QUARANTASEIESIMO CAPITOLO

CAPITOLO QUARANTASEIESIMO
FERMATE GARIBALDI !!
Primo pensiero di Garibaldi, giunto al Palazzo d'Angri. - Sospetti di Cavour. - Capua e Gaeta occupate dal Borbone. - Progetti e proclami di Garibaldi. - Depretis prodittatore. - Il governo sardo decide l'occupazione delle Marche e dell' Umbria. - Disastro di Caiazzo. - Disposizioni di Garibaldi per la gran battaglia del Volturno.
UNA SERIE DI (SINGOLARI) DOCUMENTI DI CAVOUR ("fermare Garibaldi"!!)


A Napoli, il primissimo pensiero di Garibaldi, appena giunto al Palazzo d' Angri, fu di dettare il seguente decreto:

Napoli, 7 settembre 1860.
Il Dittatore decreta.
Tutti i bastimenti da guerra e mercantili appartenenti allo Stato delle due Sicilie, arsenali e materiali di marina, sono aggregati alla squadra del Re d'Italia Vittorio Emanuele comandata dell'ammiraglio Persano.
Firmato: G. GARIBALDI.

Poi rimise in attività di servizio gli ufficiali napoletani di marina dimissionari, decretando:
"Il capitano di vascello Vacca, il capitano di vascello Barone, il capitano di fregata Vittagliano, sono confermati nel loro grado; così pure tutti gli ufficiali di marina che diedero le loro dimissioni per servire la causa italiana.
G. GARIBALDI.

Quanto carbone ardente sulla testa di Cavour! che aveva cercato di ghermirgli la flotta borbonica!
Abbiamo già espresso l'opinione nel precedente capitolo, non aver del tutto nuociuto all'Italia le diverse vie seguite dai suoi grandi nel prepararne la redenzione.
Ma una volta in cammino l'opposizione accanita alla liberazione intera della patria di chi stava alla testa del Piemonte fu molto dannosa, e le conseguenze durano tuttora. Chiarissima si manifestava l' opposizione di Napoleone all'unità della penisola, alla creazione di una forte monarchia al di qua' delle Alpi.

Ma se l'idea della liberazione d'Italia con mani italiane fosse sorrisa a Cavour, vi si sarebbe egli adoperato con ogni sua possibilità o avrebbe lasciato fare?
Se non che La Farina, ritornato dalla Sicilia saturo d'odio contro Garibaldi, veniva stillando il suo pessimo umore nelle vene di Cavour, persuadendolo che Garibaldi non aveva neppur la vaga intenzione di annettere l'isola al Piemonte, anzi (lui insistentemente insinuava) che in quella vece meditava la conquista del Regno per salire alla dittatura della repubblica, e che a far ciò già correvano sue intelligenze con Mazzini, con Bertani e con altri repubblicani principali che gli vivevano a fianco.

Impossibile a Cavour di navigare apertamente contr' acqua, perché la gioventù si mostrava più che mai intollerante di indugi e gli uomini più influenti popolavano i Comitati di provvedimento in ogni città.
Tutti i partiti fusi in uno volevano liberata l' Italia dallo straniero, e la sua unità simboleggiata in Vittorio Emanuele. Non esiste parola o scrittura, neppur di lettera privata, o fatto che accenni a repubblica, o a qualsivoglia cosa che non fosso l'unità.

Basta citare proprio la lettera di Mazzini a Crispi, dove, dopo aver accennato alle difficoltà diplomatiche in cui si troverebbe il Governo Sardo, suggerisce non si debba annettere l'isola prima che non sia espulso il Borbone, e finisce:
"però, se i separatisti si dimenano, "precipitate" le annessioni".

Ma o Cavour non credeva nell'unità, oppure non gli garbava che l'uomo, che egli aveva onorato alla patria, e che a fronte scoperta lo osteggiava, dovesse essere l'artefice di una corona ben altrimenti gloriosa che quella di ferro, per cingerne il capo a Vittorio Emanuele.
Comunque sia, é certo che lui tentò di gettare Pelio, Olimpo ed Ossa fra Garibaldi e la sua meta. Si procacciò d'indurre Napoleone alla ripresa della guerra contro l'Austria, essendo fallite le pratiche di un'alleanza fra il Piemonte e il Borbone; poi si provò (seminando fomentatori) d'indurre i napoletani ad insorgere in nome di Vittorio Emanuele prima ancora dell'arrivo di Garibaldi; e infine di mettere bastoni nelle ruote alle spedizioni preparate e organizzate dal Bertani

Liborio Romano fecero di tutto per scatenare la pretestuosa insurrezione su Napoli contro Francesco II. Ma fu un clamoroso fallimento. I napoletani non si mossero contro Francesco II, rimasero indifferenti anche quando le navi dell'ammiraglio Persano entrarono minacciose nella rada con i bersaglieri a bordo.
Quando lo seppe da Villamarina che nessuno si muoveva,  Cavour  era infuriato, gli telegrafò "....il contegno dei Napoletani è disgustante".
(I napoletani criticavano i Borboni, ma di fargli la guerra non se la sentivano proprio)

(da Cronologia - Riassunto anno 1860)
((( Quando Cavour iniziò a concepire il suo ingegnoso progetto, non lo fece certo per l'unificazione immediata, né si lasciò conquistare dagli straordinari successi di Garibaldi; per lui l'unificazione era sempre stata una "eresia" mazziniana o una repubblicana "corbelleria" del veneto Manin.
Ma ora non c'era tempo da perdere, il successo di Garibaldi rischiava di renderlo popolare a milioni di italiani, di togliere prestigio al re che se "andava bene" avrebbe brillato solo di luce riflessa; e c'era sempre il costante pericolo di vedere l'Italia trasformata in una Repubblica; e riunire -come andava dicendo Garibaldi gli italiani in un'assemblea costituente non quell'Italia che intendeva Cavour.
L'idea quindi era quella di entrare con un piccolo corpo di truppe nello Stato Pontificio, spiegando alla Francia e al resto d'Europa, di voler salvare il papa dalla rivoluzione, e che solo questo avrebbe potuto fermare Garibaldi, che già da Napoli minacciava di marciare su Roma. Non c'erano altre prospettive, se non quella della guerra civile che avrebbe scatenato))).


(*) Lo stesso Nicomede Bianchi nella sua "Storia documentata della diplomazia europeo in Italia", fornisce, nel vol. VIII, le prove di quanto affermiamo. Una nota alla fine del presente capitolo ci forniscono un estratto di quei documenti.

Il secondo difficile compito di Garibaldi era quello di espugnare le fortezze di Capua e di Gaeta tenute dal Re borbonico con 70.000 soldati, piuttosto coraggiosi e fedeli e non come quelli trovati lungo la strada da Reggio a Napoli. Faceva pertanto progetti di concentrare tutto il proprio esercito sulla sinistra del Volturno.
Egli era ben lontano dall'abbandonare l'idea di andare a Roma, ma agli impazienti che gli rimproveravano il ritardo additava i 70 mila borbonici.
Dunque chiamò a sé tutte le sue genti sparse fra Palermo e Messina, nominò Bertani segretario generale, Sirtori prodittatore di Napoli, e pubblicò il seguente proclama ai soldati:

« ITALIA E VITTORIO EMANUELE
Il dittatore delle due Sicilie ai Militi Volontari.

Quando l'idea della patria in Italia era la dote di pochi, si, cospirava. Ora si combatte e si vince. I patrioti sono abbastanza numerosi per formare degli eserciti, e dare ai nemici battaglia. Ma la vittoria nostra non fu intera. L'Italia non é ancora libera tutta, e noi siamo ben lungi dalle Alpi, meta nostra gloriosa. I più preziosi frutti di questi primi successi sono di potere armarci e procedere. Io vi trovai pronti a seguirmi, ed ora vi chiamo tutti a me. Affrettatevi alla generale rassegna di quell'esercito, che deve essere la nazione armata per far libera ed una l' Italia, piaccia o no ai prepotenti della terra.
Raccoglietevi nelle piazze delle vostre città, ordinandovi con quel popolare. istinto di guerra che basta a farvi assalire uniti il nemico.
I capi dei corpi così formati avvertiranno anticipatamente del loro arrivo in Napoli il direttore del Ministero della guerra, perché appronti l'occorrente.
Per quei corpi che più convenientemente potrebbero venir qui per via mare, saranno date opportune disposizioni.
" Italiani! il momento é supremo. Già i fratelli nostri combattono lo straniero nel cuore d'Italia. Andiamo ad incontrarli in Roma per marciare di là insieme alle venete terre.
Tutto ciò che é dover nostro, e nostro diritto, potremo fare se forti.
Armi dunque, ed armati. Generosi cuori, ferro e libertà.
Napoli, 10 settembre 1860.
Il Dittatore, G. GARIBALDI.

Un altro proclama poi emanò alle popolazioni:

"Figlio del popolo, è con pari rispetto ed affetto che mi presento dinanzi a questo nobile ed imponente centro di popolazione italiana, cui secoli di dispotismo non hanno potuto umiliare né ridurre e piegare il ginocchio avanti la tirannia. Il primo bisogno d'Italia era la concordia per realizzare l' unità della grande famiglia italiana: oggi la Provvidenza, ci da questa concordia, giacché tutte le province sono unanimi, e lavorano con magnanimo slancio alla ricostruzione nazionale.
Quanto all' unità, la Provvidenza ci ha pure dato Vittorio Emanuele, modello di sovrano, il quale inculcherà ai suoi discendenti i doveri che dovranno adempiere per la felicità di un popolo che lo ha scelto per capo, con ossequio entusiastico. I preti italiani, che hanno la coscienza della loro missione, hanno per garanzia del rispetto col quale saranno trattati, lo slancio, il patriottismo, l'attitudine veramente cristiana dei loro confratelli, i quali dai degni monaci della Gancia fino ai generosi preti del continente napoletano noi abbiamo veduti alla testa dei nostri soldati, sfidare i più grandi pericoli della battaglia. Io lo ripeto, la concordia é il più grande bisogno d'Italia. Noi dunque accoglieremo come fratelli coloro che non pensarono come noi in altri tempi e che vorranno oggi sinceramente portare la loro pietra all'edifizio patrio; infine noi rispettiamo la casa altrui, ma vogliamo esser padroni in casa nostra, piaccia o non piaccia ai dominatori della terra.
G. GARIBALDI.

Questi fatti impensierivano sempre più il Conte di Cavour, il quale il giorno stesso, 10 settembre, scriveva a Farini dopo avere preso gli ordini del Re:
"Se noi non siamo alla Cattolica prima di Garibaldi, noi siamo perduti: la rivoluzione invade l' Italia Centrale. Noi siamo costretti ad agire!."

E più tardi, nella sua circolare, Thouvenel scriveva:

" Il signor Farini ha esposto all'imperatore a Chambery la posizione molto imbarazzante e pericolosa, in cui il trionfo della rivoluzione, personificata in Garibaldi, minacciava di porre il governo di S. M. Sarda.
Garibaldi stava per proseguire liberamente il suo cammino attraverso gli Stati Romani, sollevando le popolazioni, e varcato questo confine diventava affatto impossibile l'impedire un attacco contro Venezia. Al gabinetto di Torino non rimaneva più che un mezzo, col quale potere scongiurare tale eventualità: ed era di entrare nelle Marche e nell' Umbria, appena l'arrivo di Garibaldi vi avesse suscitato dei torbidi, e ristabilirvi l' ordine, senza toccare l'autorità del papa, dare, se bisognava, una battaglia alla rivoluzione sul territorio napoletano e chiedere immediatamente ad un Congresso la cura di ristabilire le sorti d'Italia. "

Cio spiega l' affrettata spedizione delle Marche.
((( NOTA - 18 SETTEMBRE - Le truppe piemontesi superato il confine papalino, hanno ingaggiato una battaglia a Castelfidardo (AN), sbaragliando l'esercito papale. Un governatore sabaudo assume il potere sulle Marche e sull'Umbria, mentre le truppe marciano su Ancona che resiste per alcuni giorni all'assedio. - Caduta Ancona il 29 settembre, re Vittorio Emanuele monta a cavallo e lascia Torino per assumere il comando dell'armata che dovrà marciare su Napoli.
11-21 OTTOBRE - Mentre nel centro Italia e a Napoli Piemontesi e Garibaldini combattono, Cavour a Torino fa approvare dal Parlamento le annessioni "incondizionate" dei territori conquistati nell'Italia centrale e meridionale. Incondizionate significa che i nuovi territori devono accettare -con l'annessione- gli ordinamenti amministrativi e istituzionali del regno piemontese sabaudo.
27 OTTOBRE - Garibaldi e il Re hanno lo storico incontro a Teano. Il re riceve in consegna i poteri sui nuovi territori, e contemporaneamente sono sciolte le forze garibaldine. )))


Il Conte di Cavour non poteva tollerare, senza l'evidente rovina della istituzione monarchicaa, che la liberatrice d'Italia fosse la democrazia armata.
Eppure Garibaldi aveva promulgato lo Statuto Sardo a Palermo il 3 agosto, il 24 a Reggio, e nelle prime liste dei suoi ministri, e anche de' suoi ambasciatori, concedeva la preferenza al partito moderato. Liborio Romano, già ministro di Francesco II, all'interno, Cosenz alla guerra, Pisanelli alla giustizia, Scialoja alle finanze, Cecconi all'istruzione pubblica, D'Afflitto ai lavori pubblici.
A Torino mandava ambasciatore il Leopardi, a Parigi il marchese di Bella, a sindaco di Napoli nominava il Colonna, poi per tutto il Regno di Napoli promulgò lo Statuto sardo.

Ma nulla bastava a calmare le apprensioni del governo di Torino. Invece di lasciar libero Garibaldi per condurre a termine la cacciata del Borbone, gli agenti di Cavour gli provocavano difficoltà di ogni genere, tanto nell'isola come nel continente, cosicché il nizzardo invece di potere concentrare il suo pensiero e la sua energia sulle fortezze ancora da espugnare, fu costretto a correre a Palermo, per calmare le lotte fra i partiti annessionisti.

Il Depretis (*), prodittatore, con vera politica volpina eseguiva la volontà di Cavour, cospirando contro Garibaldi per mezzo dei suoi agenti sul continente e nell'isola stessa, aiutato potentemente da quel tal Cordova nominato Procuratore generale presso la Gran Corte dei Conti, e da Bottero collaboratore della "Gazzetta del Popolo" di Torino, che però, a dire il vero, rifiutò tutti gli onori che gli voleva prodigare Cavour per i prestati servizi.

Più tardi Cavour inviò il famoso Piola (costui nominato al più alto comando della flotta borbonica non cercava altro che di screditare Garibaldi), Persano a Napoli, per concertare una "bella sorpresa" (un "bel colpo") sul vascello borbonico "Monarca", ormeggiato lungo la banchina di Castellamare (*).

(*) La complicità di Depretis è provata dalla seguente lettera all'ammiraglio Persano
" 11 agosto 1860.
Pregiatissimo ammiraglio,
Uso con vero piacere della facoltà accordatami di scriverle come si usa fra amici.
Sono però senza forza. I carabinieri e gli aiuti che ho chiesti al governo non sono giunti. Il solo pericolo per me consiste nel ritardo che il governo frappone ad esaudire le mie domande. Scriva dunque anche lei, o faccia scrivere dall'egregio Villamarina una parola a Torino di sollecitazione, che appoggi vivamente le mie istanze.
Piola è pronto per fare il colpo. Lunedì, alle 11 di sera, sarà a Castellamare per agire. Veda di assicurare l'operazione con la sua presenza.
Si è discusso se non sarebbe meglio tentare un colpo di mano a Napoli stesso. Le difficoltà sono maggiori, quindi si adottò la prima idea di agire a Castellamare. Se ella però credesse diversamente, se credesse cioè che agire a Napoli sia meglio, bisognerebbe procurare dì avvisare Piola in qualche modo. Se non è sicuro che Piola abbia ricevuto avviso in contrario, ritenga che lunedì sera alle 11 lui farà il colpo a Castellamare. Mi conservi la sua benevolenza e mi creda
Suo devotissimo DEPRETIS.
(Dall'Archivio Bertani).

Piola fallisce il colpo e torna con le pive nel sacco per continuare le sue cospirazioni sull'isola stessa.
Depretis, quando andò a Milazzo per concertarsi con Garibaldi, a lui non disse nulla sulle annessioni; ma poi prese a tempestare i municipi affinché mandassero petizioni in favore dell'immediata annessione. Di questi intrighi il Crispi lealmente avvertiva il Generale:

"Depretis - egli scrive - é venuto in Sicilia per continuare l'opera di La Farina, fingendosi vostro amico e a voi devoto, si é cinto di uomini completamente a voi ostili. Qui già da 15 giorni si fanno correre in tutta la Sicilia lettere chiedenti ai Consigli civici, che si riuniscano per far votare un indirizzo in cui si chieda l'annessione immediata; petizioni si fanno girare a Palermo per lo stesso oggetto, anch' esse imposte come desiderio del nuovo capo dello Stato. Complici e fautori dell' agitazione fittizia sono Cordova e i suoi parenti ed un certo Bottero, mandato espressamente da Cavour. Ho di tutto ciò documenti, che sono pronto a mettere sotto i vostri sguardi. Non è vero che il paese voglia l'annessione immediata, i Consigli civici o subiscono la pressione dei vostri nemici, o hanno deliberato tutt'altro.
Così, il Consiglio civico di Partinico, che temendo di fare cosa a voi ingrata e, ignorando la vostra opinione, si é rifiutato a deliberare. Quello di Piazza si é pronunciato per l'unità nazionale e per l'esecuzione pura e semplice di ciò che voi state per ordinare. Su Palermo dove il lavoro é stato maggiore, gira insieme alla petizione annessionista un'altra chiedente al Prodittatore che sia fatta la volontà vostra.

La Sicilia dipende dai vostri cenni; se Depretis, Cordova, Bottero e i loro coadiutori non avessero agitato il paese, nessuno in Sicilia si sarebbe occupato dell'annessione immediata. Indipendente da tutto quello, ecco ciò che penso sull'annessione
L'annessione dev'esser fatta, ma non quando lo esige Cavour e perché lo esige Cavour. L'annessione dev'esser fatta, quando il successo sarà sicuro, e con gli uomini e nei modi che possono assicurarci questo successo. Dev'esser fatta incondizionata, isolatamente dalla Sicilia per lasciarle gli onori di un voto imponente, per evitare ogni gara municipale con Napoli, che sventuratamente é solo sopita, ma non affatto spenta."

Queste e le altre lettere di Crispi di quei giorni dimostrano il senno dell'uomo di Stato, il cuore del patriota, mentre tutte le manovre insidiose di Depretis e consoci erano fatte nel solo interesse del Piemonte e della dinastia.
Appena saputo delle vittorie della Calabria, Depretis fece di tutto per strappare a Garibaldi il desiderato permesso. Una volta scrisse a Garibaldi, che tutti i segretari di Stato erano d'accordo, mentre Crispi con la stessa posta dimostrava il contrario. Finalmente mandò il suo fido Piola per avere il sospirato sì; e sarebbe riuscito senza l'occhio vigile di Bertani, che così narra l'accaduto:
(da "Ire politiche d'oltre, tomba", raccolte da Agostino Bertani.)

"Ho ancora davanti agli occhi quella stanzuccia e il posto occupato dalle cinque persone, che ebbero parte nella scena interessante che descrivo.
Appena al di là del piccolo uscio a destra stava seduto Garibaldi su di una rustica sedia; al suo fianco destro Turr; alla estremità sinistra della camera, in piedi, appoggiato ad un letto stava Cosenz. Dirimpetto a Garibaldi, seduto ad un tavolo, con la penna alla mano e sospesa, come chi aspetta la dettatura, Basso. Al suo fianco e proprio in faccia a Garibaldi, in piedi era Piola.
Il discorso durava da pochi minuti, quando io entrai con qualche sorpresa dei presenti. Garibaldi, sempre sereno e credendo di far atto di compiacenza, disse forte.

" - Basso, scrivete, e dettò : - Caro Depretis, "fate l'annessione quando volete". La gran parola era lanciata.
Forse io feci allora un movimento involontario di sorpresa, giacché mi sentii montare rapido e bollente il sangue alla testa; e gli occhi di tutti i presenti si rivolsero rapidi su di me. Compresi l'importanza del momento.
Garibaldi stesso, quasi istintivamente, sospese di dettare e mi fissò con quello sguardo suo penetrante, che rammenta e nello stesso tempo interroga.
Io mi ricomposi subito, mostrando una minore sorpresa e una minore commozione, ma dissi con calma a Garibaldi, che fissai io pure negli occhi

"Generale, voi abdicate".
Ed egli: "Come mai?..
"Voi, - proseguii - tagliate i nervi alla rivoluzione italiana, rinunciate al compimento del vostro programma. La Sicilia é una gran forza per voi, e oggi tanto maggiore, che non siete ancora a Napoli".
Garibaldi mi guardava sempre sospeso, come Basso, con la penna in mano.
Capì al volo e soggiunse:

"Mi dicono questi amici - additando Türr e Cosenz e Piola - che così vuole la Sicilia, che
là mancano i denari, che dall'isola non vengono sufficienti volontari, né addestrati alle armi che avremo altri e più efficaci soccorsi dal governo di Torino".
Turr principalmente ma così anche gli altri facevano col capo segni di assenso.
"Io - replicai - I vostri picciotti (militi siciliani) vi seguirono fiduciosi in ogni impresa nell'isola e non vi abbandoneranno mai, dovunque andiate combattendo per la libertà della patria.
La Sicilia sostenne le spese della guerra finora con i soli denari siciliani. Nelle casse di Messina stanno a vostra disposizione ora che parliamo centinaia di migliaia di piastre. Lasciai tre giorni or sono sulla via di Cosenza l'intendente generale Acerbi che conduceva con se parecchi pacchi di denari. Ci inoltriamo in province ricche, in rivolta, in entusiasmo per i vostri successi, e voi temete di rimanere sprovveduto di denari e di armati? Cercate altrove o generale, e ben lontano di qui, i motivi per i quali vi si vuole strappar di mano la Sicilia".

II generale si capacitò rapidamente della evidenza delle mie ragioni; oppose qualche parola alle insistenze di Turr; proferì dei nomi che allora gli apparvero quali suoi inconciliabili avversari; e scosso il capo, gridò a me:
"Avete ragione - e rivoltosi a Basso, che stava sempre colla penna sospesa, soggiunse: - Basso, stracciate la lettera.
E poi con calma riprese a dettare:
" Caro Depretis, per l'annessione mi pare che Bonaparte possa ancora aspettare alq
uanti giorni. Sbarazzatevi intanto di mezza dozzina di inquieti e cominciate dai due C." (ovviamente i due erano Cavour e Cordova).
E la scena finì e Garibaldi si levò.

L' ambasciatore di Depretis e il suo patrocinatore ungherese uscendo dalla stanza e passandomi accanto non mi guardarono per nulla soddisfatti né benigni.
Io rimasi per poco solo nella cameretta con Garibaldi. Avevo compiuto ciò che io credetti solo "mio dovere".

Ma poi non ancora pago, il Depretis tornò alla carica appena seppe che Garibaldi era entrato a Napoli, minacciando le dimissioni sue e di tutti i ministri. Non dandosene per inteso, il Generale gli rispose subito in data del nove:

"Napoli, 9 settembre 1860.
Caro Depretis,
Non accetto la dimissione che mi avete offerto. Non è in questo momento, che io posso dispensare dal loro ufficio i buoni cittadini, che mi aiutano nella grande opera dell'unità nazionale.
Continuate colla riforma delle leggi a predisporre l'unità della patria comune. Procurate di conciliare gli amici nel sentimento nazionale, nell'amore dell'Italia, nella devozione al Re. Io sono sicuro che il popolo siciliano vi aiuterà con il suo concorso e renderà più facile il compito vostro, e confido che Iddio benedirà al vostro governo illuminato e liberale come ha benedetto alle armi italiane. Vostro sempre G. GARIBALDI.


Insistendo Depretis le sue dimissioni, Garibaldi nominò Salvatore Calvino prodittatore in vece sua, e non accettando questo, prese con se Alberto Mario e volò a Palermo, ove fu accolto con frenesia, e dove il popolo a cui egli disse di volere l'unità d'Italia sotto Vittorio Emanuele, ma che per ottenere questa bisognava liberarla dagli oppressori di casa e di fuori; e quelli risposero in coro: "Vogliamo quel che Garibaldi vuole."

Prima di partire da Napoli aveva appena schierato sotto Capua meno della metà dei suoi ventiquattro mila uomini davanti ai 70 mila borbonici dislocati fra Gaeta e il Volturno, lasciando ordini di gettarsi sulle linee di comunicazione del nemico, ma non di prendervi posizione fissa, con un fiume, come il Volturno, alle spalle.
Ma Turr, come aveva fatto a Tre Ponti, tutto compromise colla sua abituale imprudenza, assalendo il nemico fra S. Maria e Capua. Senza aspettare la divisione Medici, mandò il solo battaglione di Cattabene ad impadronirsi di Caiazzo sulla destra del flume. La mattina dopo un reggimento di Medici lo raggiunse, in tutto mille uomini. Il 21, cinquemila borbonici usciti da Capua li attaccarono e più della metà dei garibaldini caddero morti, o feriti o prigionieri, o perirono annegati nel fiume.

Garibaldi si sbrigò in fretta a Palermo; nominò Mordini prodittatore e in un proclama avvertì i Siciliani che differiva l'annessione solamente per completare l'unità d'Italia. Visitò il suo prediletto Istituto militare e ordinò ad Alberto Mario, che sempre lo accompagnava, di condurre con se' a Napoli il primo battaglione che già volteggiava come se fosse composto di veterani.

Ritornato a Napoli, seppe che i piemontesi si preparavano ad entrare nell'Umbria e nelle Marche; il che non gli spiacque, onde il Villamarina scriveva a Cavour: "il Dittatore manifestò gioia schiettissima".
E' chiaro che egli non aveva mai abbandonata l'idea di agire insieme con l'esercito sardo nel territorio pontificio. Infatti nelle sue istruzioni all'ufficiale, che doveva comandare i distaccamenti alla retroguardia del nemico, stava scritto: "Se potete spingere alcuni dei vostri distaccamenti alla frontiera e sul territorio pontificio e spingere pure le popolazioni pontificie a scuotere il giogo, farete bene a farlo."

Mai a lui gli venne in mente di scorgere nell'iniziativa piemontese una ostilità che era rivolta proprio contro di lui.

Avuta al ritorno da Palermo la notizia del disastro di Caiazzo e delle grave perdite patite (nomineremo fra i morti il barone Norasi Cozzo e il principe Niscemi, tutti e due siciliani, che, come semplici soldati, combattevano con i carabiniere genovesi), andò subito a Scafa de Formicola, poi a S.Angelo, a S. Maria di Capua, e fu seriamente turbato per l'imprudenza commessa dal Turr, la quale era documento d'incapacità militare. Più tardi scrisse:
"L'impresa infelice imbaldanzì il nemico, tolse l' animo alla parte nostra, ci obbligò dalI' offensiva passare alla difensiva, e fu per i borbonici un fortunato preludio della gran battaglia meditata, che sarebbe stata differita senza dubbio, e che per ciò ebbe luogo e pochi giorni dopo, il 1° e 2.° ottobre."

E per la verità, conformemente alle sue previsioni, i regi si accingevano alla battaglia per più di una ragione: l'incoraggiamento dei soldati ricevuta dal piccolo successo di Caiazzo: l'avanzarsi dei piemontesi verso la frontiera napoletana, donde l'evidente necessità di sgominare i garibaldini prima del loro arrivo: la rioccupazione di Napoli per togliere ai piemontese la scusa di passare la frontiera !

Il giorno 27 settembre, Garibaldi indicava le operazione da farsi col seguente ordine del giorno:

" Il posto principale di difesa delle nostre posizioni è Maddaloni. Caserta sarà occupata seriamente, poi S. Maria, S. Angelo, Belvedere ossia S. Leucio, Aversa, Marcianise, Curti, Casapulla, Casanova, S. Prisco, ed alcuni altri villaggi che si trovano tra Caserta e Maddaloni. Devono essere custodite con vigilanza tutte le strade che escono da Capua e si dirigono verso i nostri posti, come pure le strade che vengono a Maddaloni dalla parte di Amoroti, Limatola, ecc. Tutti i posti forti, come Maddaloni, Caserta, S. Maria, ecc., devono avere alcune opere volanti di fortificazioni od almeno barricate. In caso di un attacco serio del nemico, il punto di riunione di tutti i posti grandi e piccoli sarà Maddaloni.
Il generale Medici avrà il quartiere generale a Caserta, il generale Milbitz a S. Maria il generale Sacchi a Belvedere. Entrambi questi due generali riferiranno le loro comunicazioni al generale Medici a Caserta che dovrà riferirne al quartier generale principale. In caso di un attacco serio, i posti avanzati, come già si é detto, piegheranno tutti, se è necessario, su Maddaloni; però nessuno, a qualunque costo, ripiegherà prima che il suo anteposto si sia ritirato ed abbia avuto il tempo di prendere posizione indietro. Il posto di Aversa, nello stesso caso, dopo avere ripiegato i suoi avamposti, farà pure possibilmente la sua ritirata verso Maddaloni, oppure per Caivano ed Acerra verso il punto suddetto.
Poche sono le raccomandazioni che io devo fare ai soldati di Calatafimi e di Varese, però io ripeterò per l' ultima volta che chi tira da lontano e di notte, é un codardo, e che spero non si scorderanno le fatali baionette dei Cacciatori delle Alpi.
Ripeterò pure agli ufficiali il sacro dovere di tutti, di stare con i nostri militi, e considerarli come propria famiglia, in tutte le circostanze. a
GIUSEPPE GARIBALDI ".

Il 27 fissava il suo quartier generale a Caserta passando tutto il giorno nella ispezione delle Posizioni, raccomandando ai propri soldati soprattutto l' uso della baionetta in masse compatte e unite, e la cautela di non guerreggiare alla spicciolata, come troppo spesso essi facevano.
Il suo posto favorito d'osservazione era in cima del monte di S. Angelo, ove chi aveva bisogno di un colloquio con lui doveva affrontare un saluto di palle che il nemico dalla destra del Volturno, fedelmente mandava. Lassù lo visitava Cattaneo, e quando il generale era occupato con altri o silenzioso, quello con la stessa calma che gli era familiare al tempo di Castagnola, scriveva i suoi articoli per il Politecnico; e proprio a questo tempo risale la composizione del suo Ugo Foscolo e l'Italia.

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NOTE:

Ecco un sunto dei documenti a cui si accenna sopra e che togliamo dalla "Storia documentata della diplomazia europea in Italia", del signor Nicomede Bianchi, Vol. VIII.

Mentre Cavour scriveva all'ammiraglio Persano di porgere a Garibaldi le sue sincere e calde congratulazioni, dopo sì splendida vittoria (quella di Milazzo), soggiungendo: "non vedo come gli si potrebbe impedire di passare sul continente", in ben altro senso scrisse a Villamarina lo stesso giorno, 24 luglio:
"È grandemente desiderabile che la liberazione di Napoli non succeda per opera di Garibaldi; giacché, ove ciò avvenga, il sistema rivoluzionario prenderà il posto tenuto dal partito costituzionale monarchico. Se il dittatore giunge vittorioso nella capitale del regno, vi impianterà la rivoluzione, l'anarchia, e ciò farà un pessimo effetto in Europa. Si aggiunga il suo pazzo disegno di andare a Roma, a dispetto e contro la Francia.
Ciò sarebbe la completa rovina della causa italiana. È quindi è necessario, che su Napoli abbia luogo un movimento nazionale, prima che Garibaldi vi giunga. Il tentativo é pericoloso; ma è necessario impedire che la rivoluzione non trabocchi anche su Napoli "
(pag. 333)

Quanto più i temuti pericoli si approssimavano, tanto più Cavour s'infervorava nel partito d'impedire che a Napoli Garibaldi potesse imperiosamente fare tutto ciò che gli piacesse. Pertanto rinnovava istruzioni e sollecitazioni affinché la rivoluzione scoppiasse prima dell'arrivo di Garibaldi. "Villamarina e Persano facessero ogni loro possibile, scriveva, per evitare a Napoli la dittatura del Generale, che se era indomito in guerra, era altrettanto inabile alle faccende amministrative e si trascinava dietro l' anarchia civile.
Se la dittatura venisse offerta a Villamarina, l'accettasse; capiva bene che era un errore diplomatico, ma in tanta ressa di casi bisognava tarpare le ali alla rivoluzione, anziché pensare alla diplomazia.
"Se si presentasse certo il pericolo di vedere il Governo cadere in mani perfide o inette, Persano assumesse la suprema autorità della cosa pubblica. In caso estremo si costituisse un Governo provvisorio, con a capo il principe di Siracusa. Che ove il re o il corpo diplomatico desiderassero di sottrarre Napoli all' occupazione di Garibaldi, si accettasse di occupare i luoghi più muniti della città con i soldati che erano nelle navi ancorate nel porto. Ma in tal frangente si procedesse con le maggiori cautele, per non provocare l'intervento della flotta francese e inglese.
"Se la rivoluzione non si compie - concludeva il conte - prima dell'arrivo di Garibaldi, saremo in condizioni gravissime Ma perciò non ci turberemo punto. L' ammiraglio Persano s'impadronirà, potendolo, dei castelli e del porto, riunirà alla sua flotta quella napoletana, e farà che essa presti subito giuramento di fedeltà al re e allo Statuto. Poi vedremo".

"Ove si presentassero casi imprevisti, Villamarina e Persano agissero per il meglio, onde raggiungere il grande fine di fare l' Italia, senza lasciarsi sopraffare dalla rivoluzione". (pag. 335.)

Questo panegirista di Cavour (Nicomede Bianchi) non trova altri mezzi di giustificare il suo eroe se non con le seguenti frasi:
"Per Cavour, il primario autore dell' unità nazionale, era il Piemonte, nel cui grembo i vari Stati della penisola dovevamo scomparire per moltiplicare i sudditi piemontesi; fintantochè tutti, mutato nome e stato, alla fine divenissero cittadini italiani " (pag. 331.) (
o meglio dire cittadini "sabaudi")

Però, dopo avere enumerato tutti i tentativi fatti da Cavour e dai suoi agenti per sfrondare gli allori di Garibaldi, non può fare a meno di scrivere:
"Ma questi espedienti per avventura erano più atti ad aggravare che a sfuggire il male temuto. La dittatura accennata, ove anche si fosse giunti a effettuarla, sarebbe stato un castello di carta, che lo strapotente soffio della parola di Garibaldi avrebbe subito gettato in balìa del vento. Gravido di più terribili pericoli era l'altro partito della reggenza del principe di Siracusa in nome di Vittorio Emanuele. Non dubitiamo d'affermare che fu una provvidenziale fortuna per l' Italia che non si effettuasse." (pag. 336.)

Ora daremo invece estratti dal
Diario di Persano, i quali dimostrano ancora più categoricamente il modo con cui Cavour lavorava per demolire Garibaldi e ad impedire che per mezzo suo venisse compiuta l' unità d'Italia.
Scrive infatti Cavour a Persano queste lettere:

"Tuttavia parmi sin d' ora doversi prevedere il caso in cui il generale Garibaldi si mettesse in opposizione aperta col governo del Re. Questo non può accadere se non quando si giudicasse dal Re giunto il tempo di operare l'annessione della Sicilia o di Napoli; e che a ciò il Generale si opponesse. In questa ipotesi importerebbe sommamente che tutte le forze marittime passassero immediatamente sotto il di lei comando. Io sono certo che qui possiamo fare assegnamento assoluto sopra Piola. Ma ciò non basta; bisogna che egli possa portare con se tutti i legni che compongono la squadra di Garibaldi; perciò sarebbe bene che questi legni fossero comandati da ufficiali fidati. Io la autorizzo quindi ad accettare le dimissioni di tre o quattro ufficiali della squadra, a cui Piola affiderebbe il comando dei varai legni di cui il governo della Sicilia dispone. Questi devono essere scelti in modo da non lasciare il benchè minimo dubbio nella loro devozione al Re e alla monarchia costituzionale. "
(Cavour all'ammiraglio C. Di Persano, il 13 luglio).

"La via che segue il generale Garibaldi é piena di pericoli. Il suo modo di governare e le conseguenze che ne derivano ci screditano al cospetto d'Europa. Se i disordini della Sicilia si ripetessero in Napoli, la causa italiana correrebbe il rischio di essere portata al tribunale dell'opinione pubblica, che renderebbe a nostro danno una sentenza che le grandi potenze si affretterebbero di far eseguire.
Vigili, ammiraglio, ché i momenti sono supremi; si tratta di compiere la più grande impresa dei tempi i moderni, salvando l'Italia dagli stranieri, dai cattivi principi e dai matti. "
(Cavour all'ammiraglio C. Di Persano, il 14 luglio).


"Dopo sì splendida vittoria io non vedo come gli si potrebbe impedire di passare sul continente. Sarebbe meglio che i Napoletani compissero od almeno iniziassero l' opera rigeneratrice: ma poiché non vogliono, o non possono muoversi, si lasci fare a Garibaldi. L' impresa non può rimanere a metà. La bandiera nazionale inalberata in Sicilia, deve risalire il regno ed estendersi lungo le coste dell'Adriatico finché ricopra la regina del mare.
(Cavour all'ammiraglio C. Di Persano, il 25 luglio).

"Signor Ammiraglio,
"Il marchese di Villamarina le avrà trasmesso il telegramma che le ordinava di recarsi a Napoli con la "Maria Adelaide". Scopo approvato di questa sua missione é di tenersi a disposizione della principessa di Siracusa, sorella del principe di Carignano, cugina del Re. Scopo reale é di cooperare alla riuscita di un piano che deve far trionfare in Napoli il principio nazionale senza l'intervento mazziniano. Principali attori in esso debbono essere il ministro dell'interno signor Liborio Romano, ed il Generale Nunziante.
Ella sarà posto in relazione con questi due personaggi dal signor barone Nisco, che giungerà a Napoli sul "Tanaro" e le consegnerà una lettera da parte mia.
Vedrà di agire con la massima circospezione, cercando tuttavia di ispirare in essi fiducia ed ardire. Sul ministro, perché vecchio, liberale, unitario provato ed onesto, sul perché ci ha dato tanto se occorre.
Il "Tanaro" che la raggiungerà a Napoli con dei viveri, avrà a bordo dei fucili che ella terrà a disposizione del ministro.
Se il moto riesce e il Re scappa, prenda pure l'immediato comando di tutta la squadra, dichiarando che lo fa per impedire che si sciolga ed accadano disordini.
Chiamerà a sé pure il Tuchery, sotto un pretesto specioso. D' altronde a Napoli vi é il telegrafo e potrò trasmetterle giorno per giorno le opportune istruzioni."

(Cavour all'ammiraglio C. Di Persano, il 31 luglio).

"Con quest'occasione lo faccio consapevole dell'arrivo del generale Nunziante, e gli dico come egli intende fare: con i suoi aderenti radunare nel campo di Marte quanti più battaglioni di cacciatori; e là presentarsi a loro, che lo amano, onde promuovere, arringandoli, il loro pronunciamento per l'unificazione d'Italia sotto lo scettro costituzionale di Vittorio Emanuele".
(Cavour all'ammiraglio C. Di Persano -Diario privato-politico-militare del C. Di Persano. Parte II, pag. 36).

Persano scrive nel suo Diario:

"Un telegramma del conte di Cavour mi autorizza a dare danaro al Nisco se me ne domanda. Non può aderire alle mie istanze circa al denaro; e la casa De la Rue di Genova, aprirà in Napoli presso il banchiere De Gas, un credito illimitato a mia disposizione. - Spero che il moto insurrezionale delle province determinerà quello della capitale." (id. pag. 45.)

E ancora Cavour a Persano:

"Se il Re se ne va, assuma il comando provvisorio di tutte le forze di terra e di mare. Ho inviato i miei ordini al marchese di Villamarina per il fatto dei bersaglieri. Firmato: C. CAVOUR.
(id. pag. 57).
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"Se il Re se ne va, si renda padrone del movimento che ve lo avrà indotto. Soprattutto s'impossessi della flotta e delle fortezze.
Firmato: C. CAVOUR.

(id. pag. 72.)

"Signor ammiraglio,
Siccome gli scrissi per telegrafo, il governo desidera che, se una rivoluzione si compie a Napoli, ella accetti la dittatura se gli venisse offerta dal popolo. Quando l' offerta fosse fatta a Villamarina, ciò che sarebbe un male, Villamarina dovrebbe pure accettare, onde evitare il maggiore dei pericoli, quello cioè che il potere cada in mani deboli o infide.
Abbia o non abbia la dittatura, dovrà assumere immediatamente il comando della flotta napoletana, e occupare i forti con i bersaglieri e Reali navi; ed occorrendo, assumere provvisoriamente il comando dell'esercito.
Ella radunerà in Napoli o vicinanze tutto il naviglio napoletano, allontanando gli ufficiali devoti al Re, e surrogandoli con provati liberali .
Rilascerà brevetti, o, per meglio dire, commissioni provvisorie agli ufficiali napoletani, nominando un capo di stato maggiore in secondo fra queste.
Se la rivoluzione non si compie prima dell' arrivo di Garibaldi, saremo in condizioni gravissime. Ma perciò non ci turberemo punto. Ella s' impadronirà, potendolo, dei forti; riunirà la flotta napoletana e la siciliana; darà a tutti gli ufficiali commissioni, farà prestare loro il giuramento al Re e allo Statuto: e poi vedremo. - Intanto sarà bene che ella riunisca tutta la squadra a Napoli o vicinanze, per avere le maggiori forze possibili a sua disposizione.
Firmato: C. CAVOUR.

(id. pag. 77-78.)

Risposta di Persano a Cavour.

Napoli, 29 agosto 1860.
Sino a che il Re rimane nella Reggia, fino a che la rivoluzione non è pronunciata, non ho pretesto alcuno d' impossessarmi della flotta, e continuo il timore che possa essere ceduta all' Austria; fatto che, avverandosi, tornerebbe di non lieve danno alla causa dell'unità italiana, privi come siamo, di una vera flotta; tutto il nostro naviglio riducendosi a cinque fregate, tre ad elica e due a ruote: il rimanente non è altro che un'accozzaglia di legni leggeri, di poco o nessun conto militare.
V. E. conosco la sincera devozione del generale Garibaldi al Re, alla quale s'aggiunge il suo pieno convincimento, che senza Vittorio Emanuele l' Italia non si fa: così si può andar sicuri che non darà ascolto a nessuna delle velleità mazziniane, e che si rifiuterà ad ogni combinazione che non abbia per base - l'Italia con Vittorio Emanuele a Re.
Firmato: C. DI PERSANO.
(id. pag. 81.)

Risponde Cavour:

"Al punto cui son giunte le cose, non occorre più rischiare una rivoluzione in Napoli per far partire il Re. Se ne andrà coll'avvicinarsi di Garibaldi, con il quale bisogna andare pienamente e francamente d'accordo. S'impossessi però sempre dei forti e della flotta, appena potrà farlo, senza aspettare il suo arrivo. Servirà ad agevolargli la strada, e ad impedire che la flotta non venga mai data all'Austria. - Le manderò istruzioni coll' "Authion". - Se il conte di Siracusa si decide a portarsi a Torino, come lo invita S. M., ponga ai suoi ordini la Costituzione.
Firmato: C. CAVOUR.

(id. pag. 82.)

E ancora Cavour il 31 agosto:


"Signor ammiraglio,
Il suo telegramma del 30 sera mi persuase che Ella ha perfettamente inteso le istruzioni, che io le trasmisi il mattino. Ella deve continuare ad agire per promuovere un movimento o pronunciamento in Napoli: ma si deve deporre il pensiero di operare senza il concorso del generale Garibaldi; l'esercito non essendo più in condizione di contrastargli la via di Napoli, non possiamo, non dobbiamo contrastargliela noi. Ciò che sarebbe stato opportunissimo or son quindici giorni, ora sarebbe errore fatale.
Il governo ammette perciò come fatto ineluttabile l' arrivo del generale Garibaldi a Napoli. Solo confida che gli onesti, aiutati da lei e dal marchese Villamarina, giungeranno a persuaderlo a non ripetere gli errori commessi in Sicilia; e che chiamerà al potere persone dabbene, devote alla causa dell'ordine, della libertà e dell'unità.
Ciò non toglie che, potendo, Ella non abbia a impadronirsi dei forti, e raccogliere sotto il suo comando l'intera flotta. Ciò riesce tanto più opportuno, chè si tratta ora di un'impresa marittima altrettanto importante quanto difficile.
Onde impedire che la rivoluzione si estenda nel nostro regno, non si ha oramai che un mezzo solo: renderci padroni senza indugio dell'Umbria e delle Marche. Il governo é deciso a tentare questa ardita impresa, qualunque possano esserne le conseguenze.
A questo scopo, ecco ciò che fu stabilito.
Un movimento insurrezionale scoppierà in quelle province dal giorno 8 al 12 settembre. Represso o non represso, noi interverremo. Il generale Cialdini entrerà nelle Marche e si porterà rapidamente avanti Ancona. Ma egli non può sperare di rendersi padrone di quella città, se non é assecondato energicamente dalla nostra squadra.

Ella deve quindi farmi conoscere, senza indugio, ciò che Ella reputa necessario per il sicuro esito di quell' impresa.
Sono pronto a mettere a sua disposizione tutti i mezzi di cui dispongo come ministro della marina. Ho noleggiati i due piroscafi superstiti della Transatlantica, come sto per noleggiare alcuni bastimenti a vela carichi di carbone.
Ho dato gli ordini affinchè gli spediscano i cannoni rigati per compiere l'armamento de' suoi legni. Tuttavia é indispensabile di lasciare a Napoli almeno un bastimento da guerra, ed averne uno disponibile per la Sicilia.
Perciò riesce indispensabile che Ella conduca con se un paio almeno di legni napoletani. Il concorso della marina del regno in quell'epoca avrebbe un effetto morale immenso, e gioverebbe all'annessione più che a un pronunciamento."

(Cavour, all'ammiraglio C. Di Persano, il 31 agosto 1860).

A Persano da parte di Di Mignano:

Napoli, 3 settembre 1860.
Pregevole signor Conte,
Ponderato bene l'ultimo telegramma del conte di Cavour, da lei comunicatomi, io credo di non potere più agire, senza avere nuove e precise istruzioni dal conte stesso di Cavour, attesi i termini ristretti del mio mandato, confidatomi da...
Epperò la pregherei richiedere, in mio nome, tali istruzioni; poiché senza nessun carattere, né per mio decoro, io posso qui rimanere all'arbitrio e dipendenza del generale Garibaldi, quando giungerà.
Mi creda costantemente,
suo devot. Di MIGNANO.

(Id. pag. 91-92).


Ma come già detto sopra,
Garibaldi doveva ancora risolvere la critica situazione sul Volturno.

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