione quella di impegnare senza esitazioni i democratici ad un piano di riforme.

Sotto la sua guida, infatti, il nuovo Congresso procedette all'adozione di un programma legislativo che fu, per ampiezza ed importanza, uno dei più notevoli di tutta la storia americana. Suo primo compito fu quello della revisione delle tariffe doganali. « Le quote tariffarie devono essere modificate - egli dichiarò - poiché noi dobbiamo abolire tutto ciò che abbia anche l'apparenza del privilegio».
Infatti la tariffa Underwood, che venne approvata il 3 ottobre 1913, prevedeva riduzioni sostanziali sui dazi delle materie prime e dei generi alimentari, dei prodotti di lana e cotone, del ferro e dell'acciaio e di altre merci, mentre aboliva tali dazi per più di un centinaio di altre voci. Anche se questo provvedimento conservava molti caratteri protettivi, era tuttavia un efficace tentativo per far diminuire il costo della vita.

Il secondo punto del programma democratico era quello di procedere ad una riforma monetaria e bancaria. Per molto tempo il Paese aveva sofferto per la rigidità del credito e della circolazione. Provvedimenti occasionali avevano permesso alle banche nazionali di emettere della valuta a titolo straordinario, ma da tempo si sentiva il bisogno di una definitiva messa a punto del sistema bancario. «Occorre - affermava Wilson - che il controllo sia pubblico, non privato e che venga affidato al Governo stesso, in modo che le banche siano gli strumenti, e non le dominatrici, della vita commerciale e della iniziativa privata».

Queste esigenze furono soddisfatte dalla legge del 23 dicembte 1913 sulla riserva federale, che impose un nuovo sistema organizzativo alle banche già esistenti. Il Paese venne diviso in 12 distretti, con una banca della riserva federale per ciascuno di essi. Tali banche dovevano assolvere la funzione di depositarie delle riserve liquide di tutte le banche che facevano parte del sistema.
Esse avevano principalmente la funzione di agire come «banca per le banche», rendendo in tal modo possibile che i fondi così accumulati venissero impiegati per aiutare in singoli istituti di credito locali in momenti di temporanea difficoltà. Per raggiungere il secondo obiettivo - una maggiore elasticità della circolazione monetaria - venne consentita la emissione di assegni della riserva federale, in misura tale da soddisfare alla richiesta degli affari. Infine, tutto questo piano venne sottoposto alla vigilanza di un «Comitato per la Riserva Federale ».

La disciplina dei trusts costituì il successivo e importantissimo passo dell'attività di Wilson. L'esperienza suggeriva un sistema di controllo simile a quello esercitato sulle ferrovie dalla Commissione per il Commercio Interstatale; pertanto la facoltà di vigilare sugli abusi delle società venne conferita ad una Commissione Federale per il Commercio, che fu autorizzata ad emanare divieti per «i metodi di concorrenza sleale» eventualmente adottati nel commercio interstatale da parte delle varie aziende.
Una seconda legge, la legge Clayton contro i trusts, proibì molti sistemi organizzativi ed affaristici in uso presso le società commerciali, e che fino ad allora non erano incorsi in un divieto specifico: la stretta unione dei consigli di amministrazione, i prezzi differenziati nei confronti dei compratori e l'acquisto, da parte di un'impresa, di azioni di altre società a carattere affine.

Non vennero dimenticati gli agricoltori e le organizzazioni sindacali. Una legge per il credito federale all'agricoltura mise a disposizione degli agricoltori il denaro a un basso tasso d'interesse. Una delle norme contenute nella legge Clayton proibiva esplicitamente il ricorso a "decreti ingiuntivi a nelle controversie di lavoro".
La legge del 1915, per il trattamento ai marittimi, conteneva norme per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro di quanti prestavano la loro attività nella navigazione marittima e lacustre. La legge del 1916, sulle retribuzioni ai dipendenti del Governo federale, prevedeva indennità agli impiegati che fossero rimasti vittime di incidenti sul lavoro.
Nello stesso anno, la legge Adamson riduceva ad otto ore la giornata lavorativa nelle ferrovie.

Tutto questo insieme di riforme non fu che l'espressione della coscienza di un popolo, che nell'attività governativa del Presidente Wilson aveva trovato l'appagamento delle sue giuste esigenze. Figura notevole negli annali della storia americana, egli non era provvisto di quelle qualità di energia che normalmente sono indispensabili per ottenere il successo nelle tempestose lotte politiche.

Wilson era essenzialmente uno studioso, un filosofo delle dottrine politiche. I suoi scritti di scienza politica costituiscono infatti, in America, un notevole contributo allo studio di questa disciplina. Egli considerava il mondo con un particolare distacco mentale, con gli occhi dello studioso usato a scrutare in profondità lo svolgersi contingente degli avvenimenti, alla ricerca dei principi essenziali. Il suo ascendente sul popolo dipendeva assai più dalla fiducia che esso aveva nella sua intelligenza acuta e disinteressata, che non dalla devozione alla sua persona, anche se egli era profondamente amato dagli intimi.

Il posto di Wilson nella storia é determinato tuttavia non dalle sue doti di cultura, né dalla sua passione per le riforme sociali, bensì dallo strano destino che d'un tratto lo spinse al ruolo di Presidente in tempo di guerra, e di artefice della difficile pace che seguì la prima guerra mondiale. Le grandi forze che si sprigionarono nel periodo in cui Wilson assolveva il suo secondo mandato presidenziale erano destinate a produrre cambiamenti fondamentali anche nella nazione americana, la quale per la prima volta si trovava a dovere assumere in pieno i rischi e la responsabilità di grande potenza mondiale.

All'inizio delle ostilità, il conflitto nella vecchia Europa dei tre imperi assolutistici in via del disfacimento (cionostante ancora impegnati gli "unti dal signore" in lotte di "cortile") sembrava qualcosa di estraneo alla vita americana. Invece ...

L'INTERVENTO NELLE DUE GUERRE MONDIALI > >

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