DECIMO CAPITOLO

DECIMO CAPITOLO

La condotta dei repubblicani disgusta gli abitanti di Rio Grande. - L'eroina. - Garibaldi brucia le sue navi. - Santa Vittoria. - Anita prigioniera. - Nascita di Menotti. - Morte di Rossetti. -
Ritirata disastrosa. - Anzani. - L'addio a Rio Grande.
Per le stesse ragioni di sdegno acceso fra gli abitanti dalla condotta degli eserciti, l'avanguardia sotto il comando del colonnello Texeira dovette ritirarsi davanti agli imperiali favoriti dagli indigeni, e Garibaldi tornato alla Laguna ebbe ordine di trasportare le sue genti e i bagagli dalla sinistra alla destra riva. Difficile compito, perché, nel punto più stretto dell'imboccatura, la corrente raddoppia di violenza: ed ecco, in quel mentre, a mezzogiorno la squadra nemica farsi avanti con ventidue vele, carica di soldati , e altri soldati avanzarsi parallelamente per la via di terra.
Garibaldi affida il comando all' Anita e corre sopra un' altura per rilevare i luoghi circostanti, vede sparare la prima cannonata e scorge che sia la corrente sia l'essere il nemico padrone del punto ove si restringeva la foce gli toglievan qualsiasi probabilità di vittoria.
Ritorna al Rio Pardo dove Anita aveva già incominciato a cannoneggiare, e la manda a terra a chieder rinforzi al generale. Anita ritorna con la risposta che egli di rinforzi non ne ha e con l' ingiunzione di salvare le armi e le munizioni, e di ritirarsi con esse.
Garibaldi obbedisce e Anita fa venti viaggi avanti e indietro, ritta sulla poppa della barca, mentre il nemico non cessa mai il fuoco, e i ponti dei bastimenti sono addirittura ingombri di cadaveri e tutti i cannoni smontati.
Il comandante dell' Itaparika Juan Enrique é ucciso da una mitraglia, e così pure John Briggs, comandante della Cassapaia. Di tutti gli ufficiali, Garibaldi soltanto sopravvive, rimasto ultimo e quasi solo per incendiare i propri legni.
Sceso a terra s'accinge nella notte tenebrosa alla ritirata verso Piratinim, su quella stessa strada percorsa un mese prima dalla vittoriosa e festeggiata schiera.
Garibaldi per altro è felice di ritirarsi a cavallo conla sua eroica Anita, la carabina attraverso la sella e la sciabola al fianco. Giungono entrambi a La Torres e vi si accampano, ma per brevi ore, poiché, i montanari rimasti amici dei repubblicani essendo stati assaliti dagli imperiali, Garibaldi fu mandato in loro soccorso sotto Texeira. A Santa Vittoria completa vittoria.

Il generale Acunha, il quale aveva unita la propria divisione alla divisione Andrea, annegò nel fiume Palatas, e gran parte delle sue genti cadde prigioniera.
Questo positivo fatto d'armi conquistò alla repubblica i duo dipartimenti di Vaccaria e di Lages, ma svegliò anche l' attività dei partigiani del Brasile. Il Texeira fatalmente diviso il suo forzo. Garibaldi, secondo il suo costume, uso a dormire con un occhio solo, sente avvicinarsi il nemico, e grida allarmi nell'atto che le sentinelle collocate a guardia del fiume si danno alla fuga; il nemico lo aveva attraversato. All'aurora, in ordine di battaglia, invocò di aspettare rinforzi, invece Texeira procedette all'assalto. Ma il nemico, impossessatosi di una collina elevata e nascosti i suoi nei boschi che coprivano la vicina valle, finse una ritirata; i soldati di Texeira lo inseguono, ma sono presi di fronte o di fianco e da inseguitori si mutarono in inseguiti.
Garibaldi con dodici valorosi tenne testa, e il Texeira con quanti giunse a raggranellare gli si congiunse, e bastarono questi pochi per ricacciare il nemico e permettere ai repubblicani di mettersi al sicuro durante la notte, e nel giorno seguente di cacciarsi nella selva. La foresta salvatrice si stende dalle alluvioni del Plata a quelle delle Amazzoni. Nel centro della foresta giacciono Cima di Serra, Vaccaria e Lages, paesi a cui quelli anelavano di arrivare, e dove dopo fatiche, pericoli, fame, sete e ripetuti combattimenti con un nemico che conosceva la foresta, nella quale essi quasi si smarrirono, ma in ultimo arrivarono, unendosi a Bento Gonzales e Malacasa che qui faceva da presidente e da generale in capo dell'esercito repubblicano.
Era allora appena avvenuta la battaglia di Rio Pardo vinta da Gonzeles, e il nemico ritornato a Porto Allegro si ricomponeva sotto gli ordini del famoso generale Giorgio sulle rive del Cahe aspettando la cavalleria che condotta al galoppo dal generale Calderon veniva attraverso la campagna. Gonzales per dargli battaglia immediata levò l'assedio di Porto Allegro, si mosse alla volta di Taquari, ove già l'avevano preceduto il generale Canabarro Netto: «Netto coi suoi stupendi cavalieri, schiavi liberati dai repubblicani, scelti fra i migliori domatori di cavalli nella provincia, gente mai stata vinta, vera foresta di lance, terrore del nemico per le robuste membra, fortificato dagli aspri e faticosi esercizi, e specialmente per la loro perfetta disciplina. »
Garibaldi e i suoi, posti nel centro della fanteria, già sentono il palpito della battaglia. Egli dal punto culminante di una collina abbracciava con lo sguardo tutto il campo e le amiche e le avverse schiere. Ma il nemico gioca a mosca cieca; scompare nella notte, e il mattino riappare nelle forti posizioni di Taqueri, poi ripassa il fiume. E qui, nonostante l'ammirazione per il suo eroe Bento Gonzales, Garibaldi non può non notare quel difetto deplorabile dell'esitazione per quasi tutte le sue operazioni. Tale difetto produsse perdite spaventevoli, perché avendo egli lasciato trascorrere il momento opportuno per l'attacco, il nemico scelse il proprio e i repubblicani troppo attendisti furono costretti di abbandonare al nemico Taquari e il suo territorio e di ritirarsi a San Leopoldo e Settembrina fino all'antico accampamento di Bel a Vista.
Taquari ricordava sempre a Garibaldi una delle settimane più dolorose della sua vita, perchè qui Anita, la quale per tutto il tempo del combattimento aveva cavalcato avanti e indietro conducendo le munizioni, fu fatta prigioniera. Ma l'intrepida donna, mentre egli e i suoi andavano errando per le foreste, nella ritirata, cibandosi di radici, avutane il permesso dal nemico, lo cercò come morto fra i cadaveri. Non rinvenutolo, lo sperò ancora vivo perché raccattò il mantello che il consorte aveva gettato via per essere più libero nel combattere, meditò la fuga con l' aiuto d'una donna penetrò arditamente nell'immensa foresta che copre la cima dell'Espinasso, abitata solamente da bestie feroci e da rettili velenosi; la attraversò cavalcando uno stallone quasi selvatico, giunse al passaggio del fiume Canavas, ove i quattro soldati di guardia fuggirono spaventati all'inaspettata visione; passò a nuoto il torrente gonfio per le piogge, attaccandosi alla criniera del cavallo. Dopo otto giorni, in cui non si era cibata che di qualche frutta selvatica e di chicchi di caffé immaturi, si ricongiunse allo sposo, e la gioia di ambedue è più facilmente immaginabile che descriverla.
Il 16 settembre del 1840 essa lo rallegrò col primogenito, a cui il padre pose nome Menotti; ed egli lo amò con tanta tenerezza come forse nessun altro essere umano abbia mai amato.

Chi conosceva bene il Generale non può non avere notato come i suoi occhi gli s'illuminassero, come la sua voce diventasse carezzevole, quando gli si presentava davanti il piccolo Menotti improvvisamente.
Non é sempre vero il proverbio che "amore d'amor si paga" ma in questo caso s'avverò, perché l' amore di suo padre, Menotti lo ha contraccambiato in circostanze difficili e delicate, che avrebbero messo ad alta prova la devozione di qualunque figlio.
Per fortuna il parto ebbe luogo in una casa ospitale, cosicchè il cibo necessario non mancò; ma, come egli stesso narra, non aveva di che regalare un fazzoletto né alla madre, né al figlio; però si decise il giorno dopo ad un viaggio fino alla Settembrina per farsi prestare un po' di danaro da un amico e provvedere ai bisogni più urgenti.
I campi allagati sembravano un mare e ritardarono il ritorno: durante l'assenza, il nemico attaccò S. Simone. Anita e i marinai rimasti con essa dovettero rifugiarsi nella foresta, cosicché al ritorno il povero padre trovò la casa vuota, e la sua ansietà fu accresciuta dalle fucilate che si udivano a poca distanza. Ma per buona ventura madre e figlio erano giunti al fiume; lui raggiunse poco dopo, e insieme a cavallo si ritirarono. Tornarono allora a San Simone trasportando il campo sulla riva sinistra del Capinari.
La posizione dell'esercito repubblicano diventava sempre più precaria; la disfatta di Taquari, seguita da quella di S. José del Norte, che Garibaldi attribuiva all'irresolutezza dei capi, all'indisciplina dei soldati, aveva fiaccato la fanteria. Del resto gli abitanti dei paesi, un giorno così tanto caldi d'entusiasmo per la repubblica, essendo divenuti indifferenti ed ostili, vi era l' evidenza che fra poco la lotta doveva cessare; e siccome i capi rifiutavano le proposte degli imperiali, ciò irritava sempre più il popolo e gli stessi soldati.
Decisa la ritirata, fu stabilito che la divisione di Canabarro, alla quale apparteneva Garibaldi con i marinai, formasse l'avanguardia, per aprire il passo al grande Cerro, montagna occupata dal francese Labattue, al servizio imperiale; che Bento Gonzales seguisse, e ultima la guarnigione repubblicana di Settembrina, capitano Texeira. Ma intanto Moringue attaccò e prese la città di Settembrina, e qui morì gloriosamente Luigi Rossetti, che dopo prodigi di valore, caduto gravemente ferito da cavallo, non volle arrendersi né cedere la sua spada.
Intanto continuava la disastrosa ritirata "la più disastrosa e la più terribile - scrisse Garibaldi - della mia vita"; nel cuore dell'inverno in un paese di montagna, senza vettovaglie, provvisto solo del laccio che utilissimo nelle pianure tornava inutilissimo in quelle dense foreste, asilo di tigri e di leoni. Le piogge a dirotto ingrossarono i fiumi, la fame incrudeliva perché, mangiati i propri cavalli di scorta, null'altro cibo restava, le donne e i fanciulli morivano lungo la strada, e Anita fremeva per il suo Menotti, che il padre nei passaggi dei fiumi e nei valichi più pericolosi portava sospeso al collo, avviluppato in un fazzoletto, e lo riscaldava con il suo alito. Si aggiunga che le guide smarrivano la via; più si camminava e meno sembrava di avanzare. In ultimo Garibaldi decise di mandare avanti Anita con i due soli cavalli che rimanevano, restando indietro con due muli che sperava salvare alimentandoli con canne dette taquara.
Montando or l'uno or l'altro cavallo, Anita trovò al termine della foresta, provvidenza inaspettata, dei soldati di suo marito con un bel fuoco acceso, e Garibaldi ricordava sempre il nome del soldato Manzio, che fu il primo a soccorrere i suoi cari. Lui poi, arrivato poco dopo a piedi stanco e affranto, confortatosi con del cibo, i suoi posero piede a Vaccaria dove li aspettava Bento Gonzales con la sua divisione, già scemata d'un terzo, non avendogli il terribile Moringue conceduto un istante di respiro.
Allo stesso tempo il generale Labattue fu inseguito dai Mattos, indiani selvaggi, che pure risparmiavano i repubblicani. Dirigendosi il resto dell'esercito per la provincia delle Missioni su Cruz Alta, che ne é il capoluogo, si accampavano finalmente a San Gabriele e là fu fissato il quartier generale, ove Garibaldi fece la conoscenza di Anzani, che allora si trovava anch'egli al servizio della repubblica di Rio Grande in qualità di comandante della fanteria di Juan Antonio.
ANZANI in quel paese era adorato, e il fatto che gli diede fama vale la pena di essere narrato. Giunto a San Gabriele, città vicinissima alla foresta ove abitavano i temuti Mattos, egli dirigeva la bottega di due negozianti italiani, a cui aveva portato lettere di raccomandazione. Il capo dei Mattos era il terrore degli abitanti; a lui nulla si rifiutava, tutto gli si offriva per sottrarsi alle sue vendette. Un giorno questo capo spalancò le porte e le finestre della bottega dove Anzani stava facendo i conti della settimana, e domandò un bicchiere di "agua ardienta".
- Paga prima, e poi avrai l'agua ardienta. - L'indiano sorrise; e Anzani pacatamente l'ammonì che lo avrebbe cacciato fuori del magazzino.
L'indiano gettò giù una mezza piastra. Anzani versò un bicchiere di acquavite, e un secondo e un terzo e via via fin che venne a pari della moneta; l'indiano ne richiese ancora. - Senza denaro, niente acquavite.
I cinque o sei bicchieri di acquavite bevuti avevano però ridato il coraggio all'indiano. - Dell' agua ardienta, disse avvicinando la mano al calcio di una pistola : - dell' agua ardienta o ti uccido.
Anzani, sapendo che la cosa sarebbe finita in quel modo, stava pronto all'assalto. Era un uomo di cinque piedi e nove pollici, di una forza prodigiosa e di ammirabile destrezza. Appoggiò la mano sullo scrittoio per farne una leva al corpo, e balzò improvviso dall'altra parte e si lasciò cadere di peso sul malcapitato indiano afferrandogli conb la mano sinistra il pugno destro.
Non avendo potuto resistere all'urto, l'indiano cadde a rovescio sul pavimento. Anzani gli fu sopra e gli mise un ginocchio sul petto. Allora, tenendogli sempre con la sinistra la mano destra in modo da renderla inoffensiva, con l'altra gli levò dalla cintura i pugnali che scagliò per il magazzino: poi gli strappò la pistola, e presala per la canna, a colpi di calcio gli pestò ben bene la mutria; e quando gli parve che l'indiano ne avesse avuto abbastanza di quel carpiccio, lo rialzò, e cacciatolo a suon di calci verso la porta, lo sospinse sino al rigagnolo della strada in mezzo al quale lo lasciò.
Questo fu l'uomo che a prima vista si guadagnò tutta la stima di Garibaldi, e che ebbe sopra di lui un'autorità che nessuno dopo ha mai avuta. Anzani, in quel momento, stanco della guerra guerreggiata dai così detti repubblicani di Rio Grande, avvedutosi che null'altro rimaneva da fare per la causa della repubblica, risolse di abbandonare San Gabriele e andarsene a Salto, città della repubblica orientale dell'Uruguay.
Garibaldi, già impensierito per la sua piccola famiglia, privo da sei anni di notizie dei parenti, nauseato di più ancora di Anzani, del modo con cui era stata condotta la guerra, decise anche lui di domandare la sue dimissione e il permesso al presidente di radunare una mandria di buoi per le spese di viaggio e la residenza della sua famiglia a Montevideo, ove aveva stabilito di ritornare.
Quei sei anni di incessante guerreggiare ora per terra ora per mare avevano perfezionato in Garibaldi tutte le qualità del soldato. Contemporaneamente, era venuto a mano a mano anche abituandosi al comando sulle navi e in campo, a vincere i molti con i pochi, e a far cessare, cosa insperabile, fra i suoi uomini l'insubordinazione e l'ammutinamento.
E già si avvicinava rapidamente l'occasione nella quale tutte queste sue qualità si sarebbero spiegate a modo di ventaglio.

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