Io ho parlato talvolta delle variazioni, che sono tanto comuni e diverse negli organismi allo stato di coltura ed alquanto meno frequenti allo stato naturale, come se fossero prodotte dal caso.

Questa espressione evidentemente non è corretta, ma serve a manifestare la nostra completa ignoranza intorno alle cause delle singole variazioni. Alcuni autori credono che il produrre differenze individuali o leggere variazioni di struttura sia non meno una funzione del sistema riproduttivo, come di formare il figlio simile ai genitori. Ma il fatto che tanto le variazioni come le mostruosità sono più frequenti negli organismi soggetti alla domesticità che in quelli viventi allo stato di natura, e che le specie di vasta distribuzione sono più variabili delle meno diffuse, mi fa ritenere che la variabilità sia in stretto rapporto colle condizioni di vita, cui una specie è stata esposta per molte generazioni. Io ho cercato di dimostrare nel primo capitolo che il cambiamento delle condizioni agisce in due modi, sia direttamente sull'intero organismo o su certe parti, sia indirettamente sul sistema riproduttivo. In ambedue i casi i fattori sono due; la natura cioè dell'organismo, che è di gran lunga la più importante, e la natura delle condizioni.
L'azione diretta delle cambiate condizioni conduce a risultati definiti o indefiniti. In quest'ultimo caso l'organizzazione sembra essersi fatta plastica, e troviamo una grande variabilità fluttuante; nel primo caso la natura dell'organismo è tale che, assoggettata a determinate condizioni, cede facilmente, e tutti o quasi tutti gli individui sono modificati nello stesso modo.

È assai difficile constatare quale influenza abbiano precisamente le differenze delle condizioni esterne, come il clima, il nutrimento, ecc. Ma noi possiamo concludere con piena fiducia, che gli innumerevoli e complessi adattamenti di struttura, che offrono i diversi organismi, non sono un semplice effetto di tale causa. Nei casi seguenti le condizioni di vita sembrano aver prodotto un insignificante effetto definito. Edoardo Forbes ci attesta che le conchiglie, al limite meridionale della loro patria e quando abitano acque poco profonde, acquistano colori più brillanti di quelli che presentano gli individui della medesima specie che trovansi in distretti più settentrionali o a maggiori profondità. Ma certamente questa regola non si verifica in tutti i casi. Gould crede che gli uccelli della stessa specie abbiano piume di colori più vivi sotto un'atmosfera limpida che quando abitano sulle isole o presso le coste. Anche il Wollaston è convinto che la dimora in prossimità del mare influisca sul colore degli insetti. E Moquin Tandon dà una lista di piante, le quali in riva al mare acquistano foglie più o meno carnose, mentre non le hanno carnose quando abitano entro terra. Questi organismi leggermente varianti sono d'interesse in quanto che presentano dei caratteri analoghi a quelli delle specie che sono limitate a simili condizioni di vita.
Quando una variazione ad un essere non apporta che un minimo vantaggio, non possiamo dire quanto debba attribuirsi al potere accumulativo della elezione naturale, e quanto all'azione definita delle esterne condizioni di vita. Così è noto ai pellicciai che gli animali di una specie hanno il vello tanto più fitto e migliore, quanto più sono vissuti verso settentrione. Ma chi potrebbe dire, quanto sia effetto della preservazione e conservazione degli individui meglio vestiti per molte generazioni, e quanto effetto diretto del rigido clima? Imperocchè sembri certo che il clima ha una immediata influenza sulla qualità del pelo dei nostri animali domestici.

Potrebbero citarsi esempi di varietà simili d'una medesima specie, le quali si formarono in condizioni di vita le più diverse che possano immaginarsi; e di varietà diverse prodotte sotto condizioni uguali. Inoltre ogni naturalista conosce moltissimi esempi di specie rimaste pure e senza alcuna variazione, benchè viventi in climi affatto opposti. Tali considerazioni mi dispongono a dare minor peso all'azione diretta e definita delle condizioni di vita, che non alla tendenza di variare che dipende da cause a noi affatto ignote.

In un certo senso può dirsi che le condizioni di vita non solo producano direttamente o indirettamente la variabilità, ma abbracciano eziandio l'elezione naturale, giacchè la conservazione di una data varietà dipende dalla natura delle condizioni di vita. Tutte le volte però che l'elezione è esercitata dall'uomo, noi vediamo che que' due elementi sono diversi; la variabilità è eccitata in certa guisa, ma si è la volontà dell'uomo che accumula le variazioni in una determinata direzione, e quest'ultimo effetto corrisponde alla sopravvivenza del più adatto allo stato natura.

 

USO E NON-USO DEGLI ORGANI COMBINATO COLL'ELEZIONE
NATURALE

Pei fatti riferiti nel primo capo, io credo non sia per rimanere il più piccolo dubbio sull'opinione che l'uso rafforzi ed allarghi certe parti dei nostri animali domestici, e che il non-uso le diminuisca; e che tali modificazioni vengano ereditate. Allo stato libero di natura non abbiamo un tipo di confronto per giudicare delle conseguenze di un uso o di un non-uso lungamente continuato, perchè noi non conosciamo le madri-specie; ma molti animali offrono tali forme, delle quali può darsi ragione per mezzo degli effetti del non-uso. Come notava il professore Owen, non vi ha in natura un'anomalia più grande di quella di un uccello che non possa volare; tuttavia ne abbiamo parecchi in questo stato. Una specie d'anitra dell'America meridionale (Anas brachyptera) può battere soltanto la superficie dell'acqua colle sue ali, che sono in una condizione quasi identica a quelle dell'anitra domestica d'Aylesbury, ed è un fatto singolare che, secondo l'asserzione del Cunningham, gli uccelli giovani sanno volare, mentre gli adulti hanno perduta questa facoltà. Gli uccelli più grandi, che prendono alimento sul terreno, non volano che per fuggire un pericolo, cosicchè io credo che lo stato quasi rudimentale delle ali di certi uccelli che abitano al presente, o abitarono altra volta, alcune isole oceaniche in cui non trovansi animali rapaci, provenne dal nonuso.

Lo struzzo però abita i continenti ed è esposto a pericoli che non può evitare volando; ma può difendersi da' suoi nemici coi calci, non altrimenti di alcuni quadrupedi. Noi possiamo ritenere che il progenitore del genere struzzo avesse delle abitudini simili a quelle dell'ottarda e che, avendo l'elezione naturale accresciuto nelle successive generazioni la grandezza e il peso del suo corpo, egli adoperasse più spesso le sue gambe che le sue ali, al punto da divenire incapace al volo.

Kirby ha osservato (cosa notata anche da me) che i tarsi anteriori, o piedi di molti scarabei maschi mancano molto spesso; egli esaminò diciassette campioni della sua raccolta e niuno di essi ne aveva conservato qualche traccia. Presso l'Onites apelles, i tarsi mancano tanto frequentemente, che l'insetto fu descritto come privo di essi. In alcuni altri generi i tarsi sono presenti, ma in uno stato rudimentale. Nell'Ateuchus, o scarafaggio sacro degli Egiziani, essi mancano affatto. Non è ancora provato che le mutilazioni accidentali siano trasmissibili per eredità; ma Brown-Sequard ha esposto un caso rimarchevole di epilessia prodotta da una lesione alla spina dorsale di un porco d'India, che fu ereditata: e ciò deve renderci più cauti. Però è forse più sicuro il considerare l'assenza intera dei tarsi anteriori nell'Ateuchus e la loro condizione rudimentale in altri generi, come dovute ai prolungati effetti del non-uso nei loro progenitori; perchè mancando essi quasi sempre in molti scarafaggi coprofagi, debbono perdersi sui primordi della vita, e però non possono essere di grande importanza e di molta utilità a questi insetti.

In certi casi noi potremmo facilmente attribuire al non-uso quelle modificazioni che sono interamente, o principalmente dovute all'elezione naturale. Wollaston ha scoperto questo fatto rimarchevole che 200 specie di coleotteri sopra le 550 che abitano l'isola di Madera, hanno le ali tanto imperfette che non ponno volare; e che dei ventinove generi endemici, non meno di ventitre hanno tutte le loro specie in questa condizione! Parecchi fatti mi hanno indotto a credere che l'atrofia delle ali di tanti coleotteri di Madera debba derivare principalmente dall'azione dell'elezione naturale, combinata forse col non-uso. Infatti si è osservato che in molte parti del mondo i coleotteri sono spesso dal vento trasportati al mare, dove periscono; che i coleotteri di Madera, secondo Wollaston, rimangono nascosti fino a che il vento si arresta e il sole risplende; che la proporzione delle specie prive d'ali è maggiore sulle coste del deserto, esposte al vento del mare, che a Madera stessa; e specialmente il fatto straordinario, sul quale tanto insiste Wollaston, cioè che mancano quasi interamente certi grandi gruppi di coleotteri (altrove eccessivamente numerosi), i quali hanno abitudini di vita che richiedono quasi necessariamente un volo frequente. Per modo che, in una lunga serie di generazioni, ogni individuo di questa specie che volò meno, sia perchè le sue ali furono meno perfettamente sviluppate, sia per le abitudini indolenti, ebbe una maggiore probabilità di sopravvivere, non essendo trasportato dal vento sul mare; e d'altra parte quei coleotteri che più di sovente presero il volo, furono anche più frequentemente trasportati al mare e quindi rimasero distrutti.

Gli insetti di Madera che non sono coprofagi e che devono ordinariamente, come i coleotteri e lepidotteri che cercano il loro nutrimento nei fiori, impiegare le loro ali per vivere, le hanno più sviluppate. Ciò si concilia coll'elezione naturale. Perchè quando un nuovo insetto giunse nell'isola, la tendenza dell'elezione naturale di allargare o restringere le ali dovrà dipendere o dal maggior numero di individui che furono salvati, superando con successo la lotta coi venti, oppure abbandonando l'impresa col volare più di rado e col rinunciare al volo. Può dirsi altrettanto dei marinai naufragati presso una costa; sarebbe utile ai buoni nuotatori il poter nuotare di più, e sarebbe più conveniente ai cattivi nuotatori il non essere affatto capaci di nuotare e il rimanere a bordo.

Gli occhi delle talpe e di parecchi altri roditori che scavano la terra sono rudimentali, e in alcuni casi sono completamente coperti dalla pelle e dal pelo. Probabilmente questo stato degli occhi deriva dalla diminuzione graduale prodotta dal non-uso ed anche coadiuvata forse dall'elezione naturale. Un mammifero roditore dell'America meridionale, il tuco-tuco, Ctenomys, è per le sue abitudini anche più sotterraneo della talpa; e uno Spagnuolo, che spesso ne prese, mi assicurava che questi animali sono quasi sempre ciechi. Io stesso ne conservai uno vivente e la causa di questo stato, come risultò dall'autopsia, fu riconosciuta essere una infiammazione della membrana nittitante. Ora siccome una frequente infiammazione degli occhi deve essere dannosa ad ogni animale, e gli occhi non sono al certo indispensabili agli animali che debbono vivere sotterra, così una riduzione della loro grandezza, con adesione delle palpebre e sviluppo di peli onde ricoprirle, può in questo caso essere vantaggiosa; in tal caso l'elezione naturale agirà costantemente nel senso degli effetti del non-uso.

Tutti sanno che alcuni animali, appartenenti alle classi più diverse, che stanno nelle caverne della Carniola e del Kentucky, sono ciechi. In certi granchi il peduncolo dell'occhio rimane, quantunque l'occhio manchi; il piede del telescopio vi è ancora, benchè il telescopio con le sue lenti si sia perduto. Io attribuisco la mancanza degli occhi in questo caso interamente al non-uso; essendo difficile ammettere che tali organi, anche inutili, possano in qualche modo nuocere ad animali che vivono nell'oscurità. Due individui di una di queste specie cieche, il sorcio delle caverne (Neotoma), furono catturati dal prof. Silliman a circa mezzo miglio di distanza dalla bocca della caverna, e quindi senza discendere alle maggiori profondità; gli occhi di questi individui erano più lucidi e più grandi. Ora questi animali furono esposti per quasi un mese ad una luce gradatamente più viva, ed acquistarono una debole percezione degli oggetti che si ponevano davanti ai loro occhi.

È assai difficile l'immaginare condizioni di vita più uniformi di quelle delle profonde caverne calcari, sotto un clima quasi costante; di modo che partendo dalla comune opinione che gli animali ciechi furono creati separatamente per le caverne d'Europa e d'America, dovrebbe presumersi che esistesse una strettissima somiglianza nella loro organizzazione e nelle affinità. Ma ciò non si verifica, quando si considerano le due faune nel loro insieme; e riguardo ai soli insetti, Schiödte ha detto: «Noi siamo indotti quindi a considerare l'intero fenomeno come puramente locale, e la rassomiglianza che si trova in alcune poche forme fra i mammouth delle caverne del Kentucky e quelli delle caverne della Carniola, non è altro che una semplice espressione dell'analogia che sussiste generalmente fra le faune dell'Europa e dell'America settentrionale». Dietro le mie idee bisogna supporre che gli animali d'America, essendo in molti casi dotati di una potenza visiva ordinaria, emigrassero lentamente nella serie delle generazioni, dal mondo esterno in recessi vieppiù profondi delle caverne del Kentucky, come fecero gli animali d'Europa nelle caverne d'Europa.

Noi abbiamo qualche prova di questa transizione di abitudini, perchè, come dice Schiödte, «possiamo considerare le faune sotterranee come altrettante piccole ramificazioni delle faune geograficamente limitate delle adiacenti regioni, che penetrarono entro la terra e si adattarono alle circostanze locali, a misura che le tenebre si facevano maggiori. Gli animali che non sono molto discosti dalle forme ordinarie, preparano il passaggio dalla luce all'oscurità; vengono poi le specie adatte alla luce crepuscolare; da ultimo appariscono quelle che furono destinate ad una completa oscurità, l'organizzazione delle quali è affatto speciale».

Queste osservazioni di Schiödte si applicano non solo ad una medesima specie, ma anche a specie distinte. Nel tempo impiegato da un animale, dopo moltissime generazioni, a raggiungere le più profonde cavità della terra, il non-uso, secondo la nostra teoria, avrà diminuito più o meno completamente la sua facoltà visiva, chiudendone anche gli occhi; e la elezione naturale avrà effettuato altri cambiamenti, per esempio, un allungamento delle antenne o dei palpi, come compensazione alla cecità. Ad onta di queste modificazioni, possiamo aspettarci di vedere negli animali delle caverne d'America, delle affinità cogli altri animali di quel Continente, ed in quelli delle caverne di Europa altre affinità che li colleghino con quelli che popolano il Continente europeo. Ora queste affinità esistono appunto in alcuni animali delle caverne d'America, come seppi dal prof. Dana; e così alcuni insetti delle caverne d'Europa sono strettamente affini a quelli del paese in cui si trovano.

Sarebbe molto difficile dare una chiara spiegazione delle affinità degli animali ciechi delle caverne cogli altri abitatori dei due Continenti, nella ipotesi comune della loro creazione indipendente. Dalle conosciute relazioni esistenti nella maggior parte delle produzioni del vecchio e del nuovo Continente, è da ritenersi che parecchi abitatori delle caverne in questi due Continenti debbano essere strettamente affini. Come trovasi in abbondanza una specie cieca di Bathyscia, all'ombra delle rocce fuori delle caverne, potrebbe credersi che la perdita della vista nelle specie che le abitano non abbia probabilmente alcuna relazione colla località oscura; ed è naturale che un insetto già privo della vista siasi facilmente accostumato alle caverne oscure. Un altro genere di insetti ciechi (lo Anophthalmus) offre una particolarità rimarchevole; alcune specie distinte, secondo Murray, abitano in parecchie caverne d'Europa ed anche in quelle del Kentucky, ed il genere non trovasi in altro luogo che nelle sole caverne.

Ma è possibile che il progenitore o i progenitori di queste varie specie siano stati anticamente sparsi sui due Continenti, e che poscia rimanessero estinti (come l'elefante dei due Mondi), eccetto nelle presenti loro abitazioni sotterranee. Lungi dal rimanere sorpreso vedendo che alcuni animali delle caverne presentano strane anomalie, come Agassiz osservava riguardo al pesce cieco, l'Amblyopsis, ovvero come nel caso del proteo cieco fra i rettili d'Europa, io debbo soltanto meravigliarmi che non siano stati preservati maggiori avanzi dell'antica vita, considerando la lotta meno severa che gli abitanti di questi oscuri recessi ebbero a sostenere.

 

ACCLIMAZIONE

Le abitudini sono ereditarie nelle piante quanto al periodo della fioritura, quanto alla pioggia necessaria perchè i semi germoglino, quanto al tempo del sonno, ecc., e ciò mi trae a dir qualche cosa sull'acclimazione. Essendo estremamente comune nelle specie del medesimo genere l'abitare paesi molto caldi o molto freddi, ed essendo tutte le specie di un medesimo genere derivate, a mio avviso, da una sola madre-specie; se quest'ipotesi sussiste, l'acclimazione deve aver luogo facilmente, durante una lunga sequela di generazioni. È noto che ogni specie è adatta al clima del proprio paese: le specie delle regioni artiche o anche delle zone temperate non potrebbero sopportare un clima tropicale, e viceversa. Così molte piante grasse non possono durare sotto un clima umido. Ma spesso si esagera il grado di adattamento delle specie ai climi dei paesi in cui esse vivono.

Possiamo desumer ciò dalla nostra frequente incapacità di prevedere se una pianta importata si abituerà o no al nostro clima, non che dal numero delle piante e degli animali, introdotti nelle nostre regioni da luoghi più caldi, che sono prosperosi anche fra noi. Non abbiamo ragioni fondate di ritenere che le specie allo stato di natura siano strettamente limitate nella loro estensione dalla lotta cogli altri esseri organizzati, non meno e assai più che in seguito all'adattamento a climi particolari. Ma se l'adattamento sia o non sia generalmente molto stretto, ne abbiamo una prova nel caso di alcune piante, le quali poterono, fino ad una certa estensione, abituarsi naturalmente a temperature diverse od acclimarsi: in fatti i pini e rododendri nati dai semi raccolti dal dott. Hooker da alberi cresciuti nell'Himalaya ad altezze diverse, possedevano nel nostro paese una differente facoltà costituzionale di resistere al freddo.

Thwaites mi informava di fatti simili da lui osservati a Ceylan, e analoghe osservazioni furono fatte da H. C. Watson sulle specie europee di piante trasportate dalle Azzorre in Inghilterra. Rispetto agli animali protrebbero citarsi parecchi fatti autentici di specie le quali, nel corso dei tempi storici, si estesero grandemente dalle latitudini più calde alle più fredde, e viceversa; ma noi non possiamo sapere positivamente se questi animali siano strettamente adatti al loro clima nativo, quantunque in tutte le ordinarie contingenze noi supponiamo appunto che ciò sia, nè sapremo dire se essi siano stati posteriormente acclimati al loro nuovo soggiorno.

È da ritenersi che i nostri animali domestici fossero in origine scelti da uomini barbari, perchè ne ricavavano qualche utilità e si moltiplicavano facilmente nello stato di reclusione, e non già perchè questi animali fossero allora divenuti capaci di più lontani trasporti; l'attitudine comune e straordinaria dei nostri animali domestici non solo di resistere ai climi più diversi, ma ben anche (fatto più importante) di rimanere perfettamente fecondi nel nuovo clima, può mettersi innanzi per provare che una vasta proporzione di animali, ora viventi allo stato di natura, potrebbe facilmente sostenere climi affatto diversi, Noi non dobbiamo però spingere tant'oltre l'argomentazione precedente, sul riflesso che la probabile origine di parecchi dei nostri animali domestici si trae da parecchi tipi selvaggi: per esempio, il sangue di un lupo o di un cane selvatico dei tropici e del polo può forse essere mescolato nelle nostre razze domestiche. Il topo e il sorcio non debbono considerarsi come animali domestici, ma essi furono trasportati dall'uomo in molte parti del mondo; ed oggi hanno acquistato un'estensione maggiore di qualunque altro roditore, vivendo essi liberamente e sotto il clima freddo delle Feroe al nord, e delle Falklands al sud e in molte isole della zona torrida.

Quindi io sto per considerare la facoltà di adattamento ad ogni clima speciale come una qualità inerente facilmente ad una grande flessibilità innata di costituzione, che è comune alla maggior parte degli animali. Sotto questo aspetto, la proprietà che hanno l'uomo stesso e i suoi animali domestici di tollerare i climi più disparati, e il fatto che le più antiche specie di elefanti e di rinoceronti furono capaci di sopportare un clima glaciale, mentre le specie viventi sono oggi tutte tropicali o sub-tropicali, nelle loro abitudini, non debbono riguardarsi come anomalie, ma solo come prove di una flessibilità di costituzione molto comune, che si esercita in circostanze speciali.

Ma nell'acclimazione della specie ad un dato clima resta indeterminato, quanto si debba alla sola abitudine, quanto all'elezione naturale della varietà, aventi una innata costituzione differente, e quale sia l'influenza di questi due mezzi combinati. È da credere che l'abitudine od il costume eserciti qualche influenza, vuoi per l'analogia, vuoi per istruzioni continue date nelle opere di agricoltura e perfino nell'antica Enciclopedia cinese, cioè di essere molto cauti nel trasportare gli animali da un distretto all'altro; perchè non è verosimile che l'uomo sia giunto a formare coll'elezione metodica tante razze e sotto-razze, con costituzioni specialmente appropriate ai loro distretti; quindi penso che tale risultato deve attribuirsi all'abitudine.

D'altronde, non trovo motivo di dubitare che l'elezione naturale tenda continuamente a conservare quegli individui che sono nati con una struttura meglio adatta alla loro contrada nativa. In alcuni trattati sopra molte sorta di piante coltivate si citano certe varietà capaci di resistere ad un clima meglio che agli altri; ciò viene dimostrato rigorosamente in alcune opere pubblicate negli Stati Uniti sulle piante fruttifere, in cui certe varietà sono ordinariamente raccomandate per gli Stati del Nord ed altre per quelli del Sud; ed essendo la maggior parte di queste varietà di origine recente, non possono le loro differenze costituzionali ripetersi dall'abitudine. Per provare che l'acclimazione non può aver luogo, fu messo innanzi il caso dell'articiocco di Gerusalemme, che non si propaga per semente, e del quale perciò non poterono ottenersi varietà, mentre non vegeta nei nostri climi. Però si sono anche ricordati, con molto maggior fondamento, i fagiuoli che non poterono essere naturalizzati; ma finchè alcuno non abbia seminato, per una ventina di generazioni, i suoi fagiuoli tanto presto che una gran parte rimanga distrutta dal gelo, e non abbia raccolto i semi dalle poche piante sopravvissute; con attenzione di prevenire gli incrociamenti accidentali, indi non abbia di nuovo conservato le piante colle stesse precauzioni e colti i semi del secondo anno, non potrà affermarsi che l'esperienza sia stata neppure tentata. Nè si creda che non si manifestino mai differenze nella costituzione delle pianticelle dei fagiuoli, perchè è stata pubblicata una relazione, dalla quale risulta che alcune di queste pianticelle erano più vigorose delle altre.

Insomma, io credo che noi possiamo concludere che l'abitudine, l'uso ed il non-uso, hanno, in certi casi, preso molta parte nelle modificazioni della costituzione e della struttura dei diversi organi; ma che gli effetti dell'uso e del non-uso furono spesso combinati largamente coll'elezione naturale delle variazioni innate, e qualche volta superati da essa.


CORRELAZIONE DI SVILUPPO

Con questa espressione io intendo significare che l'organizzazione intera è tanto legata nelle sue parti, durante il suo sviluppo ed il suo accrescimento, che quando avvengono piccole variazioni in una parte e siano accumulate per mezzo della elezione naturale, le altre parti tendono pure a modificarsi. Questo è un soggetto importantissimo ma conosciuto molto imperfettamente; ed è al certo molto facile confondere qui insieme categorie di fatti assai diverse. Noi vedremo tosto che la semplice eredità ha talvolta l'apparenza di una correlazione. Uno dei casi più evidenti di vera correlazione si è questo, che cioè le modificazioni accumulate solamente a profitto dei piccoli e delle larve alterano la struttura dell'animale adulto, nella stessa maniera che una conformazione difettosa dell'embrione colpisce seriamente tutta l'organizzazione dell'adulto.

Alcune parti del corpo che sono omologhe e che sono simili nel primo periodo embrionale, sembrano soggette a variare in un modo analogo: così noi vediamo che il lato destro e il sinistro di un corpo variano ugualmente; le gambe anteriori e posteriori variano simultaneamente e anche le mascelle in relazione alle altre membra; infatti si considera la mascella inferiore come omologa colle membra. Senza dubbio queste tendenze ponno essere dominate più o meno completamente dall'elezione naturale: una volta esistette una famiglia di cervi colle corna da una sola parte; e se ciò fosse stato di molta utilità per la razza, sarebbe probabilmente divenuto permanente a mezzo della elezione naturale.

Le parti omologhe tendono a trovarsi riunite, come fu notato da alcuni autori; noi lo vediamo spesso nelle piante mostruose; nulla poi è più comune dell'unione di parti omologhe nella struttura normale, come l'unione dei petali della corolla a foggia di tubo. Le parti dure sembrano disposte ad acquistare la forma delle parti molli vicine; alcuni autori credono che la diversità nella forma della pelvi negli uccelli produca una grande differenza nella struttura dei reni. Altri pensano che la conformazione della pelvi nella donna influisca colla pressione sulla forma del capo del figlio.
Secondo Schlegel, nei serpenti la figura del corpo e il modo di deglutizione determinano la posizione di parecchi visceri importanti.

La natura del legame di correlazione ci è spesso completamente ignota. Isidoro Geoffroy Saint-Hilaire fu portato ad ammettere che certe deformazioni coesistano molto frequentemente e che altre coesistano di rado, ma non giunse a dare alcuna spiegazione di questo fatto. Che cosa vi ha di più singolare della relazione fra gli occhi turchini e la sordità nei gatti, fra il colore del guscio delle tartarughe e il loro sesso, fra i piedi piumati e la membrana dei diti esterni nei colombi; fra la peluria più o meno copiosa degli uccelletti neonati e il futuro colore delle loro penne, od anche del rapporto fra il pelo e i denti del cane turco, benchè qui probabilmente l'omologia entri in campo?

Riguardo a quest'ultimo caso di correlazione, io credo che non sia assolutamente accidentale, perchè se noi osserviamo i due ordini di mammiferi che sono più anormali nel loro sistema cutaneo, cioè i cetacei (balene) e gli sdentati (armadilli, formichieri, ecc.), vediamo che sono pure i più anormali nei loro denti.

Io non conosco un esempio più adatto di quello della differenza esistente tra i fiori esterni e gli interni di alcune piante composte e ombrellifere, a provare la importanza delle leggi di correlazione nelle modificazioni di struttura rilevanti, indipendentemente dall'utilità e dall'elezione naturale. Tutti sanno quale differenza vi sia, per esempio, tra i fiori della circonferenza e quelli del centro della margherita, e questa differenza è spesso accompagnata dalla mancanza parziale o completa degli organi riproduttivi. Ma in alcune piante composte anche i semi differiscono nella forma e nella struttura. Queste differenze furono da alcuni autori attribuite alla pressione degli involucri sui fiori o alla loro reciproca pressione, e la forma dei semi nei fiori della circonferenza di alcune composte viene in appoggio di quest'idea; ma nel caso della corolla delle ombrellifere, i fiori interni ed esterni non sono diversi più frequentemente in quelle specie che hanno gli ombrelli più fitti, come mi faceva sapere il dott. Hooker.

Potrebbe sospettarsi che lo sviluppo dei petali esterni, sottraendo nutrimento a certe altre parti del fiore, ne abbia cagionato la perdita; ma in alcune composte vi ha una differenza fra i semi dei fiori interni e quelli degli esterni, senza che si scorga alcuna diversità nella corolla. Queste differenze potrebbero forse connettersi con qualche disuguaglianza nell'afflusso del nutrimento ai fiori interni e periferici; noi sappiamo almeno che tra i fiori irregolari, quelli che trovansi più vicini all'asse sono più spesso soggetti alla peloria e a ridivenire regolari. Aggiungerò come un esempio di questo fatto, e di una stretta correlazione, che recentemente io vidi in alcuni giardini dei pelargonii, in cui il fiore centrale di un gruppo perdeva spesso le macchie di colore oscuro dei due petali superiori; e che quando ciò avviene, lo stimma corrispondente è completamente abortito; e quando il colore manca in uno solo dei due petali superiori, lo stimma rimane soltanto molto accorciato.

Quanto alle differenze che si osservano nella corolla dei fiori centrali e periferici della cima od ombrello, io mi accosto all'idea di C. C. Sprengel, che i fiori della periferia servono ad attirare gli insetti, l'azione dei quali è altamente vantaggiosa alla fecondazione delle piante di questi due ordini, e codesta ipotesi è più fondata di quello che possa sembrare a primo aspetto; ora quando l'azione degli insetti sia utile, l'elezione naturale può prendervi parte. Ma quanto alle differenze nell'interna ed esterna struttura dei semi (le quali non sono sempre in relazione colle differenze dei fiori), pare impossibile che possano essere in qualche modo vantaggiose alla pianta: tuttavia fra le ombrellifere tali differenze sono di un'importanza tanto evidente (essendo i semi in certi casi ortospermi nei fiori esterni, secondo Tausch, e celospermi nei fiori centrali), che De Candolle il vecchio fondava le sue principali divisioni dell'ordine sopra differenze analoghe. Quindi noi vediamo che le modificazioni di struttura, considerate dai sistematici come di molto valore, possono derivare interamente dalle leggi non conosciute di sviluppo correlativo, senza essere, per quanto possiamo comprendere, della menoma utilità alla specie.

Noi possiamo però attribuire spesso falsamente alla correlazione di sviluppo conformazioni che sono comuni a un intero gruppo di specie, e che in realtà derivano semplicemente dall'eredità; perchè un antico progenitore può avere acquistato, per mezzo dell'elezione naturale, una certa modificazione di struttura, e dopo migliaia di generazioni può aver subito qualche altra modificazione indipendente dalla prima; queste due modificazioni essendo state trasmesse a un intero gruppo di discendenti, dotati di abitudini diverse, questi debbono naturalmente essere collegati in qualche modo. Così alcune correlazioni, che si osservano fra ordini interi, si debbono, a quanto sembra, solamente al modo con cui si esercitò l'elezione naturale. Alfonso De Candolle, per esempio, ha notato che i semi piumati non trovansi mai nei frutti che non si aprono, Questa regola può spiegarsi col fatto che i semi non avrebbero potuto acquistare gradatamente la piuma per mezzo dell'elezione naturale, se non avessero appartenuto a frutta che si schiudono, per modo che quelle piante, le quali individualmente producono semi un po' più acconci ad essere trasportati dal vento, hanno un vantaggio sopra quelle che danno semi meno adatti allo spargimento.

 

COMPENSAZIONE ED ECONOMIA DI SVILUPPO

Il vecchio Geoffroy e Goethe proposero, quasi contemporaneamente, la loro legge di compensazione od equilibrio di sviluppo; ovvero, per valerci della frase di Goethe, «la natura è costretta ad economizzare da una parte, per spendere dall'altra». Io credo che quest'argomento sia buono fino ad una certa estensione rispetto alle nostre domestiche produzioni: se il nutrimento fuisce in eccesso verso una parte o verso un organo, e scorre di rado, almeno in grande quantità, ad un'altra parte; così gli è difficile che una vacca dia molto latte e nondimeno si ingrassi prontamente.

La medesima varietà di cavolo non dà un fogliame abbondante e nutritivo con un copioso supplemento di semi oleiferi. Quando i semi rimangono atrofizzati nei nostri frutti, il frutto stesso acquista molto in grandezza e qualità. Nei nostri polli un ciuffo grande di penne sul capo generalmente è accompagnato da una cresta più piccola, e un largo collare dalla diminuzione del barbiglione carnoso. Invece nelle specie allo stato di natura non può sostenersi che la legge abbia un'applicazione generale; ma molti buoni osservatori e più specialmente botanici, credono nella sua verità. Pertanto io non darò qui alcun esempio, perchè non vedo come si possano distinguere, da una parte, gli effetti dello sviluppo di un organo per mezzo dell'elezione naturale e della simultanea riduzione di un altro organo vicino per un processo identico o pel non-uso, e dall'altra parte l'attuale sottrazione di nutrimento da un punto, in seguito alla sovrabbondanza di sviluppo in un altro punto prossimo.

Perciò io penso che alcuni fra i casi di compensazione che si sono citati, come pure parecchi altri fatti, possano emergere da un principio più generale, cioè che l'elezione naturale cerca continuamente di economizzare in ogni parte dell'organismo. Se per mutate condizioni di vita una struttura dapprima utile diviene meno utile, ogni diminuzione di sviluppo, per quanto minima, entrerà nel dominio dell'elezione naturale, perchè sarà profittevole all'individuo il non consumare il proprio alimento nella formazione di una struttura difettosa. Per tal modo potei rendermi ragione di un fatto, da cui rimasi molto colpito nell'esaminare i cirripedi, del quale potrebbero addursi molti altri esempi: vale a dire che quando un cirripede è parassita entro un altro e quindi viene protetto da questo, egli perde più o meno completamente il proprio guscio o mantello.
Ciò accade nell'Ibla maschio e in una maniera veramente straordinaria nel Proteolepas: in tutti gli altri cirripedi il guscio è composto di tre segmenti anteriori, assai importanti, nella testa enormemente sviluppata, e forniti di muscoli e nervi grandi; ma nel Proteolepas parassita e protetto, tutta la parte anteriore del capo è ridotta ad un semplice rudimento congiunto alle basi delle antenne prensili. Ora, allorchè una struttura molto sviluppata e complessa divenne superflua per le abitudini parassitiche del Proteolepas, la riduzione della medesima a forme più semplici, quantunque effettuata per lenti gradi, sarà stata un deciso vantaggio per ogni successivo individuo della specie; perchè nella lotta per l'esistenza, alla quale ogni animale trovasi esposto, ogni individuo Proteolepas avrà una migliore attitudine di sostentarsi, quando consumi una quantità minore di nutrimento per sviluppare una struttura divenuta inutile.

Cosicchè, a mio avviso, l'elezione naturale riuscirà sempre nel corso dei secoli a ridurre e risparmiare quelle parti dell'organismo che si resero superflue, senza produrre perciò corrispondentemente uno sviluppo più importante in qualche altra parte. Ed inversamente, l'elezione naturale può introdurre perfettamente questo maggiore sviluppo in un organo, senza che si richieda come compenso necessario la riduzione di qualche parte adiacente.


LE STRUTTURE MULTIPLE, RUDIMENTALI ED INFERIORI
SONO VARIABILI

Pare che sia una regola, come faceva osservare Isidoro Geoffroy Saint-Hilaire, nelle varietà e nelle specie, che quando una parte o un organo è ripetuto molte volte nella struttura del medesimo individuo (come le vertebre nei serpenti e gli stami nei fiori poliandri), il numero ne è variabile; per contro se la parte o l'organo trovasi in piccolo numero, questo numero è costante. Il medesimo autore e parecchi botanici hanno inoltre notato che le parti multiple sono anche molto soggette a variazioni di struttura.

Come la «ripetizione vegetativa», secondo la espressione stessa del prof. Owen, pare un segno di inferiorità organica, l'osservazione precedente conviene coll'opinione generale dei naturalisti che gli esseri inferiori nella scala della natura sono più variabili degli esseri elevati. Io presumo che l'inferiorità in questo caso consista nell'essere alcune parti dell'organizzazione meno speciali per determinate funzioni; e finchè uno stesso organo deve compiere funzioni diverse, noi possiamo forse vedere quanto esso sia variabile, cioè come l'elezione naturale possa aver conservato e rigettato ogni piccola deviazione di forma meno completamente che quando la parte deve servire solamente a una funzione determinata. Nella stessa guisa un coltello destinato a tagliare varie sorta di oggetti può prendersi di qualsivoglia forma; mentre un utensile destinato ad un uso speciale serve meglio quando sia di una forma determinata. Nè devesi dimenticare che l'elezione naturale può agire su ciascuna parte di un essere soltanto in vantaggio del medesimo.
Le parti rudimentali presentano molta tendenza a variare, secondo l'opinione di alcuni autori, che io credo fondata. Noi ritorneremo in seguito su quest'argomento; solo aggiungerò che la loro variabilità sembra debba attribuirsi alla loro inutilità, e perciò all'impotenza dell'elezione naturale di impedire le deviazioni nella loro struttura.

 

UNA PARTE SVILUPPATA IN UN GRADO
E IN UN MODO STRAORDINARIO PRESSO UNA SPECIE,
RISPETTO ALLA PARTE OMOLOGA DELLE SPECIE AFFINI,
TENDE AD ESSERE ALTAMENTE VARIABILE

Parecchi anni fa io fui molto sorpreso da una simile osservazione, pubblicata dal Waterhouse, intorno a questo effetto. Io traggo anche da una riflessione fatta dal prof. Owen, riguardo alla lunghezza delle braccia dell'ourang-outang, ch'egli pervenne ad una conclusione consimile. Non sarebbe sperabile il convincere chicchessia della verità di questa proposizione senza appoggiarla coi molti fatti da me riuniti, e che mi è impossibile introdurre in questo luogo. Io non posso fare altro che esporre la mia convinzione che codesta è una delle regole più generali. Conosco parecchie cause che possono trarre in errore, ma spero di averne tenuto il debito conto. Si comprenderà che questa regola non può intendersi applicata ad ogni parte che sia sviluppata in una maniera straordinaria, a meno che questo sviluppo non sia anormale in confronto colla parte omologa delle specie strettamente affini.

Così l'ala del pipistrello è una struttura affatto anormale nella classe dei mammiferi, ma la regola ora detta non potrebbe in questo caso applicarsi; sarebbe applicabile solo quando qualche specie di pipistrello avesse le sue ali sviluppate un modo rimarchevole in paragone alle altre specie del medesimo genere. Questa regola trova una rigorosa applicazione nel caso dei caratteri sessuali secondari, quando sono spiegati in un modo insolito. Diconsi caratteri sessuali secondari, denominazione usata da Hunter, quelli che sono propri di un solo sesso, ma che non sono direttamente collegati all'atto della riproduzione. La regola si estende ai maschi e alle femmine; ma si applica più raramente a queste, offrendo esse meno frequentemente caratteri sessuali secondari notevoli.

Questa regola diviene tanto evidentemente applicabile al caso dei caratteri sessuali secondari per la grande variabilità di questi caratteri, comunque siano essi sviluppati in una maniera insolita; fatto del quale non può menomamente dubitarsi. Ma la nostra regola non si limita ai caratteri sessuali secondari, come chiaramente risulta nel caso dei cirripedi ermafroditi; posso aggiungere che mentre io studiavo quest'ordine, occupandomi particolarmente dell'osservazione del Waterhouse, rimasi pienamente convinto che essa si verifica quasi invariabilmente in questi animali. Nella mia opera futura io noterò i casi più rimarchevoli; intanto ne darò brevemente un esempio per dimostrare la regola nella sua più vasta applicazione. Le valve opercolari dei cirripedi sessili (balani) sono, nel pieno senso della parola, organi assai importanti, e differiscono assai poco anche in generi diversi, ma nelle varie specie del genere Pyrgoma, queste valve presentano un insieme sorprendente di diversificazione; le valve omologhe sono affatto dissimili nelle forme, e negli individui di parecchie specie, la somma delle variazioni è sì grande che non si esagera dicendo, esservi maggior differenza fra le varietà nei caratteri di queste importanti valve, che fra le altre specie di generi distinti.

Negli uccelli di un paese si hanno variazioni assai piccole, e perciò io li osservai particolarmente e parvemi che questo principio si applichi anche a questa classe. Io non potrei riconoscere se ciò avvenga nelle piante, il che avrebbe seriamente compromessa la mia opinione sulla verità del principio, se la grande variabilità di esse non rendesse assai difficile il paragonare i relativi loro gradi di variabilità.

Quando noi vediamo una parte o un organo sviluppato in un grado o in modo straordinario in una specie, abbiamo una presunzione plausibile che ciò sia di molto valore per essa; nondimeno la parte in tal caso è soggetta eminentemente a variare. Ora come potrebbe spiegarsi codesto fatto, considerando ogni specie come creata indipendentemente con tutte le sue parti tali quali le osserviamo? Ma se noi pensiamo che i gruppi delle specie hanno uno stipite comune e furono modificati dalla elezione naturale, credo che potremo ottenere qualche schiarimento. Se nei nostri animali domestici una parte, o l'animale intero fosse trascurato, e non si applicasse il principio di elezione, questa parte (per esempio la cresta nei polli Dorking), o tutta la razza, non avrebbe più un carattere quasi uniforme. Allora si direbbe che la razza ha degenerato. Negli organi rudimentali, e in quelli che furono resi meno speciali per uno scopo determinato, e forse nei gruppi polimorfici noi abbiamo un esempio naturale quasi parallelo; perchè in questi casi l'elezione naturale non potè esercitarsi interamente e quindi l'organismo rimase in una condizione instabile.

Ma ciò che ora più particolarmente ci interessa è che nei nostri animali domestici quei caratteri, che al presente sono soggetti a rapidi cangiamenti per la continua elezione, sono anche eminentemente variabili.
Infatti se consideriamo le razze dei colombi, noi vediamo quante prodigiose differenze si trovano nel becco dei giratori, nel becco e nelle barbette dei messaggeri, nel portamento e nella coda dei colombi pavoni, ecc.; e queste sono le particolarità che oggi principalmente si ricercano dai dilettanti inglesi. Anche nelle sotto-razze, come nei giratori a faccia corta, è notoria la difficoltà di riprodurli nella loro purezza, e spesso nascono individui che si allontanano completamente dal tipo.

Potrebbe asserirsi che esiste una lotta costante fra la tendenza di riversione ad uno stato meno modificato e la tendenza innata di maggiori variazioni d'ogni sorta da una parte, e dall'altra col potere di una costante elezione per mantenere pura la razza. Nel corso dei tempi l'elezione rimane vittoriosa, nè potremmo attenderci di produrre da un buona razza di colombi a faccia corta un uccello come il giratore comune. Ma finchè l'elezione progredisce rapidamente, noi dovremo sempre aspettarci di trovare molta variabilità nella struttura degli organi che vanno modificandosi.

Ora ci sia permesso di ritornare alla natura. Quando una parte fu sviluppata in una maniera straordinaria presso una specie qualsiasi, in confronto delle altre specie del medesimo genere, noi possiamo inferirne che quella parte subì un insieme straordinario di modificazioni, dall'epoca in cui la specie si staccava dallo stipite comune del genere. Questo periodo è di rado molto remoto, poichè ogni specie non dura quasi mai al di là di un periodo geologico. Una quantità straordinaria di modificazioni implica una somma straordinariamente grande ed estesa di variabilità, che fu continuamente accumulata dall'elezione naturale, a benefizio della specie. Ora se la variabilità di una parte od organo straordinariamente sviluppato fu considerevole e lungamente protratta, in un periodo che non può essere eccessivamente lontano; noi dobbiamo aspettarci di trovare, in regola generale, maggiore variabilità in questa che in quelle altre parti dell'organismo che rimasero quasi costanti per un periodo più vasto. Ed io sono convinto che appunto ciò si verifica. Io non trovo alcun motivo di dubitare che la lotta fra l'elezione naturale e la tendenza alla riversione e alla variazione possa cessare nel corso dei tempi e che gli organi che sono più anormalmente sviluppati siano per conservarsi inalterati. Per conseguenza quando un organo, anche molto anormale, fu trasmesso quasi nelle stesse condizioni a molti discendenti modificati, come nel caso dell'ala del pipistrello; quell'organo deve essere esistito, secondo la mia teoria, durante un immenso periodo nel medesimo stato, e sarà quindi per tal modo divenuto meno variabile di qualunque altra struttura.

Solo in questi casi, in cui le modificazioni furono comparativamente recenti e molto grandi, noi possiamo trovare quella che si direbbe variabilità generativa, capace di agire con molta efficacia.
Perchè allora la variabilità non sarà stata annullata che di rado dall'elezione continua degli individui che variarono in un dato modo ed in una certa estensione, e dall'eliminazione costante di quelli che tendettero a ritornare alle primitive condizioni meno modificate.

 

I CARATTERI SPECIFICI SONO PIÙ VARIABILI DEI CARATTERI
GENERICI

Il principio fondato sulle precedenti riflessioni può essere esteso. È cosa notoria che i caratteri specifici sono più variabili dei caratteri generici. Darò un semplice esempio per spiegare ciò che intendo dire. Se alcune specie di un genere di piante molto ricco hanno fiori turchini ed altre hanno fiori rossi, il colore non sarà che un carattere specifico, e non saremmo sorpresi di vedere la specie turchina cambiarsi in rossa e viceversa; ma se tutte le specie sono dotate di fiori turchini, il colore diventerebbe un carattere generico, e la sua variazione sarebbe una circostanza più straordinaria.

Scelsi questo esempio, perchè non sarebbe applicabile al caso quella spiegazione che molti naturalisti darebbero; cioè, che i caratteri specifici sono più variabili dei generici, perchè affettano parti di minore importanza fisiologica di quelle comunemente prese per la classificazione dei generi. Questa spiegazione è vera in parte, ma solo indirettamente; del resto tornerò su questo soggetto nel capitolo della Classificazione. Sarebbe quasi superfluo aggiungere prove a conferma della precedente regola, che i caratteri specifici sono più variabili dei generici; ma io ho ripetutamente notato nelle opere di storia naturale che quando un autore ha osservato con sorpresa che qualche organo o parte importante (che generalmente sia molto costante in molti gruppi di specie) differiva assai nelle specie strettamente affini, era anche variabile negli individui di alcune di queste specie. Ciò dimostra che quando un carattere, che sia ordinariamente di una importanza generica, diminuisce ed acquista un valore soltanto specifico, spesso diventa variabile, benchè la sua importanza fisiologica possa rimanere la stessa. Considerazioni consimili possono farsi quanto alle mostruosità: almeno pare che Isidoro Geoffroy Saint-Hilaire non metta in dubbio che quanto più un organo diversifica normalmente nelle varie specie di un medesimo gruppo, tanto più soggiace ad anomalie individuali.

Se stiamo all'opinione comunemente accettata che ogni specie sia stata creata indipendentemente, come potrebbe darsi che una parte dell'organismo diversa dalla parte omologa nelle altre specie dello stesso genere, pure create indipendentemente, fosse più variabile di quelle parti che sono strettamente simili ad essa? Non saprei come potrebbe darsi una spiegazione di questo fatto. Al contrario se abbiamo l'idea che le specie non sono altro che varietà più distinte e rese stabili, noi dobbiamo certamente aspettarci di trovare che quelle parti della loro struttura che variarono in un periodo abbastanza recente e che perciò diversificarono, continueranno spesso a variare. Ma esporrò il fatto in un altro modo; - i punti nei quali tutte le specie di un genere rassomigliano fra loro e pei quali esse differiscono dalle specie di qualche altro genere, diconsi caratteri generici; io attribuisco questi caratteri comuni all'eredità di un comune progenitore; perchè raramente può essere avvenuto che la elezione naturale abbia modificato in un modo identico alcune specie adatte ad abitudini più o meno differenti.

E siccome questi così detti caratteri generici furono ereditati in un periodo assai lontano, cioè fino da quell'epoca in cui le specie si separarono per la prima volta dal loro comune progenitore, e conseguentemente quando esse non avevano ancora variato e non differivano menomamente o solo in un grado insensibile, non è probabile che esse comincino a variare oggidì. D'altra parte i punti, nei quali le specie differiscono da altre specie del medesimo genere, diconsi caratteri specifici; ed avendo questi caratteri variato fino a divenire differenti nel periodo di partenza delle specie dallo stipite comune, è probabile che essi siano spesso alquanto variabili; almeno più variabili di quelle parti dell'organismo che rimasero costanti per un periodo molto lungo.
I caratteri sessuali secondari sono variabili. Debbo fare solamente due altre osservazioni, in relazione al presente argomento.

Si ammetterà, senza che io entri in dettagli, che i caratteri sessuali secondari sono molto variabili e credo che inoltre si accorderà che le specie di uno stesso gruppo differiscono fra loro più ampiamente ne' loro caratteri sessuali secondari che nelle altre parti della loro organizzazione. Si confronti, per es., la somma delle differenze esistenti fra i maschi dei gallinacei, in cui i caratteri sessuali secondari sono molto spiegati, colla somma delle differenze che passano fra le femmine, e si riconoscerà la verità di questa proposizione. La cagione della variabilità originale dei caratteri sessuali secondari non è nota; ma noi possiamo comprendere per qual ragione questi caratteri non divennero costanti ed uniformi, come le altre parti dell'organizzazione. Ciò avvenne perchè i caratteri sessuali secondari furono accumulati dall'elezione sessuale, che è meno rigida nella sua azione della elezione ordinaria, mentre non cagiona la morte dei maschi men favoriti, ma soltanto diminuisce il numero dei discendenti.

Qualunque sia la causa della variabilità dei caratteri sessuali secondari, l'elezione loro deve aver un largo campo d'azione per la loro grande variabilità, e può quindi prontamente produrre, nelle specie di uno stesso gruppo, un più grande insieme di differenze nei caratteri sessuali, che nelle altre parti della loro struttura.

È un fatto rimarchevole che le differenze sessuali secondarie fra i due sessi d'una stessa specie, si mostrano generalmente in quelle medesime parti dell'organizzazione, per le quali le varie specie del medesimo genere differiscono fra loro. Io chiarirò questo fatto con due esempi, i primi che s'incontrano nella mia lista; e siccome le differenze sono in questi casi di una natura molto strana, la relazione non può essere accidentale. Lo stesso numero di articolazioni nei tarsi è un carattere generalmente comune a molti vastissimi gruppi di coleotteri: ma nelle engidi, come osservava Westwood, questo numero varia assai e inoltre differisce nei due sessi della medesima specie. Così negl'imenotteri che scavano, il modo di innervazione delle ali è un carattere di altissima importanza, perchè uguale in molti gruppi; ma in certi generi l'innervazione differisce nelle varie specie, come pure nei due sessi della medesima specie. Lubbock ha notato recentemente che in alcuni piccoli crostacei si trovano eccellenti prove di questa legge.

«Nella pontella, per es., i caratteri sessuali consistono principalmente nelle antenne anteriori, e nel quinto paio di gambe; le differenze specifiche sono altresì ricavate principalmente da questi organi». Questi rapporti trovano una facile spiegazione nella mia teoria. Infatti dalla ipotesi che tutte le specie di uno stesso genere sono certamente derivate dal medesimo progenitore, come i due sessi di ogni specie, ne segue che quando una parte qualsiasi della struttura del comune progenitore o de' suoi primi discendenti divenga variabile, è molto probabile che le variazioni di questa parte siano state favorite dall'elezione naturale e sessuale, sia per adattare le diverse specie ai loro posti nell'economia della natura, e sia per disporre i due sessi di una medesima specie nei loro mutui rapporti, sia per accomodare i maschi e le femmine a differenti abitudini di vita, o infine per favorire la lotta dei maschi nel disputarsi il possesso delle femmine.

Perciò io concludo che la variabilità dei caratteri specifici, cioè di quelli che distinguono una specie dall'altra, maggiore di quella dei caratteri generici, ossia di quei caratteri che le specie presentano in comune; che la frequente variabilità estrema di una parte sviluppata straordinariamente, in una specie in confronto della parte stessa nelle specie congeneri e la poca variabilità di un organo qualunque, per quanto possa essere anormalmente sviluppato, quando sia comune a un intero gruppo di specie; che la grande variabilità dei caratteri sessuali secondari e il grande insieme di differenze in questi caratteri medesimi fra le specie strettamente affini; che le differenze sessuali secondarie, o specifiche ordinarie che s'incontrano generalmente nelle stesse parti dell'organizzazione, sono tutti principii insieme collegati scambievolmente. Questi principii sono dovuti segnatamente alle seguenti cause: alla discendenza di tutte le specie di uno stesso gruppo da un comune progenitore, dal quale ereditarono tutte insieme molte particolarità; alla circostanza che quelle parti, le quali variarono recentemente ed ampiamente, sono più disposte a variare di quelle che furono ereditate senza aver subìto da lungo tempo alcuna variazione; all'elezione naturale, la quale può avere soperchiato (più o meno completamente secondo la lunghezza del tempo) la tendenza alla riversione e ad una variabilità più forte; alla elezione sessuale meno severa della elezione ordinaria; e finalmente alle variazioni accumulate nelle stesse parti dalla elezione naturale e sessuale, rendendole così più adatte a scopi sessuali secondari e specifici ordinari.


LE SPECIE DISTINTE OFFRONO VARIAZIONI ANALOGHE;
E UNA VARIETÀ DI QUALCHE SPECIE ASSUME SPESSO ALCUNI
DEI CARATTERI DI UNA SPECIE AFFINE, O RITORNA AD ALCUNI
CARATTERI DI UN ANTICO PROGENITORE

Queste proposizioni si intenderanno facilmente se si considerano le nostre razze domestiche.
Le razze più distinte dei colombi, in paesi molto lontani, presentano delle sotto-varietà fornite di penne rovesciate sul capo e munite di penne ai piedi; caratteri che non si incontrano nella specie originale del piccione torraiuolo; queste sono adunque variazioni analoghe di due o più razze distinte. La frequente presenza di quattordici sino a sedici rettrici nel colombo gozzuto può ritenersi come una variazione rappresentante la struttura normale di un'altra razza, quella del colombo pavone. Pare che non possa dubitarsi che tali variazioni analoghe siano a ciò dovute, che parecchie razze di colombi ereditarono da un progenitore comune la medesima costituzione, non che una tendenza uguale a variare sotto influenze consimili ed ignote. Nel regno vegetale noi abbiamo un caso di variazione analoga negli steli ingrossati, o in quelle che chiamansi ordinariamente radici della Rapa svedese e della Rutabaga, piante che da diversi botanici sono riguardate come varietà, derivate da una stessa specie per mezzo della coltivazione; se ciò non fosse, si avrebbe un esempio di variazioni analoghe in due così dette specie distinte; e a queste potrebbe aggiungersene una terza, cioè la rapa comune.

Secondo la opinione comune, che ogni specie fu creata indipendentemente, noi dovremmo attribuire la somiglianza nell'ingrossamento degli steli di queste tre piante non già alla vera causa della discendenza da un ceppo comune, e ad una conseguente tendenza a variare in un modo consimile, ma a tre atti separati e strettamente collegati di creazione. Molti casi consimili di analoghe variazioni furono osservati dal Naudin nelle cucurbitacee, ed altri da altri autori nei nostri cereali. Di simili casi avvenuti negli insetti sotto condizioni naturali ha trattato recentemente il Walsh con molta abilità, e li ha registrati sotto la sua legge della varietà equabile.

Nei colombi inoltre noi osserviamo un'altra circostanza, vale a dire, l'accidentale produzione, in tutte le razze, di individui di colore turchino-ardesia con due righe nere sulle ali, con groppone bianco, con una fascia nera all'estremità della coda e colle penne caudali esterne munite di un orlo esterno bianco verso le loro basi. Ora tutte queste particolarità sono proprie del progenitore, cioè del colombo torraiuolo, e niuno può mettere in dubbio che questo non sia un caso di riversione, anzichè una manifestazione di nuove variazioni analoghe nelle varie razze. Noi possiamo abbracciare con tanta maggiore sicurezza codesta conclusione, in quanto che questi contrassegni, come abbiamo visto, sono eminentemente facili a ritornare nella prole incrociata di due razze distinte e dotate di colori diversi. In tal caso le condizioni esterne della vita non possono cagionare la ricomparsa del colore turchino-ardesia e degli altri caratteri, ma ciò nasce dall'influenza del solo atto dell'incrociamento sulle leggi dell'ereditabilità.

Senza dubbio è un fatto molto sorprendente quello di trovare riprodotti quei caratteri che erano stati perduti per molte generazioni e forse per centinaia di generazioni. Ma quando una razza fu incrociata una sola volta con un'altra, la prole mostra accidentalmente una tendenza di ricuperare i caratteri della razza primitiva per molte generazioni e, secondo alcuni, per una dozzina od anche una ventina di generazioni. Dopo dodici generazioni la proporzione del sangue (per usare di una espressione comune) di ogni progenitore è solo di 1 a 2048; pure, come vediamo, si crede generalmente che anche una così tenue proporzione di sangue straniero conservi la tendenza alla riversione. Al contrario, in quelle razze che non furono incrociate, ma nelle quali ambedue i progenitori perdettero alcuni caratteri propri del loro stipite, la tendenza, debole o forte che sia, di riprodurre il carattere perduto può essere trasmessa, come abbiamo notato, checchè se ne dica in contrario, per una serie quasi indefinita di generazioni.

Quando un carattere, scomparso in una razza, ritorna dopo un gran numero di generazioni, l'ipotesi più probabile è che in ogni generazione successiva la prole ebbe una tendenza costante a riprodurre il carattere in questione, la quale infine, sotto condizioni favorevoli non conosciute, può prevalere; piuttosto che ammettere un'improvvisa modificazione della discendenza, coll'assumere le forme di un antenato discosto di qualche centinaio di generazioni. Per esempio, è probabile che in ogni generazione il colombo barbo, dal quale più di rado produconsi colombi turchini con fasce nere, abbia pure una tendenza continua di acquistare questo colore nelle sue penne. Io non so ravvisare una maggiore improbabilità nella tendenza di assumere un carattere ereditato dopo un numero infinito di generazioni, che nell'ammettere l'eredità, a tutti nota, di un organo affatto inutile e rudimentale. E noi possiamo osservare realmente come sia talvolta ereditata questa tendenza di produrre un rudimento.

Essendosi supposto che tutte le specie del medesimo genere siano discese da un comune progenitore, è presumibile che esse debbano variare accidentalmente in una maniera analoga; cosicchè una varietà di una specie può rassomigliare in alcuni suoi caratteri ad un'altra specie; mentre questa specie non è, secondo le mie idee, che puramente una varietà ben distinta e permanente. Ma i caratteri così ottenuti saranno probabilmente di poca importanza, perchè la presenza di tutti i caratteri importanti sarebbe governata dall'elezione naturale, in relazione alle varie abitudini delle specie; e non sarebbe abbandonata alla mutua azione delle condizioni della vita e di una consimile costituzione ereditaria.

Può inoltre prevedersi che le specie di un medesimo genere offriranno accidentalmente una reversione agli antichi caratteri perduti. Però non conoscendo noi i caratteri esatti del comune antenato di un gruppo, non sapremmo distinguere questi due casi; se, ad esempio, noi non fossimo istrutti che il colombo torraiuolo non è calzato, nè incappucciato, noi non avremmo potuto decidere, se questi caratteri nelle nostre razze domestiche fossero riversioni al tipo, oppure soltanto analoghe variazioni; ma noi avremmo potuto inferire che il colore turchino è un caso di riversione, dal numero dei contrassegni che sono collegati a questo colore; dacchè non è probabile che tutti siano derivati da semplici variazioni. Più specialmente noi saremmo indotti a ciò, dal vedere come il color turchino e i contrassegni descritti si mostrino così spesso, quando si incrocino razze distinte di colori diversi.

Quindi, benchè in natura debba generalmente rimanere dubbio quali caratteri siano a considerarsi come riversioni a quelli che anticamente esistettero, e quali siano variazioni nuove, ma analoghe; nondimeno noi dobbiamo talvolta trovare, secondo la mia teoria, che la discendenza variabile di una specie assuma dei caratteri (sia per riversione, sia per variazioni analoghe), che già s'incontrano in alcuni altri membri del medesimo gruppo. Ciò avviene indubitatamente nello stato di natura.

Una gran parte della difficoltà che si presenta nelle nostre opere sistematiche nel riconoscere una specie variabile, devesi alle varietà di essa, le quali imitano, per così dire, alcune varietà delle altre specie del medesimo genere. Potrebbe infatti formarsi un catalogo considerevole di forme intermedie ad altre due, che sarebbe incerto se appartengano a varietà od a specie; ciò prova che una di queste forme, variando, assunse alcuni caratteri di un'altra, dando per tal modo origine ad una forma intermedia; a meno che tutte codeste forme non siano considerate come altrettante specie create indipendentemente. Ma il migliore argomento è fornito dalle accidentali variazioni delle parti o degli organi importanti ed uniformi, fino ad acquistare, in qualche modo, il carattere delle stesse parti od organi nelle specie affini. Io ho raccolto molti di questi fatti, che pur troppo non posso qui pubblicare. Solo posso ripetere che questi casi certamente avvengono e mi sembrano molto rimarchevoli.

Darò tuttavia un esempio curioso e complesso, il quale non si manifesta sopra un carattere importante, ma che si rinviene in parecchie specie di uno stesso genere, in parte allo stato di domesticità, in parte allo stato naturale. E ciò è, a quanto pare, un caso di riversione. L'asino porta spesso delle fasce trasversali molto marcate sulle sue gambe, simili a quelle delle gambe della zebra; si è asserito che queste fasce sono più distinte nei puledri, e per le ricerche da me fatte credo che ciò sussista. Si disse inoltre che la striscia di ciascuna spalla qualche volta sia doppia.

Questa striscia è certo molto variabile in lunghezza e direzione. È stato descritto un asino bianco, il quale però non era albino, mancante della striscia dorsale e di quelle delle spalle; e queste strisce sono talvolta poco discernibili, od anche affatto perdute, negli asini di colore oscuro. Pretende alcuno di aver osservato il koulan di Pallas con doppia striscia alla spalla. L'emione ne è privo; ma talvolta ne presenta qualche traccia, come dimostrarono Blyth ed altri naturalisti. Il colonnello Poole mi ha poi raccontato che i puledri di questa specie sono generalmente rigati alle gambe e leggermente anche sulla spalla. Il quagga, benchè abbia il suo corpo rigato come una zebra, non ha alcuna riga alle gambe; ma il dott. Gray ha disegnato un individuo fornito di righe distintissime alle gambe.

Io ho notato parecchi casi di cavalli inglesi delle razze più distinte e di qualunque colore, che presentano la striscia dorsale; così le righe trasversali alle gambe non sono rare nei cavalli stornelli e grigi: e ne abbiamo un esempio anche nel cavallo castagno; così nei cavalli grigi può trovarsi talvolta la riga sulla spalla, ed io ne vidi una traccia sopra un cavallo baio. Mio figlio esaminò accuratamente e disegnò per me un cavallo grigio belga da tiro, che aveva una doppia riga ad ogni spalla e le gambe rigate; io stesso ho veduto un pony grigio del Devonshire, e mi è stato descritto un piccolo pony brettone, ambidue dotati di tre righe parallele ad ogni spalla.

Nel paese al N. O. dell'India la razza dei cavalli Kattywar è rigata tanto generalmente, che, da quanto mi disse il colonnello Poole, incaricato dal Governo delle Indie di esaminarla, un cavallo senza righe non si considera come di razza pura. Il dorso è sempre rigato; le gambe sono generalmente listate; e la fascia della spalla, talvolta doppia e tripla, è comune; anche la parte laterale della faccia presenta qualche volta delle rigature. Le righe sono spesso più apparenti nel puledro, e talvolta scompariscono affatto nei cavalli vecchi. Il colonnello Poole ha osservato dei puledri rigati Kattywat grigi e bai. Ho anche motivo di ritenere, dietro le in formazioni avute da W. W. Edwards, che nelle razze inglesi la linea dorsale sia più comune ai puledri che ai cavalli pienamente sviluppati. Io ho allevato recentemente un puledro di una cavalla castagna (figlia di uno stallone turcomanno e di una cavalla fiamminga) e di uno stallone da corsa inglese castagno; questo puledro, all'età di una settimana, era fornito ai quarti posteriori e sul davanti della testa di numerose e assai strette fasce oscure a guisa di zebra, e possedeva tali fasce più deboli anche alle gambe; tutte quelle fasce scomparvero ben tosto interamente. Senza entrare qui in maggiori dettagli, posso assicurare che furono da me riuniti molti esempi di cavalli delle razze più differenti colle gambe e le spalle rigate, in diversi paesi dell'Inghilterra fino alla Cina orientale, e dalla Norvegia settentrionale all'Arcipelago Malese nel Sud. In tutte le parti del mondo queste rigature mi manifestano più spesso nei cavalli grigi e stornelli; ma il termine grigio include una grande gradazione di tinte, dal grigio bruno e dal nero fino al colore che più si approssima alla tinta del pastello.

Il colonnello Hamilton Smith, che ha scritto su questo argomento, ritiene che le diverse razze cavalline derivino da alcune specie originali, una delle quali, cioè il cavallo grigio-scuro, era rigata; e che tutte le particolarità sopraddette siano dovute ad antichi incrociamenti col tipo grigio. Ma questa teoria non mi appaga, e non saprei come applicarla a razze tanto diverse, some il pesante cavallo da tiro del Belgio, i pony di Bretagna, i cavalli di Norvegia, la razza agile Kattywar, ecc. che trovansi nelle parti più distanti del mondo.

Ora ci sia permesso di considerare gli effetti dell'incrociamento delle varie specie del genere cavallo. Rollin asserisce che il mulo comune, proveniente dall'asino e dal cavallo, è particolarmente segnato di righe nelle sue gambe: secondo il Gosse in certi luoghi degli Stati Uniti circa nove muli su dieci hanno le gambe rigate. Una volta io osservai un mulo siffattamente rigato nelle gambe, che sulle prime ognuno avrebbe pensato che derivasse da una zebra; e W. C. Martin, nel suo stupendo trattato del cavallo, ha dato la figura di un mulo simile. In quattro disegni colorati di ibridi fra l'asino e la zebra, ho notato che le gambe erano molto più rigate del rimanente del corpo e in uno di essi si osservavano le doppie righe alla spalla. Il famoso ibrido di lord Morton, proveniente da una cavalla castagna e da un quagga maschio, aveva sulle gambe delle fasce più pronunciate di quelle del quagga puro; e così anche la prole della medesima cavalla con uno stallone arabo nero.

Recentemente si è notato un fatto molto rimarchevole, cioè l'ibrido prodotto dall'accoppiamento dell'asino coll'emione; questo ibrido venne disegnato dal dott. Gray, il quale mi fece noto, essersi verificato un altro caso. Esso aveva le quattro gambe rigate e tre corte fasce sulle spalle, simili a quelle del cavallo grigio del Devonshire e del pony brettone; benchè l'asino abbia di rado le righe sulle gambe e l'emione non ne abbia alcuna, neppure sulle spalle, e inoltre aveva alcune righe ai lati della faccia come la zebra. Riguardo a quest'ultimo fatto, io ero tanto convinto che quelle rigature non derivavano da ciò che comunemente si dice il caso, che la sola presenza delle strisce nella faccia di quest'ibrido, prodotto dall'asino e dall'emione, mi indusse a chiedere al colonnello Poole se questi segni si incontrano nei cavalli Kattywar che sono molto rigati, e la risposta, come vedemmo, fu affermativa.

Che cosa diremo di questi fatti? Noi vediamo parecchie specie distinte del genere cavallo che divengono, per semplice variazione, rigate nelle gambe come la zebra, o sulle spalle come l'asino.

Nel cavallo noi troviamo questa forte tendenza, ogni qualvolta si presenta la tinta grigia, la quale si avvicina di più al colore generale delle altre specie del genere. La presenza delle righe non è accompagnata da alcun mutamento di forma, nè da alcun altro carattere nuovo. Noi osserviamo che questa tendenza a divenire rigati è più fortemente spiegata negli ibridi derivanti da alcune fra le specie più distinte. Abbiamo notato il caso di alcune razze di colombi: esse derivarono da un colombo turchiniccio (comprensivamente a due o tre sotto-specie o razze geografiche), dotato di certe fasce ed altre particolarità; e quando una razza assume, per mezzo di semplici variazioni, una tinta turchina, queste fasce e gli altri contrassegni ritornano invariabilmente, ma senza che si verifichi alcun cambiamento di forma o di carattere. Quando si incrociano le razze più antiche e più pure di vari colori, noi troviamo nei meticci una tendenza particolare a ricuperare quel colore, colle fasce e cogli altri segni. L'ipotesi più probabile, per render conto della riapparizione di caratteri molto antichi, consiste nella tendenza, che si manifesta nei giovani di ogni successiva generazione, di riprodurre un carattere perduto da lungo tempo; tendenza che talvolta prevale per cause ignote.

Infatti noi vedemmo che in alcune specie del genere cavallo le rigature sono più marcate, od anche si trovano più comunemente nei puledri che negli adulti. Si chiamino specie quelle razze di colombi che si moltiplicarono inalterate per secoli; questo caso non è forse esattamente parallelo a quello delle specie del genere cavallo? Quanto a me, risalendo migliaia e migliaia di generazioni, veggo in un animale rigato come la zebra, ma forse per altri rapporti di una struttura molto diversa, il comune progenitore del nostro cavallo domestico sia poi esso derivato o no da un solo o da parecchi stipiti selvaggi dell'asino, dell'emione, del quagga o della zebra.
Nell'ipotesi che ogni specie equina sia stata creata indipendentemente, io presumo debba affermarsi che ogni specie fu creata con una certa tendenza a variare, vuoi allo stato di natura, vuoi allo stato domestico, in un modo particolare; cosicchè spesso divenga rigata a guisa delle altre specie del genere; e che inoltre ciascuna specie venne creata con una forte tendenza a produrre ibridi rassomiglianti nelle loro rigature alle altre specie del genere, anzi che ai loro propri parenti, quando questi siano incrociati con altre specie abitanti in località del globo molto lontane. Mi sembra che, adottando queste idee, si sostituirebbe ad una causa reale una causa insussistente, o almeno ignota. Ciò sarebbe fare delle opere di Dio una mera derisione, un inganno; sarebbe quasi un credere cogli antichi ed ignoranti cosmogonisti che i molluschi fossili non hanno mai vissuto, ma furono creati nella roccia per imitazione di quelli che ora sono viventi sulle coste del mare.


SOMMARIO
La nostra ignoranza sulle leggi della variazione è profonda. Noi non possiamo pretendere di trovare, in un solo caso sopra cento, il motivo, per cui questa o quell'altra parte differisca più o meno dallo stesso organo dei progenitori. Ma quando anche noi abbiamo i mezzi di istituire un confronto, pare che le medesime leggi governino la produzione delle differenze esistenti fra le varietà di una specie e delle differenze più grandi esistenti fra le specie di un medesimo genere.

Alcune piccole modificazioni possono essere derivate dalle condizioni esterne della vita, come dal clima, dal nutrimento, ecc. L'abitudine poi sembra sia stata assai più efficace ne' suoi effetti col produrre differenze costituzionali, come l'uso col rinforzare gli organi e il non uso coll'indebolirli e col diminuirli. Le parti omologhe tendono a variare nella stessa maniera e contemporaneamente. Le modificazioni avvenute nelle parti dure e nelle esterne, talvolta agiscono sulle parti molli e sulle interne. Quando un organo è molto sviluppato, tende forse ad assorbire il nutrimento delle parti vicine; ed ogni parte dell'organizzazione, la quale possa risparmiarsi senza danno dell'individuo, sarà eliminata.

Le modificazioni di struttura dell'età giovanile generalmente influiranno sulle parti che si sviluppano posteriormente; esistono inoltre molte altre correlazioni di sviluppo, la natura delle quali ci è assolutamente incomprensibile. Le parti multiple sono variabili di numero e di struttura, forse perchè esse non furono strettamente destinate ad un ufficio speciale, in ogni funzione determinata; per modo che le loro mutazioni non furono impedite rigorosamente dall'elezione naturale. Egli è probabilmente per questa stessa causa che gli esseri organici inferiori nella scala naturale siano più variabili di quelli che hanno tutto il loro organismo conformato a funzioni più distinte e sono più elevati nella scala animale. Gli organi rudimentali non saranno perfezionati dall'elezione naturale, perchè inutili, e perciò sono probabilmente variabili. I caratteri specifici - cioè quei caratteri che giunsero a differire, dacchè le varie specie del medesimo genere si staccarono dal comune progenitore - sono più variabili dei caratteri generici, cioè di quelli che furono ereditati da lungo tempo e che non diversificarono durante il medesimo periodo.

Nelle osservazioni che precedono noi abbiamo inteso parlare di quelle parti speciali od organi che rimasero variabili, perchè infatti variarono recentemente e così poterono differire; ma vedemmo altresì nel secondo capo che lo stesso principio si applica all'intero individuo; perchè in quel distretto in cui trovansi molte specie di un genere - cioè, dove esse ebbero a presentare maggiori e più antiche variazioni e differenze, oppure dove la formazione di novelle forme specifiche fu operata più attivamente - in tale distretto e presso queste specie noi troveremo in media un numero maggiore di varietà. I caratteri sessuali secondari sono altamente variabili, e questi caratteri sono più differenti nelle specie appartenenti ad un medesimo gruppo.

La variabilità delle stesse parti dell'organizzazione ha generalmente favorito la produzione delle differenze sessuali secondarie nei sessi di una specie, e delle differenze specifiche nelle varie specie un genere. Ogni parte od organo sviluppato in dimensioni straordinarie od in una maniera stravagante, rispetto alla medesima parte od organo nelle specie affini, deve essere passata per una serie straordinaria di modificazioni, dopo la formazione del genere; quindi noi siamo in grado di comprendere, perchè spesso quella parte sia assai più variabile delle altre; perchè il processo di variazione è lento e lungamente continuato, e l'elezione naturale in questi casi non ebbe il tempo di vincere la tendenza alla variabilità ulteriore e alla riversione verso uno stato meno modificato.

Ma quando una specie, fornita di un organo eccezionalmente sviluppato, è divenuta madre di molti discendenti modificati (processo che, secondo le mie idee, dev'essere lentissimo e richiedere un lungo lasso di tempo), in tal caso l'elezione naturale può facilmente essere riuscita a dare un carattere fisso all'organo, per quanto anormale possa essere lo sviluppo di esso. Quelle specie che hanno ereditato una costituzione quasi identica dal loro comune progenitore e che si trovano sotto le medesime influenze tenderanno a presentare variazioni analoghe, e potranno accidentalmente ripigliare alcuni caratteri dei loro antenati. Quantunque le riversioni e le variazioni analoghe non possano dar luogo a nuove ed importanti modificazioni, queste modificazioni accresceranno tuttavia la bellezza e la varietà armonizzante della natura.
Qualunque sia la causa della prima leggera differenza tra i genitori e la prole, e una causa deve certamente esistere, può affermarsi, che solamente la continua accumulazione di queste benefiche differenze abbia prodotto le più notevoli modificazioni di struttura in relazione alle abitudini di vita di ciascuna specie.

CAPO 6 >

INIZIO OPERA e INDICE