EVOLUZIONE DELLA FAMIGLIA
DA IERI A OGGI

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DIVORZI  E DIVORZIATI 
NELL’ ITALIA 
CONTEMPORANEA

a fondo pagina ultimissime

 

Il 26 maggio 2015, il DIVORZIO BREVE é diventato legge.

Il 1965 segna un anno di svolta per la struttura interna della famiglia tipo dell’Europa occidentale: fino ad allora il legame coniugale che legava la moglie al marito sembravano essere eterni ed in grado di durare fino alla morte di uno dei due. 
A partire dalla metà degli anni ’60, invece, si assistette a due processi proseguiti fino ad oggi e che hanno segnato grandi cambiamenti all'intero delle mura domestiche, che segnarono una grave differenziazione della struttura interna delle famiglie: da un lato cominciò a diminuire il numero medio di figli per coppia, dall’altro cominciò ad aumentare il numero delle separazioni.
Secondo l’opinione di molti studiosi e di buona parte degli osservatori la famiglia italiana tradizionale appare essere stata quella che meglio è sopravvissuta a queste grandi trasformazioni.

Il processo di trasformazione della realtà matrimoniale sopra descritto ha avuto come conseguenza la creazione di matrimoni sempre più rari e tardivi, la diffusione di nuove forme di convivenza (famiglie di fatto, more uxorio, ecc.….) ed una drastica riduzione della natalità: la famiglia tradizionale coniugale ha perso importanza lasciando al centro della scena realtà famigliari sempre più peculiari e, per certi aspetti, più fragili.
Come per tutti i processi di trasformazione a con caratteristiche storiche e sociali ogni realtà geopolitica è stata influenzata da particolari caratteristiche locali, ma gli elementi comuni e determinanti di tali processi evolutivi sono riscontrabili in tutte quelle realtà influenzate dal processo da noi analizzato.


DIVORZI E DIVORZIATI: 
ANALISI DEL PROBLEMA E BREVI CONSIDERAZIONI


Nel mondo occidentale, a partire almeno dalla seconda metà degli anni ’60 la struttura tipo della famiglia coniugale ha subito una serie di importanti trasformazioni prima fra tutte un progressivo abbassamento della nuzialità accompagnato ad un aumento delle persone che vivono sole. 
Il numero dei figli che ha deciso di vivere soli uscendo di casa varia molto a seconda delle condizioni sociali ed economiche delle rispettive famiglie, anche se il trend di abbandono del tetto famigliare da parte dei giovani è aumentato molto a partire dagli anni ’70.

Il modello di vita di coppia ha visto una lenta trasformazione verso forme di convivenza more uxorio e coppie di fatto, realtà in cui due persone vivono sotto lo stesso tetto comportandosi come marito e moglie senza essere sposati e che, in alcuni casi e specialmente in Italia, formalmente conservano due diverse abitazioni anche se vivono stabilmente entrambe in una sola di queste.
La tradizionale forma di fidanzamento, in Italia, si è progressivamente trasformata in una scelta libera e consapevole a favore di forme di convivenza prematrimoniale per cui le nozze diventano solo la convalida e non più la stipulazione della vita di coppia.
Esistono sostanzialmente 2 motivi per cui si convive:

I. la legge impedisce di sposare il partner ( tutti coloro che si erano divisi prima della approvazione della legge sul divorzio del 1970);

II. motivi di principio che fanno temere influssi negativi dell’istituzione matrimonio sul rapporto di coppia. 

Studi recenti hanno dimostrato che i matrimonio che seguono a tali convivenze sono meno precari perché i coniugi sentono fra di loro meno solidi in quanto intrisi di una visione individualistica per cui gli interessi del singolo sono più forti di quelli della coppia.

Il numero dei divorzi è straordinariamente aumentato negli ultimi 20 anni e favorendo la diffusione di forme di convivenza generate da una sempre maggiore insicurezza nei confronti del matrimonio tradizionale.
La tradizionale dottrina protestante prevedeva il divorzio solo in casi eccezionali: l’adulterio da parte di uno dei coniugi. 
Si deve tenere presente che nel corso del tempo l’elenco delle colpe si è esteso ad altri “reati” quali abbandono, minacce e sevizie.
Negli ultimi 60 anni la dottrina è stata riformata per cui si è sostenuto che il matrimonio può essere interrotto quando ne sia stato sancito il fallimento, quindi entrambi i coniugi posso fare richiesta di divorzio.
La legge sul divorzio del 1970 prevede un processo a due livelli: prima si deve ottenere la separazione legale legata alla dottrina protestante precedentemente descritta e poi il divorzio vero e proprio.
Le principali differenze delle coppie divorziate italiane rispetto a quelle europee e legato al fatto che l’età media dei divorziati è di 48 anni (in Europa è molto minore) e che divorziano di più le coppie benestanti rispetto a quelle meno abbienti (in Europa è il contrario), ma si deve tenere conto che la legge che permette di divorziare è relativamente recente e che i costi di tale operazione sono abbastanza alti.

In tali processi un ruolo importante lo gioca il numero dei figli avuto dalla coppia durante il matrimonio. Gli studi hanno dimostrato che per tutti gli anni ’50 – ’60 i figli e gli affetti che essi provocavano erano un elemento di rallentamento al processo di separazione. I dati dei due decenni successivi, invece, hanno visto un ribaltamento di tali tendenze. 
In Italia, secondo le statistiche, esiste un rapporto di proporzionalità inversa tra il numero dei figli e la possibilità che le coppie divorzino, questo sia per motivi affettivi (soprattutto sul padre che, nella maggior parte dei casi, separandosi dalla moglie si separa anche dai figli), sia per motivi economici (se non altro nel caso della separazione legale). I figli concepiti prima del matrimonio, invece, rappresentano una fonte di grande instabilità per la stabilità della vita di coppia.

I figli nel secolo scorso venivano affidati solo ed esclusivamente al padre che doveva curarne l’educazione, poi, a partire dagli anni ’60, si cominciò a favorire la madre in virtù della dottrina della “tenera età”. 
Negli anni ’70 si sono diffuse due nuove forme di affidamento:


I. “affidamento coniugale” in cui entrambi i coniugi hanno responsabilità e potere eguale sui figli anche se questi vivono con uno solo di loro;

II. “affidamento alternato” quando i figli trascorrono un eguale periodo di tempo con il padre e con la madre.


Queste forme di affidamento sono risultate molto positive perché hanno aumentato il senso di responsabilità dei coniugi verso i figli e sono state inserite nella riforma della legge italiana sul divorzio del 1987-1988. 
Il processo che conduce allo scioglimento del matrimonio è lento e macchinoso e permette di fare alcune piccole considerazioni. 
Sono di solito le donne le prime a chiedere il divorzio per i seguenti motivi: tendenziale incapacità dei mariti di mantenere fede al patto matrimoniale, meno rischi economici (i mariti economicamente hanno alti costi dal divorzio) ed il fatto di essere in molti casi il soggetto debole della coppia.

In Italia, invece, si è visto che sono stati più spesso i mariti (soprattutto nel Meridione) a richiedere il divorzio e molto spesso ci si ferma alla fase della separazione consensuale perché richiede meno tempo, meno costi per entrambi e tutela maggiormente i diritti di entrambi (pensione di reversibilità per la donna, linea ereditaria in assenza di testamenti, ecc. …).

Le donne chiedono maggiormente il divorzio in quelle realtà geografiche e sociali in cui la loro subalternità culturale al marito ed in quelle in cui è minore il dislivello di istruzione tra i due coniugi.
Il fatto che il divorzio sia diffuso soprattutto nei paesi occidentali non lo collega affatto direttamente all’industrializzazione che è condizione necessaria, ma non sufficiente per la diffusione di tale pratica che, nei paesi non industrializzati, è ostacolata da tradizioni religiose e non religiose ben sedimentate nel tessuto culturale locale.
Nei paesi cattolici l’introduzione del divorzio è stata accompagnata da un processo culturale che ha portato all’individuazione del matrimonio non più solo come sacramento, ma come un contratto e che doveva seguire, dal punto di vista giuridico, la dottrina giuridica tipica dei contratti stipulati tra individui.

Si deve sottolineare che i matrimoni contratti in cui almeno uno dei due coniugi sia figlio di genitori divorziati sono più esposti al rischio di divorzi in quanto la mentalità e la cultura di tali coniugi è più individualista e meno refrattaria all’ipotesi del divorzio. 
Inoltre la religione e l’appartenenza o meno ad un gruppo religioso è un elemento sempre minore nei processi di divorzio.
Si deve anche sottolineare come il lavoro extradomestico delle donne abbia aumentato le fragilità dei legami matrimoniali.

Le donne sono i soggetti per cui il divorzio provoca un maggiore impoverimento ed un abbassamento dello standard di vita medio (discorso valido per i 2/3 delle divorziate) soprattutto quando erano estranee al mondo del lavoro. Discorso analogo vale per gli uomini solo per quanto riguarda il livello di impoverimento, ma, sempre per quanto riguarda lo standard di vita medio dei 2/3 dei divorziati, si assiste ad un notevole miglioramento.
La legge prevede che il coniuge a cui il figlio viene assegnato abbiano diritto a ricevere dall’altro coniuge degli assegni per il mantenimento dei figli che, spesso e soprattutto in Italia, stati Uniti e Gran Bretagna, però sono insufficienti poiché non tengono conto dei mutamenti di esigenze dovute alla crescita dei bambini. 
Sono molti i casi in cui la moglie rinuncia a tale beneficio poiché del marito si sono perse le tracce oppure perché le condizioni economiche di questi sono molto precarie.

Si deve sottolineare che in caso di seconde nozze da parte di uno dei genitori il legame affettivo che questo ha con il figlio va velocemente scemando col passare del tempo.
A volte i tribunali prevedono che i mariti versino un assegno all’ex moglie per il suo mantenimento, ma anche tale forma di aiuto risulta essere molto spesso, come avviene per l’assegno destinato ai figli, molto modesto e del tutto insufficiente.
In molti paesi la magistratura ed i tribunali hanno adottato misure sempre di più svantaggiose per le donne in quanto forme di mantenimento da parte dei mariti sono previste solo quando le donne sono estranee al mondo del lavoro.

Negli anni ’70, soprattutto negli USA, è aumentato il potere di contrattazione dei padri ai quali sempre più vengono affidato i figli e che propongono alle mogli uno scambio del tipo “non ti do alimenti – ti tieni i figli” che le donne sono costrette ad accettare poiché temono di perdere i figli.
Le donne italiane sono quelle più svantaggiate e più danneggiate dal divorzio: spesso gli assegni non vengono concessi e, quando ne hanno diritto, sono molto esigui.
Al momento della divisione patrimoniale un ruolo molto importante è rappresentato da quello che il giurista statunitense Charles Reich definì “patrimonio indivisibile”, ossia tutto il know how” della coppia, ossia i titoli di studio, le capacità professionali e le referenze da cui spesso traggono vantaggio soprattutto gli uomini.
Questo è uno degli altri elementi che fanno definire la donna come il soggetto danneggiato dal divorzio anche se alcune legislazioni recenti tengono conto dei diritti della donna al momento della sentenza del divorzio.
Ad esempio si è soliti inserire la pensione del marito come una delle voci da conteggiare nella divisione patrimoniale, oppure si rimborsano quelle donne che, nei primi anni di matrimonio, lavoravano mentre il marito studiava conseguendo un titolo di studio che poi gli ha permesso una buona carriera.

In Italia l’assegno di mantenimento tiene conto di tre aspetti:

I. RISARCITORIO, ossia il coniuge che dichiara di essere stato responsabile del fallimento del matrimonio;

II. ASSISTENZIALE, aiuto al coniuge più in difficoltà;

III. COMPENSATIVO, si tiene conto del contributo della moglie per la formazione del patrimonio famigliare.


I giudici italiani hanno sempre basato le proprie sentenze soprattutto sui criteri assistenziali.
Una delle caratteristiche dei divorziati consiste, in numerosi casi, nel risposarsi e nel ricostituire un propria autonomo nucleo famigliare (“famiglie ricostituite”) in cui l’età media dei componenti varia a seconda dell’età in cui è avvenuto il divorzio; in Italia è molto alta (e ciò svantaggia le donne) poiché l’iter di separazione-divorzio è molto lungo. 

Il giudizio della società nei confronti di chi divorzia cambia a seconda del sesso (uomo o donna), della realtà geografica in cui avviene, del ceto sociale, del livello culturale e delle condizioni economiche dei soggetti interessati.
In Italia la percentuale di donne che si risposa è superiore tra le persone più istruite e di ceto medio-alto, invece nel resto d’Europa sono le donne meno abbienti a risposarsi di più perché bisognose di aiuto economico.
Nelle famiglie ricostruite si hanno situazioni di tensione legate ai figli avuti in prime nozze e momenti di ambiguità nei rapporti coniugali anche a causa di una forte insicurezza sia interna alla coppia, sia nei confronti della società in cui si è inseriti.
Seri problemi si hanno quando da queste nozze nascono dei nuovi figli che vanno ad affiancarsi a quelli nati dalle prime nozze.
Le famiglie ricostruite sono generalmente più fragili di quelle frutto di prime nozze essenzialmente per i tre seguenti motivi:



I. personalità difficile e contorta dei coniugi che hanno attraversato l’esperienza di un divorzio;

II. chi ha già divorziato una volta e meno disposto ad accettare un’unione infelice e, quindi, più propenso ad interromperla in caso di problemi;

III. il secondo matrimonio è meno istituzionalizzato anche dal punto di vista della legislazione. Ad esempio i figli di prime nozze del coniuge non diventano parenti, ma semplicemente affini al nuovo coniuge che non ha su di loro nessuna potestà e nessun obbligo di mantenerli. In Italia si è soliti, in alcuni casi, adottare i figli di prime nozze del coniuge, negli USA chiunque sposi delle persone che hanno dei figli di primo letto è tenuto a contribuire al loro mantenimento, in Gran Bretagna è previsto l’affidamento dei figli di primo letto del coniuge in modo da mantenere un legame con il padre naturale, ma anche di crearne uno con il nuovo genitore sociale.

 

Numerosi sociologi e studiosi dell’800 hanno sostenuto che la famiglia coniugale era portatrice dei seguenti numerosi effetti benefici frutto di molte e grandi virtù:


I. SUICIDI, sono maggiori i casi di suicidio tra i non sposati di quelli che avvengono tra persone che si sono unite in matrimonio anche perché le prime sentono di avere meno vincoli e meno legami con la vita rispetto alle seconde. In maniera per noi più sensata si potrebbe utilizzare la vecchia, ma ancora valida Tesi di Durkheim secondo cui sono i soggetti con minori vincoli sociali ad essere maggiormente esposti al rischio del suicidio. Con l’indebolimento del vincolo matrimoniale (XX secolo) tale affermazione ha perso una parte della propria validità;

II. MALATTIE, secondo le statistiche divorziati e vedovi si ammalano più frequentemente;

III. BENESSERE PSICOLOGICO, il benessere psicologico dei coniugati è maggiore rispetto a quello di divorziati, vedovi e single.


Esiste una forte connessione tra stato civile e mortalità che sopravvive nonostante tutti i cambiamenti che hanno interessato la famiglia e che fa vedere una più alta mortalità tra i singoli rispetto ai coniugati. I non coniugati, forse sentendo meno vincoli con la vita, sono più propense ad avere una vita avventurosa che può anche concludersi in maniera più o meno tragica. 

Tutto quanto affermato in precedenza è stato, in maniera completa o parziale, verificato da ricerche empiriche che, tra l’altro, hanno portato la sociologa americana J. Bernard ad affermare che è il marito ad avere maggiori benefici dal rapporto di coppia, mentre la moglie è vittima di un’azione negativa e dannosa.

La vita media di una donna è più lunga di quella di un uomo e ciò e frutto di una maggiore sensibilità delle donne verso le malattie e di una maggiore informazione relativamente alle medesime che fa si che le donne abbiano una maggiore cultura della prevenzione.
Il matrimonio, in un certo senso, svolge un’azione di bilanciamento di queste tendenze poiché crea una rete di protezione sociale e sanitaria nei confronti del coniuge di sesso maschile, ma, in alcuni casi, si ha una tendenza inversa, ossia di impoverimento e di diminuzione della condizione di sicurezza sociale e sanitaria delle donne che devono fare maggiori rinunce, ma si deve sottolineare la maggiore capacità delle donne di crearsi, sposate o single, una propria autonoma rete di relazioni parentali , affettive e sociali.
In generale, però, si può affermare che le persone sposate, siano esse uomini o donne a questo punto poco importa, vivono meglio e più a lungo perché ricevono dal coniuge un forte e vari sostegno nei momenti di difficoltà. 


Come si è detto esistono diverse forme di sostegno

a) sostegno materiale (economico);

b) sostegno diffuso (la compagnia distoglie dalle preoccupazioni);

c) sostegno cognitivo (conoscenza e cultura per superare i 
momenti difficili);

d) sostegno emotivo (affetto reciproco);

e) sostegno morale (vicinanza fisica e morale nei momenti di difficoltà). 


In Italia l’approvazione recente e tardiva di una legge di regolamentazione del divorzio ha comportato un’esplosione più rapida e più fragorosa del problema spesso collegata a problemi gravi e laceranti. 
Fin da quel lontano 1974 si combatterono la visione edonista e superficiale del problema che portarono il compianto senatore Amintore Fanfani, uomo moralmente ed intellettualmente onesto, a volere l’abolizione della legge del 1970, oltre che in un’ottica religiosa rispettabile e rispettata, anche in nome di una concezione sbagliata che vedeva nel divorzio un evento “leggero” di liberazione di uno dei coniugi: molto più spesso con il divorzio si assiste a situazioni difficile e di lacerazione in cui le leggi dello stato dovrebbero intervenire per tutelare tutti i soggetti, soprattutto quelli più deboli come ad esempio i figli ed il coniuge più svantaggiato ad esempio inserendo nuovi elementi, non solo economici, ma anche etici e morali, nel “patrimonio famigliare” che i divorziandi si spartiscono nel momento del divorzio e nel dividere le strade che conducono alla separazione legale ed al divorzio in modo che si possa arrivare al secondo anche senza passare per la prima, accorciando così i tempi del divorzio con un risparmio economico e di sofferenze per tutti gli attori coinvolte in questi eventi. 

di LUCA MOLINARI

BIBLIOGRAFIA
M. Barbagli, Sotto lo stesso tetto, il Mulino, Bologna 1984
P. Macry, Ottocento. Famiglie, elites e patrimoni a Napoli, Einaudi Paperbacks, Torino 1988
E. Hinrichs, Alle origini dell’età moderna, Laterza, Roma-Bari 1984
H. Kamen, La Società Europea 1500-1700, Laterza, Bari 1987
M. Barbagli, Provando e riprovando, il Mulino/Contemporanea 35, Bologna 1990
UNA DATA STORICA IN ITALIA
11 MAGGIO 1974 - REFERENDUM DIVORZIO

Il clima fu davvero storico. Gli appelli negli ultimi comizi trasformano questo appuntamento in un evento di portata epocale per tanti motivi; politici e religiosi. Potrebbe sancire il voto la prosecuzione o il tramonto della cultura cattolica ufficiale che ha dominato l'Italia per quarant'anni. Scrive Silvio Lanaro, in Storia dell'Italia Repubblicana, Marsilio editore: " Non delle "culture" cattoliche, che nella circostanza si sono coraggiosamente divise, nè tanto meno dell'adesione di una fede e a una speranza cristiana di salvezza, bensì dell'ambizione di identificare una dottrina morale con la morale "naturale" e della pretesa di annettere un'intera società a un'unica visione del mondo e a un solo modo di impostare la vita privata, i rapporti sessuali, i legami di paternità e di maternità."

 Tanta folla agli ultimi comizi nelle piazze d'Italia. Questa volta seguiti da milioni di donne, normalmente assenti alle solite dispute politiche ideologiche, spesso astruse. Questa volta c'è di mezzo la loro "vita di donna", e nessuno meglio di loro sente il diritto di impostare la propria vita privata meglio di qualsiasi teorico maschio, sociologo, politologo, teologo. Anzi la "donna anno 1974" non agisce nemmeno in un modo individuale, è scattata una solidarietà straordinaria, quella "naturale", che non conosce ceto, età anagrafica, ideologie politiche, divisioni religiose. Se un oculato osservatore avesse posato gli occhi sulla folla dei comizi, dove si parlava di Si e di No, avrebbe potuto capire al volo chi avrebbe vinto. La partecipazione massiccia voleva dire una cosa sola, che la donna seguiva il dibattito, e già solo il fatto di seguirlo significava che una scelta era stata fatta, e non poteva essere che una sola: la sua autonomia. Insomma non voleva che a decidere fossero gli uomini.

Ma nessuno riuscì fra i politici ad auscultare il cuore della propria donna  e nemmeno vedere la popolazione italiana femminile com'era veramente fatta, che a poche ore dal grande appuntamento era già la vera e unica "protagonista".

I comunisti non avevano dato loro importanza, mentre i cattolici erano convinti che la maggioranza della popolazione femminile era ancora sotto la "sottomissione" dell'educazione cattolica, timorosa di Dio e... del peccato, patito, spesso inconsapevolmente. Come conoscevano poco le donne! Le proprie madri, figlie, sorelle, nonne e bisnonne. Non conoscevano esseri umani che alcuni "inferni" familiari li avevano già provati "in terra", cioè dentro le "quattro mura", o sentiti raccontare con tanta amarezza, a quattr'occhi, dall'amica, sorella, figlia, collega di lavoro, conoscente; da duemila anni senza interruzioni.
Gli uomini una volta sposati non parlano più con gli amici e nemmeno con i parenti delle vicende sentimentali di casa (buone o cattive), le donne invece parlano solo di questo con le amiche, si confidano, cercano sostegno, spesso aiuto.

Questi non erano argomenti con dei limiti temporali e individuali, ma erano rimasti sempre argomenti scottanti e attualissimi nel tempo, passando da madre a figlia, da nonna a nipote.
Era una consapevolezza passivamente sempre subita e con tanta amarezza raccontata. 
Non era questo "evento del divorzio", figlio del consumismo o della libertà moderna, ma era un problema secolare e universale e faceva parte dell'"altra metà del cielo", apparteneva al mondo cosmologico femminile, dove la sopraffazione non era mai cessata di esistere, al di là del tempo e dello spazio.
Di tempo perché la prepotenza (il "dovere" di moglie) seguitava ad essere riproposta con ogni ideologia, regime, governo, e potere costantemente maschilista.
Di spazio, perché non era fisico ma interiore, e non per motivi genetici ma educativi, di bigotta educazione ignorando di concedere la libertà non a un qualsiasi animale "domestico", ma a una metà del genere umano, che ipocritamente poi l'uomo chiamava "compagna", la "dolce metà", ma in entrambi i casi "la mia", cioè il "possesso" di una "cosa".
Ma ascoltiamo gli ultimi comizi alla vigilia del voto referendario:
La MALFA "Con uno sforzo supremo l'Italia può superare le sue difficoltà, può uscire dalla crisi, può rientrare a pieno titolo nella comunità europea, ma se la battaglia sul divorzio fosse perduta, nessuno potrebbe impedire di concludere al mondo e a noi stessi, che l'Italia rimane l'eterno Paese della Controriforma, del sillabo di Pio IX, l'Italia pecora nera fra le stesse nazioni cattoliche".
 MALAGODI: "Lo Stato italiano deve mantenersi integro e autonomo, libero da ogni integralismo e totalitarismo, deve riaffermare il principio di Cavour, Stato e Chiesa sono indipendenti e sovrani ciascuno nel suo ordine".
NENNI: "L'Italia ha un solo torto, di essere in ritardo di due secoli rispetto alla Rivoluzione francese, e di poco meno di un secolo rispetto alla moderna legislazione divorzista di tutte le nazioni europee. Il Sì e il No non è solo divorzio, è il Sì e il No al tentativo di colpire l'autonomia dello Stato nei confronti della Chiesa ed al suo diritto di intervento in ogni materia civile, divorzio compreso".

 PARRI: "Deploro fortemente che un'ostinata volontà democristiana di scontro abbia mascherato e turbato col referendum e le severe prospettive del momento economico e socialmente più critico del 1974 creando un urto pretestuoso in nome di una usurpata rappresentanza del mondo cattolico".

Non mancano naturalmente gli appelli contrari dove FANFANI appena ritornato alla segreteria DC, si trasforma nel più accanito crociato per l'abolizione della legge 898. Per prendere consensi anche dai laici, furbescamente il battagliero uomo politico (forse è stato richiamato solo per questo) imposta tutta la sua campagna agitandosi e correndo dalle Alpi alla Sicilia. Un impegno irruente. Ma rarissimamente toccando i tasti religiosi. Mette in risalto invece tutti i pericoli sociali e culturali della rottura del matrimonio; paventa il libero amore come una depravazione della società civile, con le apocalittiche conseguenze sulla crisi della famiglia, con padri, madri e figli in preda a varie turbe psichiche. Paventa la violenza, l'immoralità, la fine dell'amore, la perdita dei valori nella famiglia, nella società, nel costume. Per spronarli nella battaglia non nasconde ai suoi amici colleghi, il timore della sopravvivenza della stessa DC se il Sì passa.

Sempre furbescamente tocca il lato economico venale (non esiste ancora il diritto di famiglia e la divisione dei beni - entrerà in vigore il 22 aprile del 1975). "I beni comuni della famiglia - illustra con dettagli Fanfani - "diventeranno preda di fameliche concupiscenti e venali concubine. Le mogli con la "tragedia divorzio" hanno davanti una sola prospettiva: lo spettro di un'angosciante solitudine, avvolta nella miseria più nera".
E' tuttavia vero che Fanfani si sbracciò contro il divorzio girando l'Italia intera. Tuttavia lo fece decisamente controvoglia, solo perchè glielo imposero le autorità ecclesiastiche, ma in cuor suo sapeva già che la battaglia sarebbe andata perduta e col convincimento, in cuor suo, che quella legge non fosse neanche tanto sbagliata. In questo senso vedere le dichiarazioni della Sig Maria Pia Fanfani, il giorno della morte del marito".

 I COMUNISTI non si sono sottratti ai comizi, ma li hanno fatti da soli. Senza tanta enfasi. Non per nulla hanno sempre ritardato quest'appuntamento referendario (4 anni) per non scatenare una guerra di religione, e nutrono anche ora, alla vigilia, un vero e proprio tetro pessimismo. Anche loro sono convinti e pensano come i cattolici, che le donne sono timorate, che il vecchio sanfedismo delle antiche  casupole contadine vive ancora dentro i "nuovi tinelli" dei condomini. Quando invece bastava andare dentro una parrucchiera in questi tempi, e il polso delle donne delle tre età lo si poteva tastare benissimo. I sociologi e gli psicologi si sono persi il meglio e i teologi le vere "confessioni" delle loro fedeli.

 All'ultimo comizio comunista, in Piazza San Giovanni a Roma, questo pessimismo era palese, di molto superiore a quello di Piazza del Popolo nella stessa sera, dove si sono avvicendati i non comunisti o dichiaratamente anticomunisti: LA MALFA, MALAGODI, PARRI, NENNI, SARAGAT con gli appelli che abbiamo letto sopra. Questi ultimi accennavano all'avvenimento storico che c'era in gioco, anche se la vera portata storica si avvertiva molto di più a Piazza San Giovanni, i "silenzi" dei comunisti rimbombavano di più in questa piazza.

  12 -13 MAGGIO - REFERENDUM DIVORZIO - Finalmente si è arrivati alla fatidica data e al responso. Fra lo stupore generale il 59,3% degli italiani, in modo geograficamente abbastanza uniforme, ha risposto "NO" all'abrogazione della 898, che la legge garantisce.

Il laconico comunicato di Avvenire il giorno dopo, traspirava di amarezza e di sconfitta: "Anche se milioni di italiani hanno votato contro il "divorzio" hanno prevalso i "No". Dobbiamo prendere coscienza che si é dinanzi a un mutamento di costume e di cultura". (quell'"anche" stona !!!)

I divorzisti, a Piazza Navona, con BASLINI e FORTUNA (sono loro i due padri putativi della legge) e con l'onnipresente PANNELLA, esultano, così tutti i partiti divorzisti, con NENNI spietato: "Hanno voluto contarsi, hanno perduto! Questa è la sorte comune dei Comitati Civici. Questa è la sorte della Chiesa. Questa è politicamente la sorte della DC".

La DC! La ferita è enorme, perché i No sono geograficamente abbastanza distribuiti in modo uniforme su tutta la penisola. E  non è assente la beffa, visto che si registrano imprevedibili risultati anche nelle regioni ad alta concentrazione di voti democristiani, come nella "balena bianca" del trio PI-RU-BI: il Veneto. In alcune città e paesi con - da decenni- uno stabile e consolidato serbatoio DC pari al 75%, hanno risposto con il Sì al divorzio il 70%. (anche se il totale Veneto fu del 48,9).
Altra sorpresa fu il profondo Sud, con una media quasi simile (dal 47 al 55 %)..


Ma ecco i risultati: 37.646.322 i diritti al voto.
Votanti 33.023.179 (87,7%). 
No all'abrogazione della legge 898, 19.092.929 (59,1%) 
mentre sono a favore della legge 13.188.184 (40,9%).


Nelle singole regioni: Valle d'Aosta 75,1%, Piemonte 70,8, Liguria 72,6, Lombardia 59,9, TN A.A. 49,4, Veneto 48,9, Friuli V.G. 63,8, Emilia R. 71, Toscana 69,6, Marche 57,6, Umbria 67,4, Lazio 63,4, Molise 40, Abruzzi 51,1, Campania 47,8, Puglia 47,4, Basilicata 46,4, Calabria 49,1, Sicilia 50,6, Sardegna 55,2. (f. Istat). Media totale 59,3%.

Ma al referendum per la legge n. 194 sull'aborto, andrà ancora peggio per la DC. La percentuale a favore toccherà addirittura il 67,9%. Con il Veneto che tocca il 56,6%, e tutto il Sud con una media uniforme del 65%. L'Italia non era solo un Paese cambiato, ma era un altro Paese.

Si sono liquidati istituti feudali e anacronistici che consentono ora ai cittadini italiani di utilizzare quelli giuridici che tutto il mondo possiede da tempo. Per i milioni di fuori legge del matrimonio che hanno vissuto questi quattro anni con ansia e preoccupazione, la battaglia è vinta: le famiglie, di fatto rientrano nella legalità repubblicana. E vi è qualcosa di più grande dell'approvazione di questa legge, ed è il modo come essa si è conclusa.

All'introduzione della legge un giornale estero ha scritto: 
"L'Italia é finalmente entrata nel secolo XX".

E' la nuova laicità di massa che ha vinto, disposta a convalidare un costume instauratosi quasi inavvertitamente dentro l'accelerazione della mobilità sociale. La motorizzazione ha enormemente contribuito a questa mobilità, le aggregazioni si sono moltiplicate con la cultura di massa, col tempo libero, con gli sport, le vacanze, coinvolgendo sempre di più la donna, che ora si muove liberamente, più spavalda, più sicura, più determinata in ogni settore.
Inizia questa disinvoltura già dalla scuola e continua nei posti di lavoro, dove oltre che avere tantissimi rapporti interpersonali apprendono (prima questo non avveniva) tutte quelle complicazioni e quelle ambiguità che esistono negli ambienti familiari, spesso accettate e sopportate per convenzione e non per scelta. Condizionate da paure conservatrici e dai maestri della mistica della Vita che predicano la rassegnazione, ignorando del tutto il razionalismo della Vitalità dentro una società che vorrebbe diventare migliore;  che però  non è capace da sola di elaborare nuovi modelli, nuovi valori, autonomie, perché gli "operatori spirituali" seguitano a interessarsi del particolare ignorando il generale, si soffermano inclementi sulle apparenze di un vestito e hanno perso il contatto con l'anima che c'è dentro quel vestito. Spesso in pena e tenendosi dentro tutto il vuoto che avverte; ma a chi chiedere aiuto? 

Tutti i perdenti, dimostrano in questi anni di essere stati dei mediocri psicologi, degli incompetenti dello spirito, degli insensibili ai sentimenti e alle passioni umane e che non conoscono nè le une nè le altre.
Come neppure conoscono gli entusiasmi della Vita che non è affatto nata per la rassegnazione, né vuole l'esistenza grigia e piena di rinunce predicata dai "maestri spirituali", gli stessi che hanno rinunciato a vivere una esistenza con una donna  e nonostante questo vogliono insegnare agli altri come viverla; perfino alle donne di cui conoscono solo l'abito ma non la "natura".
I religiosi erano ancora fermi a quel famoso "Trattato dell'Educazione" dove si diceva....
""L'istruzione scolastica l'approvo per li giovini nobili destinati a famiglie cospicue, ma quanto a quelle di umile e povero stato, il buon padre di famiglia si contenti che sappiam leggere li figlioli "la vita de' Santi", e nel rimanente attendano a lavorar li campi. In quanto poi l'istruzione estesa perfino alle femmine io non l'approvo, ne so vedere quale utilità ne possa derivare alla società. Che insegnino li madri alle figliuole a filare, a cucire e ad occuparsi di esercizi donneschi. In quanto a leggere, al massimo insegnino loro quanto basta per leggere i libri delle preci"
"Trattato dell'educazione politica sociale e cristiana dei figliuoli"
. 3 volumi di Silvio Antoniano- - Libro Terzo, pag 264, Milano, MDCCCXXI - E non eravamo nel Medioevo ma nell'anno 1821 !!!"
E i politici in questa competizione del '74 erano pure essi ancora fermi a quel retrivo prete.

"... bisogna insegnare solo leggere e scrivere, bisogna istruire il popolo quanto basta, insegnare la storia con una sana impostazione nazionalistica, e ridurre tutte le scienze sotto una.........unica materia di "nozioni varie", senza nessuna precisa indicazione programmatica o di testi, lasciando spazio all'iniziativa del maestro e rivalutando il più nobile e antico insegnamento, quello dell'educazione domestica; e mettere da parte infine l'antidogmatismo, l'educazione al dubbio e alla critica, insomma far solo leggere e scrivere. Non devono pensare, altrimenti sono guai!"
( così si esprimeva nel suo preambolo, il Ministro della P.I. BACCELLI nel 1894 nel fare il programma della "sua" nuova "Riforma della Scuola").
Del resto sappiamo che il voto alle donne è stato dato in Italia solo nel 1946.
E per la Costituzione Italiana, alla Costituente vi erano solo 20 donne su 556 uomini.

NON OCCORRONO ALTRI COMMENTI !!!

ANCHE PERCHE' IL PROBLEMA E' ANCORA ATTUALE.

________________________________
140 ANNI DI
NASCITE - MATRIMONI - DIVORZI - ABORTI
(dal Libro-Agenda "FINO AL 2001 E ....RITORNO" di Francomputer- Copyright - deposito SIAE)
 

Anno

Popolaz. It.

Nati x 1000

Nascite media anno

Aborti media anno

Matrimoni

Separazioni- Divorzi

1861

22.300.000

36,6

946.000

non rilevati

189.000

(?) 3.000 circa

1871

27.300.000

36,9

1.010.000

non rilevati

209.000

(?) 3.000 circa

1881

28.900.000

37,8

1.106.000

non rilevati

231.000

(?) 3.000 circa

1891

29.100.000

35,0

1.098.000.

non rilevati

228.000

(?) 3.000 circa

1900

32.900.000

32,7

1.089.000

non rilevati

255.000

(?) 3.000 circa

1910

35.800.000

27,2

971.000

non rilevati

237.000

(?) 3.000 circa

1920

38.400.000

28.2

1.097.000

non rilevati

317.000

(?) 3.000 circa

1930

41.600.000

24,9

1.026.000

non rilevati

276.000

(?) 3.600 circa

1940

47.000.000.

20,9

937.000

non rilevati

273.000

(?) 3.800 circa

1950

49.000.000

18,5

860.000

non rilevati

328.000

(?) 4.500 circa

1960

52.300.000

17,7

929.000

non rilevati

397.000

(?) 4.800 circa

1970

55.300.000

16,3

906.000

non rilevati

385.000

(?) 5.600 circa

1971-77

55.400.000

14,8

816.000

non rilevati

404.000

19.000

1978-80

55.800.000

11,0

644.000

203.000 (2)

305.000 (0)

26.000

1981

56.100.000

11,0

623.000

224.000

306.000

43.500

1982

56.600.000

10,9

618.000

234.000

307.000

45.400

1983

56.700.000

10,3

600.000

231.000

303.000

43.900

1984

56.750.000

10,2

587.000

227.000

302.000

49.300

1985

56.800.000

10,6

575.000

210.000

299.000

49.500

1986

56.800.000

10,4

561.000

197.000

310.000

52.400

1987

56.800.000

10,3

560.000

191.000

315.000

49.000

1988

56.900.000

10,1

577.000

179.000

311.000

50.000

1989

56.900.000

10,1

557.000

171.000

312.000

50.000

1990

56.950.000

9,6

580.000

165.000

310.000

50.000

1991

57.980.000

9,5

559.000

160.000

309.000

50.000

1992

57.000.000

9,4

575.000

155.000 (3)

303.000

50.000

1993

57.000.000

9,3

547.000

140.000

307.000

50.000

1994

57.100.000

9,1

488.000

131.000

299.000

50.000

1995

57.200.000

8,8

488.000

130.000

266.000

52.000 - 27.000 (1)

1996

57.300.000

9,9

526.000

130.000

272.000

57.000-32.000

1997
57.550.000
10,5
540.000
131.000
270.000
60.000-33.000.
1998
57.613.000
10,6
532.000
130.000
276.000
62.000-33.000
1999
57.979.000
10,7
537.000
130.000
278.000
64.000-34.000
2000
57.844.000
10,6
543.000
132.000
277.000
71.000.37.000
2001
56.300.000
10,5
529.000
135.000
270.000
75.000-40.000
2002
 57.000.000
10,4
530.400
135.000
265.000
79.000-41.000
2003
58.000.000 
 10.9
531.200
134.000
264.000
81.000-43.000
2004
58.462.375
 10,5
553.000
135.000
247.000
88.000-45.000
2005
58.500.000
10,5
563.000
134.000
245.000
82.000-47.000
2006
58.700.000
10,6
560.000
133.000
245.000
80.000-49.000
2007
59.130.000
10,4
563.000
131.000
250.000
81.000-50.000
2008
59.620.000
10,3
576.000
130.000
246.000
84.000-54.000
2009
60.045.000
10,5
569.000
130.000 (4)
230.000 (0)
86.000-54.000
(0) Sono compresi i matrimoni civili e religiosi.
Matrimoni nel 2011. In Italia ci si sposa sempre meno e si preferisce sempre più il rito civile a quello religioso. - Secondo i dati dell'annuario dell'Istat: Il matrimonio religioso resta la scelta più diffusa (60,2%) ma nelle regioni del Nord quello civile nel 2011 ha fatto il sorpasso e prevale con il 51,7% rispetto al 48,3% di quello celebrato in chiesa.
Sono sempre di più le coppie che decidono di sposarsi davanti all'ufficiale di stato civile, da 79 mila nel 2010 a 83 mila nel 2011. E' soprattutto nelle regioni meridionali a prevalere un modello di tipo tradizionale, dove la percentuale dei matrimoni celebrati con rito religioso è del 76,3%, contro il 48,3% del Nord e il 50,1% del Centro.
(1) Il 1° Dicembre 1970 viene approvata definitivamente la Legge del Divorzio (confermata poi con il referendum del 1974). Le altre cifre citate negli anni precedenti si riferiscono ad annullamenti della Sacra Rota o a scioglimenti per morte presunta.
Mentre le cifre degli ultimi 18 anni (dal 1978 al 1995) sono in difetto perché per varie ragioni (compromessi vari fra coniugi - per alti costi - non punibilità dell'adulterio ecc.), alle separazioni e ai divorzi legali si sono diffuse le separazioni di fatto.

ma attenzione:
La separazione di fatto non produce alcun effetto sul piano giuridico, né è sufficiente a far decorrere il termine di tre anni per addivenire al divorzio.
Inoltre, sebbene la separazione di fatto non sia sanzionata da alcun provvedimento dell'autorità giudiziaria, l'allontanamento di uno dei due coniugi dall'abitazione familiare o peggio, l'instaurazione di relazioni extra-coniugali di uno dei due potrebbero essere motivo di addebito della separazione nel caso di una vera e propria richiesta di separazione giudiziale. Infatti su entrambi esiste sempre (e potrebbe far comodo a uno dei due, mettendosi dalla parte della ragione) la minaccia di una denuncia di adulterio (abbandono del tetto comiugale) con tutte le conseguenze patrimoniali, tutela dei figli ecc. ecc.

Unico vantaggio sulla separazione di fatto - di due che si erano un giorno amati - è solo quella di una vita serena senza che alberghino sotto lo stesso tetto insofferenze, sgarbi di ogni genere e tanti rancori.
In Italia, le coppie di coniugi che chiedono al tribunale la separazione legale sono tra nove e diecimila ogni anno, ma quelle che si separano di fatto, per conto proprio e senza l’intervento di magistrati, sono circa quarantamila. Il primo dato è controllabile, il secondo è fatto a stima: gli ottimisti dicono circa trentamila, i pessimisti affermano circa cinquantamila l'anno. Dovrebbero esserci in totale circa 2 milioni di coniugi separati legalmente e di fatto. (escludendo le coppie unite di fatto senza essersi mai sposati, le "more uxorio" - che vedremo più avanti).

Statisticamente la percentuale dei casi di separazione giudiziale promossi dalle donne al Tribunale si calcola intorno al 70%, ma anche le numerose separazioni consensuali in realtà scaturiscono dalla volontà della donna nella stessa percentuale.
Di contro gli uomini, quasi mai sono gli artefici della domanda giudiziale di separazione, ne promuovono meno ma solo perché sono più preoccupati delle conseguenze personali e patrimoniali. Una causa di questo genere dura anni, e può costare cifre iperboliche. Ma spesso la colpa é solo maschile, perché non dimentichiamo che statisticamente quasi il 90% delle relazioni extra coniugali vengono iniziate proprio dagli uomini, anche se spesso a carattere fisico più che sentimentale. Mentre quest'ultimo per la donna - quando è lei ad avere una relazione - e importante se non di più rispetto il rapporto fisico.

La donna spesso non è affatto interessata, salvo rare eccezioni, ad un rapporto fisico con un soggetto nei cui confronti non provi preventivamente una qualche forma di affetto.
Prova ne sia che se si sente pienamente appagata sentimentalmente e fisicamente dal rapporto stabile con l'uomo che ha sposato, che con lei ha delle affinità, e dal quale si senta protetta, curata e ne ha stima, non è per nulla interessata alla ricerca di rapporti fisici con altri partner.

vedi Report Separazioni e Divorzi in Italia - ISTAT
http://www3.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20110707_00/testointegrale20110707.pdf

I "MORE UXORIO"

Ai numeri che abbiamo visto sopra, bisogna aggiungere il numero di convivenze "more uxorio" (convivenza), quelle che fin dall'inizio del loro rapporto hanno scelto di vivere insieme senza essere sposati. In Italia il numero è quasi raddoppiato tra il 2007 e il 2011, quando secondo l'Istat, a vivere sotto lo stesso tetto erano 972.000 coppie (4 anni prima erano 500.000).
Una crescita che si accompagna al progressivo calo dei matrimoni che abbiamo visto sopra.
Queste scelte possono essere anche ideali fino a che c'è la passione, la giovinezza, la salute, ma il risveglio dall'idillio può essere per molti uno shock.

Anche se recentemente la Corte di cassazione ha riconosciuto al convivente more uxorio una tutela possessoria sull'abitazione dove si svolge questa vita familiare comune. Il convivente, infatti, non può essere estromesso dalla casa familiare del partner (anche se questi é proprietario dell'immobile) senza un congruo termine di preavviso (Cassazione civile n. 7214 del 21.03.2013).

Queste 972.000 coppie che vivono come marito e moglie, magari anche con figli, sotto un unico tetto, sfidano il clamoroso deficit (assenza) di diritti che hanno le coppie "more uxorio", tra i quali alcuni fondamentali e importanti come l'assistenza sanitaria.

Peggio ancora: in caso di morte di uno dei due, l'altro non ha diritto alla pensione di reversibilità, non ha diritti successori, non ha diritto di abitazione sulla casa comune, (cioè se abita nella casa di proprietà del defunto/a, può essere buttato/a fuori anche da un lontanissimo parente che ne vanta i diritti) e in caso di malattia del convivente non può dare disposizioni sulle terapie. Non solo ma potrebbe - in caso di malattia, lui o lei - anche essergli negato il diritto di assistenza sanitaria.

 

Su quest'ultimo aspetto, non meno importante di quello patrimoniale, molti consigliano di designarsi a vicenda come "amministratori di sostegno" in vista di "futura incapacità", al fine di tutelarsi reciprocamente, scongiurando l'intromissione di vicini o lontani parenti.

Essendoci un vuoto giuridico, per farlo - e non è mai troppo tardi - si può regolare il patto stipulandolo davanti a un notaio. La spesa non è eccessiva. Si va dai 300 euro per la designazione di "amministratore di sostegno", ai 1000 euro (*) per stipulare un vero e proprio "patto di convivenza".

Con quest'ultimo si può regolare:

1) la modalità di partecipazione alle spese comuni e la definizione dell'apporto di ciascun partner
2) I criteri di attribuzione della proprietà dei beni acquistati durante la convivenza.
3) Le modalità di uso della casa di residenza comune (di proprietà o in affitto).
4) Le modalità per la definizione dei reciproci rapporti patrimoniali in caso di cessazione della convivenza.
(*)
Tariffe comunicate alla stampa da Domenico Cambareri, consigliere nazionale del Notariato.

 

Un 'ultima avvertenza:
Riguardo a una giovane che è stata messa incinta da un suo occasionale partner e gli nasce poi un bambino.

Il partner pur non sposandola, riconosce il nascituro come suo figlio, gli da il suo cognome, ma poi entrambi si salutano. Questo non fa cessare i doveri.

Anche se la donna-madre tramite accordi non pretende il mantenimento, il figlio poi nato, in qualsiasi momento, da quando è capace di intendere e volere, ma anche quando ha raggiunto e superato i suoi 18 anni, lui stesso potrebbe richiedere gli arretrati e ottenere un vitalizio mensile fin quando non sarà autosufficiente E PERFINO ALLA FINE DEGLIO STUDI UNIVERSITAR e non ha ancora un lavoro. . Quindi anche a 30 anni e più !!


A tale riguardo nei conflittI delle "separazioni" giocano un ruolo fondamentale il legislatore [da ultimo il c.d. decreto filiazione ex d.lvo 28 dicembre 2013, n. 154 che diviene l’occasione per modificare in peius la l. n. 54/2006 sull’affidamento condiviso così realizzando il “falso condiviso” attraverso gli artt. 316 (residenza abituale), 337-ter (Provvedimenti riguardo ai figli e corresponsione di un assegno periodico), 337-quater (Affidamento a un solo genitore e opposizione all’affidamento condiviso), 337-sexies (Assegnazione della casa familiare e prescrizioni in tema di residenza) cod. civ.)], i “medici” curanti (magistrati, avvocati, consulenti, assistenti sociali etc..

SUI PROBLEMI CHE NASCONO SULLA "SEPARAZIONI CONFLITTUALI E MINORI" (le cosiddette "triangolazioni")
(Citiamo qui il "giornale scientifico dell' O.N.A.P. >>>>>>>>

IL DIVORZIO varato con legge nel '78


Il DIVORZIO é stato introdotto dell'ordinamento italiano con la legge del primo dicembre 1970 numero 898 modificata dalle legge 1 agosto 1978 e dalla legge 6 marzo 1987 numero 74.
La legge non parla espressamente di divorzio, ma di casi in cui si verifica lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili. Si distinguono, in primo luogo, le ipotesi di matrimonio celebrato con rito civile rispetto a quello celebrato con rito religioso.
"""" rispetto al matrimonio civile l'articolo 1 della legge espressamente parla di " scioglimento del matrimonio ", mentre per il matrimonio religioso regolarmente trascritto si parla di " cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione al matrimonio """".

(1) La ragione della differenza è evidente, perché il matrimonio religioso non può essere sciolto dalla giurisdizione italiana che può, invece, intervenire sugli effetti civili. In altre parole mentre il matrimonio religioso come atto è di competenza della sola giurisdizione ecclesiastica, il matrimonio civile é inteso come rapporto è di competenza della sola giurisdizione civile.
In tutti e due i casi lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili sono pronunciate dal giudice quando, dopo l'esperimento del tentativo di conciliazione, si accerta che non può essere mantenuta o ricostituita la comunione spirituale e materiale tra i coniugi per i motivi indicati dalla stessa legge dell'articolo 3.

(2) Il 29 Giugno 1978 il Senato approva anche la Legge sull'Aborto, con 160 SI e 148 NO.
La Camera l'aveva approvata il 14 Aprile con 306 SI (Pci, Psi, Sinistra Indipendente, PSDI, PRI, PLI) e 275 NO (DC, MSI, Dem Naz, DP, Radicali). Sconosciute le cifre degli altri anni presi in esame che comunque si pensa, quelli clandestini non erano poi molto inferiori a quelli successivamente legalizzati. Negli annali storici degli ospedali la percentuale  dei ricoveri per emorragie dovuti agli aborti "casalinghi" o "clandestini", sia prima che dopo la legge, nei primi anni,  rimasero  quasi identici.
(3) Apparentemente sembra che diminuiscono gli aborti, in effetti le percentuali si mantengono quasi uguali agli anni precedenti. Infatti le interruzioni di gravidanza  fanno diminuire le nascite e quindi di conseguenza anche la presenza di femmine nate. Ricordiamoci che la metà delle nascite è composta di feti di sesso femminile che provocano successivamente dopo 15-18 anni la mancanza di fattrici. Negli anni 1940-50 in media nascevano 510.000 donne, mentre negli anni 1985-95 ne sono nate in media solo 255.000. E se queste  figlie si comporteranno come le madri, dimezzeranno ancora la cifra in 125.000, e queste a loro volta le seguenti a 63.000; fino all'irreversibile estinzione. (per andare a pari nascite del 1940-1950, nel dopo 2010 ogni donna dovrebbe almeno mettere  al mondo 4 figli.

Contrariamente a quanto si pensa il numero di femmine nate sono inferiori a quelle maschili come numero, e inoltre (un retaggio arcaico soprattutto nei paesi rurali) sono pure maggiori gli aborti di sesso femminile. Poi però le donne (così penalizzate da antichi pregiudizi maschili ("in casa una femmina basta  e avanza")  si rifanno,  e campano più degli uomini (6 - 7 anni) e diventano  più numerose come numero.
Secondo le stime relative al 2011, la speranza di vita alla nascita migliora sia per gli uomini (79,4) che per le donne (84,5), grazie all'influenza positiva della riduzione dei rischi di morte a tutte le età.
(4) Matrimoni nel 2011. In Italia ci si sposa sempre meno e si preferisce sempre più il rito civile a quello religioso. - Secondo i dati dell'annuario dell'Istat: Il matrimonio religioso resta la scelta più diffusa (60,2%) ma nelle regioni del Nord quello civile nel 2011 ha fatto il sorpasso e prevale con il 51,7% rispetto al 48,3% di quello celebrato in chiesa.
Sono sempre di più le coppie che decidono di sposarsi davanti all'ufficiale di stato civile, da 79 mila nel 2010 a 83 mila nel 2011.
E' soprattutto nelle regioni meridionali a prevalere un modello di tipo tradizionale, dove la percentuale dei matrimoni celebrati con rito religioso è del 76,3%, contro il 48,3% del Nord e il 50,1% del Centro.

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aggiornamenti

L'ultimo rapporto del CENSIS dice che in Italia le nozze dal 2006 al 2016, sono croloate del 17,4%
Passando da 245.992 a 203.258.

I matrimoni religiosi sono diminuiti negli ultimi 10 anni del 36,6%
mentre quelli civili aumentati del 14,1%

fino a rappresentare questi ultimi il 46,9%.

Quanto alle nascite nel 2017 nelle regioni settentrionali sono nati 207.000 bambini
in quelle meridionali 162.000

 

LE SEPARAZIONI

Dal 2010 al 2016
sono cresciutte del 14% passando da 80.407 a 91.706
Nello stesso periodo i divorzi sono raddoppiati
passando da 49.534 a 99.071

 


commento
Divorzio, una generazione dopo
Giovanni De Sio Cesari

Molti anni fa. negli anni 70, si combatté in Italia una grande battaglia civile per l’introduzione del divorzio o più esattamente, come si preferiva dire “dello scioglimento degli effetti civili del matrimonio”.
E’ passata una generazione e i figli dei primi divorziati ora possono divorziare ed è tempo quindi di vedere il problema con il senno di poi in modo più distaccato di quanto l’urgere della polemica permettesse in quei giorni. Punto di partenza di ogni discorso è che il matrimonio è per sua natura per la vita, non esistono matrimoni a tempo determinato . Su questo principio tutti sono d’accordo: il problema nasce quando il matrimonio entra in crisi. Nella maggior parte della culture è prevista una qualche forma di divorzio: nell’ambito cattolico invece si può giungere solo alla separazione di fatto e di diritto che in sostanza nega la possibilità di procedere a nuove nozze. Tuttavia va fatta una precisazione che ci sembra essenziale. In altri tempi il divorzio o la separazione per in paesi cattolici era un fatto raro ed eccezionale.

Derivava dal fatto che uno dei coniugi aveva mancato e in modo grave ai suoi doveri coniugali: adulterio, maltrattamenti, follia, abbandono. Era possibile quindi individuare di chi fosse la colpa e il giudice si comportava di conseguenza. Venire meno in modo grave ai propri doveri coniugali comportava una sanzione che se non era penale tuttavia appariva ancora più grave. La sposa infedele perdeva insieme all’onore anche la casa, i figli, il sostentamento. L’uomo violento doveva continuare a mantenere la propria famiglia ma ne era privato dai vantaggi e delle gioie : non aveva una donna che si prendesse cura di lui, non dei figli che lo accogliessero con rispetto e premura.

Ma nel mondo moderno si è affermata ormai l’idea che il matrimonio sia un affare privato che si può sciogliere a piacimento se uno dei due contraenti non ne è più soddisfatto per qualsiasi e insindacabile motivo.
I divorzi e le separazioni per colpa ormai sono quasi del tutto spariti e si finge che tutti i divorzi e le separazioni siano invece consensuali ma in realtà questo non è mai quasi mai vero: qualcuno ne ha la colpa maggiore ma è quasi impossibile dimostrarlo, non tanto per motivi oggettivi ma perché prevale l’idea secondo la quale bisogna prendere solamente atto del fatto che un matrimonio è fallito e non serve a nulla sapere perché.

Si è affermata, cioè, una concezione del tutto privata dell’istituto matrimoniale che non tiene quasi più in conto il fatto che il matrimonio non è un semplice rapporto fra due persone ma una istituzione fondamentale per la società in quanto in essa nascono e vengono educati i figli, il futuro dell’umanità.
La legge per il divorzio in Italia veniva presentata soprattutto come un rimedio alle situazioni familiari ormai del tutto compromesse, una specie di sanatoria che rimetteva nella legalità chi ormai non poteva più entrarvi e si negava che l’istituto potesse essere invece un incentivo a rendere più fragili le famiglie: a questo fine il divorzio appariva cosa complessa e lunga da ottenere, con un tempo per una riflessione più approfondita e interventi anche di terzi istituzionali per tentare una ricucitura. Da parte degli oppositori invece si riteneva che l’istituto del divorzio avrebbe avuto come effetto fondamentale di minare la stabilità della famiglia.

Con il senno di poi possiamo renderci conto che in effetti tutte le precauzioni e i limiti posti dalla legislazione divorzile sono in pratica caduti. Per evitare proprio di dovere incorrere nell’ affrontare lunghi e complicati iter giudiziari molti evitano proprio di contrarre matrimonio formale limitandosi a una unione di fatto.

Il divorzio ha finito non solo con il rendere fragile il matrimonio ma con il distruggere l’istituto stesso del matrimonio.

In realtà dobbiamo pure ammettere che gli effetti tanto nefasti non sono da ascrivere di per se tutti alla legge del divorzio: è tutta la società che tende ad adeguarsi a certi modelli.
L’istituzione del divorzio non è solo una causa ma anche un effetto di certe tendenze. Sarebbe difficile ad esempio al giorno d’oggi ripristinare legislativamente la indissolubilità del matrimonio che avrebbe come effetto solo una corrispondente aumento delle (irregolari) coppie di fatto rispetto ai matrimoni formali.

Giovanni De Sio Cesari

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ultimissime - anno 2015

Il 26 maggio 2015, il DIVORZIO BREVE é diventato legge.

Il divorzio breve in Italia prevede sei mesi di separazione consensuale.
Quello giudiziale invece é di 12 mesi, ma quest'ultimo non lo si ottiene non prima di 3 anni, e sono attese lunghe e costose ed anche estenuanti. Vi ricorreva - ma fino a ieri - il 30% delle coppie.

La sorpresa della nuova legge è stata molta, quando in soli due mesi (giugno e luglio) sono state presentate 50.000 domande per il divorzio breve consensuale, e si prevede entro dicembre altre 50.000 domande.
Ma secondo l'Ami (Ass. Matrimonialisti Italiani) sarebbero circa 250.000 le coppie (già separate di fatto) che potrebbero decidersi a ricorrere al divorzio breve,
mettendo fine a mesi e mesi di insofferenze e risentimenti, soprattutto coloro costretti a vivere sotto lo stesso tetto. (perché nessuno dei due si azzarda ad andarsene per non passare dalla parte del torto (cioè l'abbandono del tetto coniugale).
(notizie riportate da "Italia Oggi").

Prima nel 58,2% delle separazioni, la casa coniugale veniva assegnata alla moglie, e solo nel 20,4% dei casi al marito.

Un'altra grande sorpresa è stata quella di scoprire (anche se la fascia di età più consistente è di 40-45 anni) che nel 20% delle domande presentate, vi sono gli oltre 65enni (1 su 5).

Questo perché forse prima con i tempi molto lunghi dei giudiziali, molti a una certa età rinunciavano a una lite dove non si vedeve a breve termine la fine. Ma anche perché a causa della mancanza di soldi dovuta alla crisi, si sono prodotti in generale meno divorzi.

O forse perché il numero di quelli, giunti alla soglia della pensione, decidono di "festeggiare" la fine del lavoro anche con il cambiare (il noioso) partners... rimettersi in gioco e in alcuni casi anche fare un nuovo matrimonio.
OPPURE UNO DEI DUE LASCIANO IL PARTNER PER METTERSI A VIVERE DA SOLI.

 

MA ATTENZIONE !!
Anche se si è ottenuto il divorzio dal marito e da lui ha ottenuto il mentenimento.


La Cassazione ha stabilito: niente assegno di mantenimento all'ex moglie divorziata che non cerca un lavoro. E stop al mantenimento se la moglie anche se non è andata a vivere con un altro, ma frequenta un altro.

La Suprema Corte dà ragione a un quarantaseienne di Torino che non voleva versare più gli alimenti all'ex coniuge inattiva e con un nuovo compagno.
Motivo: L'ex moglie divorziata si rifiuta di cercare un lavoro, anzi mostra un "atteggiamento particolarmente rinunciatario": per la Cassazione non ha più diritto all'assegno di mantenimento. Per ottenerlo, infatti, deve almeno dimostrare di essersi impegnata nel cercare un impiego. La donna, invece, ha incassato per anni l'assegno dall'ex marito, che però non era più disposto a continuare a versarle il denaro Ora la Suprema Corte, con l'ordinanza numero 2653/2021, ha stabilito un importante precedente che non mancherà di essere applicato in altri casi analoghi.

PER la Cassazione questo è un altro punto fermo: gli alimenti non sono più dovuti dal marito all'ex coniuge non appena lei inizia una relazione stabile e duratura, anche se non basata sulla convivenza. Un pronunciamento, quello degli ermellini, che è stato subito ribattezzato "legge salvamariti".
L'ex moglie sosteneva che il fatto di non avere lavorato per più di vent'anni l'avesse messa praticamente fuori mercato.
Gli ermellini, però, le hanno dato torto su tutta la linea, sottolineando in particolare il suo "atteggiamento particolarmente rinunciatario". Per prima cosa hanno specificato che quando era sposata non viveva nel lusso. La Corte ha poi tenuto conto dell'età - "a soli 46 anni, quindi non particolarmente avanzata" le buone condizioni di salute della donna e dell'assenza di impedimenti alla ricerca di un impiego. D'altronde, sottolineano i magistrati, la signora potrebbe tornare a "lavorare come addetta alle pulizie", e questo era stato il suo lavoro del passato. Inoltre il fatto, che la donna avrebbe da tempo una nuova relazione stabile, anche tenuta più o meno nascosta. È toccato a lei anche pagare le spese processuali: 1.500 euro. (Anna Maria Liguori 08 Novembre 2020)

 

 

FINE
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