VENEZIA  IN CRONOLOGIA


20.000 - 193 d.C. 238-567 568-803
804-1172 1175-1284 1284- 1364
1364 - 1501 1501-2000 CRONO-BIOGRAFIA DEI DOGI

( pagine sempre in costruzione, in aggiornamento e miglioramento)

ANNO 1365 - Nomina del LIX Doge  MARCO CORNER (fino al1368) Fu eletto il 21 luglio 1365 con 25 voti, all' età di ottant'anni ed in concorrenza con Giovanni Foscarini e Andrea Contarini.
Appartenente ad una delle famiglie apostoliche di origine della "gens" romana. Non era ricco ma vantava un curricilum di tutto rispetto, sia militare che diplomatico .
Di carattere mite e modesto nei comportamenti, diversamente dal precedente dogado, ridusse gli sfarzi e gli sperperi, dedicando le risorse ai lavori pubblici di cui Venezia necessitava, come la costruzione della facciata del palazzo ducale esposta sul bacino San Marco e che guarda l' isola di San Giorgio.
Rinsaldò la pace con Aquileia, Gorizia e Austria ma fu fermo nel reprimere l'ennesima rivolta a Creta, questa volta aizzata dagli stessi governatori che Venezia aveva precedentemente insediato: i Kalergis. La repressione fu talmente violenta che alla fine Venezia fu costretta a ripopolare l' isola con profughi provenienti da altri territori, quali gli armeni della Cilicia e i fuggiaschi di Tenedo ( nda : attuale Bozcaada - isola turca all' imbocco dei Dardanelli) cacciati dagli ottomani, ma poi riconquistata.
Marco Corner morì il 13 gennaio 1368, il suo corpo fu deposto in un sarcofago marmoreo il cui coperchio scolpito lo ritrae in grandezza naturale, nella chiesa dei SS. Giovanni e Paolo. 


ANNO 1368 - Nomina del
LX Doge  ANDREA CONTARINI (fino al1382) - Nonostante la sua ritrosia alla massima carica della Repubblica veneta, Andrea Contarini fu eletto il 20 gennaio 1368 quando aveva 63 anni e nonostante dopo la sua elezione avesse tentato di rinunciare, alla fine fu costretto ad accettare suo malgrado, pena la confisca di tutti i beni ed il bando perpetuo dai territori di Venezia.
Se in gioventù era stato dissoluto e libertino, nella maturità fu saggio probo e libertario.
Il dogado iniziò subito con qualche problema derivato da strascici precedenti: poco dopo l' insediamento di Andrea Contarini, una galera veneziana fu abbordata dai triestini e depredata. A nulla valsero le scuse e le proposte di indennizzo da parte di Trieste.
Venezia, stanca di essere continuamente attaccata mise in movimento la flotta parzialmente ricostruita e un' esercito che assediarono la città protetta dal ducato d' Austria. Trieste si arrese nel novembre del 1369 e non fu umiliata, le fu consentito di mantenere il suo governo e le sue prerogative. Dopo un accordo con Leopoldo d' Austria fu acquistata per l'ingente somma di 75.000 ducati d'oro, nella speranza di stemperare le dissidie e fugare ulteriori pretese.
Nel 1372 il Consiglio dei Dieci fece arrestare tale frate Agostino quale mandante dei Carraresi per l'avvelenamento di pozzi e falde freatiche di acqua destinata al consumo della città. 
Forse fu inventata la scusa per procedere contro la signoria di Padova, ancora una volta appoggiata dalle truppe di Ludovico d ' Ungheria, che aveva spinto oltre il limite di sopportazione, per Venezia, la sua presenza fortificata fino a ridosso della gronda lagunare e stava impedendo i commerci e gli interscambi con l' entroterra. 
Essendo stato sconfitto, l' esercito ungherese si ritirò nel settembre del 1373. Non soddisfatto Francesco " il Vecchio" da Carrara chiese aiuto a Leopoldo d' Austria ma Venezia, avendo previsto tale mossa, aveva nel frattempo agito sul fratello Marsilio con la promessa di riconoscergli la signoria qualora fosse riuscito ad estromettere Francesco il quale, intuita la macchinazione si affrettò a mandare il figlio Novello accompagnato dal Petrarca a chiedere il perdono del doge, perdono che fu concesso dietro il corrispettivo di 60.000 ducati d' oro.
Mentre le questioni con Genova, nonostante la pace di Milano, rimanevano tutt'altro che risolte e fu sufficiente una scusa qualsiasi per riaccendere brace sopita sotto la cenere.
A dar fuoco alle polveri furono i rappresentanti ufficiali delle due fazioni: il console di Genova Paganino Doria e il "bailo" di Famagosta Marino Malipiero.
I due, invitati all' incoronazione a re di Antiochia e Cipro, Pietro II Lusignano (antica famiglia francese insediatasi nel levante con le crociate), avvenuta a Famagosta il 10 ottobre 1373, dopo un battibecco arrivarono agli insulti e da questi si passò alle vie di fatto che coinvolse tutto il seguito.
I genovesi furono scaraventati dalle finestre del palazzo e la lite si propagò per tutta la città, con il saccheggio del quartiere e la caccia all'ultimo uomo.
Genova reagì inviando un ingente formazione militare che riuscì ad occupare uno dopo l' altro tutti i punti strategici dell' isola per la restituzione dei quali, chiese a Pietro II il risarcimento di tutti i danni subiti dai concittadini di stanza nell' isola.
Inoltre la città ligure pose il blocco dell' isola di Tenedo, ritornata in mani veneziane quale pegno per un prestito di 30.000 ducati consegnati a Giovanni Paleologo II reisediatosi sul trono di Bisanzio che gli era stato usurpato dal figlio Andronico ed in previsione di uno scontro più ampio si era nuovamente coalizzata con l' Ungheria, Aquileia, Austria che rivoleva Trieste nonostante l'avesse venduta e i da Carrara che volevano rifarsi della sconfitta subita.
Venezia trovò supporto da parte di Cipro e di Bisanzio.
Le due flotte si scontrarono una prima volta il 30 maggio 1378, presso Azio ( promontorio e antico porto nel golfo dell'odierna Arta- Grecia-) con la vittoria del veneziano Vettor Pisani sul genovese Luigi Fieschi, dopo di che quella veneziana si diresse verso l' Adriatico dove effettuò per tutta l' estate "guerra di corsa". All'inizio dell'inverno si ritirò a Pola dove rimase fino al maggio del 1379 quando fu snidata da quella genovese capitanata da Luciano Doria che aveva risalito l' Adriatico.
Questa volta per Venezia finì male, Vettor Pisani colto di sorpresa riuscì solo a tentare una via di fuga verso Parenzo dove trovò rifugio con poche navi, perdendo 15 galere con centinaia di morti e migliaia di prigionieri.
Il 17 luglio 1379 il Capitano Generale da Mar fu processato, condannato a 6 mesi di carcere e a 5 anni di interdizione dai pubblici uffici.
La flotta genovese nel frattempo prese Malamocco, Poneglia e il 6 agosto si insediò a Chioggia, i Carraresi dal canto loro si prodigarono nel blocco fluviale di tutti i rifornimenti alla città lagunare. Per Venezia sembrava la capitolazione definitiva, mai nessuno era riuscito ad insidiarla così da vicino, fino a mettere piede in laguna.
Il popolo però non si diede per vinto e reclamò a gran voce la liberazione di Vettor Pisani.
Pisani venne liberato e reintegrato nel suo comando della flotta, prontamente ricostituita ed armata anche con il contributo di privati cittadini ai quali fu concessa la possibilità di accedere al Maggior Consiglio ( con il decreto del 1° dicembre 30 nuove famiglie ottennero l' iscrizione nelle liste di accoglimento).
Grazie anche alla proscrizione volontaria, molto sentita, in breve tempo, si riuscirono a formare equipaggi e truppe per l' esercito ed in maniera molto febbrile a costituire ed occupare posizioni difensive strategiche.
Il 22 dicembre la flotta veneziana costituita da 40 navi tra galere e ciocche armate, capitanata da Pisani con a bordo lo stesso doge, raggiunta da altre 18 galere provenienti da levante, al comando di Carlo Zen, si parò davanti a Chioggia.
Non vi fu azione militare diretta ma solo un assedio in grande stile che si limitò all' affondamento o alla preda di tutti i carichi provenienti da mare, per via fluviale o da terra, diretti a Chioggia.
Il 24 giugno 1380 Pietro Doria è costretto ad arrendersi con altri 5.000 uomini e abbandonando 19 galee.
La guerra continuò in Adriatico per un altro anno, ma la disfatta di Genova era ormai evidente.
L' 8 agosto dell' anno successivo, papa Urbano VI e Amedeo VI di Savoia costrinsero le due Repubbliche al tavolo della pace costituito a Torino.
Più che da vincitrice Venezia, dovette subire una pace alla pari o forse anche una mezza sconfitta: dovette rinunciare irrimediabilmente alla Dalmazia a favore dell' Ungheria, a Treviso e Conegliano a favore dell' Austria, i traffici sul Mar Nero divennero prerogativa di Genova, Trieste rimase indipendente contro un tributo annuo di olio e vino e l ' isola di Tenedo andò al "conte verde" Amedeo VI di Savoia, per la sua opera di intermediazione, per contro le furono garantiti i privilegi nel levante (per altro mai messi in discussione).
L'unica nota positiva di tutta la vicenda fu che dopo decenni di declino la popolazione aveva riscoperto la forza di coesione tra cittadini ed istituzioni, tra popolani ed aristocratici in nome di un comune senso patriottico.
Andrea Contarini morì il 5 giugno 1382 e fu sepolto nel chiostro della chiesa di Santo Stefano. 

ANNO 1378 1381 - La guerra di Chioggia, quarta guerra con Genova: Sorta per interessi commerciali causati dalla conquista dell’isola di Tenedo da parte di Venezia (1376). Venezia combatté, oltre che contro Genova, anche contro i Carraresi di Padova e il re d’Ungheria. Inizialmente favorevole a Venezia, la situazione sembrò peggiorare quando i genovesi e i padovani conquistarono Chioggia. La guerra si concluse con un trattato di pace che sembrava favorevole a Genova. In realtà risultò vincitrice Venezia grazie alla maggior saldezza dei suoi ordinamenti. Condusse la guerra Vettor Pisani.

( QUI un breve RIASSUNTO del periodo)
Origini della guerra di Chioggia: Veneziani e Genovesi a Cipro, la questione di Tenedo — Le alleanze — Battaglia del Capo d'Anzio — Deposizione di Domenico da CampoFregoso ed elezione di Niccolo' da Guarco — Battaglia navale di Pola E Condanna di Vettor Pisani — La guerra sulla terraferma — Assedio e presa di Chioggia — Pietro Doria rifiuta la pace ai Veneziani — Liberazione di Vettor Pisani — Venezia prepara la riscossa — Blocco dei Genovesi A Chioggia — Resa di Chioggia. — Ultime vicende della guerra — Pace di Torino — Francesco da Carrara contro il duca d'Austria

VENEZIA-GENOVA: LA GUERRA DI CHIOGGIA


Nel 1369 era morto, vittima d'una congiura di palazzo, il re Pietro I di Cipro e dopo una breve ma agitata reggenza gli era successo il giovanissimo figlio Pietro II. 
Nell'ottobre del 1372, nella cerimonia dell' incoronazione, per ragioni di precedenza vennero a diverbio PAGANINO DORIA, console genovese, e MARINO MALIPIERO, bailo veneziano; la disputa si fece così aspra che, al levar delle mense, i veneziani, passati dalle parole ai fatti, con l'aiuto di alcuni nobili del luogo, sopraffecero i genovesi e più tardi, estesosi il tumulto nella città di Famagosta e in tutto il resto dell' isola, i sudditi genovesi, che vi avevano estesi possedimenti, furono fatti segno all'ira dei Ciprioti, che sostenevano i veneziani, e subirono gravissimi danni: non pochi rimasero uccisi, altri furono imprigionati, le loro case saccheggiate e distrutte. 

Avuta notizia dei fatti di Cipro, Genova si affrettò a trame vendetta e mandò una flotta di quarantadue galee con quattordicimila uomini da sbarco al comando di Pietro da Campofregoso contro Cipro, la quale, priva degli aiuti di Venezia, allora impegnata in una guerra contro Francesco da Carrara, cadde in potere dei Genovesi, che occuparono Nicosia ed altre città e infine, nell'ottobre del 1373, la capitale Famagosta. 
L'isola fu poi restituita a re Pietro II, ma questi fu obbligato a pagare a Genova un tributo annuo di quarantamila fiorini ed una indennità di oltre due milioni di fiorini d'oro. Venezia protestò per le violenze subite dai suoi concittadini durante l'occupazione; ma la sua vera irritazione era a causa dell'egemonia che i Genovesi si erano procacciata a Cipro.
 
A render più tesi i rapporti tra le due repubbliche marinare sopraggiunse la questione dell'isola di Tenedo.  Scrive il Battistella: "Sorgente di faccia alla Troade, quasi all' imboccatura dell' Ellesponto, notissima per fama e per ricchezze finché durò l'antico regno di Priamo, stazione malsicura alle navi, ma commercialmente importante perché serviva di scalo per il traffico del Bosforo e del Mar nero, questa piccola isola era desiderata con pari cupidigia da Venezia e da Genova.
 
Nel 1352 GIOVANNI PALEOLOGO l'aveva data in pegno al provveditore veneto MARIN FALIERO per un prestito di 30.000 ducati fattogli dalla repubblica nel 1343, e molti anni dopo al termine della guerra Veneto-Genovese il pegno era stato restituito. Ma senza gli interessi. Fu  rimborsato il prestito ima non gli interessi accumulati e non pagati, che al 1364 era salito  fino a portare la somma  a 79.589 ducati. Perciò l'imperatore, a saldo d'ogni debito, s'era alla fine indotto a rilasciarle il rescritto della cessione dell' isola, allorché nel 1376 una delle solite congiure di palazzo, favorite dai Genovesi che spiavano l' istante per annullare quella transazione, rovesciava il Paleologo dal trono e vi poneva in sua vece il figlio ANDRONICO il quale, in compenso del soccorso prestategli dai genovesi, cedeva Tenedo ai suoi sostenitori ( Battistella) ».

 Però il governatore dell' isola, fedele al vecchio imperatore prigioniero, non volle consegnarla ai Genovesi, la cedette invece a MARCO GIUSTINIAN, che reduce dalla Tana con una squadra veneziana, si trovava in quelle acque. Irritati da questo fatto, i Genovesi indussero Andronico ad atti ostili contro Venezia: una nave di questa repubblica fu sequestrata, vennero arrestati il balio e i mercanti veneziani che risiedevano a Costantinopoli e confiscate le loro merci. 
Malgrado questo atto sfrontato, neppure allora si venne alle armi e si tentò di comporre i dissidi pacificamente, ma quando, al principiò del 1378, Giovanni  Paleologo, aiutato dai Turchi riuscì a fuggire dal carcere e a rioccupare il trono e fece ai Veneziani speciali concessioni, le trattative furono rotte e la guerra venne dichiarata.

Come nella guerra precedente le due repubbliche si procurarono alleanze: Venezia si alleò con Pietro II di Cipro desideroso di sottrarsi alla dipendenza dei Genovesi, e con  i Visconti che volevano ritornare in possesso di Genova; questa trovò anche alleati nel re Luigi d' Ungheria; in Francesco da Carrara, acerrimo nemico dei Veneziani da cui alcuni anni prima era stato umiliato; nel patriarca Macquardo d'Aquileia; nel duca d'Austria; nella città d'Ancona; e nella regina Giovanna di Napoli. 

Il primo scontro tra Genovesi e Veneziani avvenne nel maggio del 1378: il 30 di questo mese VETTOR PISANI, ammiraglio veneziano, incontrava con quattordici galee a Capo d'Anzio, presso le foci del Tevere, una squadra genovese, e l'attaccava malgrado sul Tirreno infuriasse una tempesta, la sconfiggeva e faceva prigioniero Luigi del Fiesco, capitano delle navi nemiche; poi volgeva le prore verso l'Oriente col proposito di liberar Famagosta dal  presidio genovese. La notizia della sconfitta produsse grande agitazione in Genova; doge DOMENICO da CAMPOFREGOSO fu deposto e sostituito con NICCOLO da GUARCO; intanto una nuova flotta genovese, comandata da LUCIANO DORIA, entrava nell'Adriatico per sostenere dal mare le operazioni in Dalmazia delle milizie del Patriarca d'Aquileia e quelle di Francesco da Carrara, che sostenuto da truppe ungheresi, avanzava da terra verso la laguna. 
Ma l'anno finì senza altri fatti notevoli: il Doria si ritirò su Zara e Vettor Pisani, tentato invano di sloggiare la guarnigione Genovese da Famagosta bruciate Focea e i sobborghi di Chio e Mitilene e prese Cattaro e Sebenico, e  per passarci l'inverno si ritirò a Pola.

 Si trovava qui la flotta veneziana per esservi rimessa in ordine, quando il 7 maggio del 1379 si presentò davanti al porto Luciano Doria con diciotto galee, dopo aver gia messo a ferro e a fuoco Caorle e Grado e dopo aver lasciato indietro, in agguato, sei navi destinate a piombare sulle navi nemiche se queste avessero accettata la battaglia. 
Vettor Pisani, che sapeva di essere inferiore al nemico, non voleva raccogliere la sfida, ma i capitani dei suoi legni, non sopportando l'audace sfrontatezza dei Genovesi, con le loro insistenza indussero l'ammiraglio ad accettare il combattimento e, usciti disordinatamente dal porto, mossero contro la flotta avversaria. 
La battaglia, subito diventata accesa, parve sulle prime che volgesse favorevole ai Veneziani, che con furioso impeto si impadronirono della nave capitana nemica uccidendo Luciano Doria; ma il successo si arrestò lì: infiammati dal desiderio di vendicare la morte del loro ammiraglio, il cui fratello Ambrogio aveva preso il comando della flotta, i Genovesi continuarono il combattimento con estremo vigore e dopo un'ora e mezzo di sanguinosa lotta sbaragliarono i nemici. 

I Veneziani ebbero settecento morti; duemila quattrocento di essi con quindici galee rimasero in mano dei Genovesi, che si sfogarono sugli uomini della ciurma trucidandone ottocento. Solo sette navi malconce riuscirono a porsi in salvo e tornarono a Venezia con il Pisani,  il quale venne messo sotto processo e condannato a sei mesi di prigione e all'interdizione per cinque anni dai pubblici uffici.

 Mentre si combatteva sul mare, sulla terra ferma con varie conclusioni venivano condotte dagli alleati le operazioni di guerra terrestre; le compagnie di Giovanni Acuto e di Lucio Lando, che erano al soldo dei Visconti, minacciavano il territorio di Padova; la Compagnia della Stella, al servizio anche questa di Bernabò, spintasi fino a Sampierdarena minacciava da vicino Genova, che si sarebbe trovata a malpartito se non fosse riuscita con grosse somme ad allontanare i mercenari; dall'altro lato Francesco da Carrara faceva scorrerie sui territori della laguna e frustrava i tentativi dei Veneziani di staccare Luigi d' Ungheria dai suoi alleati. 
Grave intanto era la situazione di Venezia, minacciata da vicino da tanti nemici imbaldanziti dalla vittoria navale di Pola. Ma la gloriosa repubblica non si era persa d'animo: mentre si svolgeva il processo a carico di Vettor Pisani, una nuova flotta veniva armata e si metteva al comando di TADDEO GIUSTINIAN; si spedivano ordini a CARLO ZENO, che comandava l'armata d'Oriente, affinchè venisse a soccorrere la patria; si apprestavano le difese della laguna, chiudendola con triplice catena le bocche e difendendole con zattere e pontoni armati. 
Mentre brulicavano in ogni punto tutti questi preparativi,  Genova aveva mandato nell'Adriatico il 19 maggio una flotta di quarantasette galee comandata da Pietro Doria. Veleggiando minaccioso sull'alto Adriticao, bruciava Umago, Grado, Caorle e Pellestrina, assaliva, benché senza successo, Malamocco, e muoveva su Chioggia, contro la quale contemporaneamente dal Trevigiano, dopo  essersi impadronito di parecchi castelli, marciava Francesco da Carrara per dare man forte dalla parte di terra ai Genovesi. 

II Doria si presentò davanti a Chioggia il 6 di agosto; coadiuvato dalle milizie  del signore di Padova si impadronì della città piccola e pose l'assedio alla grande, difesa dal podestà EMO PIETRO con più di tremila uomini. Pur non sperando di ricevere aiuti da Venezia, il presidio di Chioggia tenne duro per ben undici giorni contro gli assedianti, il cui numero era otto volte superiore; infine, scemati dalle frequenti sortite, martoriati dalle macchine guerresche che lanciavano grossi sassi, scarseggiando le vettovaglie, i difensori furono sopraffatti dal nemico, che il 16 agosto penetrò nella città. 

La perdita di Chioggia fu un gravissimo colpo per Venezia che veniva ora esposta alle minacce del nemico, cui era libera l'entrata nella laguna. Difatti poco dopo i Genovesi e i Padovani occupavano Malamocco, Loreo, Poveglia e S. Erasmo e stringevano sempre più la città chiudendo dal mare le vie d'approvvigionamento, mentre quelle della terraferma erano chiuse dagli Ungheresi che avevano cinta d'assedio Treviso dopo averne occupato quasi tutto il territorio. 
I successi degli alleati riempivano di gioia Padova perché con la presa di Chioggia che, stando ai  patti, era stata ceduta a Francesco da Carrara, veniva ad ottenere l'ambito sbocco nell'Adriatico ed anche perché credeva prossima la caduta della stessa odiata Venezia. La quale era in grande costernazione per la sorte a cui non sperava di potere sfuggire; ogni calle risuonava delle preghiere al Cielo del popolo, ma che implorava anche  il doge ANDREA CONTARINI di chiedere la pace! E pace il doge chiese. 

Tre ambasciatori si recarono a Chioggia e ai vincitori presentarono un foglio bianco perché vi fossero scritte le condizioni. Tutti i patti Venezia li avrebbe accettati purché le fosse lasciata la libertà. Francesco da Carrara era dell'avviso di concedere "questa" pace, ma Pietro Doria, che voleva abbattere una volta per sempre la rivale della sua patria, rifiutò di trattare e rispose che non avrebbe concesso pace ai Veneziani se prima non avessero imbrigliato i cavalli di bronzo di piazza San Marco. 

L'altezzosa risposta suonò oltraggio ai Veneziani, i quali abbandonarono l' idea della pace e non pensarono che a difendere la propria patria. 
Mentre tutto pareva che intorno alla gloriosa repubblica rovinasse, mentre giungevano notizie della resa di altre  terre, mentre sotto Treviso compariva un nuovo esercito Ungherese guidato da Carlo  di Durazzo, l'anima dei Veneziani nel momento del più grande pericolo fiammeggiava  di patriottismo e si apprestava all'estrema difesa. 
Ma l'idolo del popolo, colui in cui era riposta tutta la speranza dei marinai, VETTOR PISANI, scontava una colpa forse non tutta sua nelle prigioni dogali.
Il popolo voleva lui come duce delle future battaglie e, radunatosi sotto il palazzo, ne reclamava la scarcerazione gridando: Viva Vettor Pisani! Narra Marin Sanudo che a quelle voci il prigioniero, da dietro le sbarre del carcere, gridasse: O Venesiani, uno solo al dev'esser il grido: Viva San Marco!

 II Pisani, sia per contentare l'opinione pubblica, sia forse perché il Senato voleva (cancellare una sentenza pronunciata troppo in fretta e sotto l'emotività della sconfitta, venne liberato e subito si pensò alla difesa e alla riscossa. Fu fatto un prestito forzoso interno, furono rafforzati gli sbocchi della laguna, furono poste cocche armate intorno alla città; vennero  armate quaranta galee che si trovavano nell'arsenale e parecchie altre ne furono allestite dai privati cittadini; il governo promise di accogliere nel Maggior Consiglio trenta fra le famiglie popolane che avessero maggiormente contribuito alla difesa; privilegi furono promessi ai più benemeriti cittadini e vi fu una nobilissima gara tra gente di ogni ceto nell'offrire lavoro, servizi personali, denaro ed oggetti preziosi.  
Insomma la mobilitazione fu generale, ognuno dava la sua parte, dai bambini ai vecchi di 80 anni (e che 80enni!! Uno di questi era il capo!)

Quando tutto fu pronto e le ciurme addestrate, VETTOR PISANI guidò la flotta su Chioggia. Grande era l' entusiasmo dei marinai, smaniosi di prendersi la rivincita; e a mantenerla desta questa passione e questo accanimento contribuì molto la presenza del doge ANDREA CONTARINI, che, sebbene ottuagenario, volle di persona  accompagnare la spedizione.
 La notte del 23 dicembre del 1379 la flotta veneziana, rinforzata da cocche, da barche e da chiatte, si presentò davanti a Chioggia  e mise a terra un corpo di cinquemila uomini che tentarono d'impadronirsi della città piccola. Fallito il colpo, Vettor Pisani -da quello stratega che era- chiuse tutti gli sbocchi della laguna di Chioggia, facendo affondare nei canali navi cariche di sassi e così la potente flotta genovese rimase completamente in trappola.
I Genovesi non passano un Natale tranquillo, ma il resto doveva ancora venire!

Era, questo di Pisani, un successo clamoroso e non indifferente che accrebbe la fiducia dei Veneziani nel trionfo finale. I Genovesi da lì non si potevano più muovere!
Il 1° gennaio del 1380 ad aumentar la flotta di Venezia e a rialzare ancor di più il morale dei combattenti giunse dai mari di Levante Carlo Zeno con diciotto galee. Allora si tentò qualche azione offensiva: il 6 di gennaio si attaccò e ruppe uno schieramento di Genovesi sulla punta della Leva; pochi giorni dopo si terminò di costruire un ridotto alla estremità del Fossone e qui furono poste due grosse bombarde, delle quali una lanciava palle di pietra del peso di centonovantacinque libbre, l'altra di centoquaranta.
 Micidiale fu il tiro di queste artiglierie, che da qualche tempo erano state adottate dagli eserciti, e i colpi furono concentrati sul convento di Brondolo che costituiva uno dei capisaldi della difesa genovese. Il 22 gennaio un colpo di bombarda colpì in pieno una muraglia del convento, la quale, crollando, seppellì sotto le macerie PIETRO DORIA.
 
Morto Doria, prese il comando dei Genovesi NAPOLEONE GRIMALDI, il quale tentò di aprirsi un varco a Brondolo, ma l'impresa non gli riuscì, anzi diede occasione ai Veneziani di riportare una splendida vittoria e di scardinare da quel lato le difese nemiche: il 19 febbraio, infatti, Vettor Pisani assalì con energia Brondolo con la sua flotta, mentre Carlo Zeno con un corpo di sbarco di seimila uomini diede l'assalto a Chioggia Piccola; circa diecimila Genovesi, usciti incontro ai Veneziani, furono completamente sbaragliati, Brondolo fu conquistata e la città grande fu stretta d'assedio da vicino. 
A capitanar l'esercito chiuso a Chioggia, Genova mandò per la via di terra GASPARE SPINOLA; nello stesso tempo inviò una flotta comandata da MATTEO MARUFFO, che sulle coste di Puglia catturò alcune navi da guerra veneziane al comando di Taddeo Giustiniani e nei primi di luglio comparve nelle acque di Chioggia. Ma né il nuovo comandante dell'esercito né il nuovo ammiraglio riuscirono a forzare il blocco. Invano Francesco da Carrara e il Patriarca d'Aquileia tentarono di vettovagliare la città, invano gli assediati cercarono di aprirsi un varco con piccole barche, invano il Maruffo sfidò a battaglia il nemico: i Veneziani con rigorosissima sorveglianza fecero riuscir vani tutti i tentativi di colpi di mano e di approvvigionamento e si guardarono bene dal raccogliere la sfida dell'ammiraglio genovese, non volendo rischiare con un incerto combattimento i vantaggi conseguiti con l'opera assidua e paziente di parecchi mesi. Loro erano in trappola perchè rischiare?

Decimati dagli assalti e dai tiri delle bombarde, sicuri di non poter ricevere soccorsi, tormentati dalla fame, dopo avere inutilmente tentato di venire a patti, il 24 giugno del 1380 i Genovesi si arresero a discrezione, lasciando nelle mani del nemico circa cinquemila prigionieri e diciannove galee. 

Dopo la presa di Chioggia la guerra continuò. Matteo Maruffo, avvicinatesi all'Istria, fece con la sua presenza ribellar Trieste che si diede al Patriarca d'Aquileia (26 giugno) poi occupò Capodistria (1° luglio) ed Arbe (8 agosto). Vettor Pisani uscì da Venezia, riprese Capodistria e inseguì il nemico; ma erano quelle le sue ultime imprese: trovandosi il 13 agosto a Manfredonia, cessò di vivere. La sua salma venne trasportata a Venezia e tumulata nella Chiesa di S. Antonio di Castello, donde nel 1807, essendo il tempio stato demolito, le ceneri furono trasportate a Montagnana. 

Se sul mare la guerra volgeva in favore di Venezia, sul continente le sue armi non potevano sperar di competere con quelle di tanti ed ostinati nemici: Castelfranco, Asolo e Noale cadevano nelle mani di Francesco da Carrara, le cui milizie stringevano sempre d'assedio Treviso. Oramai questa città era ridotta agli estremi, e Venezia, non potendola soccorrere, anziché vederla cadere nelle mani dell'odiato Carrarese, la cedette, con riserva dei propri diritti, al duca Leopoldo d'Austria che il 9 maggio del 1381 andò ad occuparla. 
Con la cessione di Treviso le operazioni di terra terminarono; continuarono quelle navali, ma erano semplici scorrerie nell'Adriatico e nel Tirreno con catture di navi mercantili e spavento delle popolazioni rivierasche. Le due rivali erano ormai stanche della lunga guerra e sentivano bisogno di pace. 

Già fin dal marzo del 1380 Urbano VI e i Fiorentini avevano cercato di metter fine alla guerra e a Cittadella avevano avuto luogo conferenze tra gli ambasciatori dei belligeranti e dei mediatori; ma non si era concluso nulla. Nell'estate del 1381 offerse la sua autorevole mediazione Amedeo VI di Savoia, che tutti accettarono. 
I rappresentanti di Genova, di Venezia, del rè d'Ungheria, di  Aquileia e dei Carraresi si riunirono a Torino e qui l'8 agosto fu conclusa la pace dalla quale venne escluso il re di Cipro che non aveva mandato i suoi plenipotenziari. 
Secondo i capitoli del trattato Venezia riconfermava al re d' Ungheria la cessione della Dalmazia, compresa Cattaro occupata durante la guerra, e si impegnava di pagargli settemila ducati annui ottenendo in cambio da lui la rinunzia alla navigazione del Golfo fino a Rimini; confermava inoltre la cessione di Treviso al duca d'Austria; riconosceva l'indipendenza di Trieste e cedeva al Conte Verde l'isola di Tenedo il cui castello doveva esser demolito e gli abitanti trasferiti a Candia e a Negroponte; Genovesi e Veneziani si obbligavano di non navigare per due anni alla Tana e di riconciliare Giovanni Paleologo col figlio Andronico; Cipro infine non doveva essere soccorsa da Venezia nella sua guerra con Genova. 

Quanto a Francesco di Carrara, il trattato gli imponeva di restituire le terre occupate ai Veneziani, di modo che, tornando i confini quali erano nel 1373, egli dalla guerra non ci guadagnava nulla. Fu per questo che, posate da tutti le armi, fu solo lui a tenerle  impugnate nell'ostinarsi su Treviso e fu tale la sua caparbietà che Leopoldo d'Austria, stanco alfine di quella lotta, nel febbraio del 1384, glie la cedette per centomila fiorini d'oro insieme con Ceneda, Feltro e Belluno.

 « In tal modo — scrive il Battistelli — finiva, almeno nella sua fase più violenta e rovinosa, il cruento conflitto tra le due più grandi repubbliche marittime d'Italia, duello che cominciato con la prima crociata si era venuto inasprendo man mano che la loro potenza cresceva. Non le separava odio di razza, non questioni di diretto dominio,  né antagonismo nato dal dissenso o da incompatibilità di tendenze politiche: unica e  immanente causa delle loro ostilità era la gelosia reciproca e fu combattuta con le armi, bensì, ma più ancora con la forza capziosa delle influenze politiche, con le sottili arti diplomatiche e gli  intrighi insidiosi per procurarsi la prevalenza presso i dispensatori di privilegi e di concessioni quali gli imperatori greci, i re di Cipro, i Sultani di Siria e d' Egitto, con tutti quei mezzi di tariffe, di dazi protettori, di noli di trasporto, di franchigie doganali e via di seguito che di solito  i frequentatori di questi  mercati mirano e lottano. 

«Rigogliose di giovinezza e di forze, nei primi anni della loro esistenza le due operose città avevano allargata la propria operosità in campi diversi e l'una dall'altra lontane.
Venezia, per le sue intime relazioni, con l'impero bizantino, ma anche per ragioni della sua stessa esistenza, si era volta all'Oriente.
Genova, invece, al Mediterraneo occidentale, dove anch'essa era legata da necessità storiche di difesa, contro i Saraceni di Frassineto, contro i Fatimiti d'Africa, contro i signori delle coste franco-catalane e più tardi dalla gelosia contro Pisa  per i possessi della Sardegna e della Corsica. 

Appena qualche nave di privati armatori nell' XI secolo osava arrivare fino al porto di Giaffa e solo qualche ardito mercante recarsi nelle terre del Calvario. 
« Accesosi il sacro ardore delle crociate ed apertasi la via a paesi molto più estesi ed a scali di mercanzie più preziose e rimuneratrici, anche il commercio genovese mutò direzione e si volse verso i mari di levante dove fatalmente doveva prima incontrarsi e poi - come abbiamo visto sopra- scontrarsi con Venezia. 
Quelle spedizioni che sotto l'egida della Croce dovevano unire in una fraterna unione i vari popoli cristiani per il glorioso riscatto del Santo Sepolcro, finivano così con l'offrire occasione e materia a violente rivalità destinate a tener ostilmente divise per circa tre secoli le due repubbliche marinare e a trascinarle ad una lotta da cui entrambe uscirono affrante e indebolite in modo da risentirne per tutta la rimanente vita le conseguenze: tristi e immediate per Genova per il suo stato di interna instabilità e debolezza; più tarde e più lievi per Venezia dove il tranquillo e ordinato ordinamento dogale e inedite contingenze politiche, procacciandosi nuovi domini poterono in qualche maniera nasconderle e temperarle quelle conseguenze; ma molto più tardi, purtroppo non riuscì ad evitarle ». (Battistelli)



 Con la fine dell'Impero Latino a Costantinopoli e il conseguente indebolimento della potenza veneziana in Oriente, si accentua lo scontro fra la città lagunare e Genova, interessate entrambe a monopolizzare i traffici mercantili nel Mediterraneo. L'episodio conclusivo della lotta fra le due città, mette a rischio l'esistenza stessa di Venezia , dopo la conquista di Chioggia da parte dei Genovesi, alleatisi, fra l'altro, con il re d'Ungheria, che ha strappato la Dalmazia ai Veneziani. L'esito felice della guerra per la città dogale è dovuto essenzialmente alla coesione sociale della sua intera popolazione che, nel momento del massimo rischio, si stringe intorno alla propria classe dirigente. La circostanza è tanto più significativa, in quanto i vasti vuoti prodotti nella popolazione veneziana, come nel resto d'Europa, dalla peste del secolo XIV, hanno ampliato il potere contrattuale della manodopera marittima, divenuta molto scarsa, che pur non ne approfitta, nel momento del pericolo, per aumentare le proprie pretese. Il secolo XIV si chiude, per Venezia, con un ritorno alla prosperità, accompagnato da un rafforzamento del potere nobiliare, mentre, sullo sfondo, si profila la minaccia dei Turchi.

ANNO 1382  - Nomina del LXI  Doge MICHELE MOROSINI (dal 10/6 al 16/10.1382)
Egli stesso uno dei 41 elettori della "Quarantia", fu elevato al soglio con il minimo del quorum, all'età di 74 anni. Colto e soprattutto ricchissimo, aveva fatto le sue fortune con la mercatura, nell'ultimo periodo, durante la guerra di Chioggia era riuscito persino a speculare sulla vendita di case che i risparmiatori furono costretti ad attuare per far fronte alla "svalutazione" dei prestiti allo Stato ( nda: una sorta di Buoni del Tesoro che persero il loro controvalore di quasi il 75- 80%). 
La peste lo colse dopo appena quattro mesi di governo. Fu sepolto nella chiesa dei SS. Giovanni e Paolo in un sontuosissimo sarcofago

ANNO 1382 - Nomina del LXII Doge ANTONIO VENIER (fino al 1400)  Era la seconda volta che Leonardo Dandolo entrava in competizione per la maggior carica della Repubblica, in quest' ultima occasione si trovò a contergli il soglio altri tre N.H. (nobil homini): Giovanni Gradenigo, Alvise Loredan e Carlo Zen, amareggiato e quasi per sfida suggerì alla Quarantia il nome quasi sconosciuto di un Capitano di stanza a Creta.
Antonio Venier fu eletto il 21 ottobre 1382, partì da Candia a bordo di una galera e giunse a Venezia il 13 gennaio 1383, la cronaca vuole che il suo insediamento sia stato festeggiato per un anno intero, nonostante fosse appena passata un' ondata di pestilenza, tanto era ben visto dal popolo e perchè dal popolo proveniva; il suo casato era stato accolto nelle liste di elezione al Maggior Consiglio solo durante la guerra di Chioggia, apparteneva perciò ad una famiglia "nuova".
La peste funestò ancora Venezia nello stesso anno quando ci fu una recrudescenza di infezioni e nel 1305, con una nuova ondata ma non riuscì a fermare l'ondata di rimonta della Repubblica che, uscita finalmente dalla crisi stava puntando nuovamente al proprio benessere economico ed alla difesa dello stesso: quello che non poteva essere conquistato, poteva essere comperato.
Con questa filosofia Comperò Napoli in Romania ed Argo in Morea nel levante; Scutari e Durazzo in Adriatico conquistando Corfù a difesa dei due territori contro i turchi e le loro mire espansionistiche.
Nell'entroterra padano le cose inizialmente si stavano rimettendo al peggio con i Carraresi, mai paghi delle battoste subite, che tentarono di isolare la città con l' acquisto dagli Asburgo di: Treviso, Conegliano, Ceneda, Serravalle, Feltre e Belluno e si allearono con Giangaleazzo Visconte duca di Milano per la spartizione degli ex territori scaligeri, ma alla fine la situazione volse a favore di Venezia.
I Visconti dopo aver preso Verona e Vicenza, con un repentino cambio di fronte presero subito Padova, poi Treviso, Conegliano e Ceneda che furono immediatamente cedute a Venezia.
Francesco "il Vecchio" da Carrara fu imprigionato e morì nelle carceri milanesi, il figlio Francesco Novello riuscito miracolosamente a fuggire e ricandidatosi alla signoria di Padova trovò inspiegabilmente alleata Venezia che lo rimise al suo posto ( nda: forse impensierivano di più i Visconti che i da Carrara alle porte della Serenissima).
Il 24 novembre 1392 Francesco Novello prostrato ai piedi del doge, come aveva fatto undici anni prima con Andrea Contarini, vide ascritto il proprio casato al patriziato veneziano.
Nel 1399 venne firmato un trattato di non belligeranza con i turchi, confinati ormai sui Balcani, attraverso una brillante operazione diplomatica con Alberto d' Este signore di Ferrara, Venezia nel mentre prese sotto tutela il figlio naturale Nicolò ( minorenne), concesse un prestito di 50.000 ducati al figlio legittimo Azzo con il patto che si trasferisse a Creta, garantendosi in pegno Polesine e Rovigo.
Ma Antonio Venier non era più lo stesso, il rimorso per la morte del figlio Alvise, avvenuta nel 1388 nei "pozzi" ( carceri) del Palazzo di Giustizia, non gli dava tregua.
Il suo alto senso dello Stato e della legge non gli concesse di intercedere nemmeno per il proprio figlio, che condannato a 6 mesi di carcere per aver disonorato una famiglia patrizia, non trovò scampo ( con un periodo di permanenza così lungo, dalle galere non si usciva vivi, d'inverno venivano usati i "pozzi" situati nel cantinato che si allagava ad ogni alta marea e era ricettacolo di ogni specie di insetti e ratti, d' estate venivano usati i "piombi", così chiamati perchè situati nel sottotetto ed erano lastricati di lamiere di piombo usate per l'impermeabilizzazione che con il sole diventava un forno.
"Antonazzo" ( Antonione - in senso bonario) morì il 23 novembre 1400 e sepolto nella chiesa dei SS. Giovanni e Paolo.


ANNO 1386 l’occupazione di Corfù; (in costruzione) 

ANNO 1400 - Nomina del Doge LXIII - MICHELE STENO (fino al 1413) - Stessa situazione di diciotto anni prima, l' irriducibile Leonardo Dandolo propose un nome alternativo, Michele Steno venne eletto con 25 voti il 1° dicembre 1400, all'età di 69 anni.
Dopo una gioventù burrascosa che gli costò anche qualche breve periodo di carcere, Michele Steno mise la testa a posto ed il suo curriculum fu di tutto rispetto.
La sua investitura fu a lungo festeggiata con cacce di tori e giostre e con balli organizzati dalla "Compagnia della calza" ( associazione di giovani nobili che organizzava feste ogni qualvolta ci fosse qualcosa o qualcuno da festeggiare,così chiamata per via dei calzoni indossati dagli associati, sorta di calzemaglia di diversi colori per gamba).
All' inizio del suo dogado, dato il periodo di relativa tranquillità si dedicò ad ornare la Basilica e a compiere lavori di pubblica utilità, ma già dal 1404 fu costretto a ripigliare le armi.
Francesco Novello da Carrara era nuovamente in stato di agitazione agitazione ed aveva coinvolto gli scaligeri esiliati e Nicolò d'Este, figlio protetto di Venezia, in scorribande nei territori della Repubblica ed in quelle dei Visconti.
Venezia decise di stroncare una volta per tutte l'irriconoscenza dei carraresi più volte sopportati e perdonati.
La guerra aperta ebbe inizio il 31 marzo, con al fianco i Visconti. Nel novembre del 1405 era già finita dopo aver preso tutte le città venete ed imprigionato tutti i Carraresi : Francesco Novello e i due figli Jacopo e Francesco che furono processati per tradimento, sabotaggio e corruzione e strangolati dal boia nei "pozzi" la mattina del 16 gennaio 1406.
Implacabile fu la risposta di Michele Steno a Francesco Novello ormai avvezzato a giustificarsi e chiedere perdono: "Spergiuro alla Repubblica, fu opera vostra suscitarle de' nemici, al modo di vostro padre, che impetrava i nostri aiuti contro gli schiavoni, mentre che d'altra parte li aizzava contro di noi. Per la perfidia perdemmo Treviso... Dopo quest' offesa, dopo la guerra di Genova levataci contro e da quale uscimmo per miracolo, noi gli perdonammo tuttavia... il Duca di Milano vi toglie Padova: noi vi diamo una mano a ripigliarla. Indulgenza, aiuti, onori, benefizi di ogni cosa vi siamo stati larghi e voi ogni cosa metteste in non cale, nulla ha potuto cangiare in voi il natural vezzo: ma ormai ci giova ringraziar Dio, che abbia pure una volta messo modo alle perfidie vostre e posta la vostra sorte nelle nostre mani.
Il 30 novembre dello stesso anno venne eletto al soglio pontificio romano il cardinale veneziano Angelo Correr con il nome di Gregorio XII ma la chiesa è in stato di grave crisi e sull' orlo di uno scisma, in carica vi sono gia due papi Benedetto XIII ad Avignone, a Roma Gregorio XII e prima della fine dell' anno se ne aggiungerà un terzo : Alessandro V, eletto in un concilio di dissidenti a Pisa.
La laica Repubblica se da un lato rimase neutrale, dall' altra cercò di approfittare della situazione per allargare i suoi predomini sul Friuli, il 13 luglio del 1410, venne emesso un editto nel quale si stabiliva che i consiglieri ed i loro parenti, accreditati anche dalla corte papale di Roma, fossero allontanati da tutti i Consigli della Repubblica, quando fossero discussi rapporti con lo Stato Pontificio e con il decreto del 27 ottobre 1412 fu vietata la vendita dei beni ecclesiastici, in tutti i territori sotto la giurisdizione di Venezia, senza il consenso del Senato.
Michele Steno morì del "mal della pietra" (nda: di calcolosi) il 26 dicembre 1413 e fu sepolto in un mausoleo della chiesa di Santa Marina (nda: tra Rialto e SS Giovanni e Paolo) 



ANNO 1402-1404: l'inizio della conquista del dominio di terraferma (in costruzione)

ANNO 1404-1420 - Espansione nella terraferma veneta;  Venezia, che già in passato ha subito gravi danni dalle potenze occupanti il suo retroterra, responsabili molto spesso dell'inquinamento lagunare, non può tollerare che i Carrara, signori di Padova, e alleati dei Genovesi durante la guerra di Chioggia, costituiscano una minaccia permanente per l'incolumità del territorio della Repubblica. Catturata dopo una breve guerra che vede alleati i Veneziani e Gian Galeazzo Visconti, duca di Milano, l'intera famiglia dei Carraresi viene trucidata. Segue l'occupazione veneziana di Padova, Vicenza e Verona. Da questo momento in poi, Venezia, divisa internamente fra i fautori di una politica esclusivamente marittima e coloro che spingono all'intervento nelle vicende di terraferma, sarà sempre più coinvolta nelle lotte per la supremazia in Italia. A partire dal 1420, anno in cui il doge Francesco Foscari convince i suoi concittadini ad allearsi ai Fiorentini per porre un freno alle ambizioni di Filippo Maria Visconti, la Penisola diviene teatro di guerre incessanti, combattute per lo più per il tramite di truppe mercenarie, guidate da condottieri, fino alla Pace di Lodi (1454), che sancisce un precario equilibrio fra i maggiori Stati italiani. A questa data, Venezia è ormai in possesso di un cospicuo dominio di terraferma che comprende, oltre alle prime conquiste, il Friuli e alcune città lombarde, come Bergamo e Brescia. (Su Bergamo vedi il 1428)

ANNO 1409 1420 il riacquisto della Dalmazia; (in costruzione)

ANNO 1414 -  Nomina del LXIV Doge - TOMMASO MOCENIGO (fino al 1423) Fu eletto il 7 gennaio 1414 tra una ridda di nominativi, all'età di 71 anni.
Tommaso Mocenigo, detto "Tommasone" proveniva da una delle famiglie "nuove" era scapolo e con buoni trascorsi sia militari che diplomatici, la notizia della sua elezione gli giunse quando era ambasciatore a Cremona presso la corte di Sigismondo d' Ungheria , dove si trovava anche l' antipapa Giovanni XXIII, succeduto ad Alessandro quinto, ambedue reduci dal concilio di Costanza e dai quali si allontanò in incognito a discapito di qualsiasi eventuale attentato.
La cronaca vuole che con Tommasone iniziasse una nuova consuetudine: prima di dare inizio ai festeggiamenti, il neo eletto doge facesse un giro per la piazza San Marco in "pozeto" ( sorta di portantina a forma di pulpito sulla quale stava seduto il doge con al seguito un parente e il "balotin"- il ragazzino che estraeva le biglie per i sorteggi-) dal quale lanciava al popolo monete con la sua effige appena coniata. 
Naturalmente i festeggiamenti furono imponenti ed i "sestieri " (i quartieri o contrade di Venezia), si prodigarono a turno fino ad arrivare alla festa della "Sensa" (lo sposalizio con il mare).
Il clima di " carnevale permanente" non ostacolò comunque l'attività politico amministrativa di Venezia che, a fine anno , aveva già esteso la propria giurisdizione sul Friuli e sul Bellunese, compreso il Cadore e Feltre, mettendo prima sul tavolo l' alleanza con i Visconti e poi sottomettendo per sempre il patriarcato di Aquileia retto da Lodovico di Trek.
La guerra iniziata nel 1413, finì il 31 luglio 1420 con l' atto di sottomissione a Venezia del Cadore ( sottoposto al vassallaggio di Aquileia).
Quello stesso anno la flotta e l' armata veneziana, al comando del "Capitano del Golfo" Pietro Loredan riprendevano il dominio su Durazzo, Scutari e tutta la Dalmazia, snidando ad una ad una tutte le "feluche" e gli "sciabechi" dei pirati turchi.
Dopo una lunga malattia, il 4 aprile 1423, Tommaso Mocenigo si spense e sepolto nella chiesa dei SS. Giovanni e Paolo. 

Il Carmagnola A Venezia.— Lega tra Venezia e Firenze contro i Visconti — Assedio e caduta di Brescia — Pace del 1426 — Battaglia di Maclodio. — Pace di Ferrara 1428 — Firenze contro Lucca  — Nuova lega Firenze e Venezia — Morte di Martino V - Eugenio IV — Sigismondo in Italia — morte del CARMAgnola — Pace di Ferrara  1433. (VEDI QUI IL RIASSUNTO)

 ANNO 1423  - Nomina del LXV Doge - FRANCESCO FOSCARI  - (fino al 1457) Tommaso Mocenigo, fervido servitore della Repubblica, rinsaldati i capisaldi nell'entroterra veneto considerava ogni altra mira espansionistica, al di là di quanto non fosse già stato fatto, una rovina per Venezia perchè avrebbe rotto gli equilibri instaurati, con l' inevitabile conseguenza di infinite guerre.
In tal senso, eludendo il divieto della Promissione Ducale che non permetteva al doge di nominare un suo successore, lasciò un testamento morale, reso pubblico, anzi un testamento alla rovescia, ovvero un monito (per mettere in guardia la Quarantia, quando si sarebbe verificata la sua dipartita), non mirato alla nomina di qualcuno "che ne sarebbe stato comunque degno", quanto sulla eventuale elezione di Francesco Foscari, notoriamente bramoso di estendere ulteriormente i domini di Venezia.
Il quarantanovenne Francesco Foscari fu eletto il 15 aprile 1423.
Di famiglia già ricchissima, il suo patrimonio si rimpinguò ulteriormente grazie alle "doti" derivate da due matrimoni con nobildonne di casato altrettanto facoltoso.
La preveggenza di "Tommasone" non fu smentita, il dogado più lungo nella storia dei dogi veneziani, durato 34 anni 6 mesi ed 8 giorni, fu quasi interamente funestato non solo dalla guerra ma anche da sciagure e faide famigliari.
Essendo mutato l'indirizzo politico di Venezia e considerato il pensiero del nuovo doge, i Visconti con a capo Filippo Maria, pensarono di arginare le eventuali mire della Repubblica tentando di sconfinare ed occupare posizioni strategiche nei territori da questa controllati, la guerra inizio nel 1426.
L' esercito visconteo, capitanato da Carlo Malatesta, Francesco Sforza e Nicolò Piccinino, fu sconfitto il 17 ottobre 1427 a Maclodio (nda: oggi provincia di Brescia), dall'esercito nato sull' alleanza di Venezia con Firenze e dalle truppe di ventura di Francesco di Bussone detto "il Carmagnola" . Nel 1428 fu firmata la pace di Ferrara che assegnò alla città lagunare i territori di Brescia, Bergamo e Cremona.
Il 5 maggio 1432 il Carmagnola fu arrestato, processato per tradimento e decapitato sulla pubblica piazza (non avevano convinto i pochi morti nella battaglia di Maclodio, ma soprattutto non convinse il comportamento tenuto nei confronti di migliaia di prigionieri, quasi subito rilasciati) 
Tra il 1429 ed il 1433 Venezia fu costretta a battersi sul fronte orientale contro i turchi che però conquistarono Salonicco.
Nel 1434 ci fu una recrudescenza delle lotte tra Milano e Venezia che ancora una volta, grazie alla resistenza di Brescia definita in quell'occasione "la Leonessa", riuscì a contenere l'esercito visconteo, un ulteriore inutile spargimento di sangue da ambo le parti: sia quella veneziana capitanata da Erasmo da Narni detto " Gattamelata) e Francesco Sforza, sia in quella avversa comandata da Gianfrancesco Gonzaga e Nicolò Piccinino. 
La successiva pace di Cremona del 1441confermò quanto stabilito in quella di Ferrara. 
Tra il 1441 ed il 1447 la scena fu occupata da Francesco Sforza che in con un continuo balletto tra i due schieramenti riesce a tenere accesa la disputa tra i due casati. 
Nel 1447 morì Filippo Maria Visconti lasciando unica erede la figlia Bianca Maria, già sposa di Francesco Sforza. A Milano venne instaurata la Repubblica, Sforza ripassa dalla parte veneziana e nel 1450 diventa Duca e signore di Milano ma non trova accordo con Venezia su Cremona, l' intercessione delle altre signorie coinvolte ( Gonzaga, D' Aragona, Savoia e Firenze) pone fine alla disputa con la pace di Lodi stipulata il 19 aprile 1454; facendo allargare i possedimenti veneziani alla stessa Lodi, Piacenza, Crema, Caravaggio ed i territori di Ghiaradadda.
L' allargamento dei territori nell' entroterra avevano assunto una vastità che va ben oltre quella dell' odierno "Triveneto" : a nord tutto il Friuli, il Trentino fino a Rovereto; a est l' Istria; a Sud fino a Ravenna, a Ovest fino a Piacenza.
La situazione si era fatta nel frattempo molto grave nel levante: l' Impero di Bisanzio cadde definitivamente con la presa ed il sacco di Costantinopoli, avvenuto 20 maggio 1453 da parte di Maometto II.
Il quartiere veneziano viene distrutto e tutti i nobili giustiziati. A Venezia, non rimane che riconoscere il sultanato e con la pace del 18 aprile 1454, riesce a mantenere quasi tutti i possedimenti e le prerogative commerciali.
Oltre alle guerre a mietere vittime ci furono le calamità naturali: la grande siccità del 1424; "l' acqua granda" (maree eccezionali ) con cadenze molto frequenti; il grande gelo (si gelò anche la laguna) del 1431che paralizzò la vita della città per mesi, considerando che non c'erano mezzi alternativi alle imbarcazioni, per il trasporto di persone,merci e materiali; il terremoto del 1451 ed infine la peste che infuriò per diversi anni, ad ondate successive e che portò via quattro figli allo stesso doge.
Ed oltre alle guerre e alle calamità il dogado di Francesco Foscari fu anche minato da continue faide tra casati diversi che coinvolsero la sua famiglia, arrivando ad attentare alla sua stessa vita.
L' 11 marzo del 1430 Andrea Contarini sobillato dai Loredan tentò di pugnalarlo, fortunatamente il colpo fu deviato da un ambasciatore di Siena che riuscì a deviare il colpo, il Contarini fu arrestato processato ed impiccato tra le due colonne di Marco e Todaro, non senza prima avergli amputato la mano destra che gli fu appesa al collo.
Il 5 dicembre 1450 fu trovato morto Almorò Donà, un nobile del Cosiglio dei Dieci, del delitto, pur senza prove fu imputato Jacopo Foscari, l'unico figlio rimasto al doge.
Jacopo venne esiliato a Candia, ma nel 1456 complottò per tornare in patria e scrisse a Maometto II e a Francesco Sforza.
Il Consiglio dei Dieci ne venne a conoscenza, lo richiamò in patria, lo processò per aver ordito con ex nemici della Repubblica contro gli interessi della stessa, e lo condannò ad un anno di carcere da scontarsi nella prigione di Canea a Creta.
Come accadde con Tommaso Mocenigo, anche questa volta il padre non intercesse per il proprio figlio e Jacopo morì il 12 gennaio del 1457. 
L'accanimento nei confronti del doge ( nda: più probabilmente dettato dall'acrimonia di alcune famiglie, toccate negli interessi, in conseguenza alle lunghe guerre che avevano vuotato le casse ed inflazionato i titoli di prestito statali, che non da veri sentimenti patriottici ), non si esaurì comunque li, con la scusa che il doge presenziava sempre meno frequentemente le sedute di Consiglio, la mattina del 23 ottobre 1457 a casa sua si presentarono tre nobili del Consiglio dei Dieci che toltogli il corno ducale e spezzatogli l' anello gli intimarono di abdicare e di lasciare il Palazzo Ducale entro otto giorni, pena la confisca di tutti i beni.
Il vecchio doge, ormai affranto si ritirò nella sua casa a San Barnaba dove spirò il 1° novembre , due giorni prima era stato eletto Pasquale Malipiero.
Tra le famiglie fedeli al vecchio doge iniziò a serpeggiare un certo malcontento , perchè ritenevano che data ormai l' età ed il suo stato di salute, la grande umiliazione gli poteva essere risparmiata, anche perchè la sentenza dei Dieci non era stata valutata dal Maggior Consiglio.
Per tacitare gli animi , il Consiglio dei Dieci impose i funerali di stato, ma la moglie si oppose perchè riteneva questo un comportamento ipocrita, ma i Dieci all'umiliazione aggiunsero la protervia: la salma fu vestita con tutti i paramenti e le insegne dogali e dopo essere stata esposta fino al 3 novembre nella sala dei "Signori di Notte" fu trasportata per le calli della città , con al seguito il neo doge ancora in abiti senatoriali, tra due immense ali di folla fino alla chiesa dei Frari per la sepoltura.
Il dogado di Francesco Foscari fu senza dubbio un dogado sofferto ma anche probo: la città si arricchì con il nuovo Palazzo Ducale (quello che ancor oggi si vede), eretto sullo stesso posto del precedente, della biblioteca di San Giorgio Maggiore, nonchè del fondaco dei tedeschi (dall' arabo "funduq", sorta di albergo- bazar dove i mercanti stranieri, tedeschi in questo caso potevano alloggiare e ricoverare, scambiare, vendere o acquistare merci ) e non mancarono feste e giostre a dar lustro alla città. 


ANNO 1424 l’annessione di Salonicco: La città si diede a Venezia per essere difesa dai turchi. (in costruzione)

ANNO 1425 inizio delle guerre in Lombardia; (in costruzione)

ANNO 1428 Con lettera ducale del 9 luglio 1428 venivano concessi alla città di Bergamo alcuni importanti privilegi e autonomia. Si univano cioè a Bergamo, nella giurisdizione civile e "criminale", tutti i territori storicamente legati alla città, quali tutte le Valli, Martinengo, Romano, Cologno, Lovere e Almenno. Era inoltre stabilito che il podestà di Bergamo (fu nominato  Marco Giustiniani primo podestà e capitano) la sua Corte e tutti gli altri "giusdicenti" di Bergamo e territori annessi erano competenti a giudicare i loro amministrati sia nel civile, sia nel penale e che i sudditi stessi non potevano essere convenuti dinanzi a nessun giudice se non residente a Bergamo o nei territori. In pratica nasce un primo sistema federalista.

ANNO 1430 perdita di Salonicco;
(in costruzione)

ANNO 1432 Carmagnola - Guerra con i Visconti.  La storia di un condottiero della Serenissima, finito decapitato
ANNO 1439 Colleoni e la sua impresa sul Lago di Garda
ANNO 1453: il sultano Maometto II conquista Costantinopoli  (in costruzione)

ANNO 1454 fine delle guerre in Lombardia; (in costruzione)

ANNO 1457 - Nomina del LXVI Doge - PASQUALE MALIPIERO (fino al 1462) - Il nuovo doge fu eletto il 30 ottobre del 1457, all' età di 65 anni. - Non aveva avuto grandi trascorsi nè meriti particolari, l' unica cosa che possa far pensare alla sua elezione fu il fatto che era stato un accanito sostenitore della causa contro Francesco Foscari. - Ma il comportamento tenuto dal Consiglio dei Dieci, nei confronti del vecchio doge non passò tra indifferenza infatti, il 25 ottobre 1458 il Maggior Consiglio promulgò le leggi limitattrici dei poteri di quel Consiglio, vietando espressamente l' interferenza e l' ingerenza su questioni riguardanti il doge e la sua Promissione. - I Dieci furono anche ammoniti con pubblico rimprovero nel quale veniva ricordato loro che "l ' eccelso consiglio era stato creato, non per provocare scandali, ma per impedire che si verifichino"
L' unica intuizione di Pasquale Malipiero fu quella di assegnare il comando dell'armata terrestre al Capitano di ventura Bartolomeo Colleoni già più volte alternativamente a fianco dei tanti signori della guerra quali i Visconti, Carmagnola e Gattamelata. - Non perchè vi fosse immediata necessità di difesa o offesa ma per toglierlo definitivamente dal " mercato", nell' eventualità che qualche papa o qualche signoria confinante, avesse intenzioni diverse dalla pace. Comunque non vi fu fortunatamente alcuna necessità di farlo intervenire ed il Colleoni visse tranquillamente da pensionato nel suo castello di Malpaga ( sulla riva sinistra del Serio a circa 12 km a sud di Bergamo). - L'indole del Doge Malipiero diversa a 180 gradi rispetto a quella del suo predecessore, mandò a monte anche la crociata indetta dalla Dieta di Mantova, insediata allo scopo da papa Pio II, per tali e tante le riserve poste nei confronti della spedizione.
Il "dux pacificus" come venne soprannominato si spense il 17 maggio 1462 e fu sepolto nella chiesa dei SS. Giovanni e Paolo.


ANNO 1462 Nomina del LXVII Doge - CRISTOFORO MORO (fino al1471) - Savio, censore, consigliere decemviro (Consiglio dei Dieci), procuratore, promissore ducale, capitano a Brescia (sotto assedio dei Visconti), ambasciatore presso la Santa Sede di Eugenio IV e Niccolò V; ...bigotto.
Il settantaduenne Cristoforo Moro eletto con 30 voti il 12 maggio 1462, sul recto delle monete fece iscrivere: << Religionis et Iusticiae Cultor>>.
Dopo il fallimento della Dieta di Ferrara, prendendo spunto dalla conquista ottomana della Morea, sposò in pieno le tesi di Pio II.
Nel novembre del 1463 presentò la proposta al Maggior Consiglio di inviare la flotta per liberare i territori occupati dai turchi.
Il Maggior Consiglio approvò ponendo la condizione che fosse lo stesso doge a guidare l'impresa.
Il doge, della schiatta: "armiamoci e partite" tentò un'inversione di marcia adducendo scuse di salute ma, il Maggior Consiglio una volta deciso, difficilmente tornava sui propri passi ed il Consigliere Vettor Cappello gli intimò: << se la Serenissima vostra no' vorà andare co' le bone, lo faremo andar per forza, perchè gavemo più caro el ben e l'onor de 'sta tera che no xe la persona vostra.>>
Il 12 agosto 1464 la flotta veneziana formata da appena 12 galere arrivò ad Ancona, dove avrebbe dovuto incontrare l' armata e la flotta pontificia.
Considerato che: lo Stato Pontificio aveva messo a disposizione solo 8 galee, l' esercito non c'era perchè nessun'altra signoria aveva appoggiato la spedizione e Pio II già moribondo il 15 agosto si spense, la flotta veneziana ritornò sui propri passi.
Ma la minaccia turca si stava concretizzando in qualcosa di ben più grande e temerario che la conquista della sola Morea.
Maometto II aveva messo in piedi un'armata di 60.000 uomini e 300 navi armate.
Venezia tentò di arginare le invasioni costruendo 137 torri e mandando rinforzi sull'istmo di Corinto. Contemporaneamente l'Arsenale si prodigò nella costruzione di nuove navi.
Nel 1469 le scorrerie turche arrivarono in Istria ed il 12 luglio 1470 Maometto II saccheggiò e distrusse Negroponte (capitale) e tutta Eubea ( grande isola greca separata a est della penisola balcanica dal canale di Talanta); le popolazione massacrata ed il bailo veneziano (console o ambasciatore) Paolo Erizzo fu segato a metà.
La flotta veneziana, al comando del Capitano Generale da Mar " Nicolò da Canal" arrivò quando Maometto II si era già ritirato lasciando nell' isola solo dei presidi, ciò nonostante lo sbarco delle truppe venete avvenne in maniera talmente caotica che furono costrette a ripiegare, con ulteriore perdita di vite umane e lasciando in mano nemica numerosi prigionieri, trai quali i capitani d' arme Girolamo Longo che fu impalato e Giovanni Tron che fece la fine di Erizzo.
Al rientro in patria il da Canal fu processato e condannato all'esilio a Portogruaro (la lieve pena forse fu dovuta al fatto che tutti si fecero carico di una certa responsabilità personale nell'aver sottovalutato Maometto II).
Comunque la guerra proseguì, la flotta fu affidata a Pietro Mocenigo e fu accresciuta con l'invio di 10 navi da parte del nuovo papa Sisto IV. Ora si poteva far affidamneto su 85 tra galere e navi diverse, ancora poca cosa ma sufficiente a creare azioni di disturbo e corsa lungo le coste dell'Anatolia e medio orientali e la conquista di Smirne (la battaglia, successivamente dipinta dal Veronese rimane immortalata sul soffitto della sala del Maggior Consiglio).
Il 9 novembre 1471 Cristoforo Moro rese l'anima a Dio, non avendo eredi lasciò tutti i suoi averi a istituti religiosi e vestito da frate francescano, come espresso nelle sue ultime volontà, fu sepolto nella chiesa di San Giobbe. 



 La fine dell'Impero d'Oriente fa pesare una grave minaccia sui domini e sugli interessi marittimi di Venezia, che, dapprima, ancora impegnata nelle guerre d'Italia, cerca di venire a patti con i Turchi, e in seguito (1463), li attacca con decisione. La guerra che ne consegue (nel corso della quale gli Stati italiani rivali di Venezia , quando questa sembra prevalere, si comportano da autentici alleati dei Turchi) si conclude nel 1479, con uno scacco per la Serenissima, che perde l'isola di Negroponte ed è costretta ad abbandonare i suoi alleati albanesi e a pagare diecimila ducati all'anno, per conservare i propri privilegi commerciali.

ANNO 1471 - Nomina del LXVIII Doge - NICOLO' TRON  (fino al1473) - Non aveva avuto un gran passato se non la sua munificenza nei confronti dello Stato, mediante la quale lavava la propria coscienza per l' esercizio dell'usura e la perdita del figlio Giovanni nella battaglia di Negroponte. 
Dopo un dibattuto conclave, il 25 novembre 1471 Nicolò Tron fu eletto con il minimo del quorum; aveva 72 anni. I festeggiamenti per il suo insediamento furono particolarmente fastosi con elargizione di monete non solo al popolo ma anche a chierici e canonici. - Il primo impegno del doge fu quello di rimettere in ordine, ancora una volta, il dissesto nelle finanze pubbliche dovute alle perdite contro i turchi. A tal riguardo la cronaca riportò molta soddisfazione sull' operato del doge che nel maneggio del denaro era sempre stato molto abile.
Non furono toccate le fasce di popolazione meno abbienti ma fu introdotta invece una imposta sui patrimoni più consistenti, furono ridotti gli stipendi pubblici più elevati e fu "svalutata" (forse per la prima volta nella sotoria) la moneta veneziana mediante l'introduzione della "lira" (chiamata Trono) - "mezza lira" d'argento e il "bagattino" di rame.
I turchi intanto, si fecero sempre più audaci con spedizioni sino in Friuli dove misero a ferro e fuoco interi comuni della Carnia. - L' anno successivo però, Venezia vedeva coronare un vecchio sogno: il rafforzamento ed della propria presenza a Cipro, a scapito delle mire dei Savoia e dei genovesi, attraverso l' insediamento della diciasettenne Caterina Corner accanto al re Giacomo II di Lusignano, sposato per procura del 1468, indifferentemente se Giacomo II morirà l'anno successivo, a soli 33 anni lasciando Caterina Corner vedova ed incinta. - Comunque non fu più un problema di Nicolò Tron che, il 28 luglio del 1473 ovvero 22 giorni dopo, seguì il re di Cipro. 
Fu sepolto a Santa Maria dei Frari.

ANNO 1473 - Nomina del  LXIX Doge - NICOLO' MARCELLO  (fino al 1474) - Uomo pio e devoto, con una discreta carriere alle spalle: fu rettore a Brescia, Verona. Udine e capo del Consiglio dei Dieci. Nicolò Marcello fu eletto il 13 agosto 1473 a 74 anni.
La sua devozione, la dedizione e la curiosità per le reliquie e le cose sacre lo portò a scoprire una cassetta contenente un pezzo di legno ed un chiodo, tra l'enorme quantità di oggetti entrati a far parte del tesoro di San Marco durante i secoli, ritenuti reliquie della croce di Cristo, autentiche o meno furono spesso esposte e portate in processione.
Nel suo breve dogado, continuò l' opera risanatrice delle pubbliche finanze ed il nuovo conio della "mezza lira" fu chiamato "marcello". Anche dal punto di vista militare e strategico il suo operato fu un proseguimento di quanto precedentemente stabilito. 
L' improvvisa morte di Giacomo II di Lusignano aveva lasciato la giovanissima regina Caterina Cornaro in balia dell'arcivesvovo di Nicosia e di alcuni notabili dell'isola (appoggiati da Ferdinando I d' Aragona, re di Napoli), tanto che la notte del 14 novembre 1473 alcuni di questi entrarono nel palazzo reale, uccisero lo zio di Caterina, tagliarono, entrati nella camera della regina fecero a pezzi il suo medico ed un servitore quindi dopo averle rubato tutti i gioielli e l'anello con il sigillo reale la costrinsero ad abbandonare il palazzo.
Avuta notizia della rivolta, la flotta capitanata da Pietro Mocenigo ritornò a Famagosta, lasciata tempo prima ed ancor prima di avere il benestare del Senato i rivoltosi furono impiccati. A tutela della Regina furono nominati due consiglieri ed un governatore.
Mentre sul versante della guerra con i turchi, la pressione ottomana si faceva sentire sempre di più anche se le sconfitte e le vittorie avevano assunto un andamento alterno.
Valorosa fu la resistenza nel maggio 1474 di Scutari governata da Antonio Loredan, all'assedio degli 80.000 uomini di Seleiman Pascià che nonostante fosse allo stremo delle forze riuscì ad attendere l'arrivo delle navi di Pietro Mocenigo.
Nicolò Marcello morì il 1° dicembre 1474 e fu sepolto nella chiesa di Santa Marina. ( Nel 1818 le spoglie furono traslate a SS Giovanni e Paolo.) 



ANNO 1473 l’acquisto di Cipro;  (biogr. in costruzione)

ANNO 1474 - Nomina del LXX Doge - PIETRO MOCENIGO (fino al 1476) - Il nuovo doge fu eletto il 14 dicembre 1474 a 69 anni, dopo una vita spesa al servizio della Serenissima come uomo d'armi.
Le imprese che portarono il suo nome ebbero molta risonanza come la presa Antalia e Smirne e la difesa di Scutari così come fu stimato per aver riorganizzato la flotta.
Al suo insediamento la "lira" d'argento assunse il nome di "mocenigo" e fu coniata con il "marcello". 
L' unica cosa che riuscì a mettere in cantiere durante la sua breve permanenza fu l'avvio delle trattative di pace con il sultanato di Costantinopoli (chiamato la "sublime Porta"). Il primo incontro avvenne il 6 gennaio 1475 ma non portò ad alcun risultato.
Pietro Mocenigo morì di malaria, presa durante la campagna di Scutari, il 23 febbraio 1476 e sepolto a SS Giovanni e Paolo. 


ANNO 1476 - Nomina del LXXI Doge - ANDREA VENDRAMIN  (fino al 1478) - Personaggio umile ed umano, discendente da una delle famiglie "nuove", quando il suo nome iniziò a prendere corpo nelle votazioni della Quarantia il notaio, più propenso all'elezione di un casato aristocratico tento un broglio elettorale a favore di Benedetto Venier, ma la cosa non passò inosservata e le schede furono annullate.
Andrea Vendramin fu eletto col minimo del quorum all'età di 83 anni senza aver fatto altro nella vita che esercitare il commercio, quando salì al soglio però i suoi capitali erano stimati intorno ai 160.000 ducati d'oro.
Durante il giro in "pozzetto" il neo doge non distribuì monete d'argento ma d'oro e poi durante il suo breve dogado fu prodigo e munifico con tutti i bisognosi e magnanimo nel somministrare la giustizia, tanto da meritarsi un riconoscimento ufficiale da papa Sisto IV che , per la sua bontà d'animo gli conferì la "rosa d'oro", da egli stesso depositata nel tesoro di San Marco.
Sul fronte turco però le cose non andarono bene: nel giro di poco tempo furono perse Tana e Soldaia, quindi Genova perse Caffa facendo saltare così tutto il commercio nel Mar Nero.
All' età di 85 anni, Andrea Vendramin morì il 6 maggio 1478 e fu sepolto nella chiesa dei Servi 8; nel 1815 le spoglie con tutto il monumento furono traslate a SS. Giovanni e Paolo).


ANNO 1478 - Nomina del LXXII  Doge - GIOVANNI MOCENIGO  (fino al 1485) - Nato nel 1409, l'unico merito di Giovanni Mocenigo fu di essere stato il fratello del doge Pietro. La sua fu un' elezione molto travagliata con ben elezione 9 scrutini e si concluse il 18 maggio 1478.
Dopo il suo insediamento fu subito alle prese con Maometto II che diresse personalmente il cannoneggiamento di Croja ( Attuale Kruje - ex capitale albanese) ed un nuovo assedio di Scutari, per non subire ulteriori danni Venezia ritentò la via della pace che fu firmata il 25 gennaio 1474 a durissime condizioni significò infati la perdita di Scutari e parte dell' Albania, Eubea l' Argolide e l ' isola di Lemno, oltre ad un indennizzo di 10.000 ducati per la libera circolazione commerciale nei territori governati dall'impero ottomano.
Terminata la guerra con i turchi Venezia fu colpita da una nuova ondata di pestilenza che portò via la stessa dogaressa Taddea Michiel.
Nel frattempo Sisto IV, a conferma del nepotismo imperversante, stava avanzando pretese sul ferrarese per poter donare un regno al nipote Girolamo Riario. Il duca di Ferrara Ercole d'Este, vassallo di Venezia e tributario dello Stato Pontificio, forte dell'alleanza con Ferdinando I d' Aragona re di Napoli, per averne sposato la figlia, intendeva rendersi indipendente ed aveva riassoggettato il Polesine.
Nel 1482 si arrivò allo scontro con Venezia e lo Stato Pontificio da una parte e Ferrara con Ferdinando I dall'altra. Napoletani e Ferraresi furono sconfitti prima a Campo Morto, nelle Paludi Pontine e poi ad Argenda, sulle sponde del Reno, nel giugno del 1483 però, Sisto IV con un repentino volta faccia, ruppe l'alleanza con Venezia, formulò una bolla di scomunica e lanciò una "santa alleanza" a tutti gli stati italiani contro la stessa, ritenendola un vicino troppo forte per il regno di Girolamo Riario.
La Serenissima riuscì a capovolgere la situazione con un' abile azione diplomatica: coinvolgendo le signorie nemiche contro lo strapotere papale e prescrivendo la bolla, rendendola inefficace con un appello asteso da una commissione di giuristi che fu appeso alle porte della Basilica di San Pietro, il Papa rimasto isolato fu costretto alla pace di Bagnolo il 7 agosto 1484 che restituì il Polesine alla città lagunare.
Tra tante peripezie il doge fu costretto anche a dimorare fuori dal Palazzo Ducale che fu colpito da un grave incendio la mattina del 14 settembre 1483. L' alloggio provvisorio fu ricavato a palazzo Duodo ( palazzo delle prigioni situato di lato al Palazzo Ducale e separato da un canale - oggi Rio Canonica di Palazzo-) e collegato al Palazzo Ducale stesso con una passerella in legno. I lavori di ripristino costarono 6.000 ducati e terminarono nove anni dopo.
Giovanni Mocenigo morì di peste il 14 settembre 1485 e frettolosamente sepolto, per paura del contagio nella chiesa dei SS. Giovanni e Paolo. 



ANNO 1485 - Nomina del LXXIII Doge - MARCO BARBARIGO  (fin al 1486) - Fu eletto a 72 anni dopo un conclave brevissimo ed una "vacatio" di due mesi dovuta all' epidemia di a peste che stava mietendo moltissime vite. - Marco Barbarigo ricevette le insegne dogali sulla "Scala d'oro" appena ultimata (nda: scala monumentale, successivamente chiamata "dei Giganti" perchè fu adornata con le due sculture marmoree di marte e nettuno di Iacopo Sansovino, che dal cortile di " Porta della Carta sale al primo piano) e subito dopo passò dalla sala del "Piovego" per completare il rituale e dove ai neo eletti ed alle loro consorti veniva rammentato che sulla terra si era tutti di passaggio dogi e dogaresse compresi : << Vostra Serenità, sì come vivo è venuta in questo locho a tuor possesso del Palazzo, così vi fo intender e saper che quando sarete morto , vi saranno cavate le cervele, li ochi e le budele et sarete in questo locho medesmo, dove per tre giorni havereti a stare avanti che siate sepolto>>.
Marco Barbarigo raggiunse la sala del Piovego il 14 agosto 1486 e sepolto nella chiesa della Carità (nda: la chiesa della Carità fu sconsacrata e spogliata durante il dominio napoleonico, oggi è sede dell' Accademia delle Belle Arti). 


ANNO
1482 1484 il Polesine: Per combattere il re di Napoli il papa aveva chiesto aiuto a Venezia. Preoccupato poi delle vittorie di Venezia, ricorse all’interdetto per fermarla nel 1484. Dalla pace Venezia ottenne di conservare il conquistato Polesine.

ANNO 1486 - Nomina del LXXIV Doge - AGOSTINO BARBARIGO (fino al 1501) - Per la prima ed ultima volta fu eletto un fratello minore del defunto doge, ma l'elezione non fu dovuta per questioni di rivendicazione ereditaria o nepotismo, del resto tra i due fratelli non vi erano intenti comuni e non andavano d'accordo.
Agostino salì al soglio dogale il 30 agosto 1486 all' età di 66 anni, dopo una buona carriera militare e politica, era stato Capitano generale nella guerra di Ferrara, governatore di Padova, Verona e Capodistria ed infine Procuratore di San Marco ma, forse aveva avuto ragione il doge Marco quando durante l'ultima riunione del Senato, lo stesso giorno in cui morì , mise in guardia la Repubblica circa le ambizioni del fratello.
Il suo dogado prese subito un'impronta che avrebbe rivelato la sua recondita ambizione per il potere, lo sfarzo ed i propri interessi. 
Il 1° giugno 1489 ritornò a Venezia Caterina Cornaro, regina di Cipro. Dopo la morte del marito e del figlioletto era stata convinta a cedere alla Repubblica il possesso dell' isola, in cambio le fu riconosciuto un vitalizio di 8.000 ducati annui, un palazzo sul Canal Grande ed il feudo di Asolo. Per l' occasione il doge fece organizzare fastosissimi festeggiamenti in maniera da far ricadere il merito sulla propria persona quella rinuncia della regina fatta come "Figlia della Repubblica".
Così come pretese che su tutti gli stipiti ed i caminetti fosse impresso il suo stemma araldico, prima di riprendere possesso del Palazzo Ducale dopo l' incendio e la ricostruzione ultimata nel 1492.
Altrettanto fastoso fu il ricevimento di Beatrice d' Este, consorte di Ludovico il Moro signore di Milano, quando arrivò a Venezia per perorare l'alleanza contro l' invasione dei francesi di Carlo VIII di Valois, che fu battuto il 6 luglio 1495 nella battaglia di Fornovo.
Per poi cambiare fronte, alleandosi con Luigi XII (ssuccessore di Carlo VIII) ai danni di Ludovico Sforza e conquistando ancora una volta Cremona ed i territori di Ghiradadda.
Ma nel levante la flotta veneziana, capitanata da Antonio Grimani, fu ripetutamente sconfitta dai turchi che tra il 1499 ed il 1500 presero Sapienza, Zonchio Corone e Modone; inoltre Cristoforo Colombo era ritornato più volte dalle "Indie" e Vasco de Gama era tornato con un carico di spezie proveniente dalle coste di Malabar ( India), dopo aver doppiato Capo di Buona Speranza.
Le casse erariali ormai esauste non solo per le guerre e la diminuzione dei traffici commerciali, ma anche per le continue spese sostenute per pittori musici e poeti e per le opere architettoniche come la chiesa di S. Maria dei Miracoli e la torre con l' orologio di piazza San Marco, costrinsero ad una nuova diminuzione dei salari statali, alla diminuzione di sussidi alle città vassalle, alla decurtazione delle decime al clero e a varare un prestito forzoso.
Tutto questo mentre in città la prostituzione, il malcostume, l' usura e la corruzione dilagavano, nella completa indifferenza del doge che anzi aveva fatto assumere una poetessa per allietare i suoi pasti e continuava a favorire e proteggere parenti di malaffare.
Il popolo che sin qui l'aveva da prima acclamato, poi sorretto e quindi sopportato iniziò a maledirlo ma ormai Agostino si era ammalato e nonostante avesse espresso il desiderio di abdicare, questo non gli fu concesso per non far sorgere un altro caso "Falier", morì il 20 settembre 1501 e fu sepolto assieme al fratello che lo aveva preceduto.
Alla sua morte fu insediata una commissione per far luce sulle denunce contro il doge, ricevute dal Consiglio dei Dieci, l' inchiesta durò due anni e appurò non solo tantissimi delitti di contrabbando e favoreggiamento di tutti gli atti illeciti condannabili ma addirittura trame ai danni della Repubblica con le signorie di Rimini e Mantova.
I risultati della commissione furono secretati ma i correttori della Promissione Ducale ebbero incarico di : <<metere tale freno al doxe ch'el no fazi onnipotente come misser Augustin Barbarigo>>. 


ANNO
1492: La scoperta del Nuovo Mondo -  Questa data, considerata tradizionalmente la prima dell'Età Moderna, è di rilevante importanza anche per Venezia. Il viaggio di Colombo, volto a scoprire il Levante navigando a Ponente, inaugura la serie delle grandi navigazioni oceaniche, in particolare la circumnavigazione dell'Africa compiuta da Vasco da Gama, che consente ai Portoghesi di raggiungere per mare i luoghi di produzione delle spezie, realizzando notevoli vantaggi rispetto ai mercanti veneziani, abituati ad essere riforniti delle stesse, attraverso lunghi e spesso insicuri percorsi terrestri. Non che questo abbia costituito, come troppo spesso si suole ripetere, la rovina per la città lagunare. Per tutto il XVI secolo, e anche oltre, l'economia veneziana continua a prosperare, pur battendo cammini che, con la sola eccezione dell'editoria che registra in laguna una delle sue produzioni più alte, sono abbastanza diversi da quelli seguiti, in generale, dal mondo moderno. Per non citare che due esempi, a Venezia si insiste nella produzione di tessuti di altissima qualità, mentre si diffonde in tutto il mondo civilizzato la confezione di generi d'abbigliamento di tipo medio-basso; e si evita di snellire e di ammodernare, sull'esempio degli Olandesi, le costruzioni marittime. Ma, soprattutto, a Venezia, si assiste a un gigantesco trasferimento di capitali dal mare alla terra, attraverso le bonifiche di terreni paludosi promosse dal patriziato veneziano e contrastate, in città, "dal partito del mare", timoroso dei danni che questa operazione può arrecare all'integrità della Laguna. 

ANNO 1494 -  La calata di Carlo VIII in Italia, inaugura la lunga serie di interventi degli Stati nazionali europei nella penisola, divisa fra Stati regionali in perenne conflitto tra loro. Venezia non può fare a meno di intervenire per salvaguardare la propria integrità territoriale, ma alcune mosse imprudenti commesse dalla Reggenza della città dogale, desiderosa di approfittare dell'occasione per ampliare ulteriormente i domini della Repubblica, provoca a un certo punto una coalizione generale di Stati italiani ed europei (Lega di Cambrai, 1509), che mette a rischio l'esistenza stessa di Venezia. Ammaestrata dall'esperienza, la città dogale manterrà, a partire dal 1525, una saggia neutralità nella situazione di conflittualità internazionale creata dallo scontro fra gli Stati europei. Viene nel frattempo perfezionata la costituzione veneziana, tutta giocata sulla possibilità di accesso della classe nobiliare alle cariche pubbliche, attraverso una complessa serie di designazioni e di sorteggi, tali da impedire la concentrazione del potere in poche mani. Il ceto nobiliare trova in effetti una nuova fonte di benessere nei proventi derivanti dall'amministrazione dei domini provinciali. Incarichi pubblici e redditi fondiari fanno passare gradatamente la situazione del ceto dirigente veneziano, da posizioni di profitto a posizioni di rendita.

ANNO 1501 - Nomina del  LXXV Doge- LEONARDO LOREDAN (fino al 1521)
- Eletto a 65 anni, Leonardo Loredan coronò con il trionfo i già tanti successi di una famiglia "nuova" , anche se di antico lignaggio; ma se la famiglia Loredan trovò lustro nell'elezione a doge di uno dei suoi componenti, Venezia iniziò a conoscere un ulteriore periodo di tragico decadimento. (vedi le successive  pagine).

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