HANNO DETTO DI LUI:
e GIOLITTI HA DETTO
"Una
eredità"
"Il mondo di Giolitti
ci lascia un'eredità che sarebbe follia ignorare o disconoscere.
E' il momento di maggior apertura nell'Italia contemporanea. (
Giovanni Spadolini )
"Il
problema della Chiesa"
"Giolitti non è Crispi; ma non è neppure Ricasoli.
Non c'è in lui - interprete di una borghesia che ha naturale il
senso dello Stato e dei confini della Chiesa - l'incubo della «revanche»
cattolica, quel terrore della controffensiva clericale che portava Crispi
a vedere dovunque minacce all'unità(....). Ma non c'è neppure
in Giolitti - che ha una sua fede interiore e riservata, che non comunica
a nessuno, di cui non resta traccia né in memorie né in
ricordi - l'ansia del riformatore religioso, l'inquietudine che aveva
distinto gli uomini migliori del Risorgimento, il desiderio di contribuire
alla rinascita della vita religiosa, di agevolare il riscatto interiore
della Chiesa, di favorire un ritorno allo spirito delle origini cristiane,
un liberalismo cattolico o - piú tardi - un modernismo. Giolitti
affronta il problema della Chiesa con tranquillo coraggio, con un animo
sicuro di sè che non ha bisogno di formule né di evasioni
retoriche, con la pacata coscienza di un laico che sa di possedere una
tavola di valori sufficiente ad orientarlo in tutti gli atti della vita
civile, ma che non esclude un rapporto interiore col Dio della tradizione,
che non esclude il sacerdote al letto di morte. (Giovanni
Spadolini)
"Stato
e Chiesa: parallele che non s'incontrano"
(Giolitti) "Libertà per la Chiesa e per lo Stato, sotto l'autorità
dello Stato, perché non ammetto che alcun potere in Italia possa
avere autorità che sia al di sopra dello Stato, perché lo
Stato rappresenta tutta la Nazione, che e al di sopra di tutte le religioni,
di tutte le sette, di tutti i partiti politici.
Noi, in quanto alla politica ecclesiastica, crediamo che non vi siano
cambiamenti da fare. Noi camminiamo per la nostra via, senza occuparci
delle osservazioni che altri ci possa fare. Il principio nostro e questo,
che lo Stato e la Chiesa sono due parallele che non si debbono incontrare
mai. Guai alla Chiesa il giorno che volesse invadere i poteri dello Stato!"
( Giovanni Giolitti
)
(Poi
venne l'accomodante "Uomo della Provvidenza", il '29, il '48,
il '53, il '68, e ora siamo nel 2000 !)
"Contro
la guerra"
"9 maggio 1915: (Giolitti) ha perduta la sua bella freddezza abituale.
Per prima cosa mi dice: «La gente che è al governo meriterebbe
di essere fucilata. Vogliono portare l'Italia alla guerra, per gli altri,
senza bisogno; quando sono già state fatte concessioni adeguate.
E' una idea fissa di Sonnino, di fare la guerra per salvare la monarchia,
che non è affatto in pericolo». Gli domando se va dal Re.
«Se sarò chiamato, certamente, come è mio dovere.
Ma non vado certo a suonare il suo campanello». 10 maggio 1915:
Lo rivedo dopo il suo colloquio con il Re. E' sempre assai agitato, preoccupato.
Gli domando se ha potuto parlare a fondo. «Certamente, e chiarissimo,
senza ambagi. La chiarezza non è la cosa che mi manca». «E
il Re, che opinione ha espresso?» «Io non glie l'ho chiesto.
Gli ho semplicemente detto il mio parere, con lealtà e senza riserve».
E poi, animandosi: «Il Re si è lasciato influenzare in famiglia.
Lo si conduce a un'azione gravissima. Questa di spezzare il trattato e
mancare alla parola data è per me la cosa più grave di tutte.
Pazienza avessimo un buon nome; ma godiamo già di una fama pessima,
e resteremo infamati nella storia. lo non so se non vado in Parlamento
a gridar loro in faccia: - Voi avete infamata l'Italia! - ». 18
maggio 1915: «Ormai il fosso è saltato - mi dice - e non
dubito che il paese e l'esercito faranno tutto il loro dovere. La prova
sarà aspra e lunga; e gli uomini che l'hanno provocata a cuor leggero
andranno incontro a molte delusioni». Gli vedo passare un lampo
d'ira negli occhi. «Salandra venne da me, e si mostrò d'accordo
con me in tutto. Mi assicurò che il governo avrebbe perseverato
nei negoziati senza lasciarsi scoraggiare dalle difficoltà inerenti
alla questione. Non mi nascose che Sonnino gli pareva propenso alla guerra;
ma che egli l'avrebbe trattenuto. E' stato tutto un inganno!».(Gli
avevano perfino nascosto di aver stipulato il Patto di Londra. Ndr.) -
"Olindo Malagodi"
"Non
lasciatevi intimorire"
"Milano, 17 maggio 1915. - On. Giolitti, non vi lasciate intimorire
dalla gazzarra dei guerrafondai. Nessuno di essi, salvo qualche rara eccezione,
è militare. Sono vecchi inabili o giovani al di sotto dei 18 anni,
o riformati o venduti. Dite a Gabriele, il grande poeta sfruttatore di
donne, che non ha il diritto di parlare di morale, egli che è il
più immorale fra gli uomini. Non vi intimorite. Siate forte. Abbattete
con tutti i mezzi i nemici dell'umanità, coloro che vogliono lavarsi
le mani nel sangue proletario, coloro che vogliono per la loro megalomania
propria di certi meridionali uso Crispi, la rovina dell'Italia. Si tenta
con ogni mezzo di soffocare il grido vero del popolo che soffre e piange
e che è la vera maggioranza della nazione. Difendetevi liberamente;
il popolo tutto è con Voi e saprà difendervi anch'esso dalle
accuse dei venduti. - (Lettera firmata da "Centinaia di
proletari a cui è stata soffocata la voce").
"La
politica liberale di Giolitti"
"Non si trattava tanto
di una scelta forzata tra industrialismo settentrionalista e meridionalismo
agricolo - di un « modo più indolore per attuare la modernizzazione»,
come ha scritto G. Carocci (1975); ovvero di limitarsi in sostanza, come
ha visto L. Cafagna (1962), a una politica liberale che si riduceva a
favorire « il moto delle forze spontanee dove questo era giunto
a un buon grado di maturazione »; quindi nessuna politica riformatrice
mancando qualsiasi intenzione di tipo statalista di intervenire a modificare
gli automatismi economici. La politica liberale di Giolitti, aperta ad
aggregazioni democratiche di segno diverso, sembrava piuttosto disponibile
sia per parziali esperimenti riformistici che per più limitati
programmi conservatori. Un empirismo positivistico forgiato nell'esperta
pratica amministrativa gli conferiva un accentuato senso del limite, subito
riconosciuto e ritenuto insuperabile, e lo trovava pronto ad operare in
accordo con forze sociali e politiche diverse per conseguire obiettivi
determinati dal colore volta a volta progressivo o conservatore. I limiti
del sistema economico e politico trovavano quindi uno statista abile ad
interpretarli fino in fondo. (dal
capitolo "l'Età giolittiana", "La storia- L'Età
contemporanea di N. Tranfaglia e M. Firpo, III vol, pag 709, Garzanti)
"Raccomando
molta prudenza"
(Giolitti) "Al prefetto di Modena - 14 maggio 1901 - Ricevo suo rapporto
11 maggio. Se le occorre aumento forza pubblica per mantenere ordine pubblico
e libertà lavoro, ne faccia richiesta e provvederò subito.
Le raccomando però vivamente di adoperarsi per conciliazione dimostrando
proprietari essere ingiuste le misure di salari insufficienti alla vita.
Rifiuto di concedere equa misura salari potrà creare condizione
di cose assai più dannosa alla proprietà che non equo componimento.
Raccomandi a tutti molta prudenza.
(Giolitti)
"Sulla repressione delle forze dell'ordine"
(Giolitti) - AI prefetto di Bologna - 19 maggio 1901 - Un governo civile
non deve usare la repressione contro i lavoratori, ma tutelare in modo
imparziale i diritti e la libertà di tutti e cercare di fare opera
conciliatrice e pacificatrice fra le parti. E' ingiusto tenere bassi i
salari. Il governo quando interviene per tener bassi i salari commette
un'ingiustizia, un errore economico ed un errore politico.
Commette un'ingiustizia, perché manca al suo dovere di assoluta
imparzialità fra i cittadini, prendendo parte alla lotta contro
una classe. Commette un errore economico perché turba il funzionamento
della legge economica dell'offerta e della domanda, la quale è
la sola legittima regolatrice della misura dei salari come del prezzo
di qualsiasi altra merce. II governo commette infine un grande errore
politico, perchè rende nemiche dello stato quelle classi, le quali
costituiscono in realtà la maggioranza del paese. La classe operaia
sa perfettamente che da un governo reazionario non ha da aspettarsi altro
che persecuzioni, sia nelle lotte per la difesa dei suoi interessi di
fronte al capitale, sia per tutto ciò che riguarda il sistema tributario.
Nessun governo reazionario adotterà mai il concetto di una riforma
tributaria a favore delle classi meno abbienti; e se la finanza si troverà
in bisogno il governo reazionario aumenterà il prezzo del sale,
dei dazio sui cereali o qualche altro sui consumi, ma una imposta speciale
sulle classi più ricche non la proporrà mai.
L'Italia è uno dei paesi in cui la media dei salari é più
bassa, ma è il primo paese del mondo per le imposte che colpiscono
i generi di prima necessità. Pensate che specie di sofferenze producono
in chi ha due o tre lire al giorno per mantenere sè e la famiglia,
il dazio consumo, la tassa sul grano, la tassa sul sale, la tassa sul
petrolio e tutto il sistema protettivo nostro che rincara enormemente
tutto ciò che é necessario alla vita! Il complesso delle
nostre imposte, nessuno ormai più lo nega, é progressivo
a rovescio.
Lo stato non è amico dei lavoratori, Purtroppo persiste ancora
nel Governo, ed in molti dei suoi rappresentanti, la tendenza a considerare
come pericolose tutte le Associazioni di lavoratori. Questa tendenza è
effetto di poca conoscenza delle nuove correnti economiche e politiche
che da tempo si sono determinate nel nostro come in tutti i paesi civili,
e rivela che non si è ancora compreso che la organizzazione degli
operai cammina di pari passo col progresso della civiltà.
La tendenza, della quale ora ho parlato, produce il deplorevole effetto
di rendere nemiche dello Stato le classi lavoratrici, le quali si vedono
guardate costantemente con occhio diffidente anziché con occhio
benevolo dal Governo il quale pure dovrebbe essere il tutore imparziale
di tutte le classi di cittadini.
Si dice che le Camere di lavoro, come vennero costituite, hanno preso
atteggiamenti ostili allo Stato. Ma questa é una conseguenza inevitabile
della condotta dei Governo! Colui che si vede sistematicamente perseguitato
dallo Stato, come volete che ne sia l'amico? (Giolitti)
"Il
suffragio universale"
(Giolitti) - "Non era più ammissibile che in uno stato sorto
dalla rivoluzione e costituito dai plebisciti, dopo cinquant'anni dalla
sua formazione si continuasse ad escludere dalla vita politica la classe
più numerosa della società, la quale dava i suoi figli per
la difesa del paese, e sotto forma delle imposte indirette concorreva
in misura larghissima a sostenere le spese dello Stato.
L'elevazione del quarto stato ad un più alto grado di civiltà
era per noi ormai il problema più urgente, e per molti punti di
vista. Anzitutto per la stessa sicurezza sociale, in quanto che l'esclusione
delle masse dei lavoratori non solo dalla vita politica, ma anche da quella
amministrativa del paese, togliendo loro ogni influenza legale, ha sempre
per effetto di esporle alle suggestioni dei partiti rivoluzionari. Partecipando
invece alla vita politica, le masse, nelle quali il buon senso finisce
sempre alla lunga col prevalere, possono non solo rendersi conto delle
difficoltà che lo Stato deve superare per aiutare il loro incremento,
ma anche dei limiti che le condizioni generali del paese e del tempo pongono
alla soddisfazione delle loro aspirazioni e delle loro richieste; e così
esse vengono ad essere interessate al mantenimento dello Stato. La sicurezza
sociale e la ricchezza economica dei paese a me erano sempre parse strettamente
collegate con il benessere e con l'elevazione materiale e morale delle
classi popolari; aiutando questa elevazione, le classi dirigenti compivano
dunque un'opera in cui il dovere morale della solidarietà umana
era in pieno accordo col loro stesso bene inteso interesse". (
Giovanni Giolitti )
"Era un vero radicale"
(Turati) - "Giolitti e l'unico uomo di governo serio che abbiamo
alla Camera, l'unico vero radicale di temperamento. Su tutta la materia
dei conflitti tra capitale e lavoro egli ha parlato esattamente come Bissolati
ed io avremmo potuto parlare, con l'accento di un vero riformista che
ha una ragionevole fiducia nelle masse popolari, che e libero da preconcetti
partigiani di classe, ma che intende sopra tutto la legge della gradualità
e l'inanità di tentativi che precorrano di troppo l'evoluzione
delle capacità operaie e della pubblica opinione. ( Filippo
Turati )
"Avversione
all'egoismo"
(Croce) - "A lui, di animo popolare, erano connaturate la sollecitudine
per le sofferenze e per le necessità delle classi non abbienti
e l'avversione all'egoismo dei ricchi e dei plutocrati, che allo stato
sogliono chiedere unicamente la garanzia dei loro averi e dei proprio
comodo. Un'altra sollecitudine lo muoveva: il pensiero che la classe politica
italiana fosse troppo esigua di numero e a rischio di esaurirsi, e che
perciò convenisse chiamar via via nuovi strati sociali ai pubblici
affari. (Benedetto Croce)
"I contestatori"
( Slvemini) - "Nessuno e mai stato così brutale, così
cinico, così spregiudicato come lui nel fondare la propria potenza
politica sull'asservimento, sul pervertimento, sul disprezzo del Mezzogiorno
d'Italia; nessuno ha fatto un uso più sistematico e più
sfacciato, nelle elezioni del Mezzogiorno, di ogni sorta di violenze e
di reati". ( Gaetano Salvemini)
(Ma ben presto si dovette ricredere, quando sotto MUssolini fu
costretto andare 20 anni in esilio; provò veramente cos'era la
dittatura. Lui che aveva scritto che Giolitti era un "dittatore"
e scritto perfino un libro dal titolo "Il ministro della malavita")
"una sintesi creativa"
(Valeri) - "Il tentativo che egli riuscì ad avviare di fondere
insieme, in una sintesi creativa, ciò ch'era vivo e insopprimibile
del sorgente movimento socialista e ciò ch'era vivo e insopprimibile
dell'eredità liberale, rappresentava ormai, agli inizi del secolo,
una necessità operante, per così dire, nelle cose, additata
dai politici più illuminati di parte costituzionale. (
Nino Valeri )
"Comprensione
dei bisogni delle masse"
(Togliatti) - "Tutto sommato, tra gli uomini politici della borghesia,
egli si e spinto più innanzi, sia nella comprensione dei bisogni
delle masse popolari, sia nel tentativo di dar vita a un ordine politico
di democrazia, sia nella formulazione di un programma nel quale si scorge,
anche se in germe, la speranza di un rinnovamento. ( Palmiro
Togliatti )
"i
Socialisti con le loro utopie persero un'occasione..."
(Denis
Mack Smith) - "Giolitti non riuscì a conquistarsi l'appoggio
effettivo delle masse operaie, e molti capi del socialismo italiano erano
più interessati alle utopie da loro stessi elaborate che alle concessioni
salariali da lui offerte. Anzi, per quanti sostenevano il programma massimo,
parziali riforme sociali potevano anche essere dannose, perché
rischiavano di rendere i lavoratori più soddisfatti e quindi meno
rivoluzionari. La forza e l'intransigenza dei massimalisti era dovuta
al fatto ch'essi erano convinti d'avere la storia dalla loro parte e che
il processo dialettico avrebbe assicurato loro il successo senza obbligarli
a contaminarsi fraternizzando con i liberali....
Dopo aver offerto ai socialisti di adottare il loro programma minimo,
Giolitti fece un ulteriore passo innanzi chiedendo ai riformisti di esser
conseguenti e di entrare a far parte del suo governo. L'era delle barricate
era veramente finita una volta che venivano invitati a partecipare al
potere quegli stessi uomini che nel 1894 Crispi aveva messo fuori legge.
Alcuni che credevano nell'inevitabilità del gradualismo, erano
inclini ad accettare l'invito, ma Turati sapeva bene che un'accettazione
del genere avrebbe spezzato in due il partito, e Bissolati dovette informare
il Presidente del consiglio che l'offerta era prematura. Egli affermò
a guisa di spiegazione che un'eventuale accettazione sarebbe stata fraintesa
dalla base ancora immatura del partito e non avrebbe fatto altro
che screditare i riformisti: il che equivaleva a dire che per alcuni socialisti
il rifiuto di andare al governo non era più ormai questione di
principio ma di mera opportunità politica. Questo fatto segnò
una fase quanto mai interessante nello sviluppo politico. Alcuni hanno
osservato che l'accettazione dell'offerta di Giolitti forse avrebbe potuto
evitare l'ascesa del fascismo.
Turati deplorò in privato che i socialisti non potessero
unirsi a Giolitti, l'unico uomo di Stato di concezioni veramente radicali
e dotato di senso pratico che l'Italia possedesse, ma in pubblico
fu costretto ad affiancarsi ai massimalisti nel rifiutare i vantaggi che
avrebbero potuto derivare da un'interpretazione elastica dell'ideologia
di partito.
.... Era chiaro che il PSI era un partito troppo accademico e dottrinario.
Il marxismo aveva maggior successo fra gli avvocati e gli studenti che
fra la classe lavoratrice della pianura padana, mentre non esercitava
che un'influenza del tutto trascurabile sui contadini dell'Italia meridionale
e delle isole. Il risultato fu che i socialisti svilupparono la tendenza
ad anteporre la teoria alla tattica, un fatto questo che doveva avere
delle gravi conseguenze in un futuro non lontano.
(Denis Mack Smith, Storia d'Italia, dal 1861 al 1958, Laterza, Bari 1962)
"... e Giolitti andò incontro ai cattolici"
(Denis Mack Smith) - "Lungi dall'essere i nemici
del nuovo Stato, numerosi cattolici cominciavano a considerarsi i suoi
difensori sia contro il socialismo sulla sinistra, che contro il parallelo
anticlericalismo di Sonnino e Di Rudinì sulla destra. Giolitti,
sebbene personalmente favorevole al principio del divorzio (il re che
era accusato di ateismo, nel discorso della corona del 1902 aveva annunciato
un progetto di legge per il divorzio - ndr.), aveva troppo senso realistico
per prendere il cattolicesimo di petto, e quando i suoi progetti per ottenere
l'appoggio socialista andarono in fumo, salutò come un'alternativa
quanto mai benvenuta quest'altra corrente nonconformista che faceva la
sua apparizione sul lato opposto della scena politica. La campagna elettorale
del novembre 1904 venne aperta inizialmente su di un programma liberale,
ma quando i risultati del primo scrutinio si dimostrarono deludenti, Giolitti
fece delle offerte concrete ai cattolici. Fu uno spettacolo nuovo vedere
l'aristocrazia romana arringare la folla. L' « Avanti! » calcolò
in seguito che il voto dei clericali aveva causato la sconfitta dei candidati
socialisti in 26 collegi.
L'obbiettivo di Giolitti era di trovare la più larga base di accordo
possibile per la sua maggioranza e di qui nasce l'apparente contraddizione
delle offerte da lui rivolte prima ai socialisti nel 1903 e quindi ai
cattolici nel 1904. (Denis Mack Smith, Storia d'Italia, dal 1861
al 1958, Laterza, bari 1962)
"I
contestatori"
(Gramsci) - "Giolitti muta spalla al suo fucile: all'alleanza fra
borghesi e operai sostituisce l'alleanza fra borghesi e cattolici (a proposito
del Patto Gentiloni - ndr. ) (Antonio Gramsci)
(Mussolini farà di meglio, lui noto eretico, farà
la conciliazione, e pochi giorni dopo il Plebiscito facendo "il pieno"
dei consensi con i voti dei cattolici)
"I
contestatori"
(Albertini) - "Non mi pare che si possano assegnare finalità
molto elevate ad una politica che blandiva e favoriva non solo quello
socialista, ma tutti i partiti, tutti i gruppi, tutte le credenze, purché
fossero favorevoli al governo. ( Luigi Albertini )
(Anche lui dovette rimpiangere questo modo di fare da finalità
non molto elevate)
"Ciò
che Giolitti aveva compreso"
(Storia
d'Italia Einaud) - "...l'analisi del rapporto fra cultura
e politica nel contesto dell'esperienza di governo di Giovanni Giolitti
contiene elementi di riflessione, che forse non sono ancora oggi del tutto
scontati.
Naturalmente, non possiamo fare qui noi un discorso complessivo sulle
scelte di Giolitti. Ci basta sottolineare il fatto che, rispetto al contesto
storico e sociale precedente, l'uomo politico di Dronero si muove come
una grande e autentica forza di rinnovamento. Giolitti aveva compreso,
in sostanza, che il passaggio da paese agricolo a paese industriale costituiva
per l'Italia la condizione imprescindibile di ogni progresso civile, sociale
e politico; e aveva altresí compreso che tale passaggio non sarebbe
stato possibile, senza realizzare un blocco di tutte le forze politiche
e sociali «progressive» allora operanti, e senza stabilire
quindi un rapporto diretto fra il governo e il movimento operaio organizzato
(il partito socialista) e fra le forze imprenditoriali e le rappresentanze
sindacali dei lavoratori. Egli testimoniava l'esistenza di un settore
della borghesia produttiva ormai autonomo rispetto ai vecchi centri del
potere fondiario, burocratico e parassitario, e voglioso di contare nella
realtà sociale e politica del paese. Questa era, insieme con la
crescita delle organizzazioni di massa del proletariato e con l'estensione
materiale della produzione industriale, la base oggettiva dell'esperimento
di «democrazia giolittiana»: per la prima volta nell'Italia
unita, incremento dello sviluppo, politica di alti salari e difesa delle
libertà costituzionali anche in tema di conflitti di lavoro, mostravano
di non essere fattori contraddittori ma elementi di una stessa strategia,
lucidamente perseguita e fermamente sostenuta" (dal Capit.
"L'Età giolittiana", in Storia d'Italia Einaudi, XI vol.)
"Il sistema giolittiano"
(Storia d'Italia Einaudi) - "È Carocci ad
osservare che «il cosiddetto sistema giolittiano, considerato
nel suo complesso, si basava su due tacite collaborazioni: fra gli industriali
e gli operai, fra il governo e i socialisti. Questa seconda collaborazione
non solo era l'espressione e la mediazione politica della prima, ma era
anche assai piú ampia. Essa comprendeva, oltre agli operai delle
industrie, anche le roccheforti socialiste della campagna padana imperniate
sulle loro cooperative, le amministrazioni comunali socialiste e anche,
con maggior difficoltà, i pubblici impiegati socialisti».
Non mancherà modo, piú avanti, d'indicare limiti, contraddizioni
o, come preferisce dire R. Villari, ambiguità dell'esperimento
giolittiano. Però a noi interessava sottolineare subito e senza
mezzi termini quello che è il senso complessivo di tale esperimento,
e che può essere condensato nell'affermazione fondamentale di Palmiro
Togliatti secondo cui «non si può... negare che tra gli
uomini politici della sua epoca egli appaia oggi quello che piú
degli altri aveva compreso qual era la direzione in cui la società
italiana avrebbe dovuto muoversi per uscire dai contrasti dei suo tempo»
(Discorso su Giolitti (1950), in Momenti della storia d'Italia,
Roma 1963, p. 94).
Riferiamo l'opinione di Togliatti, non solo perché ci sembra importante
che, dalla specola d'osservazione dei movimento operaio e nel 1950, già
ci fosse questa rivendicazione dei meriti del vecchio statista borghese,
che aveva compreso la funzione progressiva ineliminabile della classe
operaia e delle sue organizzazioni, ma anche perché essa riflette
il tentativo di riassorbire criticamente l'esperienza storica del giolittismo
nella prospettiva politica ancora operante del piú legittimo erede
e superatore del riformismo secondinternazionalista, il partito comunista
italiano del secondo dopoguerra. E' questa una chiave di lettura del rapporto
culturale fra opposizione socialista-comunista e classi dominanti.(dal
Capit. "L'Età giolittiana", in Storia d'Italia Einaudi,
XI vol.)
"i
socialisti di fatto diventano protezionisti"
(Storia d'Italia Einaudi) - "in Coscienza e
società, p. 255. G. Are ha illustrato come il disegno politico
del liberismo consistesse nel proporsi come contenuto economico delle
forze democratiche piú avanzate in quel momento. Non a caso, i
liberisti continuarono durante tutto il decennio a premere sul partito
socialista perché facesse propria questa linea come la piú
conforme alle loro idealità politiche e la piú suscettibile
di dargli un'incidenza reale nel progresso democratico e nell'assetto
economico della nazione. Lo stesso Are rileva però che, pur verificandosi
un'egemonia della scienza economica non socialista, del liberismo radicale
o conservatore, sulla cultura socialista (anche in seguito all'assenza,
in campo socialista, di teorici di valore), i socialisti riformisti, dopo
una breve stagione
di simpatie liberiste, si orientarono di fatto per l'accettazione del
sistema protezionista: cosa che, naturalmente, contribuí anch'essa
ad accentuare la separazione fra cultura socialista e cultura radical-liberista
e radical-socialista (alla Salvemini, per intenderci).(dal Capit.
"L'Età giolittiana", in Storia d'Italia Einaudi, XI vol.)
"l'uomo
ha capito !"
(Storia d'Italia Einaud) - "C'è una pagina
celebre del giovane Claudio Treves (già di una seconda generazione
socialista rispetto ai Turati e ai Bissolati, ma perfettamente assimilato
a questi), che vale la pena di citare ampiamente, perché è
di una eloquenza viva e intraducibile. È un articolo della «Critica
sociale» del 1899, che cosí inizia:
"C'è dall'altra riva un uomo che ci ha capito. L'uomo
può essere simpatico od antipatico, inspirare fiducia o diffidenza,
può essere un furbo o un ingenuo; il movimento di ricomposizione
dei partiti può averlo favorevole o contrario, alla testa o alla
coda; tutte queste sodo singolarità accidentali; l'importante è
che l'uomo abbia capito".
Treves prosegue precisando che «l'uomo, per quello che
ha capito, non sarà mai nostro». Questo non toglie che egli
abbia saputo levarsi di fronte alla « selva reazionaria »
e chiederle conto delle « promesse che da molti anni si ripetono
sempre». Perciò ove ce ne fosse bisogno, contro quei comuni
nemici, i socialisti non dovrebbero « essergli scarsi di aiuto».
La conclusione dell'articolo raggiunge le vette della commozione:
"Ah! se quest'uomo, pur dal suo angusto punto di vista di montanaro
avido e astuto, attraverso la libertà volendo arrivare all'ordine
pubblico e alla sconfitta del malcontento, incappasse per via della ristorazione
economica del paese, della fondazione di un regime aperto e largamente
produttore, e rinvigorisse le industrie, dando sicurezza ai capitali,
e salvasse i piccoli tassando di piú i piú grossi, e creasse
il proletariato creando alla perfide la borghesia, e formasse il nocciolo
di un grande paese sinceramente e capitalisticamente moderno; quanta gloria
per lui e quanta riconoscenza!
Sí, quanta riconoscenza - anche da parte nostra - non fosse altro
perché allora potremmo, secondo le nostre intime tendenze, schierarci
francamente contro questo rustico personaggio di Balzac, che sembra aver
condensati in sé (sia venia per i genitivi) tutti i piú
saggi egoismi del piú piatto senso comune del piú classico
tra i paterfamilias del diritto romano: e cosí potremmo finalmente
sbarazzarci di questo mantello di mezzo cotone liberale-democratico, che
fin qui siamo stati costretti un no' troppo a gabbare per "pura lana
socialista!"(dal Capit. "L'Età giolittiana",
in Storia d'Italia Einaudi, XI vol.)
MASSIME
DI GIOLITTI
"La
retorica è un veleno micidiale".
"Agli
uomini politici che passano dalla critica all'azione, assumendo la responsabilità
del governo, si muove spesso l'accusa di mutare le loro idee; ma in verità
ciò che accade, non è che essi le mutino, ma le limitano
adattandole alla realtà e alle possibilità dell'azione nelle
condizioni in cui si deve svolgere necessariamente".
"Mi
mancheranno le parole, mi mancherà non so che cosa, ma quando ho
finito di dire quello che devo dire mi è impossibile continuare
ancora a parlare".
"Quando
si va in cucina, bisogna pur cucinare con gli ingredienti che si trovano".
"Il
miglior sedativo per le smanie rivoluzionarie consiste in una poltrona
ministeriale, che trasforma un insorto in un burocrate".
"Il
Governo ha due doveri, quello di mantenere l'ordine pubblico a qualunque
costo ed in qualunque occasione, e quello di garantire nel modo più
assoluto la libertà di lavoro".
"Primo
dovere del governo è e sarà sempre di mantenere l'ordine
a qualunque costo"
"La
libertà, se è indispensabile al progresso di un popolo civile,
non è fine a se stessa".
"Carlo
Marx è stato mandato in soffitta".
"La
mia esperienza è che nelle masse il buon senso domina più
che generalmente non si creda".