ANNO 1799

FINE DELLA REPUBBLICA CISALPINA

SECONDA COALIZIONE EUROPEA CONTRO LA FRANCIA - LA FRANCIA DICHIARA LA GUERRA ALL'AUSTRIA E AL GRANDUCA DI TOSCANA - LE FORZE FRANCESI ED AUSTRIACHE - VICENDE DELLA GUERRA IN GERMANIA - LA TOSCANA OCCUPATA DAI FRANCESI - MORTE DI PIO VI - SCHIERAMENTO DEGLI ESERCITI FRANCESI ED AUSTRIACI IN ITALIA - LA PRIMA BATTAGLIA DI VERONA - LA SECONDA BATTAGLIA DI VERONA - BATTAGLIA DI MAGNANO E VILLAFRANCA - I FRANCESI SI RITIRANO PRIMA DIETRO IL MINCIO, POI DIETRO L'ADDA - GLI AUSTRIACI PASSANO IL MINCIO - ARRIVO IN ITALIA DEL GENERALISSMO SUWAROFF....


... SUO PROCLAMA AGLI ITALIANI - AVANZATA DEGLI AUSTRO-RUSSI - OCCUPAZIONE DI CREMONA, CREMA, BERGAMO E BRESCIA - SCHIERAMENTO DEGLI AUSTRO-RUSSI E DEI FRANCESI SULL'ADDA - II MOREAU SOSTITUISCE LO SCHÉRER NEL COMANDO SUPREMO DELL'ESERCITO FRANCESE D'ITALIA - BATTAGLIA DI CASSANO - I FRANCESI SCONFITTI SI RITIRANO NEL PIEMONTE - COMBATTIMENTO DI VERDERIO - REAZIONE ANTIFRANCESE NEL TERRITORIO DELLA REPUBBLICA CISALPINA - CAPITOLAZIONE DI FERRARA - OCCUPAZIONE DI RAVENNA, REGGIO E MODENA - GLI AUSTRO-RUSSI A MILANO...


FINE DELLA REPUBBLICA CISALPINA - PERSECUZIONI E VIOLENZE

(e il poeta abate Parini, plaude all'arrivo dei Russi - vedi a fine pagina il sonetto)
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SECONDA COALIZIONE EUROPEA CONTRO LA FRANCIA - LA GUERRA IN GERMANIA - LA TOSCANA OCCUPATA DAI FRANCESI - MORTE DI PIO VI - SCHIERAMENTO DELL' ESERCITO FRANCESE E .AUSTRIACO IN ITALIA - LE DUE BATTAGLIE DI VERONA - BATGLIA DI MAGNANO O VILLAFRANCA - RITIRATA DEI FRANCESI OLTRE L'ADDA


Quando i Francesi s'impadronivano di Napoli e vi istituivano il regime repubblicano, sebbene i plenipotenziari delle potenze riuniti fin dal dicembre del 1797 a Rastadt discutessero ancora per concludere quella pace che di giorno in giorno sembrava invece difficile raggiungere, la seconda coalizione europea contro la Francia era già un fatto compiuto.
Già vari trattati erano stati sottoscritti: quello del 19 maggio del 1798 tra l'Austria e il re delle Due Sicilie, quello tra FERDINANDO IV e lo Zar PAOLO I, firmato il 24 dicembre dello stesso anno, quello d'alleanza tra la Russia e l'Inghilterra e quello tra le corti di Londra e Pietroburgo con il Sultano (3 e 5 gennaio del 1799), cui era seguito quello tra la Turchia e il re di Sicilia firmato il 21 gennaio del 1799.

Qualche potenza (l'Inghilterra) era da qualche tempo in lotta con la Francia, qualche altra (il regno di Napoli) le aveva dichiarato guerra o (Turchia) l'aveva subita; la Russia fin dal settembre del 1798 aveva congiunto la sua flotta del Mar Nero con quella Ottomana e operando di concerto, queste forze riunite avevano cacciato i Francesi da Gerico e da Zante e si erano, dopo un lungo assedio, impadronite di Corfù; infine un corpo di venticinquemila Russi si era messo in marcia attraverso la Moravia.
Solo la Prussia, invano sollecitata, si ostinava a rimanere neutrale e, delle potenze coalizzate, soltanto l'Austria si mostrava indecisa ad iniziare la guerra; ma vi fu costretta dalla Francia; la quale, non avendo avuto risposta all'intimazione fatta all'imperatore di fare retrocedere le truppe russe, dichiarava il 20 febbraio di esser costretta da ragioni di legittima difesa a far muovere i suoi eserciti, faceva il 1° marzo passare il Reno ai soldati del JOURDAN e del BERNADOTTE e undici giorni dopo dichiarava guerra all'imperatore e al Granduca di Toscana.

La superiorità numerica stava dalla parte delle potenze coalizzate. La sola Austria, all'inizio della guerra, disponeva di circa duecentocinquantamila uomini: novanta mila, sotto il comando dell'Arciduca CARLO, stavano dietro il Lech nella Baviera; ventiseimila con il generale HOTZE nel Voralberg; quarantaseimila sotto il conte ENRICO di BELLEGARDE nel Tirolo e quasi ottantamila nel Veneto comandati dal vecchio barone MICHELE FEDERICO von MELAS in attesa che giungesse, per prender la direzione della guerra, in Italia, il generalissimo russo ALESSANDRO SUWAROFF.
A queste forze la Francia opponeva circa centosettantamila uomini: quattordicimila in Olanda sotto il generale BRUNE, trentottomila, che costituivano l'esercito del Danubio, sotto lo JOURDAN, ottomila lungo il Reno sotto il BERNADOTTE, trentamila sotto il MASSENA in Svizzera, ottantamila circa in Italia, di cui duemila erano Liguri, diecimila Piemontesi ed altrettanti Cisalpini e Polacchi, oltre i ventimila che si trovavano nel Regno di Napoli, comandati, dopo il richiamo dello CHAMPIONNET (di cui si dirà altrove), dal MACDONALD.

Il 1° di marzo, come si è detto, le truppe del Bernadotte e del Jourdan passarono il Reno tra Manheim ed Unìnga; il 4 marzo l'esercito dell'arciduca Carlo passò il Lech; il 6 marzo il Massena, passato il Reno a Feldkirch, occupò il forte di Luciensteig e il giorno dopo costrinse l'Aufleuberg ad arrendersi.
L'offensiva del Massena procedette vittoriosa nei giorni seguenti. Dopo un sanguinoso insuccesso di fronte al campo trincerato di Feldkirch tenuto dall'Hotze, riuscì con l'ala destra a penetrare nell'Engadína, con due brigate franco-cisalpine sconfiggere a Taufers il 25 marzo gli Austriaci e lo stesso giorno con la divisione del Lecombe battere il nemico a Nauders; ma l'esercito del Jourdan toccò ad Ostrach il 21 marzo una sconfitta, un'altra toccava a Stockach il 25 ed era costretto a ripassare il Reno seguito da quello del Bernadotte.

Generalissimo delle forze francesi in ITALIA, era il vecchio BARTOLOMEO SCHERER. Questi iniziò la sua offensiva con l'invasione della Toscana: il 22 marzo lanciò un manifesto ai Toscani in cui chiamava complice dell'Imperatore il Granduca, successivamente inviò da Lucca il generale MIOLLIS ad occupare Livorno e Portoferraio e il generale GOUTHIER da Bologna a prendere possesso del Granducato. Firenze fu occupata il 25, il giorno dopo FERDINANDO III ricevette l'ordine di partire entro ventiquattro ore, e il 27, infatti, seguito dalla moglie, da quattro figli e da pochissimi familiari, scortato da un drappello d'usseri francesi, partì alla volta di Vienna; lo stesso giorno il vecchio PIO VI dovette lasciare, sebbene ammalato, l'asilo della Certosa e riparare a Bologna; di lì fu poi condotto a Parma, poi attraverso Borgo S. Donnino, Piacenza, Alessandria, e Torino, a Briancon (30 aprile) e infine, per Embrun, Gap e Grénoble, giunse a Valenza nel Delfinato (26 giugno) dove il 29 agosto del 1799 all'età di circa ottantadue anni si spense

. LA GUERRA IN ITALIA iniziò quando in Germania, per le vittorie dell'arciduca CARLO, era finita. Lo Schérer aveva posto il suo quartier generale a Mantova, e aveva schierato il grosso del suo esercito tra il Mincio e l'Adige, appoggiandosi con la sinistra a Peschiera e con la destra a Ferrara. Il generale Kray, che, essendo in viaggio il Melas comandava ad interim le forze austriache, aveva disposto le sue truppe lungo una linea che aveva per centro Verona, a sinistra giungeva alla fortezza di Legnago e a destra toccava la riva orientale del Garda. Quattro campi trincerati, difesi da opere accessorie (fortini, ridotti, trinceramenti; teste di ponte), uno a Bussolengo e gli altri a Bevilacqua Veronese, ad Arquà Polesine e a Conselve, proteggevano questa linea, la cui destra inoltre dal Trentino era protetta da un corpo del generale Wukassewich e dal lago da una flottiglia comandata da due emigrati francesi.

Il 26 marzo il generale Schérer diede battaglia al nemico, assalendolo al centro e alle ali. Un attacco dimostrativo doveva esser fatto dal generale Montrichard con novemila uomini su Legnago per tenere impegnato il Kray e le truppe del campo trincerato di Bevilacqua; il generale Moreau, con le divisioni del Victor e dell'Hatry, in tutto sedicimila soldati, doveva attaccare il centro austriaco; lo sforzo principale doveva essere fatto dai ventiduemila uomini delle divisioni Delmas, Grenier e Serrurier contro Pastrengo e Bussolengo per poi passar l'Adige e prender di fianco Verona.

D'incerto esito fu la battaglia al centro, dove le forze opposte si equivalevano. Il Victor, dopo due assalti furiosamente respinti, riuscì ad impadronirsi di S. Lucia, dolorosamente difesa dal Liptay; ma la forte posizione di S. Massimo, attaccata per ben sette volte dall'Hatry e per poco da lui conquistata, rimase, nonostante il valore dell'Hohenzollern e del Kaim, in potere degli Austriaci. In queste azioni si distinsero la fanteria e la cavalleria piemontese, specialmente quest'ultima, la quale, quando il Kaim fece uscire da Verona tutte le sue soldatesche, impetuosamente ricacciò fin sotto le fortezze i dragoni del Levenehez.

Completamente favorevole ai Francesi fu la battaglia tra il Garda e l'Adige. Nessun aiuto riuscì a dare alla destra austriaca il Vukassewich, che anzi fu respinto dal nemico, che avanzando per la valle del Chiese, si impadronì di Lodrone ed altre località. All'estrema sinistra il Serrurier, preceduto da mezza brigata piemontese, che gli aprì il passo espugnando i poggi di Incaffi e di S. Fermo, e coadiuvato dalla flottiglia del capitano Sibille, si spinse fino a Rivoli, ricacciando il nemico oltre il passo della Corona; più sotto le divisioni del Delmas e del Grenier, dopo una lotta accanita contro gli Austriaci dei generali Elsnitz e Gottescheim, riuscirono a far sloggiare verso sera il nemico dalle sue posizioni e costringerlo a ritirarsi oltre l'Adige attraverso i ponti di barche di Pastrengo e di Pol in tanta fretta che riuscì ai Francesi persino di passar il fiume dietro ai fuggiaschi andando così ad occupare la sponda sinistra.
La peggio ebbe invece il Montrichard davanti a Legnago e sebbene non avesse combattuto con minor valore dei suoi colleghi e nelle prime ore della battaglia espugnate le posizioni di S. Pietro e Anghiari e cacciato il nemico dal ponte sull'Adige.
Anche qui si distinse il valore dei soldati italiani. Alla presa del ponte di Legnago, si mise in luce specialmente la compagnia a cavallo delle guide cisalpine condotta da CARLO GERARDI e un battaglione di granatieri cisalpini comandato da PIETRO TEULIE'. Terribile fu lo scontro e poi la mischia che ne seguì; respinti dopo alcune ore di furioso combattimento fin sotto le mura della fortezza, gli Austriaci, riorganizzati e rinforzati dalle truppe del maresciallo Fróhlich venute in soccorso da Bevilacqua, ritornarono all'assalto; la battaglia infuriò con maggiore impeto su tutto il tratto del fronte e i Francesi, che per nove ore circa tennero testa agli avversari, furono alla fine costretti a lasciare il campo e a ritirarsi oltre il Tartaro.

Né il Kray né lo Chérer seppero trarre profitto dai parziali successi; quest'ultimo poi per tre giorni rimase quasi inoperoso e quando, il 30, volle assalire Verona, il suo urto si infranse contro le difese nemiche e il vantaggio ottenuto alla sua sinistra fu irrimediabilmente perduto.
La mattina del 30 fu il Serrurier che, per ordine del generalissimo, tentò d'impadronirsi di Verona. Dapprima conseguì alcuni successi: passato l'Adige con settemila uomini, pose difatti in rotta le truppe dell'Elsnitz e del Gotteschein che coprivano la piazzaforte e si spinse fino a Parona, cercando di aggirar la città per le alture di Valpolicella con un corpo di duemila soldati; ma più tardi, essendo uscite da Verona al contrattacco le divisioni del Frohlich, del Chasteller e del Lattermann, dovette ritirarsi disordinatamente verso il fiume, che solo una parte dei suoi soldati riuscì a passare. Il resto fu ucciso o fatto prigioniero.
Fra i prigionieri si contarono i duemila che avevano ricevuto l'ordine di aggirare la piazza ed ottocento piemontesi dell'avanguardia che si erano spinti fino a Pescantina. Questi, abbandonati dalla brigata francese Mayer, indietreggiarono combattendo verso i1 fiume e solo quando videro i ponti tagliati e dal nemico sbarrata ogni via della ritirata si arresero.
Anche la cavalleria piemontese si comportò in quella giornata, valorosamente. Alcuni squadroni protessero il Serrurier durante la ritirata oltre l'Adige, trattenendo la più numerosa cavalleria austriaca con cariche impetuose; in una di queste, che sembra davvero una gesta da leggenda, quaranta cavalieri comandati da un Gifflenga, sbaragliarono e misero in fuga un intero reggimento di ussari.

Dopo questa sconfitta lo Chérer, lasciata una forte guarnigione a Peschiera, si ritirò dietro il Tartaro. Allora il Vukassewich, ricevuti aiuti dal Bellegarde, respinse i Francesi dalle posizioni occupate nel Trentino, andò il Saint-Julien o rioccupare Rivoli e i colli di Lazise, inviò per Rocca d'Anfo una colonna verso Brescia e un'altra la spinse lungo la riva occidentale del Garda verso Salò, mentre la flottiglia austriaca, divenute padrona del lago, essendosi quella del Sibille ritirata sotto i forti di Peschiera, occupava Gargnano.
Nel medesimo tempo il Kray, volendo dare uno sviluppo alla sua vittoria del 30 con l'aggirare il nemico dalla sinistra, concentrava il grosso del suo esercito fra Tomba e Villafranca, quindi, dopo averlo diviso in tre colonne, la mattina del 5 aprile ne mandò una di diciassettemila uomini sotto il tenente maresciallo Zoph verso Peschiera, la seconda di seimilacinquecento col Kaim su Buttapietra e Magnano, la terza di settemila soldati sotto il tenente maresciallo Mercantin verso Pozzo.
Per misura di prudenza tenne in riserva presso Verona al comando del Fróhlich un corpo di tredicimila uomini e per dare maggior forza all'offensiva ordinò al Klenau che si trovava presso Ostiglia di assalire alle spalle i Francesi e al presidio di Legnago di prender di fianco il nemico insieme con una colonna leggera comandata dal generale Schustek.

Quest'avanzata offensiva coincise con quella che, in senso opposto, proprio per quel giorno aveva ordinato lo Schérer, il quale aveva disposto che il Moreau con le divisioni del Serrurier, dell'Hatry e del Montrichard si spingesse sii Villafranca, Sona e Sommacampagna, che la divisione Delmas occupasse Magnano e quelle del Victor e del Grenier risalissero il fiume verso Pozzo e respingessero il nemico verso Verona.

La battaglia fu ingaggiata poco dopo le dieci e in breve si delineò favorevole ai Francesi. Il corpo del Mercantin fu messo in fuga, e il generale mortalmente ferito mentre tentava di condurre i suoi alla riscossa; ne approfittarono il Victor e il Grenier che riuscirono a spingersi fino a Tomba e a S. Giacomo e occuparle, il Serrurier espugnò Villafranca; l'Hatry e il Montrichard respinsero gli Austriaci fin sotto le artiglierie di Verona; il Delmas, giunto in ritardo, assalì violentemente il Kaim, che tentava di occupare Buttapietra, e respinti due attacchi rimase poi padrone del villaggio.
Pareva che la giornata si dovesse chiudere con la vittoria dei Francesi quando, nelle primissime ore del pomeriggio, il Kray lanciò la riserva del Fróhlich contro la destra nemica del Victor e del Grenier, che, perduto il vantaggio, si ridussero ad opporre una resistenza a S. Giovanni; ma, incalzando gli Austriaci del Fróhlich, essendo sopraggiunto il corpo ricomposto del Mercantin ed avanzandosi minaccioso alle spalle lo Shustek, i Francesi si ritirarono, contendendo a palmo a palmo il terreno, oltre il Tartano.

La sconfitta dell'ala destra, lasciando scoperto e sotto la minaccia di accerchiamento il resto dell'esercito francese, costrinse lo Schérer ad ordinare la ritirata del centro e della sinistra. Tentò il Kray di ostacolare il ripiegamento e di tagliar la ritirata da Villafranca, al Serrurier, ma non vi riuscì a causa del valore mostrato da un migliaio di Piemontesi, i quali, trovandosi alla retroguardia, seppero tener testa agli Austriaci e dar modo ai Francesi di mettersi in salvo oltre la Molinella.

In questa battaglia, che fu detta di Magnano o di Villafranca, i Francesi perdettero tra morti e feriti quattromila uomini, fra cui i generali Delmas, Pigeon, Dalesne e Beaumont, e lasciarono in mano al nemico più di tremila prigionieri, le artiglierie, le munizioni, i bagagli e le vettovaglie. Parve che lo Schérer volesse rafforzarsi sulla linea del Mincio, ma non vi rimase che una settimana. Privo di artiglieria da campagna, con la cavalleria in gran parte appiedata, avendo di fronte un nemico reso baldanzoso dalla vittoria, che aspettava di giorno in giorno i poderosi rinforzi russi, in un paese dove già cominciavano a scoppiare le rivolte, il generalissimo francese tolse il quartier generale da Marmirolo e il 12 aprile mandò le sue truppe oltre le Chiese e l'Oglio, quindi abbandonando i presidi chiusi nelle fortezze tra, il Mincio e l'Adda,, si ritirò oltre questo fiume per coprire Milano.

In questi movimenti i Francesi non furono ostacolati dal Kray, il quale, non volendo compromettere con altre battaglie il successo del 5 aprile ed aspettando l'arrivo del Relas, non inseguì il nemico. Il Melas giunse a Verona il 9 aprile e il 12 ordinò all'esercito di passare il Mincio. Questo fu attraversato in diversi punti; Mantova, fu minacciata, da due parti; Peschiera fu bloccata; il Vukassewich occupò Salò e la Val Sabbia e penetrò nella Val Trompia; un distaccamento del Bellegarde comandato dal colonnello Strauch si impadronì dello sbocco della Val Camonica spingendosi fino a Lovere, infine Klenau si rafforzò a Borgoforte, si impadronì del corso inferiore del Po e cominciò a molestare con delle brevi incursioni il nemico e a incitare gli abitanti alla ribellione che già divampava contro i Francesi nelle campagne del Ferrarese e del Polesine.


ARRIVO DEL SUWAROFF e PROCLAMA AGLI ITALIANI
BATTAGLIA DI CASSANO D'ADDA
I FRANCESI SI RITIRANO NEL PIEMONTE

Il 14 aprile, preceduto dalla fama di invincibile guerriero e munito d'illimitati poteri, giungeva a Verona con l'avanguardia russa il conte di SUWAROFF e, assumendo il comando supremo dell'esercito operante Italia, lanciava agli Italiani il famoso proclama che riproduciamo:

"...Armatevi, venite a porvi sotto gli stendardi della Religione e della Patria, e voi trionferete su una perfida nazione. L'armata di S. M. Imperiale, nostro Augustissimo Imperatore e re, combatte la malvagia fede dei francesi, e versa il suo sangue per la difesa della nostra Santissima Religione, per il ricupero dei vostri beni, per il ristabilimento del vostro antico Governo. I francesi vi opprimono tutti i giorni di gravami immensi nei vostri beni, e tutti i giorni fanno delle requisizioni maggiori della vostra facoltà. E in tal senso, sotto il pretesto di una libertà e di una eguaglianza chimerica, portano la desolazione nelle famiglie, con il rapire i genitori i loro cari figli, forzandoli a brandire le armi contro le truppe di S. M. Imperiale, vostro legittimo Sovrano, di questo buon Padre dei suoi popoli, di questo leale Difensore della Religione. Consolatevi, o popoli; vi è un Dio che vi protegge, vi sono delle forze che vi difendono. Osservate la quantità delle nostre truppe; considerate qui un'armata fresca e numerosa spedita dall'Imperatore delle Russie, l'alleato del vostro: mirate l'Armata vittoriosa del vostro Sovrano; osservate in vari luoghi le mosse dei popoli che pensano saggiamente, e vogliono terminare questa lotta lunga e sanguinosa. Quest'armata numerosa, composta di valorosi guerrieri, viene a liberare l'Italia. Dove le armate che combattono la Repubblica francese entreranno, voi vedrete ristabilire le leggi, rivivere la Religione, rinascere il riposo pubblico e privato che per il corso di tre anni ha gemuto sotto uno scettro di ferro. Voi vedrete ancora che si ristabiliranno immediatamente e nelle loro facoltà e beni i fedeli ministri del culto. Ma riflettete: se mai si trovassero in mezzo di voi degli uomini tanto perfidi che brandiscono le armi contro il nostro Augusto Sovrano, o favorisce in qualche modo le astute manovre della Repubblica francese, se mai, io dico, si trovassero persone di tal sorte, sul momento, senza alcun riguardo per il loro stato, nascita, impiego, condizione, saranno fucilati; ed inoltre le loro famiglie perseguitate ed annientate, le loro case rase e confiscati i beni. La vostra saggia maniera di pensare, o Popoli d'Italia, fa sperare che persuasi come lo siete della giustizia della nostra causa, voi non darete occasione a questa giusti ed indispensabili castighi, ma che al contrario vorrete fornire delle prove non equivoche di fedeltà e di attaccamento ad un così clemente Sovrano, che vi ama…"

Il Suwaroff non era uomo da indugiare. Noto per le pronte risoluzioni e per le azioni rapide ed energiche, al capo di stato maggiore Chasteler che gli propose di fase qualche ricognizione rispose: "Ma che ricognizioni ! non so che farmene! è roba per gente che ha paura e non serve che a mettere sull'avviso il nemico. Il nemico si trova sempre, quando si vuole. Colonne d'attacco in movimento, baionetta, arma bianca, investire, sfondare il nemico: ecco la ricognizioni che io faccio".
E infatti, appena il corpo russo del generale Rosenberg che lo seguiva lo raggiunse, il Suwaroff iniziò l'avanzata. Cremona fu occupata senza resistenza da un reparto di cavalleria ungherese, Bergamo e Cremona, dopo debole resistenza, furono espugnate e i presidi francesi fatti prigionieri, Brescia, difesa dal Bourret, si rifiutò di capitolare, ma il 21 aprile fu assalita da un corpo austro-russo comandato dal tenente maresciallo Ott e dai generali Bragation e Korsakoff e conquistata e caddero prigionieri i milleduecento francesi della guarnigione.
Peschiera e Mantova essendo ben munite e quindi troppo forti, il Suwaroff non volle perder tempo ad assediarle, e lasciato a Kray l'incarico di prenderle con dodicimila uomini, si dispose a passare l'Adda, disponendo i cinquantamila uomini che aveva con sé in tre colonne. una composta dai russi del Rosenberg e dalla brigata Vukassewich, davanti a Lecco e a Brivio, l'altra, formata dalle divisioni Ott e Zoph di fronte a Vaprio, l'ultima con le divisioni Fróhlich e Kairn agli ordini del Melas a Treviglio.
Di là dall'Adda era lo schieramento francese, che dalla punta orientale del Lago di Como per una lunghezza di ventisette leghe si stendeva fino al Po. Lo formavano solo ventottomila uomini, giacché ottomila lo Schérer li aveva lasciati a Mantova, a Peschiera, a Ferrara e in altre fortezze, un reggimento di usseri e alcuni battaglioni piemontesi mandati con il Montrichard alla destra del Po per contenere con il generale cisalpino Lahoz le popolazioni ribelli del Bolognese, del Ferrarese e delle Romagne, e ancora non erano giunte le divisioni del Dessoles che il Massena gli aveva mandate dalla Svizzera e le truppe dell'Italia centrale e meridionale che il Macdonald aveva auto ordine di radunare e guidare in Lombardia.
Le sue poche truppe lo Schérer le aveva scaglionate nei punti più sensibili del fronte: alcuni battaglioni guardavano sulla sinistra dell'Adda la testa di ponte di Lecco; e sulla riva opposta, da Lecco a Vaprio, stava con ottomila uomini il Serrurier; il centro, al ponte di Cassano, era custodito dal Grenier con altri ottomila soldati; dodicimila ne aveva ciascuno il Victor e il Laboissier, che comandavano l'ala sinistra appoggiata al ponte di Lodi e al forte di Pizzighettone che si stendeva fino al Po.

Della battaglia che stava per combattersi lo Schérer non vide che le prime avvisaglie: nel pomeriggio del 25 aprile un corpo del Bragation tentò di forzare il ponte di Lecco, ma dopo un difficile combattimento fu respinto dalle truppe del Serrurier. Per questo motivo il giorno dopo il generalissimo fu esonerato dal comando supremo e fu sostituito dal MOREAU.
Questo cambiamento rianimò le truppe francesi, che conoscevano il grande valore del nuovo capo; ma purtroppo questo cambio avveniva troppo tardi per dare dei frutti. Credendo maggiormente minacciato il tratto fra Cassano e Vaprio, la sera del 26 il Moreau ordino al Serrurier e al Victor di lasciare sulle ali sinistra e destra il minor numero possibile di truppe e di condurre il grosso al centro a rinforzare il Grenier. Il Serrurier eseguì il giorno stesso il movimento ordinatogli, lasciando a Brivio il Guillet con poche forze, e incamminandosi con il resto verso Vaprio, non aveva percorso molta strada quando il Wahassewich con la sua brigata, seguito a poca distanza dal Rosenberg, riusciva a passare l'Adda a Brivio e a tagliare in due l'ala sinistra francese.
Avuta questa notizia, il Moreau ordinò al Serrurier di portarsi nuovamente a Brivio a soccorrere il Guillet (mattina del 27 aprile), ma subito gli mandò il contrordine di fermarsi dove si trovava, cioè a Verderio, non volendo indebolire il centro minacciato seriamente dalle divisioni Ott e Zoph, le quali all'alba avevano passato il fiume presso Trezzo, avevano sloggiato i Francesi dal castello e si erano spinte fino al villaggio di Pozzo.
La mattina del 27 piuttosto critica era la situazione della linea francese, rotta in due punti. Il Guillet, sopraffatto dalle forze nemiche, ripiegò su Corno e di là con la propria brigata riparò in Piemonte, mentre il Vukassewich e il Rosenberg scendevano verso Carate e Verderio; nello stesso tempo il Grenier, spalleggiato dal Vietar, tentava a Pozzo di resistere al poderoso urto delle divisioni austriache del centro, ma dopo alcune ore di accanito combattimento fu costretto a ripiegare su Vaprio.

Intanto anche la destra dello schieramento francese era poderosamente attaccata dalla sinistra nemica. Il Melas attaccava i trinceramenti del Canal Ritorto, li espugnava dopo cinque ore di mischia, passava il canale, assaliva furiosamente la festa di ponte di Cassano e, vinta la tenace resistenza del Moreau, varcava il ponte e impegnava nell'omonimo paese i Francesi che, indietreggiando, vi si erano rifugiati.
Verso la sera del 27 la battaglia ardeva furiosa oltre l'Adda. La resistenza francese si faceva di momento in momento più debole; da Vaprio il Grenier e il Victor, sopraffatti dalle forze più numerose degli austro-russi, erano costretti a ritirarsi, lasciando scoperto il fianco sinistro del Moreau; il quale, minacciato di esser preso alle spalle e visto che era inutile ogni ulteriore resistenza, diede l'ordine della ritirata e, durante la notte, ripiegò su Milano, da dove, lasciato nel castello il generale Bechaud con milletrecento uomini, il giorno dopo con i resti del suo esercito si portò sulla destra del Ticino.
Rimaneva a Verderio il corpo del Serrurier (cinquemila uomini) per metà composto di Piemontesi; non aveva, il 27, potuto prender parte alla battaglia combattuta alla sua destra e alla sua sinistra e ne ignorava perfino l'esito. Assalito poi dal Vukassewich e dal Rosenberg con forze triple alle sue, si difese valorosamente per tutto il giorno 28, ma verso sera, avendo compreso di essere rimasto solo ed essendo completamente accerchiato, si arrese.

I patti della capitolazione furono discreti: a tutti gli ufficiali infatti fu concesso che trattenessero le armi, i cavalli e l'equipaggio, ai soldati furono lasciati i bagagli; da ultimo si convenne che i prigionieri sarebbero concentrati nell'ex-stato veneto e avrebbero avuto la precedenza sugli altri nel cambio con i prigionieri austriaci. Fra i prigionieri vi erano anche il generale piemontese Fresia e l'aiutante di campo Alessandro Gifflenga, che si era distinto per la sua bravura il 30 marzo nel passaggio dell'Adige dopo l'infelice tentativo del Serrurier su Verona.

REAZIONE ANTIFRANCESE NEL TERRITORIO DELLA CISALPINA
CAPITOLAZIONE DI FERRARA
OCCUPAZIONE DI RAVENNA, REGGIO E MODENA
GLI AUSTRO-RUSSI A MILANO
FINE DELLA REPUBBLICA CISALPINA - PERSECUZIONI E VIOLENZE

Con la battaglia di CassaNo fu perduta, dai Francesi tutta la Lombardia. A strapparla loro di mano non valse soltanto la vittoria degli austro-russi, ma contribuì, e non poco, il contegno della popolazione, stanca delle vessazioni francesi, dissanguata da coloro che si dicevano liberatori ed erano invece giustamente chiamati rapinatori, malcontenta dei nuovi ordinamenti imposti, irritata dal poco o nessun rispetto che gli stranieri prepotenti e i repubblicani cisalpini avevano della religione e infine esasperata dalle ultime contribuzioni straordinarie e dai polizieschi provvedimenti adottati dalle autorità straniere e nostrane.

Man mano che gli austro-russi avanzavano e si diffondeva la notizia dei loro successi la reazione divampava nelle campagne; preti, frati ed aristocratici soffiavano sul fuoco; si suonavano le campane, si abbattevano gli alberi della libertà, si impugnavano le armi, si inalberavano le croci, si cacciavano le municipalità e si formavano bande che estendevano il moto di rivolta, assalivano e saccheggiavano le case dei repubblicani, perseguitavano i Francesi e facilitavano con il terrore l'avanzata delle truppe del russo SUWAROFF.

Primi ad insorgere furono naturalmente i paesi di confine. La vigilia della prima battaglia di Verona si sollevarono i terrazzani tra l'Adige e il Po; il 31 marzo insorse Ariano, che imprigionò le autorità repubblicane, catturò due cannoniere inviate dai commissari francesi di Ferrara e si impadronì di armi e cannoni; l'esempio di Ariano fu subito seguito dai paesi vicini, i cui abitanti, imbaldanziti dalla presenza degli Austriaci, del colonnello Oreskowieh, riunitisi in forti bande, marciarono su Comacchio e Ponte Lagoscuro e trascinarono alla ribellione nella prima quindicina di aprile Copparo, Villanova, Sabbioncello, Migliarino, Ustellato, Portomaggiore ed Argenta.

Dall'Alto Ferrarese la rivolta si propagò rapidamente nel Mantovano e nel Basso Modenese. Rovere, Coguento, Rolo e Gonzaga si sollevarono, seguite dai vicini paesi del Reggiano dopo che i Francesi ebbero abbandonata la linea del Mincio. Mirandola, investita dai ribelli, resistette, ma il 27 aprile la guardia nazionale che vi era di presidio capitolò. Miglior prova fece invece la guardia nazionale bolognese, che il 13 aprile assalì Cento e la riprese agli insorti, i quali l'avevano occupata due giorni prima. In quest'impresa si distinse il giovane poeta UGO FOSCOLO, che con sei compagni scalò le mura della città e si guadagnò il grado di tenente.

A domare la ribellione nei dipartimenti del Crostolo, del Panaro, del Reno, del Basso Po e del Rubicone era stato mandato dal Serrurier il generale Montrichard; ma l'opera sua non valse a spegnere l'incendio alimentato sempre più dai successi austriaci; anzi fu costretto a fare ripiegare tutte le sue forze verso l'Appennino, per proteggere il futuro passaggio dell'esercito del Macdonald, e a lasciare senza difesa il Ferrarese, il Basso Bolognese, Modena e Reggio.

Nei primi di maggio il Klenau passava il Po, si impadroniva di Cento e stringeva il blocco di Ferrara. Questa, difesa da soli quattrocento Francesi, resistette fino al 22 maggio, poi il presidio capitolò e il Klenau, entrato in città fra l'entusiasmo della folla, affidò il governo ad una magistratura di dodici membri, presieduta dal marchese ENRICO BEVILACQUA, che prese il nome di "Cesarea Regia Reggenza Provvisoria" e subito abolì tutte le leggi repubblicane, rimise ai loro posti gli antichi impiegati e si diede a perseguitare aspramente i magistrati e i sostenitori del passato regime.

Da Ferrara il Klenau estese l'occupazione nel Bolognese e nelle Romagne. Il 26 maggio una banda di insorti e un distaccamento austriaco s'impadronirono di Ravenna, cui seguì l'occupazione di Cervia, Imola, Forlì, Cesena e Lugo; quindi il Klenau spinse le avanguardie delle sue truppe nel Bolognese, dando la mano a quelle del Kaim e dell'Hohenzollern, che subito dopo la vittoria di Cassano avevano passato il Po invadendo il Reggiano e il Modenese.
Reggio aprì le porte agli Austriaci il 30 aprile; il 3 maggio vi entrava il barone WESSENELY che prendeva possesso della città in nome di FRANCESCO II fra la pazza gioia del popolo che abbatteva la statua della libertà e si sgolava a gridare "Viva l' Imperatore !".

Il 4 maggio il barone BUDAY entrava a Modena, dove già il popolo si era sollevato abbattendo l'albero della libertà. Una settimana dopo il maresciallo OTT istituiva una "Giunta Imperiale governativa dei Dominii estensi" sotto la presidenza del conto BARTOLOMEI SCAPINELLI e vi chiamava a far parte i modenesi Giuseppe Marchisio, Onorio Giacobazzi, Giuliano Sabbatini e Francesco Ansaloni e i1 reggiano Filippo Re i quali si affrettarono a fare omaggio al Duca Ercole III, residente a Gratz e ad implorare il perdono per i suoi sudditi.
In Lombardia, dopo la battaglia di Cassano d'Adda, non rimasero ai Francesi che le fortezze di Peschiera, Pizzighettone e Mantova. La prima capitolò alla fine di maggio; la seconda tre giorni dopo; la terza continuò a resistere fino alla fine di luglio.

Milano aveva vissuto giornate d'ansia indescrivibile fin dall'inizio della guerra. Prima aveva creduto nella vittoria francese; quando ebbe la certezza della disfatta dell'esercito repubblicano piombò nell'angosciosa incertezza della sua sorte. Era fuggito verso la metà d'aprile e il ministro della Polizia, avvocato PIOTTINI, lo aveva seguito, il 27, l'ambasciatore francese RIVAUD e lo stesso avevano fatto i membri del Direttorio e dei Conigli dei Giuniori e dei Seniori, riparando la maggior parte in Piemonte.
Milano abbandonata a se stessa, mentre i soldati franco-cisalpini si chiudevano nel castello, i suoi cittadini si diedero a nascondere o a distruggere tutto quanto poteva comprometterli - armi, coccarde, bandiere, emblemi - quindi attesero che piombassero sopra di loro, assetate di vendetta e di sangue, le truppe austriache e le ancora più temute orde dei Cosacchi.

All'alba del 28 passarono per Milano le ultime soldatesche del Moreau, alle nove del mattino comparvero due usseri austriaci che a briglia sciolta da Porta Orientale arrivarono fino a Piazza del Duomo, un'ora dopo entrò il milanese LUCIONI, maggiore dell'esercito austriaco, e verso mezzogiorno una dozzina di cosacchi. Allora i nemici del passato governo si fecero animo ed uscirono nelle vie a festeggiare i nuovi venuti; ben presto il numero dei simpatizzanti dell'Austria ingrossò e questi - mentre il popolino ignorante sempre pronto (ad un loro cenno) a voltar casacca si accendeva d'entusiasmo per i liberatori - si diedero ad abbattere gli alberi della libertà e la statua di Filippo II, che, trasformata in Marco Bruto, sorgeva in Piazza dei Mercanti.

Si urlava "Viva l' Imperatore ! Viva la Religione !", si alzavano le Croci e le aquile bicipiti austriache, si suonavano a festa le campane. L'arcivescovo FILIPPO VISCONTI, consigliato dal Lucioni, si recò, insieme con una rappresentanza dell'Amministrazione Centrale e dell'ordine giudiziario, a Crescenzago, dov'era il quartier generale dell'esercito austro-russo e consegnò al MELAS le chiavi della città.
Nel pomeriggio entrarono in Milano il Suwaroff e il Melas alla testa di cento cosacchi e di diecimila soldati austriaci e vi furono accolti con grandi dimostrazioni di gioia. La sera ci furono luminarie nelle vie, recita di gala a teatro, balli nelle case e nelle piazze e l' indomani mattina solenne Te Deum in Duomo. (il prossimo anno tutta la scena, anche nei minimi dettagli fu ripetuta con Napoleone!).
Qualche violenza, veramente, non potè essere impedita tanto più che al seguito dell'esercito si era riversata in città una marmaglia di campagnoli fanatici. Il palazzo Serbelloni fu saccheggiato; assaliti i palazzi del Direttorio e dell'ambasciatore francese; e dei cittadini sospetti di principi repubblicani, furono insultati, aggrediti e, percossi, altri furono indicati ai Cosacchi e, inseguiti e presi al laccio, poi trascinati per le vie.

Mentre il poeta-abate Giuseooe Parini, inneggiava alla liberazione dei Russi.


Ma ben presto anche questi tumulti cessarono per ordini severissimi emanati dal Melas con proclama del 23 aprile. Quello stesso giorno il Melas sciolse la Guardia Nazionale, abolì l'Amministrazione Centrale, che aveva assunto il nome di Governo provvisorio, e decretò la consegna delle armi; quindi creò un governo civile, per la Lombardia, vi mise a capo il conte mantovano LUIGI COCASTELLI, e affidò l'assedio del castello prima al Lattermann, poi all' Hohenzollern nelle cui mani la guarnigione francese, capitolò il 23 maggio.

Chiuderemo questo capitolo accennando alle rigorosissime misure di polizia prese dal MELAS, le quali, insieme con i saccheggi, le uccisioni e le rapine commessi dagli Austriaci e dai Cosacchi nelle campagne convinsero chi ancora non n'era persuaso che gli stranieri -fossero Francesi o Austriaci o Russi- portassero la libertà o la schiavitù erano egualmente nemici e dovevano perciò detestarsi.

Difatti le commissioni di polizia istituite in ogni capoluogo di dipartimento, si resero subito odiose come nuovi strumenti della nazione, facendo eseguire con feroce zelo gli ordini superiori, arrestando senza misericordia e senza distinzione di sesso e d'età i sospetti di giacobinismo, perseguitando le mode francesi, dando la caccia ai libri che il ristabilito ufficio di censura aveva proibiti, incriminando i contravventori al coprifuoco, perquisendo, destituendo, processando, mostrando insomma un accanimento tale che neppure il proposito di togliere ogni traccia del passato regime e ogni velleità di riscossa ai "progressisti", "patrioti", "repubblicani", "liberatori" era sufficiente a giustificare.

Tutto questo durerà solo qualche mese. Poi lo scenario cambierà un'altra volta.
Ancora una volta i "cacciatori" saranno cacciati, e i cacciati torneranno loro a fare i "cacciatori".
Ma prima di Marengo, cioè prima del ritorno di Napoleone a Milano, dobbiamo andare a vedere cosa contemporaneamente accadeva in PIEMONTE sempre nel corso di quest'anno 1799, con gli Austriaci già pronti ad invaderlo.

Andiamo ora in Piemonte, all'occupazione Franco-Russa...

sempre nel corso degli ultimi mesi di quest'anno 1799 > > >

Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
L.A. MURATORI - Annali d'Italia

STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi
 
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