AVIAZIONE

UN OMAGGIO

Le capacità tecniche e il coraggio degli aviatori italiani nella guerra 1940-1945 sono state riconosciute in sede storica. Smontate le valutazioni denigratorie

I PILOTI DA CACCIA ITALIANI
IMBATTIBILI CAVALIERI DEL CIELO

di Alberto Rosselli

Dopo l'uscita, e lo strepitoso successo ottenuto all'estero, di Courage Alone - "The Italian Air Force 1940-1945" dello storico ed esperto di questioni militari Chris Dunning - il primo grande libro inglese sull'epopea degli aviatori italiani durante il Secondo Conflitto Mondiale - ecco finalmente crollare un vecchio malinteso: quello della (presunta) incapacità dei piloti italiani ad affrontare l'impegno di uno scontro bellico epocale. Giustizia è resa alle centinaia di cavalieri dell'aria italiani periti in un confronto eroico, ma del tutto impari e quindi disperato.

PREMESSA
Il 10 giugno 1940, la Regia Aviazione Italiana disponeva complessivamente di 594 velivoli da caccia-assalto: 177 anziani biplani Fiat CR32 (serie Ter e Quater); 202 più moderni Fiat CR 42; 89 caccia monoplani Fiat G 50; 77 Macchi MC200;


Il Macchi-Castoldi (MC) 200 nelle due versioni, mimetizzato e normale


7 idrovolanti biplani Ro44; 12 Breda Ba 65 e 30 bimotori Breda Ba 88. Di questi pochi aerei gli unici ad essere in grado di svolgere con efficacia il ruolo di intercettatori risultavano essere i caccia delle famiglie Fiat e Macchi. Gran parte dei piloti della Regia Aeronautica che nel corso della guerra si distinsero nel ruolo di cacciatori ebbero quindi modo di iniziare la loro difficile carriera essenzialmente ai comandi di quattro tipi di macchine (i biplani CR32 e CR42 e i monoplani MC200 e G50): aerei che a causa della loro bassa forza motrice (i decrepiti CR32 avevano un motore in linea da 600 hp, mentre i più moderni CR42....

Il Fiat CR 42

... ne avevano uno stellare da 840 hp, i G50 uno anch'esso stellare da 840 hp e i MC200 uno, egualmente stellare, ma da 860 hp) e del loro limitato armamento di lancio (tutti e quattro i modelli ebbero in dotazione due mitragliere Breda Safat da 12,7 millimetri disposte nel muso, con eccezione degli ultimi modelli del CR32 e del MC200 che ebbero entrambi montate sulle ali anche due mitragliatrici leggere Breda da 7,7 millimetri), risultavano sostanzialmente inferiori a quasi tutti gli altri caccia messi in campo nel medesimo periodo da Francia e Inghilterra.

Nel giugno del 1940, la Francia, sebbene vicina al collasso militare, poteva fare conto su un buon numero di solidi intercettatori Morane-Saulnier MS406 e di più avanzati Dewoitine D520. L'Inghilterra aveva nei robusti Hawker Hurricane MK I e negli agili e veloci Spitfire MK I i suoi punti di forza. E se sotto il profilo della maneggevolezza e della solidità almeno i Fiat CR42, i Fiat G50 e soprattutto i Macchi MC200 potevano - se ben pilotati - tenere testa ai Morane francesi e agli Hurricane inglesi, dal punto di vista dell'armamento e della velocità l'inferiorità degli aerei italiani appariva purtroppo inequivocabile e tale da costringere i piloti ad effettuare autentiche prodezze per cercare di annullare il pericoloso divario.

Basti pensare agli Hurricane e agli Spitfire, che filavano a 505 e 570 chilometri l'ora (contro i 440 dei CR42 e i 500 dei MC200) e che erano armati con ben otto mitragliatrici alari Lewis da 7,7 millimetri, contro le uniche due Breda da 12,7 (i Morane che toccavano i 485 chilometri l'ora erano armati con un cannoncino da 20 millimetri e con due mitragliatrici alari da 6,5, mentre i Dewoitine, che raggiungevano 530 chilometri l'ora, erano dotati di un cannoncino da 20 millimetri e 4 mitragliatrici alari da 7,5 millimetri).

Tuttavia, fu soprattutto a causa della scarsa potenza dei motori di fabbricazione nazionale che la caccia (ma anche tutte le altre specialità) italiana dovette affrontare (almeno fino all'autunno del 1941, quando iniziarono ad essere consegnati ai reparti i primi ottimi Macchi Mc202....

Il Macchi 202

... e Reggiane Re2001 equipaggiati con motori in linea Daimler Benz DB 601/A-1 da 1.175 hp di fabbricazione tedesca o costruiti su licenza dalla Alfa Romeo) un avversario quasi sempre superiore.

Già i primi motori in linea Rolls Royce Merlin degli Hurricane e degli Spitfire, appartenenti alle serie entrate in linea nel 1939, erogavano 1.030 hp, mentre le unità motrici in linea Hispano-Suiza dei caccia francesi Morane e Dewoitine avevano - rispettivamente - una potenza di 850 e 910 cavalli. In buona sostanza, dal giugno del 1940 al novembre del 1941, i cacciatori italiani dovettero affrontare (anche dopo l'uscita della Francia dal conflitto) impegni di combattimento che li videro, quasi regolarmente, in condizioni di netto svantaggio: inferiorità resa ancora più marcata da un impressionante divario numerico.

Per dare un'idea della situazione in cui si vennero a trovare i piloti italiani delle varie specialità nel corso della prima parte del conflitto che portò il paese alla rovina (10 giugno '40 - 8 settembre '43), basti pensare che l'industria aeronautica nazionale riuscì a consegnare loro soltanto un totale di 11.508 velivoli (dal giugno '40 all'agosto '43), cioè meno di quanti ne produsse l'industria inglese nel 1940, cioè 15.000. Senza contare che l'Inghilterra e tutti i Paesi del Commonwealth britannico poterono, nel corso del conflitto, usufruire di non meno di 35.000 velivoli forniti dagli Usa: cifra compensativa delle poche centinaia di aerei (tra Me109 F e G, Ju87 e altri esemplari) ceduti dalla Germania all'Italia dal settembre '40 all'agosto '43.

Osserviamo ora più nel dettaglio il trend produttivo dell'industria aeronautica italiana dal 1° gennaio del '40 al 1 settembre del '40. Nel corso del '40 dalle catene di montaggio uscirono 3.257 velivoli (1.155 dei quali caccia); nel 1941, 3.503 (1.339 caccia); nel 1942, 2.818 (1.488 caccia) e nei primi otto mesi del 1943, 1.930 (1.000 dei quali caccia). Si tratta di dati sconfortanti in quanto neppure minimamente paragonabili a quelli inglesi e tanto meno a quelli statunitensi, russi e tedeschi. La Gran Bretagna, nazione contro la quale l'Italia dovette ingaggiare, dal '40 al '43, il più pesante e dispendioso confronto aereo (data l'affollata presenza della RAF in tutti i principali scacchieri mediterranei e africani) riuscì, come si è detto, a mettere in linea, nel 1940, ben 15.000 velivoli, destinati a salire nel '41 a 20.100 e nel '42 a 23.671, per poi arrivare ai 26.263 del 1943: tutte cifre alle quali si devono aggiungere i cospicui quantitativi, soprattutto caccia e bimotori da bombardamento medio (P40 Kittyhawk, Grumman Wildcat IV, Republic Thunderbolt II, Chance Vought Corsair II, North American Mustang IV, Martin Baltimore I, Martin Marauder I e North American Mitchell) forniti dagli Usa alla Gran Bretagna a partire dall'estate del '40.

E a poco serve ricordare che tra il '40 e il '43 la RAF (appoggiata però direttamente, almeno a partire dal giugno e dal dicembre del '41, da quei due mostri di produttività industriale e bellica che erano gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica) dovette fronteggiare la formidabile Luftwaffe tedesca. Data la spaventosa ampiezza del conflitto, la Germania, la cui industria aeronautica riuscì a sfornare un notevolissimo quantitativo di ottime macchine, dovette infatti impiegare gran parte dei suoi mezzi aerei per garantire un appoggio tattico alle proprie armate e per proteggere (soprattutto con la caccia) le sue stesse industrie nazionali minacciate dai bombardieri pesanti inglesi e statunitensi: una servitù che si fece sentire soprattutto nel Mediterraneo, nei Balcani e in Africa Settentrionale dove spettò all'Aeronautica Italiana il compito di reggere, spesso da sola, gran parte del confronto con l'agguerrita e ben equipaggiata aviazione del Commonwealth britannico.

Inferiorità tecnologica, incapacità produttiva e sostanziale carenza di pianificazione industriale (nel corso della guerra l'industria aeronautica italiana, già a corto di metalli leggeri, alluminio, gomma e incapace di approntare un quantitativo adeguato di strumentazioni e apparecchiature, mise a punto un numero troppo elevato di modelli differenti anziché concentrarsi su quei pochi velivoli, come il dimenticato Reggiane Re2000 o i già citati MC202 e Re2001, in grado di controbilanciare, almeno in parte, lo strapotere dell'industria aeronautica anglo-americana) costrinsero quindi i piloti da caccia italiani ad avvalersi quasi sempre di macchine sostanzialmente antiquate, compensandone le deficienze con le proprie capacità e con il coraggio.

LE AQUILE ITALIANE ACCETTANO LA SFIDA

Fatta questa lunga ma doverosa premessa non deve quindi stupire il numero relativamente basso di vittorie conseguite dai cacciatori italiani durante il secondo conflitto mondiale: un bottino che alla luce dei fatti va doverosamente rivalutato, anche per sfatare le leggende (diffuse nel dopoguerra soprattutto da fonti britanniche) circa una presunta "incapacità" o addirittura scarsa combattività palesata dalla Regia Aeronautica e, nella fattispecie, dai piloti da caccia italiani nel corso della guerra. Anche se, a dire il vero, in questi ultimi anni alcuni autorevoli studiosi anglosassoni (soprattutto inglesi e sudafricani) hanno ammesso nelle loro opere che ciò che mancò ai piloti italiani, costretti a combattere a bordo di poche macchine obsolete, non fu certo il coraggio o la perizia, bensì la fortuna.

Tra i vari stormi caccia impegnati, tra il giugno del '40 e il settembre del '43, contro le forze anglo-americane e sovietiche, quello che forse si distinse maggiormente fu il 4° Stormo del Cavallino Rampante (il simbolo dell'asso della Prima Guerra Mondiale, Francesco Baracca). I primi cinque Assi della graduatoria ufficiosa della Regia Aeronautica (ufficiosa perché molto spesso gli avversari - soprattutto gli inglesi che disprezzavano ma temevano i piloti italiani - non confermarono, o addirittura negarono, nei loro rapporti le vittorie conseguite dai cacciatori della Regia) militarono infatti nel 4° Stormo, compreso il capitano Mario Visintini che tuttavia operò in una squadriglia distaccata - la 412ma - in Africa Orientale, dove conseguì a bordo del suo CR42 ben 16 vittorie personali in azione, distruggendo al suolo altri 32 velivoli britannici.

Al primo posto troviamo il sergente maggiore Teresio Martinoli (22 abbattimenti individuali e 14 in collaborazione), seguito dal sotto tenente Leonardo Ferrulli (22 individuali e 10 in collaborazione), dal capitano Franco Lucchini (21 personali e 52 in collaborazione), da Visintini, di cui si è già detto, e dal tenente Luigi Giannella, con 12 vittorie individuali e 14 in collaborazione.
Seguono (sempre per quanto riguarda 4° Stormo) il capitano Emanuele Annoni con 9 vittorie personali e 10 in collaborazione, il tenente Antonio Canfora con 7 abbattimenti personali e 2 in cooperazione e il capitano Carlo Ruspoli con 5 abbattimenti personali e uno in collaborazione.

Pesante, a controbilanciare questi successi, il consuntivo dell'attività di questo glorioso Stormo che dal 19 giugno del '40 (data di abbattimento dell'abile tenente Ugo A. Corsi) al 4 settembre del '43, perse in combattimento 32 piloti, mentre altri 8 morirono a causa di incidenti e di bombardamenti aerei nemici (tra il 21 settembre '43 e il 2 aprile '45, caddero altri 14 piloti, che avevano aderito al Regno del Sud). Notevole il bottino complessivo del 4° Stormo, reparto la cui bandiera venne decorata con una medaglia d'oro al valore militare e una d'argento. Grazie all'abilità e all'affiatamento dei suoi piloti e specialisti il 4° Stormo abbatté complessivamente, nel corso di 303 battaglie aeree, ben 585 aerei avversari più altri 215 probabili, guadagnando un totale di 13 singole medaglie d'oro al valore militare.

Ma oltre al 4° Stormo, molti altri reparti da caccia italiani ebbero modo di sfornare veri e propri Assi (qualifica che era possibile ottenere raggiungendo un minimo di 5 abbattimenti individuali accertati). Tra questi ricordiamo il capitano Claudio Solaro (3° Stormo) che abbatté 10 aerei avversari, tirandone giù 14 assieme ai gregari e distruggendone al suolo altri 20. E alle sue spalle: il maggiore Ettore Foschini del 21° Gruppo con 7 vittorie individuali; il tenente Orlando Mandolini del 2° Stormo con 7 individuali e 2 in collaborazione e il capitano Clizio Nioi (1° Stormo) con 7 più 8. Tra il 12° e il 19° posto della graduatoria relativa al periodo 1940-1943, trovano poi posto: il capitano Doglio Furio Niclot (51° Stormo) il capitano Giorgio Tugnoli (23° Gruppo) e il tenente Livio Bassi (154° Gruppo) con 6 vittorie individuali; il maresciallo Pietro Bianchi (51° Stormo) con 5 individuali e ben 56 in collaborazione; il maresciallo Francesco Pecchiari (20° Gruppo) con 5 più 5; il maresciallo Olindo Simionato con 5 vittorie individuali e 20 collettive e il tenente Carlo Seganti con 5 abbattimenti personali.

La classifica degli "assi" italiani della Seconda Guerra Mondiale non sarebbe però completa né esatta se non si tenesse conto degli abbattimenti conseguiti dai piloti italiani impegnati, a partire dal settembre del '43 al maggio del '45, nelle file della Aeronautica della RSI (Repubblica Sociale Italiana) e in quelle della Aviazione Italiana Coobelligerante (quella che combatté a fianco degli Alleati). E come si può notare dalla sottostante tabella riassuntiva, in virtù di questo epilogo sanguinoso per entrambi gli schieramenti, gli "assi" italiani crebbero considerevolmente di numero con l'aumentare delle vittorie, consentendo diversi ribaltamenti nell'ordine di graduatoria e facendo emergere piloti di estremo valore e capacità come il capitano Adriano Visconti (26 vittorie personali) e Luigi Gorrini (19 vittorie), entrambi militanti nell'Aviazione Repubblicana (1)

(1) Alcuni piloti dell'Aviazione della RSI, come Luigi Gorrini, ottennero un riconoscimento per le loro vittorie soltanto molti anni dopo la fine del conflitto.

*** GLI ITALIANI ALLA
BATTAGLIA D'INGHILTERRA

Mussolini, umiliato e messo nell'angolo all'armistizio francese, dove ha ricevuto "un pugno di mosche", vuole riscattarsi e offre a Hitler un corpo di spedizione militare per l'invasione dell'Inghilterra. Vorrebbe ripetere le gesta di Cesare, ma Hitler rifiuta anche questa volta la sua offerta; gli bastano i suoi soldati e i suoi aerei. Ma Mussolini insiste, alla fine il Furher accetta l'aviazione visto che con questa vuole in quattro giorni mettere in ginocchio l'Inghilterra e poi fare lo sbarco navale.

Mussolini manda 75 "bombardieri" BR 20  e 95 "caccia" CR 42 e G 50. Il generale capo dell'Aeronautica, Pricolo, lo sconsiglia, dice che non sono adatti.  Ma Mussolini é irremovibile, "é una questione politica".
Intanto manda  Ciano da Hitler, ma questa volta, prima dell'invasione dell'Inghilterra (non vuole certo  ripetere la brutta esperienza francese) con le sue richieste di spartizione dei territori inglesi una volta finita la campagna (ora le mire del Duce si spingono fino al Congo). Ma Hitler nemmeno  ascolta le pretese di Ciano:  "prima di parlare di  spartizioni bisogna sconfiggerla l'Inghilterra" e lo liquida bruscamente. Ciano ci resta male, non tollera l'arroganza. Torna a casa, esprime queste idee al suocero. Che lo liquida in malo modo e manda ugualmente gli aerei in Normandia per l'attacco. 

Quando gli aerei italiani arrivarono alla base germanica per attaccare l'Inghilterra, i tedeschi implorarono in ginocchio i piloti di non volare con quelle "cicogne", senza carlinga, senza a bordo la radio (inconcepibile nella nebbia inglese), lenti, obsoleti, inadatti a scontrarsi con i potenti Spitfire inglesi. Cercarono di convincerli che quelli non erano caccia ma libellule. Inutilmente; alla fine le perdite italiane all'uscita della prima e della seconda missione  furono il 50 per cento. Tutti suicidi preannunciati.
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Ultimamente, Domenica 17 Settembre, il Corriere della Sera, ed altri giornali, hanno pubblicato un bellissimo articolo-intervista fatta a LUIGI GORRINI.
 
Negli anni della guerra, Luigi Gorrini è stato un incredibile asso dell'aviazione, un elemento della pattuglia acrobatica; 19 aerei abbattuti, medaglia d'oro; uomo energico e fiero, combattente audace, che poi aderì l'8 settembre alla Repubblica Sociale Italiana. Quindi non è un antifascista nel narrarci questa scellerata "avventura" dell'Italia.

"Il 10 giugno 1940, c'era il sentore che qualcosa stava succedendo. Ero di base sull'aeroporto di Mondovì, dove era distaccato il 18° Gruppo del 3° stormo da caccia che era a Mirafiori, dove rientrammo per armare gli aerei. Da lì la mia squadriglia andò a Novi Ligure, poi ad Albenga destinati contro i Francesi, dove vi era uno dei migliori aeroporti perché aveva la pista in cemento laddove gli altri aeroporti l'avevano erbosa. Ero ad Albenga mentre Mussolini faceva il famoso discorso e vi fu subito un allarme per aerei nemici su Genova.

"Avevamo i CR 42, macchina all'epoca già superata, strasuperata. Biplano di tela, senza corazze, apparecchi radio e impianti d'ossigeno malfunzionanti. Era un gran bell'apparecchio in quanto a maneggevolezza, armato da 2 mitragliatrici da 12,7, mitragliatrici efficaci, ma se pensiamo alle otto da 8,7 di cui disponevano gli Spit e gli Hurricane...

"Il morale era molto alto. Credevamo inoltre di avere aerei validi, ma quando vedemmo cosa aveva il nemico, la Francia, parlo dei Dewotine e dei Morane, ci dovemmo ricredere. Io poi ho conosciuto quelle macchine in seguito, quando mi recai in Francia a prendere alcuni loro aeroplani che erano rimasti al Governo di Vichy (cominciavamo a scarseggiare dei nostri ed avevamo bisogno di tutto). Era come paragonare un triciclo ad una Ferrari...
Noi pensavamo comunque di vincere la guerra, dopo invece... gli unici aerei competitivi che abbiamo avuto sono stati il Macchi 202 ed in particolare il 205: con questo potevamo tener testa agli Spitfire, agli Hurricane e persino agli americani con i loro Mustang, durante la Repubblica Sociale. Certo che il Mustang era superiore, perché a 10000 metri i comandi con il 205 non li sentivi già più. Forse il migliore di tutti i nostri è stato il Fiat G.55, lì potevi andare anche a 10000 metri, ma ne produssero davvero pochi.

"La Battaglia d'Inghilterra - Ci consegnarono nuovi aeroplani CR 42: senza corazze, impianti d'ossigeno malfunzionanti, salvagenti di marina troppo grossi che ci impedivano i movimenti. Da Torino partimmo ed atterrammo a Monaco dove facemmo rifornimento. Ricordo che nevicava. Di lì ancora fino a Francoforte e poi da lì fino in Belgio, ad Ursell, una cosa assurda e incredibile, il campo non si vedeva, anche il comandante era stupito.  
Un bel momento abbiamo visto degli alberi, pini, che si muovevano, delle mucche per terra. Era tutto mimetizzato e così bene che gli Inglesi non sono mai riusciti a trovare quel campo. C'era perfino una grande fattoria di cartone con porte e finestre, mucche di gomma gonfiabili e pini che una volta tolti venivano rimessi al loro posto per coprire i rifugi degli aerei a loro volta coperti da reti. Eravamo in braghe di tela, pensi che non avevamo riscaldamento sugli aerei, che peraltro erano aperti. Volavamo anche a trenta gradi sottozero.

Le operazioni venivano decise dai tedeschi e a noi spettava la scorta ai nostri bombardieri: era un macello. Erano venuti un sacco di piloti, figli di papà, a provare l'ebbrezza della guerra...questo fenomeno si era già visto in Spagna.
Ma non era una guerra dei soldi, era una guerra del piombo e gli Inglesi non scherzavano affatto, sparavano sul serio.
Facevamo la scorta ai bombardieri, ma tenerli uniti era un'impresa: uno andava giù perché i motori non ce la facevano. Erano BR 20, macchine anch'esse di tela, idonee a volare leggere e a partire su terreni secchi ed aridi. Qui invece si era carichi di bombe e le piste erano fangose, e poi i piloti mancavano d'addestramento. Le prime due azioni furono un disastro: i Tedeschi ci fermarono e si accorsero degli aeroplani che avevamo...ossigeno che si bloccava, senza radio, aeroplani di tela e come prima cosa ci diedero le stufe catalitiche per scaldare i motori e poi, nel giro di 48 ore ci applicarono corazze aggiuntive. Ci dettero le loro combinazioni, guanti e caschi nuovi (avevamo ancora il caschetto di tela).
 
Francamente avevamo solo gli occhi per piangere, abbiamo fatto la guerra in queste condizioni; non avevamo neppure le carte, dal momento che già in Italia andavamo avanti seguendo le carte stradali del Touring Club. Immaginatevi in Inghilterra con le nebbie! Dopo un combattimento rientrammo in 25 in quattro nazioni diverse, non si vedeva nulla se non i campanili. Sono atterrato avendo visto una pista ma era un'autostrada, e prima di me, lo avevano già fatto in quattro: uno andò a finire in una piazza d'armi ad Amsterdam, altri finirono fra i pini. 
In pieno inverno arrivò quindi l'ordine di rientrare, e nel frattempo erano arrivati anche i Fiat G.50, ma non parteciparono ad alcuna azione, non avevano autonomia perchè passata la Manica dovevano tornare subito indietro. Li schierarono quindi come difesa notturna degli aeroporti, in voli notturni isolati. 
La spedizione in Inghilterra fu tutta da dimenticare: bombardamenti male eseguiti, macchine inidonee."

(nelle sue memorie ci sono tante altre storie, la sua carriera, i ricordi, e tanta onestà nei giudizi)

"Prima o dopo l'8 settembre, Noi non avevamo alcun partito, noi difendevamo le città italiane dai bombardamenti dei "liberatori", le nostre case ed il nostro onore. La guerra sapevano tutti che era persa con El-Alamein ed io l'ho persa due volte: l'8 settembre ed il 25 aprile. Ma quello che ho fatto allora...quelle tonnellate di bombe in meno che abbiamo evitato alle nostre città, questo è un innegabile merito storico. Io non abbasso gli occhi di fronte a nessuno, l'ho fatto e lo rifarei".

La guerra vissuta da Luigi Gorrini è narrata nel libro "Ali d'Italia-Vespa 2"
edito dalla Società Editrice Barbarossa.
Il libro, corredato di diverse introduzioni, fotografie, disegni, è acquistabile anche presso gli Aeroclub di Milano, Vercelli, Bergamo, Vergiate, Casale Monferrato, Gorizia, Udine, Bergamo, Brescia, Bologna, Mantova, o ordinato a
sidielbarrani@tiscalinet.it
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Eppure l'Italia si era presentata in guerra con il più  grande numero di aerei in "circolazione" ma solo sulla carta; oltre 5760 aeromobili (rispetto ai 1850 inglesi e ai 3000 tedeschi), ma erano tutti antiquati, solo 700 erano in grado di volare, e solo a vista, ovviamente solo quando era sereno, perché nella nebbia o semplicemente dentro un cielo nuvoloso i piloti volavano alla cieca.
(La Regia Aviazione Italiana disponeva complessivamente di 594 velivoli da caccia-assalto: 177 anziani biplani Fiat CR32 (serie Ter e Quater); 202 Fiat CR42; 89 caccia monoplani Fiat G50; 77 Macchi MC200-1-2; 7 idrovolanti biplani Ro44; 12 Breda Ba 65 e 30 bimotori Breda Ba 88).

Vi era in Italia, nonostante tutti gli allori conquistati negli anni precedenti (ma erano nati solo per questo motivo) un grosso ritardo non tecnologico ma industriale, e con scelte sbagliate. Eppure l'Italia aveva i migliori motoristi, progettisti e radiotecnici - l'RDF (Radar) fu esposta l'idea di costruirlo nel 1922! Nessuno ne capì l'importanza).
 L'Italia non aveva più diversificato la produzione dal 1936. La grande industria aeronautica seguitava a produrre aerei con i vecchi schemi, pur avendo nei cassetti progetti di avanguardia. 
L'Inghilterra aveva già le "fortezze volanti" totalmente in metallo, l'Italia invece era ferma al bombardiere Savoia Marchetti  79 e 80 in tela cerata, che furono ribattezzati dal generale Santoro "le debolezze volanti", o meglio conosciute fino al 1960, come "le vacche" , viste nella foto precedente (chi scrive ci ha volato un centinaio di volte e ha fatto i lanci col paracadute proprio con questi aerei).

 
Un fantastico aereo era stato messo in progetto, il P.108, ma entrò in servizio a fine 1942 e solo in 24 esemplari. C'era poi il Cant Z. 1018 metallico, stupendo, più sofisticato di quelli americani e inglesi, ma gli unici cinque (!) esemplari furono terminati 10 giorni prima dell'armistizio nel '43, a guerra "finita".
Prima negli hangar, poi di nascosto in una officina a Milano (per incrollabile volontà dei tecnici che si erano visti mettere i bastoni fra le ruote) si stava costruendo un gigantesco bombardiere unico al mondo. Non lo finirono mai. Nel 1945 a fine guerra la carcassa rimase come ricordo.

Mentre nel frattempo in Inghilterra erano stati costruiti 18.188 Liberator, 16.701 Fortezze volanti, 7366 Lancaster, 6176 Halifax e 2371 Stirling. E in America  96.000 caccia.

Poteva vincere l'Italia?

Nella battaglia d'Inghilterra con velivoli inglesi e tedeschi, nel voler fare un confronto qualitativo con quello italiano era a dir poco umiliante. Il confronto numerico nemmeno parlarne.
"Era come paragonare un triciclo ad una Ferrari..." (Gorrini)

Ancora nel 1943 l'Italia costruiva il SAI 207, fatto di legno e con due sole mitragliatrici a bordo, quando gli altri erano già costruiti in acciaio corazzato, avevano cannoncini, oltre la immancabile radio sempre in contatto  con i RDF (Radio Direction  Finding - poi battezzato dagli Usa, RADAR) a terra sulla costa che segnalavano già a dieci chilometri gli aerei tedeschi e la direzione da dove provenivano. Inoltre gli Spitfire volavano a 700 Km ora. Una velocità tale che permetterà perfino di affiancarsi alle successive V1, volargli sotto per un tratto, poi virando bruscamente creavano quel vuoto d'aria sufficiente per far dirottare la bomba volante.

Alla costruzione di una portaerei si erano in Italia opposti tutti, Marina (per gelosia) e Aviazione (per non dipendere dalla Marina); "la portaerei é l'Italia infilata nel suo Mediterraneo" si disse. Ma bastò la prima missione di una sola portaerei inglese nei pressi del porto di Taranto (dov'era alla fonda il meglio delle navi italiane) per far fuori in 22 minuti e dopo appena 30 giorni dall'inizio della guerra la metà della flotta italiana. La beffa era  che Taranto si trovava  a mezz'ora da quell'isola di Malta (come del resto Malta rispetto a Taranto) che nessuno aveva preso in considerazione allo scoppio della guerra. Bastò un attacco in piena notte. Proprio quello che avevano temuto gli inglesi dagli italiani, si rivelava ora quest'isola utile proprio agli Inglesi; da lì partivano, lì si rifugiavano, e lì avevano anche  in sovrappiù i  RDF (radar).

L'antiaerea sul territorio era inesistente, e l'abbiamo visto a Torino e Genova. L'esercito si era preparato a difendersi dagli aerei con 265 postazioni fornite di mitragliatrici (!). Ma solo 9 erano vere contraeree, fra l'altro chieste e poi inviate in tutta fretta da Hitler.

CLASSIFICA COMPLETA DEGLI "ASSI" DELLA CACCIA ITALIANA
PERIODO 1940 - 1945

Franco Lucchini 26 Adriano Visconti 26 Teresio Martinoli 23 Leonardo Ferrulli 22 Franco Bordoni-Bisleri 19 Luigi Gorrini 19 Furio Lauri 18 Morosi 18 Mario Bonzano 17 Mario Visintini 17 Ugo Drago 16 Duilio S. Fanali 15 Adriano Mantelli 15 Luigi Giannella 14 Brunetto di Montegnacco 14 Corrado Ricci 14 Mario Bellagambi 13 Germano La Ferla 13 Vittorio Minguzzi 13 Guido Presel 13 Luigi Baron 12 Giovanni Dell' Innocenti 12 Attilio Sanson 12 Claudio Solaro 12 Gianlino Baschirotto 11 Carlo Magnaghi 11 Angelo Mastroagostino 11 Carlo Romagnoli 11 Carlo Maurizio Ruspoli di Poggio Suasa 11 Pietro Serini 11 Giorgio Solaroli di Briona 11 Ennio Tarantola 11 Mario Veronesi 11 Amedeo Benati 10 Fernando Malvezzi 10 Guido Nobili 10 Giulio Reiner 10 Giuseppe Roberto 10 Massimo Salvatore 10 Giulio Torresi 10 Emanuele Annoni 9 Giovanni Barcaro 9 Guiseppe Cenni 9 Guido Fibbia 9 Walter Omiccioli 9 Ferruccio Serafini 9 Natalino Stabile 9 Andrea Zotti 9 Giuseppe Biron 8 Giovanni Bonet 8 Ernesto Botto 8 Antonio Camaioni 8 Antonio Longhini 8 Orfeo Mazzitelli 8 Aroldo Soffritti 8 Raffaele Valenzano 8 Tito Valtancoli 8 Ranieri Piccolomini Clementini Adami 7 Bruno Biagini 7 Carlo Canella 7 Antonio Canfora 7 Vittorino Daffara 7 Fausto Filippi 7 Luigi Filippi 7 Dino Forlani 7 Ettore Foschini 7 Roberto Gaucci 7 Filippo Guarnaccia 7 Orlando Mandolini 7 Carlo Miani 7 Olizio Nioi 7 Giuseppe Oblach 7 Vincenzo Sant' Andrea 7 Angelo Savini 7 Enzo Lombardo Schiappacasse 7 Virgilio Vanzan 7 Osvaldo Bartolacchini 6 Osvaldo Bartolozzi 6 Livio Bassi 6 Pietro Bonfatti 6 Aldo Buvoli 6 Agostino Calentano 6 Cesare Di Bert 6 Armando Francois 6 Amedeo Guidi 6 Domenico Laiolo 6 Antonio Larsimont Pergameni 6 Felice Longhi 6 Giuseppe Manconcini 6 Mario Mecatti 6 Amleto Monterumici 6 Giuseppe Mottet 6 Furio Doglio Niclot 6 Luciano Perdoni 6 Alvaro Querci 6 Diego Rodoz 6 Giuseppe Ruzzin 6 Pier Giuseppe Scarpetta 6 Ricardo Emo Seidl 6 Alberto Spigaglia 6 Giorgio Tugnoli 6 Alberto Veronese 6 Paolo Arcangeletti 5 Guiseppe Aurili 5 Loris Baldi 5 Luigi Bandini 5 Giuseppe Baylon 5 Duilio Bernardi 5 Lucio Biagini 5 Manfredo Bianchi 5 Pietro Bianchi 5 Alessandro Bladelli 5 Egidio Buogo 5 Gilberto Caselli 5 Evasio Cavalli 5 Guglielmo Chiarini 5 Tullio Covre 5 Carlo Cucchi 5 Francesco Cuscuana 5 Rinaldo Damiani 5 Enrico Degli Incerto 5 Domenico Facchini 5 Giuseppe Farazzani 5 Giuliano Fissore 5 Fausto Fornaci 5 Iacopo Frigerio 5 Antonio Giardina 5 Eber Giudice 5 Giorgio Graffer 5 Mario Guerci 5 Luigi Iellici 5 Eugenio Leotta 5 Luigi Mariotti 5 Sergio Maurer 5 Mario Melis 5 Elio Miotto 5 Gianfranco Montagnani 5 Luigi Monti 5 Enrico Moretto 5 Raffaello Novelli 5 Dante Ocarso 5 Enzo Omiccioli 5 Antonio Palazzeschi 5 Francesco Pecchiari 5 Constantino Petrosellini 5 Mario Pinna 5 Mario Pluda 5 Giorgio Pocek 5 Aldo Remondino 5 Riccardo Roveda 5 Giovanni Sajeva 5 Carlo Segandi 5 Olindo Simionato 5 Vittorio Squarcia 5 Annibale Sterzi 5 Renato Talamini 5 Arrigo Tessari 5 Luigi Torchio 5 Celso Zemella 5 Nicola Zotti 5

BIBLIOGRAFIA

  • Chris Dunning, Courage Alone, The Italian Air Force 1940-1943, Hikoki Pubblications, Leicester (Great Britain), 1998.
  • Corrado Ricci - Christopher F. Shores, La Guerra Aerea in Africa Orientale 1940-41, Stato Maggiore Aeronautica, Ufficio Storico, Roma, 1979
  • Dimensione Cielo, Aerei Italiani nella Seconda Guerra Mondiale, Vol.1,2,3, Edizioni Bizzarri, Roma, 1974.
  • Nicola Malizia, Ali sulla steppa, La Regia Aeronautica nella campagna di Russia, Edizioni dell'Ateneo, Roma, 1987
  • B.H. Liddel Hart, Storia Militare della Seconda Guerra Mondiale, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1970
  • Ali Tricolori (Rivista Aerei nella Storia), West-Ward Edizioni, Parma, 2002.
  • Franco Pagliano, Aviatori Italiani, Mondadori, 1967

Questa pagina (per Storiologia e Cronologia)
è stata offerta da Franco Gianola
direttore di http://www.storiain.net


Un piccolo gioiello italiano : il M.C. 205, raggiungeva i 651 kmh.
Ma lo si costruì in ritardo. I primi esemplari furono consegnati a inizio estate 1943, a pochi giorni dal 25 luglio e 8 settembre.

 

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