IL PENSIERO POLITICO DI
GUICCIARDINI

 

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In questo articolo prenderemo in considerazione il pensiero politico di Guicciardini , l’altro grande scrittore di storia e di politica, del 500, insieme a Machiavelli.


Guicciardini nato a Firenze nel 1483 studiò diritto e cominciò una carriera politica e diplomatica che lo portò alle cariche più alte.
Guicciardini fu un gran signore imparentato con famiglie nobili , diplomatico e politico impiegato in incarichi importanti ed onorifici.
Questa sua condizione sociale e questi avvenimenti della sua vita si riflettono in pieno nelle sue opere.
Guicciardini del suo amico ed antagonista Machiavelli non accettava né il richiamo costante agli antichi né lo sforzo di trarre dalla storica legge universale.

Pertanto egli elaborò una teoria politica fondata sulla valutazione scientifica del singolo caso da analizzarsi in tutte le sue componenti. Per Guicciardini, virtù essenziale del politico e dello studioso di politica è la discrezione cioè la capacità di cogliere i tratti distintivi di ogni situazione in ciò che essa ha di particolare ed irripetibile.

Compito allora del politico è non salire dal particolare all’ universale ma restare fermo e fisso nel particolare. Per Guicciardini lo studioso di politica deve costruire una teoria dell’analisi che insegni a regolarsi caso per caso evento per evento.
Una posizione di questo genere era indice di tutto un modo di porsi difronte alla vita.

Mancava al Guicciardini la capacità caratteristica di Machiavelli di vincere il pessimismo intellettuale con un balzo deciso del sentimento e della volontà.
Guicciardini è analizzatore acutissimo ma incatenato ai fatti e il suo pessimismo è assai più forte e sconsolato di quello di Machiavelli.

Infatti, Guicciardini al fondo di ogni azione umana non sa vedere che egoismo e interesse senza alcun spiraglio di luce.
Inoltre, questo suo pessimismo pare avere anche un carattere sentimentale e coinvolgere non solo la politica ma tutte le azioni umane.


Guicciardini scrisse che aveva desiderato come fanno tutti gli uomini onore e denaro e pur avendoli conseguiti molte volte aldilà dei suoi desideri e speranze non aveva tuttavia trovato alcuna soddisfazione nonostante tutto.
Da questo pessimismo radicale e dall’incapacità di superarlo come faceva Machiavelli con il ricorso alla speranza e al profetismo nasce la morale del Guicciardini .

Guicciardini condensa tale morale in una parola diventata famosa “Il particulare" “cioè l’interesse utile proprio".
Caduta ogni capacità di entusiasmo, mancata ogni fede nella possibilità di modificare il corso della storia con un atto di fede o con un gesto eroico è ridotta la politica ad analisi attenta del singolo fatto cosa resta all’uomo per Guicciardini ?

Per lo scrittore fiorentino non resta all’uomo che perseguire il proprio utile anche se esso consista non in soddisfazione materiali ma nel conseguimento di onori.
Per Guicciardini la storia non è niente altro che un intreccio di egoismi al difuori dei quali non resta niente.
“Il particulare” ha per Guicciardini un senso molto ristretto ed egoistico.
Per fare un esempio Guicciardini scrisse che la considerazione dei vizi della Chiesa e del clero lo avrebbe indotto quasi a farsi luterano ma che perseguire il suo interesse egoistico era restato fermo nella religione tradizionale.

Un’altra volta Guicciardini scrisse che odiava alcune cose sopra di tutte e avrebbe voluto vederle finite prima di morire ovvero il dominio dei preti e il predominio straniero in Italia.
Tuttavia, per perseguire il proprio interesse privato ed egoistico ” particulare” si era adattato e si adattava a servire preti e stranieri.

Possiamo dire che il Guicciardini è come un Machiavelli al quale sia venuto meno il suo entusiasmo messianico.
Si può anche dire che ambedue nella diversità radicale dei caratteri svelano la loro appartenenza al Rinascimento dal momento che entrambi posseggono lo stesso occhio acuto e privo di pregiudizi.
Inoltre, ambedue posseggono la stessa concezione naturalistica della vita e della storia nonché la stessa capacità di andare a fondo nel cuore e nell’intelletto degli uomini.

Queste sue tesi Guicciardini le svolse nei “Ricordi politici e civili” una serie di pensieri che cominciò a scrivere prima del 1525.
Guicciardini rielaborò tale opera in seguito per poi riprenderla infine negli ultimi anni del suo ritiro ad Arcetri.
I “Ricordi” perciò sono l’opera di tutta la sua vita nonché il succo di un’esperienza varia e agitata.
Pertanto, la storia dei ricordi quanto mai intrigata e complessa è la storia stessa del suo pensiero.

Dobbiamo anche dire che in tale opera il suo stile si adeguava a uno schema di compostezza dignitosa e aristocratica.
Il suo pensiero in tale opera appare caratterizzato da una lunga serie di osservazioni acute e ad una ricchezza sorprendente.

L ‘altra sua grande opera è la “Storia di Italia” composta in 20 libri tra il 1537 e il 1540. Il Guicciardini aveva iniziato la sua attività letteraria con una “Storia fiorentina“ del 1509 narrante i casi accaduti tra il tumulto dei Ciompi e la battaglia della Ghiaradadda. In un secondo momento avendo maturato molte più esperienze Guicciardini riprese la Storia di Firenze là dove l’aveva lasciata Machiavelli cioè alla morte di Lorenzo il Magnifico.

Guicciardini portò avanti la Storia di Firenze fino alla morte di Clemente VII nel 1534 allargando tuttavia il titolo è lo sguardo dalla storia di Firenze a quella dell’Italia intera. Addirittura, almeno per ciò che riguarda i rapporti con le vicende italiane Guicciardini allargò la sua storia all’intera Europa.
In un’ opera del genere tutte le qualità del Guicciardini avevano modo di esprimersi pienamente come ad esempio le doti analitiche che permettevano di sciogliere un avvenimento nelle sue varie componenti.

Notevoli sono anche in Guicciardini le doti sintetiche che gli consentivano di raccogliere in una visione complessa fatti diversi tra loro.
Inoltre, in Guicciardini sono presenti il gusto per lo studio dell’uomo nonché la tendenza a equilibrare il nuovo carattere scientifico della storia con quello tradizionale di opera d’arte.
Pertanto, la sua opera è l’ espressione più alta della maturità del pensiero politico storiografico italiano come dimostrano certi ritratti di uomini colti ognuno nelle sue caratteristiche individuali.

Nell’ opera di Guicciardini sono presenti larghe visioni sintetiche che non possiamo non ammirare come quella che apre l’ opera la “Storia d’ Italia” disegnando un quadro efficace della situazione italiana alla morte di Lorenzo il Magnifico.
Per quanto riguarda lo stile delle due opere principali dobbiamo dire che i “Ricordi", pur elaboratissimi e fatti e rifatti più volte sono composti in uno stile rapido e penetrante che pare accostarsi a quello del Machiavelli.

Invece nella “Storia di Italia” si ha uno stile tutto diverso, prevalendo la volontà di accompagnare la solennità delle cose narrate con la solennità dello stile.
Inoltre la complessità della visione storica porta il Guicciardini a un periodare complesso di struttura classica.
Tuttavia, il periodo del Guicciardini non inclina mai all’ organicità esteriore e alla musicalità retorica della prosa rinascimentale.
Possiamo dire che tutta l’ ampiezza del periodare di Guicciardini è in funzione della complessità delle cose narrate dallo scrittore fiorentino.

Vogliamo concludere il nostro discorso sullo stile del Guicciardini mettendo in evidenza che esso presenta una gravità connaturata al meditato pessimismo dello scrittore.
Detto ciò, riteniamo concluso il nostro discorso sul pensiero politico di Guicciardini.


Prof. Giovanni Pellegrino

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N.d.R.

Francesco Guicciardini nasce a Firenze il 6 marzo 1483. Muore ad Arcetri, 22 maggio 1540.
E' considerato uno dei maggiori scrittori politici del Rinascimento, quasi contemporaneo di Niccolò Machiavelli (1469- 1527) con cui strinse anche una antagonistica amicizia. Entrambi morirono a 58 anni.
Machiavelli aveva iniziato a scrivere in volgare il suo " Il Principe" nel 1513 (che dedicò ai due Medici - i «redentori» attesi dall'Italia). Anche se il libro uscì postumo, dopo la sua morte nel 1532

Mentre Guicciardini (morto il Machivelli) nel 1537 inaugurò un nuovo stile nella storiografia con la sua poderosa "Historia Italiana" in 20 volumi.
Ma il giudizio che poi ne ha fatto Francesco De Sanctis (uno dei maggiori critici della Letteratura Italiana) non è molto lusinghiero. Infatti non nasconde di apprezzare maggiormente il Machiavelli e di aver poca simpatia per il Guicciardini.
Infatti su di lui scrisse: "La sua base intellettuale è quella medesima del Machiavelli, l'esperienza, l'osservazione, i fatti «speculari», l'osservare. Né altro è il sistema. Il Guicciardini nega tutto quello che il Machiavelli negava, e in forma anche più recisa, e ammette quello che è più logico e più conseguente. Poiché - dice - la base è il mondo com'è, lui crede che é una illusione a volerlo riformare, e volergli dare le gambe di cavallo, quando esso le ha di asino, e lo piglia il mondo com'è e vi si acconcia, e ne fa la sua regola e il suo istrumento. Il Guicciardini vale più come analista e pensatore che come scrittore. Lo stile è infatti prolisso, preciso a prezzo di circonlocuzioni e di perdita del senso generale della narrazione. Qualsiasi oggetto egli tocchi, giace già cadavere sul tavolo delle autopsie".
Tuttavia i due fiorentini, come dice il Fassò, furono «i due poli» cui si volse la loro riflessione politica del loro tempo.
Come storico Guicciardini aveva iniziato con le "Cose fiorentine" poi abbracciò una poderosa una intera "Historia d'Italia" scritta tra il 1537 e il 1540, in venti libri. Partendo dalla lontana Congiura di Catilina ma poi principalmente narra gli avvenimenti accaduti tra il 1492 (anno della morte di Lorenzo il Magnifico nel 1534). Quest'Opera 'Historia" é una analisi politica e psicologica dei grandi personaggi coinvolti negli eventi (compresi quelli europei) dove i fatti vengono ben descritti. Ma alla fine dell'Opera Guicciardini approda a conclusioni molto pessimistiche sulle sorti future dell'Italia.
L'"Historia" dopo averla scritta fu pubblicata per la prima volta quasi trent'anni dopo nel 1561 a Firenze. Vent'anni dopo la sua morte. Come del resto era uscito postumo anche "Il Principe" (nel 1532)..

Franco Gonzato - Storiologia

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