QUARANTASETTESIMO CAPITOLO

CAPITOLO QUARANTASETTESIMO
SUL VOLTURNO
Scaramucce del 30 settembre. - Disposizioni di Garibaldi alla vigilia del 1° ottobre. - Rispettive posizioni dei due eserciti. - Le avvisaglie. - Medici a Sant' Angelo. - Garibaldi, circondato, spicca il volo sul monte Sant'Angelo. - Bixio fa da sè. - Bronzetti a Castelmorone. - Davanti Capua. - L'ultima carica. - Vittoria su tutta la linea.

"Su questi campi, Garibaldi infranse
senza che artefice al mondo potesse
più riconnetterla e saldarla,
la corona delle Due Sicilie."

ALBERTO MARIO.

Per molti giorni, verso la fine di settembre, avvennero alcune scaramucce insignificanti agli avamposti, alle quali Garibaldi dava poca importanza, comprendendo ottimamente che quei conflitti alla sua destra e alla sinistra non miravano che a mascherare l'attacco generale che i borbonici meditavano.
Il giorno 30 il generale Von Michel, che comandava l'estrema sinistra, passò il Volturno, proprio sotto Caiazzo allo scafo di Limatola, e mosse dritto fino a Ducenta e S. Agata dei Goti. I suoi ordini erano d'attaccare Bixio a Maddaloni e congiungersi poi a Caserta con le truppe che dovevano arrivare assalendo di fronte S. Maria e S. Angelo.

Lo stesso giorno il generale Colonna, con una brigata di 3000 uomini appartenenti allo stesso corpo di Von Michel, tentò il passaggio del Volturno allo scafo di Triflisco, ma respinto dalla quinta e sesta compagnia della brigata Spangaro sotto gli ordini di Medici, prese posizione sui monti Palombara e Taverna, e di là fulminò con l'artiglieria e la moschetteria le altezze di S.Iorio.

Garibaldi, che vide l' attacco, diede ordine a Medici di non attaccarli ma solamente respingerli; e questi lo fece diligentemente, gettandosi sugli argini e eseguendo lavori di terra danneggiò seriamente il nemico, una parte del quale durante la notte si congiunse con Von Michel sulla via di Ducenta, mentre Perrone con una colonna di 1200, dallo stesso passo di Limatola, prese in direzione di Castel Morone per esser pronto durante l'attacco generale ad espugnarlo; ed era una questa importante posizione, difesa da scarsi garibaldini.

Garibaldi, che capì lo stratagemma del finto passaggio a Triflisco, corse a Maddaloni e visitò tutti i posti di Bixio che si distendevano da Valle a Maddaloni occupando la strada consolare, e il ponte dell'acquedotto Carolina. Lo consigliò di ritirare gli avamposti di Valle e di occupare il monte Caro. "Se questo fosse perduto saremmo tagliati fuori, voi da Caserta ed io da Napoli"
E Bixio: " Finchè vivo non si perderà".

Il dittatore poi venne a S.Maria di Capua, s'intrattenne con Milbitz che qui comandava la sua destra, e con Cosenz ministro della guerra, e vedendo che avevamo un centinaio di feriti per il fatto dello scafo di Triflisco, ci disse:
"Mandate tutti indietro, vuotate anche l' ospedale di Caserta". Salendo poi in vagone aggiunse: "dormite tutti sull' ala".
Ecco pertanto le rispettive posizioni dei due eserciti, che il giorno dopo dovevano decidere delle sorti d'Italia da una parte, e dei borboni dall'altra.

Dalle istruzioni date dal generale in capo dei borbonici, Giosuè. Ritucci, si vede chiaro che l'idea era di sfondare simultaneamente tutte le linee di Garibaldi, riunirsi a Caserta e festeggiare qui l'anniversario della nascita del re in Napoli. Perciò fu deciso che Tabacchi con 7000 uomini e due complete batterie di artiglieria dovesse uscire da Capua sulla strada che di là conduce a S. Maria, e lottare contro tutte le forze qui radunate e che erano 4000 uomini appena, sotto Milbitz, così distribuiti: all' estrema sinistra 1500 uomini sulla strada di Aversa; il reggimento Fardella fra S.Tammaro e la via ferrata; la compagnia francese, i picciotti, sotto Corrao e La Masa fra la via ferrata e lo stradale con gli avamposti al cimitero dei Cappuccini; i reggimenti Malenchini e Langé sulla strada rotabile a destra di S. Maria; una compagnia del genio sulla stradale S.Maria S.Angelo; una batteria con parapetti di sacchi di sabbia alla porta Capuana; un'altra alla sinistra della città sulla strada ferrata; una leggerissima barriera che collegava porta Capuana e l' anfiteatro.

Ecco il tu per tu della destra nemica con la sinistra garibaldina.
Uscito da Capua con 10.000 uomini, Afan de Rivera procedeva lungo la strada che costeggia il campo d'istruzione ed è perpendicolare allo stradone fra S. Maria e S. Angelo. Su quest'ultimo c'era il centro della posizione di Medici che vi comandava 4500 uomini.
Prevedendo che l' urto avverrebbe a questo incrocio della strada, egli vi aveva eretta una batteria e distribuite le sue forze: Spangaro con 1500 uomini dallo scafo Triflisco lungo la strada di Capua fino a ponte Valle; gli altri da S.Angelo fino allo stradone, il monte di S. Angelo Iorio e i boschi degli ulivi intorno; Sacchi con 1800 uomini in S. Leucio, in scala dalla Vaccheria a Gradillo e Grottole; due compagnie con il compito di conservare le comunicazioni con S. Angelo, tre in avamposti lungo il Volturno dallo scafo di Formicola a quello di Caiazzo; il terzo reggimento a S. Andrea e S. Annunciata, e il corpo di Bronzetti a Castel Morone; il rimanente a S .Leucio.

Ecco dunque Sacchi e Medici, con 5200 uomini, minacciato dal centro nemico (Rivera con 10.000 uomini); Colonna con 3000 fra lo scafo di Triflisco e lo scafo di Formicola, che occupava le formidabili posizioni di Monte Palombara e Monte Taverna Nuova. Come abbiamo visto, Perrone con 1200, Von Michel con 800 campeggiavano fra Limatola e Ducenta.
Erano 9200 della sinistra borbonica contro la destra di 5633 garibaldini.

L' esercito di Garibaldi somigliava ad un arco con la corda da S.Maria a Maddaloni: la riserva di 4500 uomini con Turr a Caserta a modo di freccia; 20.800 sulla carta, ma poco più di 18,000, dedotti i moltissimi malati per febbre negli ospedali, e l'assenza di altri per ragioni meno scusabili.
E questi contro un esercito di 40.000 uomini (cioè 31.000 sotto i vari comandanti, 9000 di riserva a Capua), fornito di stupenda artiglieria e cavalleria, presenti il re, il conte di Trapani e il conte di Caserta.

Quella notte non si dormì nè distesi, nè sull'ala, dovendo curare i feriti, e preparare ogni cosa per il trasporto del giorno seguente. La nostra ordinanza, Pietro Gotti, detto Bergamo, perché nativo della città di Nullo, stette tutta la notte con due rivoltelle in mano cariche per salvare i nostri cavalli. La notte era umida e oscura, una folta nebbia avviluppava la campagna quando dai bastioni di Capua si udirono le prime avvisaglie.

"Ci siamo - disse il vecchio Ripari colle narici dilatate come cavallo di battaglia. In un attimo i cannoni borbonici portati sulla via ferrata si diedero a fulminar la città di S. Maria, mentre la fanteria attaccando gli avamposti ai Cappuccini li ricacciò verso la porta. Il generale Sergordi con due squadroni di lancieri e una batteria e un battaglione di pionieri, s'impadronì di S. Tammaro, di modo che quando Garibaldi giunse alla stazione eravamo lì con i primi feriti. Nell' atto di salire in carrozza, egli scrisse ordinando quanti treni speciali erano necessari per i feriti, e disse con piglio severo, guardando certi figuri, che colla scusa di trasportare i feriti qui si trovavano: "Fucilate chiunque non ferito tenta salire in vagone."
Poi rivolto a Milbitz, gli disse: "So che mi terrete S.Maria a qualunque costo" e con un " avanti!" al cocchiere, volò sulla strada di S. Maria-S.Angelo, dove si sentiva tuonare forte l'artiglieria che anche intorno a noi rumoreggiava con crescente fragore. Tutti gli abitanti di S. Maria si chiusero in casa; inutile domandare soccorso per i feriti, e fu faticoso trasportarli dalle strade ove cadevano, o dalla ferrata stessa alle carrozze, che, come Garibaldi previsto, erano prese d'assalto dai fuggiaschi. -
Chi erano non posso dire, ma certo é che non parlavano nessun dialetto conosciuto al di là del Liri; né tantomeno i calabresi e i siciliani. Ripari menava pugni e calci, tirava giù i vigliacchi dai vagoni prendendoli per i capelli e per il collo, ma la paura era più forte di loro e gli sciagurati si arrampicavano fino in cima ai vagoni.

I feriti per la maggior parte erano nei primi momenti i picciotti di Corrao e quelli di Fardella, che unitisi con il Malenchini al di là della strada ferrata tennero testa contro i ripetuti assalti. Milbitz in persona condusse avanti i reggimenti di Sprovieri e Langé; Corrao riordinò i suoi picciotti che si comportavano valorosamente. Ma la strage si faceva terribile, essendosi deciso Tabacchi di girare la città a sinistra, occupare la strada S. Maria-S.Angelo, e dando la mano a Rivera separare Milbitz da Medici.

Garibaldi, nel partire da Caserta, ordinò a Sirtori di tener unita la riserva finché si fosse assicurato delle sorti di Bixio, tranne la sola brigata di Assanti cui lui da S. Maria stessa telegrafò di avviarsi a S.Angelo. Ma Assanti, giunto a S.Maria e visto l' attacco tremendo su tutta la linea e sopra tutte le posizioni di Milbitz, e visto che specialmente era minacciata la strada di S.Angelo, spinse Andrea Sgarallino col secondo battaglione bersaglieri a sinistra di questa strada, dove momentaneamente con forti perdite, e pure lui ferito, ricacciò il nemico.

Malenchini poi condusse un altro battaglione per rinforzare i suoi uomini sulla strada ferrata e fece proteggere la barricata contro la cavalleria. Pertanto investito da tutte le parti e contro truppe due volte superiori, perché ad ogni momento Ritucci mandava truppe fresche, quell'indomito vecchio di Milbitz si attenne scrupolosamente all'ordine del duce e conservò tutto il giorno S.Maria, la via ferrata e fino ad un certo punto lo stradone S.Maria-S.Angelo.
Ferito gravemente, acconsentì appena di essere fasciato, e la sua presenza costante agli avamposti contribuì molto a far sì che i suoi malconci e decimati non perdettero mai terreno, eccettuato il S. Tammaro e i Cappuccini strappatigli fin dall'inizio.

Ben più terribilmente andarono le cose a S.Angelo. Garibaldi percorrendo velocemente in carrozza lo stradone con Basso e Froscianti e seguito da altre due carrozze, si trovò nel mezzo di una imboscata...

... circondato da un nugolo di nemici, che tirando a bruciapelo, uccisero il cocchiere, uno dei suoi cavalli e una guida genovese, ne ferirono altri e fra questi il corrispondente del Daily News.
Padroni quelli della strada, egli rimaneva disunito da Medici che lo attendeva. In un lampo salta giù dalla carrozza, corre lungo uno dei larghi fossi che intersecano la pianura di Capua, spunta fuori al di là, raduna intorno a sé un manipolo di uomini, che facevano parte della settima compagnia della brigata Spangaro, li conduce tre volte alla baionetta, e caricando ferocemente, ricaccia il nugolo sulla strada, espugna tre casette, di cui essi si erano prima impossessati, poi liquidata l'intoppo, corre velocemente avanti e trova Medici e Avezzana alle prese con i 10.000 di Rivera di faccia, e di fianco col residuo del corpo di Colonna rimasto fra Triflisco e Formicola.

Medici, come abbiamo detto, aveva eretto una barriera di quattro pezzi nel crocicchio delle strade; la brigata Spangaro occupava la fronte, e fu assalita dal generale Poliny che le tolse tutte le posizioni avanzate. Il nemico stende ora un gran cordone di cacciatori che avviluppano la brigata Sparigaro, il battaglione del genio e le compagnie della brigata Dunne. Ciò vedendo, Medici fa tirare a mitraglia da un fortino in alto del monte S. Angelo, si getta sul fianco destro del nemico, che dal bosco degli olivi cercava con una mossa obliqua dalla strada di Capua di guadagnare quell'altra strada che dallo sperone al sud di monte S. Angelo gira al di là di monte Esperto, e per Briano esce a Caserta.

Medici ottiene i due intenti, riprende la casina fortificata e ferma la mossa obliqua, ma con nuovi rinforzi i regi gliela strappano di nuovo, ed egli di nuovo lancia avanti Guastalla e Simonetta con battaglioni freschi, più i picciotti di Dunne, ferma i borbonici e cattura diversi prigionieri.
Purtroppo si annuncia al Medici che le munizioni delle due compagnie erano finite: "Alla baionetta" egli grida, "si vinca o si muoia!".
E alla baionetta corrono tutti, ma fulminati di fronte e ai due fianchi dall'artiglieria nemica, cadde morto il comandante del battaglione Ramorino; ebbe rotta una coscia il brigadiere Dunne; furono feriti i capitani Tito e Franco, e così i borbonici s'impadronirono della seconda casina fortificata e si spinsero fino all' entrata del villaggio di S. Angelo, occupato il quale, tutto era perduto e Caserta guadagnata dai regi.

Di questo si avvide il Medici, e senza un' ombra sulla sua faccia imperturbabile, ordinato al tenente Torricelli di scagliare la mitraglia sulla fronte del nemico, condusse i suoi alla baionetta. La più brillante di queste cariche fu eseguita dal maggior Luigi Castellazzo, che cadde ferito in prima fila e lanciò pure i suoi sotto il capitano Romano Pratelli alla difesa di Garibaldi che era quasi circondato dal nemico.
Tale era lo stato delle cose all'arrivo di Garibaldi, il quale, raccomandato a Medici e Avezzana di difendere le posizioni ad ogni costo, stava per spiccare il volo al suo nido d'aquila in cima del monte S.Angelo, quando si accorse che il nemico ne era già padrone. Spedì una compagnia di bersaglieri genovesi per impedire che quegli s'impadronisse anche di monte S. Niccolò, e chiamate a sé le due compagnie di Sacchi che furono distaccate per mantenere aperte le comunicazioni fra S. Leucio e S. Angelo, e gettandosi a destra sulla linea della ritirata, si cacciò davanti il nemico, e giunse in un baleno al suo nido.

Ma quale spettacolo lassù! Prima ancora di attaccare con una compagnia di Cacciatori attraverso un sentiero coperto gli era piombata alle spalle il nemico mirando alla strada che fra il S.Vito e il Volturno mette a Caserta.
"A quei signori ci penserà Sacchi", disse, e raccolse la sua attenzione sulla lotta che sempre più accanita si svolgeva nel campo di S. Angelo, poi diede l'ordine all' Assanti di avanzarsi con la sua brigata.
Poi, perché convinto, o perché voleva infondere agli altri che la cosa dovesse da un momento all'altro avvenire, scrisse con la matita, a Spangaro, l'ordine portato dalla guida Cariolato, di telegrafare a S.Maria, a Caserta e a Napoli: "Siamo vittoriosi dappertutto ! "

Fatto sta che verso mezzodì il Generale vide che, con l'aiuto di due pezzi di artiglieria ben collocati e a forza di ripetute cariche, qualche leggero miglioramento nella posizione di Medici si era ottenuto, e sapendo che la giornata doveva esser decisiva discese il fianco opposto della montagna, lasciando sempre credere a quelli di Medici che non se ne andava, e per fossi e viottoli, e sempre a piedi, arrivò sulla strada che gira S. Prisco e passando per il villaggio, reso muto come colpito dalla peste, comparve a S. Maria per aver notizie di Bixio.
E se Medici piangeva Bixio non rideva.

Questi, ritirati gli avamposti a Valle, occupò monte Caro e il versante verso la strada Valle con i bersaglieri e con il primo battaglione della brigata Dezza, al quale affidò la difesa S.Michele e villa Gualteri; col resto della prima brigata Eberhard, i ponti dell'acquedotto e il molino, sulle alture a destra; tenne Fabrizi in riserva a San Salvatore, collocò un pezzo sul ponte, due all'acquedotto, tenendo gli altri tre in riserva a villa Gualteri.
Né gli era consentita qualsiasi sosta, perché alle cinque antimeridiane tutto il corpo Michel venne per la strada di Ducenta a Valle, dove si formarono tre colonne di attacco.
Avanzava anche il Colonna per la via delle montagne sulla sua sinistra verso monte Caro, e sulla destra verso il molino. Attacco generale su tutta la linea; otto pezzi rigati fulminavano con la massima precisione. Ed ecco la brigata Eberhard che abbandona le alture, il molino, l' acquedotto e si getta disordinatamente, parte dentro Maddaloni, parte sui vicini colli.

Bixio con la seconda brigata assicura la strada di Caserta, spinge Fabrizi sopra S. Michele, Piva fra S. Michele e villa Gualteri, poi visto che i nemici si erano impossessati degli obici sull'acquedotto e che i due pezzi sulla strada erano in pericolo, dopo una fiera resistenza e perduti molti cannonieri e morto il capitano De Martini, il quale volle di persona condurre un battaglione alla baionetta, li fece ritirare fino a Maddaloni. Poi formò in colonna d'attacco quattro battaglioni, suonò la carica alla baionetta, li condusse di persona e riprese il molino e respinse il nemico al di là della batteria sulla strada.

Ma ci fu un istante in cui sembrava perduto quel monte Caro così tanto necessario a custodirsi. II Dezza aveva 600 uomini soltanto all'inizio, con i quali fronteggiò due battaglioni bavaresi e svizzeri, che salirono da Valle. S'impegnò la battaglia testa a testa, e benché Menotti vi aggiungesse la sua quarta compagnia, e il maggior Boldrini operasse prodigi dal bosco alla sinistra, i nemici guadagnarono la cresta del monte. Boldrini cadde mortalmente ferito con molti dei suoi. Per fortuna Menotti lanciò avanti Taddei, a cui Dezza disse: "Caccia giù quella gente dall'alto. " Taddei vi si affretta; Dezza suona la carica alla baionetta, egli stesso carica i borbonici di fronte, Taddei di fianco.

Sopraffatti da così tanta furia i borbonici retrocedono e la cima é sgombra. Menotti col resto della sua brigata teneva con uguale bravura e contro uguali difficoltà le alture fra monte Caro e il quartier generale; ma intanto, congiuntisi Dezza e Menotti notarono che i borbonici salivano al bosco abbandonato dai superstiti della schiera di Boldrini, il quale ebbe anche tutti i suoi ufficiali morti o feriti.
L' uno con la riserva composta del primo battaglione, Menotti con i rimanenti caricano di persona quattro volte alla baionetta. Il nemico vacilla, fugge e riguadagna Valle. Con molta soddisfazione disse Dezza, "posso dire che i picciotti caricavano a meraviglia, inseguendo al disotto dell' altopiano di Valle i bavaresi."
Gli restava tuttavia di tagliare la strada all'artiglieria e alla cavalleria nemica, ma dopo aver disteso in linea tutti i suoi, proibì loro di non più inoltrarsi in obbedienza all'ordine perentorio di tenere ad ogni costo monte Caro.
Che ogni suo ufficiale lo avesse preso in parola quando disse loro "là si deve morire!" si lo può giudicare dal fatto che nella sua brigata sette morirono e cinque caddero feriti.

Bixio, sollevato dall'immensa angoscia che per un istante lo oppresse all'idea di venir meno all'ingiunzione di Garibaldi, raddoppiò sé stesso e infuse nuovo vigore ne' suoi. Riprese non solamente l' obice abbandonato al ponte, ma catturò due pezzi rigati al nemico e fece pure 70 prigionieri.
Aveva domandato rinforzi da Caserta quando le cose volgevano alla peggio, cioè all'una e tre quarti, e Sirtori stava per accontentarlo quando ricevette l'ordine di Garibaldi:
"Muovete su S. Maria dove mi troverete".

Così Bixio s'ingegnò alla meglio e questa volta il meglio fu il bene. Ma non si può non attribuire in gran parte il felice esito a quel prode dei prodi, Oreste Bronzetto, che solo ed abbandonato a Castelmorone tenne fermo per dieci ore contro tutta la colonna Perrone, il quale non s'impossessò dell'altura se non quando essa fu fatta ancora più alta dai cadaveri di quasi tutti i suoi difensori ammonticchiati su quello dello stesso capitano.
Bronzetti, staccato col primo battaglione bersaglieri della brigata Assanti, ebbe l'incarico di difendere Castelmorone, mentre Sacchi teneva le posizioni di Grottole e di S.Annunciata e di S.Andrea; altri furono spediti a Limatola, ma quando Perrone irruppe dallo scafo di Limatola, questi fuggirono gettando lo scompiglio nel battaglione Ferracini, che da S. Andrea e S. Annunciata si ritirò a S .Leucio, e anche Grottole fu abbandonato.
Sacchi, accortosi del pericolo in cui stava Bronzetti, fa radunare da Ferracini il battaglione e le tre compagnie che erano a Grottole e li spinge verso Castelmorone, ordinandogli almeno di occupare le cime sottostanti. Né contento di ciò, vuota S. Leucio e manda il maggior Bossi in appoggio.
E Bossi corre velocissimo a Castelmorone che purtroppo trova in possesso del nemico. I superstiti della difesa tutti feriti o prigionieri, il nemico che prosegue a bombardare i garibaldini sulle circostanti colline. - Il generale Perrone, stupito della resistenza oppostagli da quel pugno di giovani, aveva chiesto ed ottenuto duemila uomini di rinforzo da Caiazzo.

Intanto Garibaldi, giunto a S.Maria, si spinse subito cento metri avanti sulla strada di S. Angelo. "Non ha preso né un tozzo di pane né un sorso di acqua in tutto il giorno" mi disse Basso. Per la persistente chiusura delle case di S. Maria, grande fu la difficoltà per provvedere di cibo i feriti; e così anche per il pranzo dei Generale: non vi era che fichi colti dagli alberi circostanti e qualche biscotto inglese.

Frattanto sopraggiungeva la brigata Eber seguita da sei marinai inglesi con la parola "Hannibal" sui cappelli, i quali mi pregarono, come loro compatriota, di procurar loro dei fucili "portiamo al Generale il pranzo" dissi loro "e chi sa che non ne troviamo".
Raggiungemmo il Generale sulla strada, il quale bevve l'acqua avidamente dalla secchia in cui fu portata, e con molta soddisfazione diede di piglio ai fichi, sorridendo ai marinai che gli stavano intorno, e dicendomi: "Voi aiutate a disertare i marinai della vostra regina" - "Sono in congedo - risposi - e sono venuti a divertirsi".

L'artiglieria nemica, che aveva taciuto per un momento, si volse ferocemente a mitraglia su i soldati di Malenchini appostati a sinistra della strada. Il Generale stava con l' occhio rivolto su S.Maria , e la sua faccia si illuminò subito come un vivo raggio di sole. Perché vide spuntare sulla strada la testa della brigata Milano, e i bersaglieri a tutta corsa avvicinarsi a lui. Mi pare ancora di vedere alla loro testa quel dolce quanto bravo Gemelli a cui dissi: "Spero che verrete colla vostra ambulanza ad aiutarci; c' é Sacchi e Ripari tutto il giorno sotto il fuoco; a momenti non avremo più chirurghi per i feriti." - "Verrò, verrò - mi disse - ma voglio godermela un po' e in quell'istante, mentre il Generale schierava le sue genti lì sulla strada concedendo un riposo di cinque minuti, un fuoco atroce li colse sulla sinistra, il quale avviluppò altri due battaglioni spediti attraverso la campagna verso Moricello. Ma nel vederli comparire, il Generale aveva detto:
"la giornata é nostra!".

Ma per essere vero ci voleva proprio lui: i borbonici avevano impegnata tutta la loro riserva, e la cavalleria caricava a tutta briglia la brigata, ma questa mettendo a profitto le asperità del terreno seppe farle pagare caro la sua audacia, senza riceverne gran danno.
Intanto arrivava opportunissima la legione ungherese in sostegno dell' ala destra della brigata. Additando un bosco alla sinistra verso Capua, il Generale disse in francese: Bien venus, mes braves, chassez moi ces coquins là.
E Magyrodi, comandante della legione, distese una compagnia in catena, il resto in battaglia e si slanciò all'attacco. I nemici discesi in una strada incassata di qui li accolsero con un fuoco terribile, ma gli ungheresi li dispersero alla baionetta facendo uno strage. Giunto un reggimento della brigata Eber, Garibaldi lo spinge sullo stradone di S. Angelo occupato dal nemico onde gli era interdetta la comunicazione con Medici, e che lui voleva ad ogni costo ristabilire.

Mandò la brigata Milano verso Parisi, ordinò a Cossovich di andare a S, Angelo; la brigata Assanti spinse dietro la brigata Milano, mandò Bezzi a S. Maria ad ordinarvi quanti uomini poteva raccogliere nell'intervallo fra la via ferrata e lo stradone per riprendere le posizioni perdute il mattino. Difatti Turr e Sirtori , arrivati con la metà rimasta della brigata Eber e con due squadroni di usseri ungheresi, eseguirono una brillante carica a porta Capuana, poi Talara e Tasca alla testa del rispettivo battaglione avanzarono fino al convento dei Cappuccini, sloggiando dapprima i regia da S. Agostino.
Qui li raggiunsero Corrao e La Porta con i picciotti, che tutto quel giorno si erano sostenuti sulla linea dall'arco capuano all'anfiteatro, e benché il convento fosse difeso da una batteria di artiglieria piantata sullo stradale, con squadroni di cavalleria al cimitero, essi, aiutati dai bersaglieri Tanara, da un battaglione sotto Cucchi e dal reggimento Bassini, obbligarono il nemico a sgomberare e lo inseguirono fino alla strada da dove era uscito all'attacco di S.Tammaro.

Interminabile fu il trasporto dei feriti, e fra i primi il Corrao, degno compagno di Rosalino Pilo. Il Corte, posto alla custodia dei passi di Aversa, mandò avanti un battaglione per salire sui Regi Laghi e un secondo per impossessarsi delle prime case di S. Tammaro, ma sapendo che i regi occupavano la cascina reale di Carditello e formidabilmente S. Jannuaro, temendo di perdere la strada di Aversa vi fece sosta. Malenchini però subentrando spazzò i borbonici da S. Tammaro e tenne tutta la linea fino alla foresta sulla strada di Castel Volturno a Capua.
Medici, che con una tenacità senz'esempio aveva mantenuta integra la sua fronte da S. Jorio a Gianfrotti, concentrò in un supremo sforzo l'energia dei suoi, per rompere il nemico che gli stava davanti dal Volturno al di là dell'ultimo sperone di S.Angelo con la cavalleria dietro alla strada, con la batteria all'incrocio delle strade, e con preponderanti forze fra esso e la sua fronte.
"Alla baionetta tutti !" comanda, udendo le prime scariche fra il nemico e la brigata di Milano. Simonetta, Guastalla, Avezzana alla testa dei battaglioni ripetute volte caricarono i borbonici, la batteria collocata a destra e a sinistra della strada che dal villaggio di S.Angelo mette nello stradone, ne fece strazio, ond'essi cominciarono a cedere, poi si ritirarono in buon ordine, ma in ultimo ricacciati di luogo in luogo, sentendosi presi fra due fuochi, abbandonarono il campo in disordine lasciando diversi pezzi, molti feriti e prigionieri.
Né trattennero il passo fino al campo d'istruzione protetto dall' artiglieria della fortezza. Né il valente generale Tabacchi, pur riformando successivamente le sue colonne, sa resistere all'impeto garibaldino. Garibaldi elettrizzando tutti con un "bravo la legione ungherese! bene la compagnia La Flotte! avanti i miei calabresi! che eroi i miei picciotti!" trasformava i giovani in veterani e i veterani in eroi e costringeva ad essere prodi i meno animosi.

Verso le cinque sopraggiunge un messo di Bixio annunciatore della piena ritirata dei nemico su Ducenta.
Sconfitto pertanto il nemico alla destra, al centro e alla sinistra, e in piena fuga su Capua , Garibaldi scrisse sopra un tamburo, con la matita, alle sei: "Vittoria su tutta la linea!"
E fu vittoria decisiva:
La battaglia del Volturno costò a Garibaldi 306 morti, 1328 feriti e 389 prigionieri e dispersi; ai borbonici 308 morti, 820 feriti e 2160 prigionieri e dispersi.

Fin dal mattino fummo occupati nel raccoglierli e spedirli a Caserta e Napoli , trattenendo a S.Maria solamente gli intrasportabili, e solo per questi occorsero tutto l'ospedale di S.Maria e molte case, che a battaglia finita ci riuscì di far aprire. Sirtori non lasciò mai S. Maria quella notte e alle 11 telegrafò a Cosenz a Napoli:
"Abbiamo vinto su tutta la linea, e una colonna di regia isolata s'aggira presso Caserta."

Di questo fatto Garibaldi era ben informato, e per tirare la corda alla rete in cui con tanta baldanza quelli si erano messi dentro, stette in piedi tutta la notte in casa del curato di S. Angelo e, di là diramò i suoi ordini, partendo in punto alle 2 per vederli eseguiti.
Già prima, a mezzanotte, ci aveva mandato un messo con l'ordine all'ambulanza di andare a prendere una sessantina di feriti giacenti dentro la chiesa; quelli del primo combattimento sullo stradone, dall'ambulanza stessa raccolti e là depositati.
A battaglia finita, con muli, carrozze, uomini e lanterne, percorso tutto il vasto campo, nessun morto o ferito di amici o nemici era rimasto in terra.

Quei feriti erano tutti gravissimi, e parve miglior consiglio lasciarli nella chiesa durante la notte. Ma il Generale, che in quei giorni tutto sapeva e a tutto provvedeva, nel dubbio di nuove offese borboniche, li volle tutti in salvo.
Si nota con piacere che in tutti i rapporti dei comandanti, da Garibaldi a Dezza, da Turr a Tanara, la prodezza dei siciliani fu avvertita: anzi Garibaldi emanò uno speciale ordine del giorno, con elogi per la loro bravura da Calatafimi al Volturno; e fu semplice giustizia.

A chi gli onori della giornata?... ai capi? .. Tutti fecero il loro dovere. Milbitz, prodigi; Medici, miracoli; Sacchi, con meno brillante posizione, non rese minori servizi; Bronzetti compì la sua missione morendo e facendo baluardo contro il nemico del suo cadavere e di quello di quasi tutti i suoi.
Bixio godeva e meritava l'illimitata fiducia di Garibaldi, perchè a dire il vero non l'ha visitato una sola volta durante la battaglia, né gli mandò rinforzi, né chiese sue notizie. Eppure il suo Menotti era là; ma in quel giorno Garibaldi apparteneva tutto all'Italia, sentendo di tenerne in mano le sorti.
E le sue sorti furono proprio decise con questa vittoria sul Volturno.

 

(Da Cronologia
" Il 4 ottobre dopo la vittoria sul Volturno, Garibaldi scriveva da Caserta al Re (che si trovava già ad Ancona alla testa dell'esercito) comunicandogli che era "sua intenzione varcare il fiume, gli suggeriva di inviare avanti almeno 4.000 uomini come avanguardia, - "così Vostra Maestà … potrà fare una passeggiata da Ancona fino a Napoli".
Garibaldi fa lo sfrontato e nello stesso tempo fa l'ingenuo. Vuole mandare a dire che ha fatto e sta facendo tutto lui e sembra ignorare che se il Re è sceso ad Ancona (a resa avvenuta) la sua intenzione era proprio quella di andare a Napoli a far valere le sue prerogative di Re o come gli aveva suggerito Cavour "a ristabilire l'ordine" o come aveva scritto lo stesso Cavour al NIGRA precisando il programma del Re " marciare alla testa dell'esercito su Napoli per far mettere giudizio a Garibaldi e gettare a mare quel nido di repubblicani rossi e demagoghi socialisti che si era formato attorno a lui". (Lettera al Nigra, ib. Pag.223)

Ma al Volturno la campagna non era ancora del tutto finita!
Inoltre, arrivarono i Piemontesi !!!! a "prendersi la gloria".
E con un Cavour infuriato.

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