I PLEBISCITI (burletta) 
"con gioia" o "con mano tremante" ?

" ..il  SI .... lo si vota a fronte alta, sotto lo sguardo del sole, colla benedizione di Dio.... 
il NO ....con mano tremante, di nascosto, come chi commette un delitto..."



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(da: ETTORE BEGGIATO, 1866, la Grande Truffa - Editoria Universitaria Venezia - 1999)
(il manifesto propagandistico riportato sul libro di Beggiato è riprodotto dal volume: Castelgomberto, ed. Comune di Catelgomberto)

Questo plebiscito che sancì l'annessione del Veneto all'Italia viene liquidato dai nostri libri di storia in poche battute visto che la storiografia ufficiale sostiene che " ...tutto si svolse con mirabile ordine e fra universali manifestazioni di gioia". (Achille Saitta, Storia Illustrata, mensile giugno 1966, Mondadori).
Probabilmente -nella storiografia ufficiale- si sono documentati poco; basterebbe vedere la lapide "ricordo" con il numero (641.758) dei voti SI posta  nel Palazzo del Doge a Venezia; sapere quanti abitanti aveva allora Venezia  le sue province e Mantova (2.500.000); vedere il supplemento al n. 74 del 1866 del Giornale di Vicenza; L'Arena di Verona del 9 gennaio 1868; vedere La Gazzetta di Verona del 17 ottobre 1866; ma soprattutto leggere la  Gazzetta di Venezia del 20 ottobre che riporta un anonimo trafiletto "Questa mattina (il 19) in una camera dell'Albergo Europa si è fatta la cessione del Veneto":
Cioè... prima del plebiscito (del 21-22) il Veneto era già stato "passato" dalla Francia all'Italia in una stanza dell'Hotel Europa lungo il Canal Grande. Il generale francese Leboeuf consegnò il Veneto a tre notabili: il conte Luigi Michiel, veneziano, Edoardo De Betta, veronese, Achille Emi-Kelder, mantovano. Questi a loro volta, lo "deposero" nelle mani del commissario del Re conte Genova Thaon di Revel.


Il trattato internazionale (fra Austria e Prussia -23 agosto a Praga) prevede il passaggio del Veneto alla Francia che poi lo consegnerà ai Savoia. Nel trattato di pace di Vienna fra l'Italia e l'Austria del 3 ottobre si parla testualmente  "sotto riserva del consenso delle popolazioni debitamente consultate": un riconoscimento internazionale al diritto all'autodeterminazione del popolo veneto che in quel momento ha la sovranità sul suo territorio.
Teniamo anche presente che c'è stata l'ipotesi, come scrisse l'ambasciatore asburgico a Parigi Metternich al suo ministro degli esteri Mensdorff-Pouilly il 3 agosto 1866, di arrivare a "l'indipendenza della Venezia sotto un governo autonomo com'era la vecchia repubblica.

Il plebiscito avrebbe dovuto svolgersi sotto il controllo di una commissione di tre membri che "determinerà", in accordo con le autorità municipali, il modo e l'epoca del plebiscito, che avrà luogo liberamente, col suffragio universale e nel più breve tempo possibile". Così era stato concertato dall'ambasciatore d'Italia a Parigi Costantino Nigra con il governo francese, che sembrava determinato a svolgere fino in fondo il proprio ruolo di garante internazionale sancito anche dal trattato di pace fra Prussia e Austria.

Il governo italiano invece, e in particolare il presidente Bettino Ricasoli interpretava pro domo sua i trattati:
"Quando si tratta del plebiscito si tratta di casa nostra; non è già che si faccia il plebiscito per obbedienza o per ottemperare al desiderio di qualche autorità straniera...La pazienza ha il suo limite. Perbacco! La cessione del Veneto fu nel Parlamento inglese chiamata un insulto all'Italia. Concedendo la presenza del generale francese all'effetto delle fortezza, mi pare di concedere molto" Questo sosteneva il Barone Ricasoli.

E così uno sconsolato generale Le Boeuf scrive a La Vallette il 15 settembre: "Nutro inquietudine per l'ordine pubblico: le municipalità fanno entrare le truppe italiane o si intendono col re, che governa una gran parte: egli deve lasciar fare. Il plebiscito non si potrà fare che col re e col governo". 
Altro che controlli, altro che garanzie internazionali!
Lo stesso generale Boeuf annunciava il 18 ottobre a Napoleone II di aver protestato contro il plebiscito decretato dal re d'Italia: Napoleone gli dice di lasciar perdere.
La Francia praticamente rinuncia al proprio ruolo di garante internazionale e consegna il Veneto ai Savoia.
E' interessante leggere a questo punto sia la circolare del Commissario del re per la Provincia di Belluno datata 5 ottobre sia il manifesto del 7 ottobre che indice a Vicenza  il plebiscito (l'immagine sopra  riportata): Ed è ancora più interessante leggere cosa rispondono i Comuni:
Pous 12/ott. " ...a presidenti del Comizio di questo Comune nel giorno che verrà stabilito e nel quale concorrerà questa popolazione unanime a deporre nell'urna quel Sì cui farà conoscere il desiderio di unirsi al tanto sospirato Regno d'Italia."
Lozzo 10/10 "In pari tempo si fa dovere la sottoscritta di assicurare S.E. che della medesima non mancherà di adoperarsi affinchè la votazione abbia a riuscire di unanime accordo della dedica a S.M. il Re Vittorio Emanuele II"
Auronzo 8/10. " Tanto si affretta lo scrivente Municipio di partecipare a S.V. e fin da questo momento può assicurare sull'esito pieno del suffragio di questo Comune a favore dell'unità del Regno d'Italia".

Di sicuro il plebiscito venne "preceduto da una vera campagna di stampa intimidatoria dei fogli cittadini, preoccupatissimi per l'influenza che il clero manteneva nelle zone rurali dove, aveva scritto in settembre il Giornale di Vicenza, - "....i campagnoli furono lasciati nell'ignoranza o nell'apatia d'ogni civile concetto, educati all'indifferenza per ogni sorta di governo". Si Scriveva ad esempio "...ricordino essi (i Parroci e i Cooperatori dei ns. villaggi) che ove in alcuna parrocchia questo voto non fosse sì aperto, sì pieno quale lo esige l'onore delle Venezie e dell'Italia, sarebbe assai difficile non farne mallevatrice la suddetta influenza clericale, e contenere l'offeso sentimento nazionale dal prendere contro i preti di quelle parrocchie qualche pubblica e dolorosa soddisfazione".
Questa politica intimidatoria tuttavia non ebbe grossi effetti sulla partecipazione popolare: " A Valdagno, ad esempio nonostante il plebiscito venisse decantato non come semplice formalità e cerimonia, ma una festa, una gara, solo circa il 30% sulla complessiva popolazione del Comune si recò a votare, mentre un buon 70% per chissà quale motivo, preferì continuare ad occuparsi dei fatti propri, indifferente all'avvenimento. Analogamente in tutti i distretti..." (votarono 642.100 su 2.500.000).
"Garibaldi si infuriò perchè i veneti non si erano sollevati per conto proprio, neppure nelle campagne dove sarebbe stato facile farlo" (scrive Mack Smith, - ma dimentica (Garibaldi (e lui ne sapeva qualcosa di esercito piemontese- vedi gli arresti e la galera, o Smith) l'esercito piemontese era stato fatto entrare dalle autorità municipale; e forse sia Garibaldi che Smith  non hanno mai visto i manifesti o letto gli articoli, e come fu approntato il plebiscito.

Sulla libertà del voto e sulla segretezza dello stesso ci illumina la lettura di "Malo 1866" di Silvio Eupani:
"Le autorità comunali avevano preparato e distribuito dei viglietti col SI e col NO di colore diverso; inoltre, ogni elettore, presentandosi ai componenti del seggio, pronunciava il proprio nome e consegnava il viglietto al presidente che lo depositava nell'urna".


"il viglietto del SI"

L'urna del SI era a destra, quella del NO a sinistra.
Federico Bozzini così descrive in L'arciprete e il cavaliere quanto avvenne a Cerea:
"Come già si disse, vi dovevano essere due urne separate, una sopra un tavolo, l'altra sopra l'altro. Se per caso non avesse urne apposite, potrà adoperare un quartarolo del grano (una specie di secchio per la misura del grano. Ndr.) Sopra una sarà scritto ben chiaro il SI e sopra l'altra il NO".


E PER LO SPOGLIO?
"I protocolli (registri dove si scrivono i nomi dei votanti) sono due, uno per i votanti che presentano il viglietto del SI , l'altro per il viglietto  del NO, in modo che il numero complessivo dei viglietti, finita l'operazione del voto, rende inutile lo spoglio di ciascheduna urna. Nel protocollo  dei viglietti  del NO si dirà: votarono negativamente i seguenti cittadini. Alla fine la Commissione concluderà gridando "Viva l'Italia unita sotto lo scettro della Casa di Savoia".

Poi c'era il manifesto che non lasciava dubbi in quanto "serenità" di come votare.
Poi i giornali citati sopra: La Gazzetta di Verona del 17 ottobre era chiarissima: "...SI vuol dire essere italiano ed adempiere al voto dell'Italia. NO, vuol dire restare veneto e contraddire al voto dell'Italia".
Una sottolineatura importante: già allora qualcuno aveva capito che una cosa erano i veneti e un'altra gli italiani e che gli interessi degli uni raramente coincidevano con gli interessi degli altri.


Illuminante il seguente dialogo tratto da Le elezioni comunali in villa  nelle quali Domenico Pittarini (non un austriacante, ma un membro liberale, perfino arrestato dagli austriaci)  descrive i fatti tragicomici che caratterizzarono le "elezioni" post 1866, per andare "sotto" il governo monarchico sabaudo:
"Primo contadino: "Ciò, chi ghetu metesto ti sulle schede?"
(cosa hai messo sulla scheda?)
Secondo contadino: "Mi gniente, me la ga consegnà el cursore scrite e tutto"
(
me l'ha consegnato lo scrutatore già scritta)
Primo contadino: "E anca mi isteso, manco fatiga"
(io lo stesso, così meno fatica).
Secondo contadino: "Manco secade"
(meno seccature).

 
Che fu un raggiro (chiunque lo capisce da solo), che fu una presa in giro con quanto detto sopra, basterà anche ricordare quest'altro episodio:
Nel 1903 lo storico Luigi Sutto di Rovigo, fu incaricato di costituire il Museo del Risorgimento, e quindi di ricostruire dati e episodi del Plebiscito.
Andò incontro a un insuccesso quasi totale. Il decreto del 1866 prevedeva che i pretori trasmettessero alla Corte d'Appello i verbali dei risultati Comune per Comune. Luigi Sutto ebbe riconoscimenti e consigli anche in sede ministeriale, ma non ebbe mai in visione i fascicoli. E annota sconsolato; "... nè Pretura né Municipi li hanno! Nelle mie ricerche e investigazioni...ho potuto conoscere solamente i voti dei singoli Comuni del Friuli, nessun giornale del Veneto fece altrettanto, nemmeno la Gazzetta di Venezia,  che nemmeno pubblicò i voti dei Comuni appartenenti alla provincia di Venezia...".
"Ed è deplorevole che i Comuni non conoscano i voti che essi hanno dato per la loro unione alla Patria, voti che in pari tempo indicano la fine della dominazione straniera".

Scrive ancora Bozzini (op.cit.) "C'è stato dopo il 1866 un concorso generale a truccare e a italianizzare ex post tutti i brandelli di storia dell'opposizione veneta al dominio austriaco...".
"...La storia della nostra regione, così come ci è stata raccontata dagli storici ufficiali ed accademici, è un falso solenne direttamente funzionale a costruire un'immagine mona della nostra gente..."


MA DOPO COSA ACCADDE?

Secondo la storia ufficiale, i veneti con occhio ebete guardaron partire i padroni austriaci e videro arrivare quelli piemontesi e " ...tutto si svolse con mirabile ordine e fra universali manifestazioni di gioia". Ma si tolsero tutti veramente deferenti il cappello?  
NO! Ci fu una sistematica distruzione del patrimonio culturale e linguistico del veneto (lo resero persino ridicolo - questo fino a poco tempo fa, alcuni registi, per far ridere la gente, mettevano sempre nei loro film la serva tonta o il bellimbusto mona), si calpestò l'identità e la cultura, la regione la si abbandonò alla deriva economica, industriale, agricola, artigianale, marittima; e la gente ricominciò a digiunare.

L'ira del veneto, con una buona dose di ironia, fu espressa in tutta una serie di filastrocche, molto popolari. (ma quanta amarezza!).


Con san Marco comandava (quando comandava San Marco)
se disnava e se senava (si faceva pranzo e si cenava)
Soto Franza, brava gente (sotto la Francia che era brava gente)
se disnava solamente (si cenava solamente)
Soto Casa de Lorena (sotto la casa Lorena)
non se disna e no se sena (niente pranzo e niente cena)
Soto Casa de Savoia (mentre sotto Casa Savoia)
de magnar te ga voja (di mangiar hai solo voglia).

(Giuseppe de Stefano-G.Antonio Palladini - 
Storia di Venezia 1797.1997 - vol II, pag 276, Supernova, Venezia, 1997).

con delle varianti

"....e col Regno di Sardegna
chi lo ha in tel cul 

se lo tegna! (se lo tenga)
Per non parlar di quel
Viva Savoja!
chè i n'à portà 'na fame roja"
(fame troia)

(A. Moret, L'ultimo cantastorie, Vittorio Veneto, 1978)

(Dal battagliero giornale satirico Asino di Verona, ripubblicato dall'Arena di Verona, 5-8-98)

All'insegna del "Fatta l'Italia, bisogna fare gli italiani"

"Noi l'abbiam fatta! l'abbiam fatta noi!
-dicono in coro gli italiani eroi_
l'avete fatta, è vero, ma per Dio
puzza che leva il fiato! dico io!"


Questa era l'ironia, ma poi venne la rabbia, perché la conseguenza più importante dell'arrivo dei piemontesi fu.... la partenza dei veneti!!!
Una emigrazione biblica, in seguito a uno stato di miseria e di disperazione come non era mai avvenuta in veneto in 2000 anni (la ricca Aquileia, Altino di anni ne hanno anche di più).
Interi paesi emigrarono alla ricerca della "Merica", soprattutto in America latina e in particolare in Brasile, dove oggi hanno ricreato un altro "ricco" Veneto al di là dell'Oceano, conservando tenacemente la propria cultura, le proprie tradizioni, la propria lingua.

(quante commoventi e-mail ricevo, quando leggono queste righe e vedono le foto!) 


Ma allora fu un dramma, per coloro che partivano e peggio per coloro che rimasero; cioè fame, disperazione e tasse (con la famigerata tassa sul macinato, sul pane, la tassa sulla miseria).

"... nelle nostre campagne sono poveri tutti, i fittavoli, i proprietari di fazzoletti di terra, incredibilmente poveri i braccianti, i salariati, gli artigiani..." così scriveva D. Lampertico.

Il malcontento cresceva: ecco allora la necessità di rafforzare l'apparato repressivo.
Sentiamo cosa scrisse L'arena di Verona, giornale da sempre nazional-tricolore il 9 gennaio 1868,
dopo appena 13 mesi "SOTTO" i Sabaudi:  "....Fra le mille ragioni per cui noi aborrivamo l'austriaco regime, ci infastidiva sommamente la complicazione e il profluvio delle leggi e dei regolamenti, l'eccessivo numero di impiegati e specialmente di guardie e gendarmi, di poliziotti e di spie. Chi di noi avrebbe mai atteso che il governo italiano avesse tre volte tanto di regolamenti, tre volte tanto di personale di pubblica sicurezza, di carabinieri, ecc....?"
I "Liberatori" "taliani" arrivarono al punto di proibire le tradizionali processioni religiose in quanto "assembramento pericoloso per l'ordine pubblico" (testo ripreso da La difesa del popolo, Settimanale della diocesi di Padova, 10-5-1981).

Il Veneto di questi "tempi duri" è costellato da tutta una seria di rivolte e di manifestazioni: a Thiene, S. Germano Vicenza, Cavarzere, Cadore, Legnago, Polesine ecc. - Ma nella storiografia ufficiale non c'è traccia; riporta solo che "...tutto si svolse con mirabile ordine e fra universali manifestazioni di gioia"

Invece la rabbia dei Veneti viene mirabilmente descritta in un passo dei I va in Merica  una poesia dialettale del grande Berto Barbarani: "Porca Italia - i bastemia- andemo via!"

Nel Sud, a Napoli, in Sicilia (vedi) non è che fu molto diverso:
Non conoscevano l'emigrazione, ma poi vennero i Savoia!

E il Plebiscito? 
...leggiamo un passo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel suo Gattopardo:

"Alla  folla invisibile nelle tenebre annunziò che a Donnafugata il Plebiscito aveva dato questi risultati: Iscritti 515; votanti 512; Si 512, No zero. Eppure Ciccio Tumeo assicura: "Io, Eccellenza, avevo votato No. E quei porci in municipio s'inghiottono la mia opinione, la masticano e poi la cacano via trasformata come vogliono loro. Io ho detto nero e loro mi fanno dire bianco!".
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Ogni anno - Dal 1876 al 1880, emigravano 35 veneti ogni 1 siciliano, 41 ogni 1 pugliese 
Dal 1881 al 1890,  12 veneti ogni 1 siciliano, 25 ogni 1 pugliese, 125 ogni 1 umbro
Dal 1891 al 1900, 18 veneti ogni 1 pugliese, 25 veneti ogni 1 laziale, 39 ogni 1 sardo

Nei 24 anni  emigrarono 1.385.000 Veneti
Nei tre periodi ogni anno rispettivamente 11,98 abitanti ogni 1000 - 20,31 - 33,85
"Savoja, Savoja, intanto noaltri...andemo via... vaca troja.."

fatti, dati, citazioni, tabelle, immagini
sono contenuti in 
"1866: LA GRANDE TRUFFA"  Il plebiscito di annessione del Veneto all'Italia" 
di ETTORE BEGGIATO -  Editoria Universitaria Venezia, 1999

vedi LA GRANDE TRUFFA

vedi VENETO E EMIGRAZIONE

 

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