PLATONE

POLITICA - REPUBBLICA

testi di Diego Fusaro

La "REPUBBLICA" è l'opera in cui affiorano maggiormente tutti i temi di Platone: è un libro composto a sua volta da 10 dialoghi dove in particolare emerge il pensiero politico platoniano;come abbiamo già detto Platone era rimasto molto deluso dalla politica della sua città che aveva condannato il suo uomo più giusto e per lui lo stato ideale è quello in cui l'uomo giusto può trovare il suo collocamento senza essere tormentato; molto deluso era anche rimasto dall'incontro con il tiranno di Siracusa e si accorge quindi che il suo concetto di stato è inattuabile, puramente ideale: come ogni altra idea, anche quella di stato va imitata, sebbene sia impossibile riuscirvi totalmente.
Si dice spesso che lo stato platoniano sia una utopia, vale a dire un qualcosa che non sta da nessuna parte . Netta pare la distinzione tra il primo "libro" della repubblica, probabilmente scritto in gioventù, e gli altri: è il dialogo tra Socrate ed un sofista, che dà una definizione di giustizia: essa per lui è il diritto del più forte; egli sostiene, come molti altri sofisti, che gli uomini per natura nascono diversi, chi più forte e chi più debole, ed è solo la legge che li fa uguali: per lui la legge non è nient'altro che un'ingiustizia dei più deboli nei confronti dei più forti, che dovrebbero dominare per natura.

Per il sofista il modello d'uomo ideale è il tiranno, colui che ha fatto valere la sua superiorità sui più deboli: il tiranno è l'uomo più felice e potente. Il primo libro termina con la confutazione di Socrate delle tesi del sofista: per lui ci deve essre per forza una giustizia, in quanto l'ingiustizia che predicava il sofista non può esserci, perchè tende ad eliminarsi da sè: Socrate porta l'esempio dei briganti, ingiusti per eccellenza; anche dopo che hanno commesso ingiustizie rubando, per dividersi il bottino dovranno pur applicare qualche norma. A partire dal 2° libro Socrate imposta il suo discorso cambiando prospettiva, sostenendo che il modo migliore per esaminare l'uomo giusto sia vedere le cose più in grande: dov'è che esiste più in grande il concetto di giustizia? Certamente nello stato; Socrate mirerà a dimostrare l'opposto del sofista: per lui l'uomo ingiusto non è il più felice.

Socrate aveva già più volte affermato che la giustizia rende automaticamente felici: nel libro 10° della Repubblica Platone ci spiega attraverso un mito escatologico ( che possiamo in qualche modo paragonare a quello presente nel Gorgia , il mito dei morti ) che la giustizia conduce alla felicità anche nel mondo ultraterreno . Tuttavia Socrate dovrà anche confutare la critica mossagli dall' aristocratico Glaucone , che sostiene che si é giusti solo per timore di essere scoperti; non solo , ma chi é ingiusto conduce una vita molto più felice rispetto al giusto . Glaucone argomenta servendosi del celebre mito di Gige , il pastore che imbattutosi in un anello capace di rendere invisibile chiunque se lo fosse infilato , da giusto che era divenne ladro e omicida , diventando ingiusto proprio perchè non poteva essere scoperto; Socrate potrà ribattere servendosi della super-idea del bene .
Socrate imposta poi il suo discorso tratteggiando lo stato ideale, partendo da zero: uno stato nasce secondo lui da esigenze materiali e per soddisfare dei bisogni;dal momento che ci sono diverse tecniche per soddisfarli, occorre selezionarle. A suo parere uno stato per funzionare deve avere tre classi sociali: 1) i governanti. 2) i difensori. 3) i produttori.
Ogni classe deve svolgere le sue funzioni, che non sono però di ugual livello, sebbene siano tutte fondamentali; è una chiara prospettiva aristocratica. In realtà la classe dei governanti si costituisce tramite la selezione di difensori che maturando diventano governanti: la forza fisica cede il passo a quella intellettuale e morale. Questa tripartizione ebbe enorme successo nella storia: nel Medioevo, per esempio, la società era suddivisa in oratores, bellatores e laboratores. E le donne che funzione avevano? Platone è stato il primo ad affermare che non ci siano propriamente lavori maschili e lavori femminili; tuttavia era convinto che in ogni campo gli uomini fossero superiori e riuscissero meglio.

La città ideale di Platone è aristocratica, cioè governata da coloro che risultano essere i migliori ed i più idonei a svolgere tale compito; i migliori vengono selezionati in base al loro talento e non al fatto che i loro genitori potessero essere governanti; tuttavia egli ammette che ci sia una sorta di ereditarietà: ciò non significa che i giovani venissero selezionati per la loro discendenza, ma è un dato di fatto che coloro che mostrano maggiori attitudini per il governo sono proprio i figli dei governanti. Per selezionare occorre procedere in due modi: 1) la selezione vera e propria, 2) sviluppare le propensioni dei selezionati.

In realtà lo stato delineato da Platone è lo stato spartano idealizzato: a quei tempi presso gli aristocratici era visto come il top dell'organizzazione. Ma Platone tratteggia anche le possibili degenerazioni statali e proprio tra queste ci sarà lo stato spartano che era in realtà dominato non da aristocratici, ma da militari e proprietari terrieri. Secondo Platone ad ogni classe sociale spetta una virtù; poi ce n'è una comune a tutti e tre i gruppi: in tutto sono 4 le virtù (anche nel Cristianesimo ci sono le virtù, 4 cardinali e 3 teologali: le 4 cardinali l'uomo le possiede per natura, le 3 teologali deriverebbero dalla divinità e sono fede, carità e speranza) e si suddividono così: 1) sapere 2) coraggio 3) temperanza 4) giustizia.
I governanti, come abbiamo già detto, devono essere filosofi e quindi la loro virtù è il sapere; quella dei difensori è il coraggio che serve loro per difendere strenuamente lo stato; i produttori devono invece essere dotati della temperanza, devono cioè sapere che vi è chi governa e chi lavora; è una virtù che in realtà appartiene un pò a tutti, ma soprattutto a loro che devono obbedire.

In termini moderni la temperanza è il consenso: se non c'è una diffusa convinzione del fatto che ci sia chi governa e chi lavora lo stato non può reggere. Bisogna tenere a mente che Platone sta sì parlando per bocca di Socrate per delineare la giustizia statale ideale ma solo per tratteggiare l'uomo giusto: si serve dello stato per poter operare su un modello più grande. La "Repubblica" viene spesso letta solo in chiave politica sebbene la politica sia in secondo piano: il tema centrale è proprio l'uomo giusto e la sua formazione. Per esempio descrive le degenerazioni statali per delineare parallelamente quelle umane; a sostenere la tesi che sia un libro il cui fulcro è l'uomo è il 10° libro che con un mito escatologico spiega che ne sarà dell'uomo giusto nell'aldilà.
Nella "Repubblica" Platone ripropone la tripartizione dell'anima che corrisponde esattamente a quella statale, dettata dal fatto che non in tutti gli uomini prevale la stessa parte dell'anima: quella razionale (l'auriga) dominerà nei governanti, i quali ricercano il sapere razionale; quella irascibile (il cavallo bianco) prevale nei difensori, che agiscono mossi da orgoglio; quella concubiscibile (il cavallo nero) avrà la meglio sui produttori. Possiamo così comprendere perchè Platone la chiami temperanza: le varie parti dell'anima capiscono che bisogna tenere a bada, temperare, quella concubiscibile. Platone definisce un uomo più forte di se stesso quando la parte razionale tiene a freno le altre, vale a dire quando l'auriga ha la meglio.

La giustizia è la 4° virtù : si ha giustizia quando ciascuno svolge le proprie mansioni e non pretende di svolgere ruoli che non gli spettano. Sparta era una oligarchia militare e quindi era ingiusta in quanto svolgevano le mansioni di governanti persone non idonee e a detenere il potere non sono necessariamente i migliori. Atene, città democratica, era anche messa peggio: era retta dalla 3° classe, i produttori; Platone definisce la democrazia il governo degli incompetenti, dove bisogna ascoltare il parere di qualsiasi stolto e dove ciascuno pensa solo a se stesso. Lo stesso vale per l'uomo: l'uomo giusto non si lascia trascinare dai piaceri (tanto meno da quelli fisici) ed è felice perchè la giustizia stessa fornisce un piacevole senso di benessere; la parte irascibile (cavallo bianco), vincolata dall'orgoglio, si vergogna dei piaceri e aiuta l'auriga a tenerne l'anima distante.

Per Platone il tiranno è schiavo della parte peggiore di se stesso, del cavallo nero: è quindi ingiusto perchè nel contesto dell'anima non spetta al cavallo nero di comandare ed infelice perchè privo di giustizia. Un dubbio che può sorgere è come si ottiene il consenso o temperanza che dir si voglia: Platone dà una spiegazione tramite un mito, che può quindi anche rivestire una funzione politica: per convincere afferma che gli uomini siano stati forgiati con 3 diversi metalli (oro, argento, ferro): ci sono quindi differenze naturali tra gli uomini e quindi la tripartizione è necessaria e giustificata. Si ha consenso quando si ha una ideologia diffusa: la parola ideologia ha una lieve sfumatura negativa, come se si affermasse qualcosa non proprio corretto ma fatto passare per buono: è proprio il caso del mito platonico con valenza politica; Platone parla anche in questo caso di menzogne buone e necessarie per il consenso. Per lui, comunque, quando lo stato è felice, allora anche tutti i gruppi lo sono. Secondo le concezioni liberali e moderne è l'opposto: quando i singoli stanno bene, anche lo stato procede felicemente.

Platone, per motivare quanto detto, si serve di una concezione "organicista": se il nostro organismo sta bene, allora ogni singolo membro sta bene. Dire concezione organicista, non significa che le singole parti debbano per forza essere subordinate alla totalità: Platone dice che da un lato conta il tutto, ma che dall'altro se il tutto è felice anche le parti lo sono.
Come possono essere esse felici? Platone non si limita alla precedente argomentazione organicista; egli pone dei limiti allo stato: non deve essere troppo ampio perchè uno stato è tale solo quando i suoi abitanti hanno la consapevolezza di formarlo; uno stato troppo esteso è anche difficilmente controllabile. Platone vedeva lo stato come una grande famiglia basata sull'armonia e sulla solidarietà: per creare questa situazione bisogna a suo avviso eliminare la famiglia naturale in modo che gli abitanti dello stato considerino propri familiari gli altri abitanti; bisogna poi eliminare la proprietà che frammenta la società.

E' un comunismo radicale ed estremista dove bisogna addirittura vivere insieme; lo scopo è far sì che i cittadini concepiscano un forte senso di solidarietà: ciascuno lavorerà e difenderà lo stato come farebbe con la propria famiglia. Probabilmente Platone prese spunto dalla società spartana arcaica e militare improntata sul governo oligarchico-militare. Questo comunismo per Platone deve riguardare solo alle due classi superiori, che devono governare. Bisogna eliminare gli interessi personali in modo tale da evitare che i governanti tutelino i propri interessi accecati dalla smania di denaro, tralasciando quelli altrui.
L'obiezione di fondo che solitamente si muove, al di là dell'estremismo, è che i governanti, condannati ad una scelta così rigida, condurrebbero una vita tristissima. La società è fortemente gerarchizzata e sul piano materiale sono avvantaggiati i produttori, che vivono normalmente e possono arricchirsi. Quindi può sembrare che i ceti superiori siano infelici; in realtà i governanti ed i guardiani che poi lo diverranno hanno un talento naturale e sono già stati selezionati ed educati dallo stato; da questa educazione trarranno enormi vantaggi e saranno poi chiamati a governare, sebbene contro la loro volontà: infatti vengono educati alla sapienza e alla conoscenza, che comprenderanno essere le cose più importanti ed utili di tutte; dello stato non gliene importa nulla, così come non gli importa delle ricchezze materiali: la sapienza rappresenta una ricchezza morale molto più importante e duratura. Verranno però poi chiamati a governare proprio perchè non vogliono!

Secondo Platone infatti lo stato va amministrato da chi non vuole farlo, da chi ha raggiunto un alto livello di educazione e ha compreso che ciò che più conta è il sapere, e non da chi vuole amministrarlo, in quanto lo farebbe solo per interessi personali. Vivranno quindi la maggior parte della loro vita dedicandosi alla cultura, ma saranno poi costretti a governare per un pò: lo devono allo stato che li ha allevati e mantenuti negli studi. E' un dovere morale. Guardiamo ora alle singole classi sociali. I governanti (ed i difensori) nel complesso fanno ciò che desiderano, svolgono cioè la loro vita dedicandosi al sapere (il periodo in cui governano, come abbiamo detto, è breve); ai produttori non interessa il sapere e sono felici di arricchirsi materialmente e perseguire questi strumenti inferiori di felicità. Quindi è una società (ideale) felice anche nelle sue singole parti.

Platone viene anche criticato per aver creato uno stato totalitario, che vuole organizzare totalmente la vita dei singoli, la cui vita non conta nulla di per sè, se non in funzione dello stato: si può portare come esempio il caso che Platone cita in uno dei 10 libri: l' eugenetica (dal Greco eu, bene, +gignomai, nasco, =nascere bene); lo stato sceglie gli individui da far accoppiare in modo tale da avere una discendenza perfetta. Un filosofo di posizioni liberali, Popper, criticava la società di Platone, perfetta e totalitaria, ed era in favore di una società aperta, che avesse la possibilità di correggersi e di migliorare: Popper era del parere che creare una società perfetta fosse impossibile perchè l'uomo stesso è imperfetto per natura. La società aperta è inferiore a quella totalitaria platonica, ma ha conoscenza della propria inferiorità e sa correggersi cambiando in continuazione: una società perfetta non ha motivo di fare questo. Platone insiste invece sull'immutabilità: la società per lui è perfetta così com'è e non deve assolutamente cambiare. Popper ha però commesso un errore dimenticandosi nella foga che Platone parla di un'idea statale: un'idea, per definizione, non è mai realizzabile: è solo un punto verso cui muovere.

Nelle "Leggi", opera incompiuta, Platone delineerà lo "stato secondo": dal momento che il "primo", quello delineato nella "Repubblica" è puramente ideale, Platone ne tratteggia uno attuabile, dove prende gli aspetti migliori di ogni governo in modo tale da creare il miglior stato tra quelli attuabili (questa soluzione piacque molto in seguito ed è considerata il punto di partenza dello stato "misto". Il ragionamento di Popper è dunque in parte fuori luogo: se ipotizzassimo la società perfetta, perchè mai dovremmo cambiarla? Perchè cambiare qualcosa di perfetto? Potrebbe cambiare solo in peggio. Abbiamo detto che lo stato delineato nella "Repubblica" è un'utopia ed è interessante notare la distinzione tra i due aggettivi che ne derivano;"utopistico" è un qualcosa di negativo che si pretende realizzabile, ma che per fortuna non lo è: utopistico è il Comunismo ideale. "Utopico" è un concetto tipicamente progressista che induce a vedere il mondo, che molti credono buono così com'è, imperfetto e migliorabile: il progressista ha un atteggiamento sempre volto al cambiare. Si può dire che il concetto di "utopistico" si avvicini molto a Platone che nelle Leggi fa notare che lo stato così com'è non va bene e ne propone uno "misto", dal momento che quello ideale-aristocratico è inattuabile.

Popper ha invece preso l'idea di Platone utopica di stato per utopistica. La "Repubblica" può anche essere vista in chiave di trattato pedagogico-educativo volto all'istruzione dei futuri governanti: Platone ci indica qui i diversi livelli di conoscenza e contrappone la filosofia ad altri metodi di educazione, primo tra tutti quello della retorica capeggiato da Isocrate; per Platone la vera retorica è quella che si fonda sulla piena conoscenza della verità e delle persone cui ci si rivolge, non come la intendevano tutti i suoi contemporanei: per Isocrate e tutti gli altri essa consisteva invece nel formulare discorsi eleganti ma privi di verità. Platone critica anche la poesia: Socrate stesso diceva che essa non è un vero sapere, ma una forma di conoscenza infusa dalla divinità: il poeta infatti quando componeva era divinamente ispirato, la divinità si serviva di lui per comunicare (basti pensare ad Omero , che parlava ammaestrato dalla Musa).
Platone era appassionato di etimologia e si divertiva a dare interpretazioni sull'origine e la derivazione delle parole, che per lo più erano errate; una di queste, però, era corretta: Platone fece derivare la parola "
mantica" dal termine greco "mania", follia. Infatti quando si davano responsi si era come se fuori di sè: a parlare era la divinità. Non significa comunque che la poesia non valga nulla (Platone stesso può essere considerato poeta). Va senz'altro a proposito citato lo " Ione " , un dialogo platonico considerato " minore " , dove ben emerge come fondamento della poesia non sia la scienza , bensì l'ispirazione . Protagonisti sono Socrate e Ione , un rapsodo . Ione si dichiara espertissimo di Omero e di tutte le sue opere , e ne dà prova recitando a memoria i pezzi più svariati . Ione ne sa davvero molto su Omero , ma Socrate gli dimostra che il suo sapere non si basa su conoscenza e scienza : è un'ispirazione divina . Platone nella "Repubblica" fa considerazioni più articolate e complesse rispetto a quelle di Socrate , attaccando l'arte su due piani differenti: 1)morale e più banale rispetto all'altro: Platone, come già Senofane, sostiene che l'arte ci presenta gli dei o gli eroi con caratteristiche fortemente negative e che assumono atteggiamenti meschini e di basso valore morale (basti pensare all'ira di Achille); lo stesso vale anche per la musica, di cui Platone era esperto (si racconta che ormai in fin di vita, sentendo una fanciulla che suonava il flauto, le ultime parole che pronunciò prima di morire furono di rimprovero perchè ella aveva stonato): a quell'epoca vi erano diversi stili ben canonizzati e definiti, ognuno dei quali stimolava determinati sentimenti, positivi e negativi. Secondo Platone la musica che stimola sentimenti negativi va assolutamente censurata; al giorno d'oggi abbiamo criteri di giudizio differenti: un brano musicale o ci piace o non ci piace, indistintamente dal suo valore morale: per noi bello e brutto sono su un livello totalmente differente da buono e cattivo. Prendiamo per esempio i Carmina Burana di Orf, di orientamento filo-nazista: si possono apprezzare pur non essendo filo-nazisti. Presso di noi vige l'autonomia dell'arte, che Platone non ha riconosciuto: bello-brutto è diverso da buono-cattivo e da vero-falso: in un libro di storia ricerco la verità, in un romanzo la bellezza. . . Platone era senz'altro molto attratto dalla questione del bello, che per lui aveva a che fare con la natura e non con l'arte: parla infatti di begli uomini, belle piante, belle azioni. . . Il suo giudizio è puramente morale: se un'opera è cattiva sul piano morale, anche se bella va censurata, il che rientra bene nella concezione di stato totalitario platonico.

Bisogna comunque dire che era un concetto molto diffuso presso i Greci, che lo riassumevano nella "calogazia": non c'era differenza tra bello e buono. Abbiamo anche tirato in ballo la coppia vero-falso, di valenza gnosologica;abbiamo già detto a riguardo delle idee che il piano ontologico e quello gnosologico corrispondono: vero e falso si identifica con essere e non essere;di conseguenza il falso va censurato. 2)metafisico e di più alto livello: in un primo momento Platone afferma dunque che le opere d'arte pericolose vanno allontanate;successivamente, non soddisfatto di quanto detto, sostiene che vadano censurate tutte dalla prima all'ultima. Quando un artista raffigura un corpo, secondo Platone, imita un corpo esistente in natura;ma abbiamo detto che per Platone le cose sono imitazioni delle idee. Le opere d'arte sono quindi a suo avviso imitazioni di imitazioni: se già le cose sensibili sono inferiori alle idee, figuriamoci le opere d'arte: sono un gradino più distanti e contengono un tasso di verità addirittura inferiore a quello delle cose: le opere d'arte impediscono all'uomo ancora di più rispetto alle cose sensibili di conoscere le idee e vanno dunque bandite. L'arte diventa quindi negativa a prescindere dal fatto che stimoli buoni o cattivi sentimenti: il piano morale non conta più. Sono affermazioni piuttosto strane, soprattutto se consideriamo che Platone stesso era un artista e dedicò dialoghi al bello naturale, come il "Fedro" o il "Simposio" . Chiaramente aveva ben presente le capacità persuasive dell'arte.


Tuttavia in epoche successive si sono usate queste stesse affermazioni platoniche per giustificare l'arte: essa non imita la realtà empirica, ma le idee stesse ed è strano che Platone non se ne sia accorto in quanto aveva tutti gli strumenti: i ritratti stessi (presso i Greci ancora di più i busti) sono idealizzati;l'artista sfrutta il volto di chi deve ritrarre per poi passare all'idea vera e propria (è lo stesso del triangolo disegnato che serve per ragionare sull'idea di triangolo). Probabilmente per noi è più facile capirlo perchè possediamo la macchina fotografica;è facile per tutti capire la differenza tra un ritratto e una foto. Da notare, poi, che dalla scoperta della macchina fotografica in poi i pittori hanno cominciato a fare ritratti sempre più astratti e meno realistici. Gorgiaaveva dato grande importanza all'arte sganciandola dal piano ontologico: secondo lui dal momento che la verità non esiste, ci si può creare un mondo proprio, dato che non c'è un vero mondo: non si hanno vincoli imitativi;per Gorgia l'artista è tanto più bravo tanto più riesce ad ingannare. Gli artisti secondo Platone, invece, con le loro "copie" precludono agli uomini la possibilità di conoscere. Altro motivo della condanna da parte di Platone è che l'arte corrompe i giovani perchè rappresenta l'uomo in preda alle passioni; vengono indotti a considerare normale una vita in balia delle passioni, dell'odio, dell'invidia. . . l'arte stessa sviluppa le passioni. Lo stesso Omero (che veniva anche definito "la bibbia dei Greci" dal momento che nelle sue opere si trovava un pò di tutto: verità religiose, tecniche militari. . . ) ha rappresentato i più grandi eroi in preda a passioni.

Platone nella sua condanna risparmia solo la musica e le poesie patriottiche che elevano l'uomo al grande dovere di sacrificio per la patria, ispirandosi al modello spartano, dove la musica patriottica aveva avuto importanza sul piano educativo. Tuttavia in altri dialoghi dà un giudizio positivo rivalutandola completamente (egli stesso era un grande poeta). Platone, come detto, si occupa dell'educazione dei futuri governanti, recuperando alcuni aspetti della "paideia" tradizionale;il percorso da seguire è lungo e difficile e si può suddividere in varie tappe: nel periodo della giovane età l'educazione viene improntata sulla musica e sulla ginnastica; Platone è convinto che nella prima fase dell'educazione non si possa forzare sul piano teoretico. La musica aveva a che fare con il ritmo e più che musica come la intendiamo noi, era educazione ad ogni tipo di ritmo: era quindi educazione dell'anima. La ginnastica aveva la funzione di creare uno stato di armonia sia nel corpo sia nell'anima, e di conseguenza era una forma di educazione tanto relativa al corpo quanto all'anima. Si può dire che l'intero percorso educativo miri all'armonia dell'anima: in poche parole l'uomo giusto è l'uomo armonico.

Prima di entrare nella fase vera e propria dello studio teoretico secondo Platone bisogna dunque impartire un'armonia psico-fisica tramite queste due attività. lo studio vero e proprio si articola nello studio della matematica e della filosofia: il culmine consiste nel raggiungimento dell'idea di bene;è un itinerario lungo e selettivo: quando lo si completerà si avranno ormai circa 50 anni per poi essere pronti a governare lo stato, anche se controvoglia. E' interessante il fatto che nelle "Leggi" Platone parli di un'educazione prenatale: a suo avviso grazie a tecniche particolari (modi di cullare, per esempio) si può dare una prima educazione all'armonia;ai giorni nostri si è scoperto che ciò ha davvero una sua influenza;è quindi un'interessante intuizione platonica, che sapeva bene che l'educazione non è solo razionale. La dimensione conoscitiva è legata ancora una volta alla gerarchia ontologica; Platone per esprimere meglio questa idea si serve di un'efficace immagine e di un mito (il celebre mito della caverna): la prima è la celebre immagine della "linea": come abbiamo già detto la conoscenza stabile è quella basata sull'episteme, quella mutevole ed opinabile sulla doxa. Ancora una volta riscontriamo una chiara influenza pitagorica : i Pitagorici infatti individuarono il numero come principio della realtà e crearono una "piramide" di principi che partiva dalla coppia finiti-infinito e da lì si generavano tutte le altre coppie.

Per il momento diciamo che i livelli platonici sono 4 (anche se quelli fondamentali restano 2). L'eikasia ha a che fare con la radice eik- di somiglianza, apparenza: è opportuno tradurla con "immaginazione", ma va depurata da tutti i significati che le attribuiamo noi;è la capacità di cogliere le immagini;si tratta di verità addirittura inferiori a quelle del mondo sensibile e possiamo in parte identificarle con le opere d'arte, ma anche con i riflessi delle cose, come gli specchi o le superfici di laghi o fiumi: Platone aveva in mente tutte le riproduzioni del mondo sensibile;ma molti studiosi hanno anche sostenuto che nella capacità di immaginazione si possa vedere anche un primitivo atteggiamento conoscitivo: si tratta della pura e semplice sensazione;quando prendiamo in mano un quaderno abbiamo dapprima una pura e semplice percezione sensuale: notiamo la forma, il colore. . . Conoscere realmente un quaderno significa mettere insieme le sensazioni e sfruttarle;forse per capire meglio basterebbe chiudere gli occhi e stringere un libro: lo si percepirebbe con il tasto e si potrebbe immaginare cosa si vedrebbe ad occhi aperti;verso la fine del '600 si cominciarono ad effettuare i primi interventi di cataratta e si fecero vedere per la prima volta persone che non avevano mai visto: quando costoro riferirono le loro impressioni si scoprirono cose interessanti;per esempio non riuscirono ad identificare con la vista ciò che per anni avevano toccato; chiaramente è molto differente da ciò che intendeva Platone, ma ci permette comunque di capire che l'oggetto della conoscenza (sebbene la conoscenza empirica sia inferiore a quella intellegibile) è il risultato di operazioni complesse: si associano esperienze visive con esperienze tattili; tuttavia non siamo per niente sicuri che Platone ci sia davvero arrivato. La pistis, che possiamo tradurre con "credenza"è il soggetto conoscitivo degli oggetti sensibili. Della episteme abbiamo già parlato: i suoi oggetti sono intellegibili, ma non necessariamente idee; o meglio, ci sono sì le idee, ma anche gli enti matematici che possiamo suddividere in a) geometria, b) musica, vista come rapporti matematici, c) stereometria, che è la geometria dei corpi solidi, d) astronomia, vista come scienza del movimento dei solidi: erano le arti del "quadrivio", diremmo oggi le materie scientifiche che già all'epoca si contrapponevano a quelle umanistiche.

Dunque la dianoia corrisponde alla matematica in generale, la noesis alle idee; Platone era molto interessato di matematica (anche qui possiamo riscontrare un'influenza pitagorica ) e proprio sull'entrata dell'Accademia; c'era scritto "Non entri chi non conosce la matematica": essa per Platone aveva una valenza propedeutica e di ginnastica mentale. Per un verso assomiglia alla filosofia perchè ha oggetti stabili, permanenti e non sensibili (uso sì disegni, ma per dimostrare su idee) per un altro presenta grandi limiti: si pensa sì ad idee, ma si lavora pur sempre su cose sensibili: occorre sempre l'appoggio del piano sensibile; la filosofia invece è un percorso mentale tutto interno alle idee. La matematica ha poi bisogno di ipotesi: si parte da postulati e da definizioni: cose che vengono accettate senza venir dimostrate; la filosofia ha invece un carattere critico: non si accetta mai nessuna cosa per data e si tende a mettere sempre in discussione fino ad arrivare alla conoscenza. Bisogna infatti risalire tutte le ipotesi fino ad arrivare ad una ipotesi indiscutibile da cui derivano tutte le altre. Va poi ricordato che gli oggetti matematici sono su un piano intermedio: hanno caratteristiche di idee (l'immutabilità) ma anche di enti empirici (la molteplicità): molteplicità e immutabilità sono proprio 2 dei principali aspetti che differenziano il mondo sensibile da quello intellegibile ;il numero 3, ad esempio, è immutabile ma in un'espressione matematica lo si può scrivere più volte. Dianoia e noesis hanno entrambe la radice di "
nous", intelletto: la noesis è la versione pura e senza aggiunte e si può tradurre con "intellezione";dianoia è più complessa perchè compare la radice "dià", attraverso-mediante, che implica il passaggio da qualcosa a qualcos'altro e si può tradurre con "ragionamento discorsivo": in un'espressione ci sono diversi passaggi e si passa di continuo da mondo empirico a mondo intellegibile. La noesis è l'intellezione, la contemplazione delle idee. La diversa lunghezza dei segmenti nel disegno di prima suggerisce una chiara gerarchizzazione: un segmento più è lungo e più è conoscibile, vale a dire che contiene un maggior tasso di essere. Il punto di arrivo della conoscenza è il bene in sè, l'idea di bene, cui Platone allude qua e là nei suoi dialoghi, sempre velatamente, chiamandola "misura", "uno", "bellezza". . .

Si tratta del più alto livello di argomentazione platonica: ce ne parla però in maniera molto indiretta e sfumata e doveva rientrare nelle dottrine non scritte;Platone stesso ci dice che lui non ne parlerà usando una strana metafora, che si può definire "bancaria": dice che parlerà "del figlio e non del padre", termini che in greco significano anche "interesse" e "capitale": quindi si può intendere "vi parlerò dell'interesse e non del capitale". Si serve poi di un'efficace metafora "solare": il bene sta al mondo delle idee come il sole sta a quello sensibile. Con bene in sè, idea di bene si intende un bene assoluto e non relativo ad altre cose come le idee (l'idea di forza, ad esempio, è un bene relativo perchè può essere un bene come un male: dipende dall'uso e dalle circostanze). Il bene in sè è la conoscenza suprema e sublime a cui sono chiamati i filosofi-re, che devono seguire il lungo percorso di studi: esso è il top del percorso educativo: quando si ottiene la conoscenza del bene in sè si è chiamati a governare la città;ciò che porta ad orientare ogni cosa verso il bene, a renderla buona è proprio la conoscenza del bene in sè. Per molti aspetti esso coincide con l'idea del bello: la bellezza è il modo in cui si esterna il bene interno: è una concezione ampiamente diffusa in tutto il mondo greco.

Secondo Platone il sole è la "ratio essendi" (la ragione di essere)e la "ratio cognoscendi" (la ragione di conoscere)nel mondo sensibile: è infatti grazie al sole che riusciamo a vedere il mondo sensibile;in sua assenza vediamo molto male ed è grazie a lui che conosciamo la realtà sensibile. Il sole consente poi la vita: dove non c'è il sole non c'è vita. Il bene riveste le stesse funzioni del sole, però nel mondo intellegibile delle idee, che in un certo senso sono anch'esse "ratio cognoscendi" e "ratio essendi": l'idea fa sì che un cavallo sia tale e che lo si riconosca. Come detto, l'idea ha anche valenza assiologica (i cavalli mirano ad imitare l'idea di cavallo) ed è bene aggiungere di "unità della molteplicità": i cavalli sono tantissimi, ma l'idea di cavallo è unica e la si può definire "stampo" dei cavalli. Il bene in sè, oltre a quelle del sole, svolge le funzioni anche delle idee: risulta quindi inesatto definirlo idea: è una idea delle idee, una super-idea che si trova ad un livello superiore delle idee e che riveste funzioni analoghe a quelle delle idee sul mondo sensibile, ma sulle idee a stesse. Le idee sono unità della molteplicità, ma tuttavia sono tante: quindi si può fare lo stesso discorso che facevamo per le funzioni delle idee sul mondo sensibile;esse dovranno avere qualcosa in comune tra di loro. Esse rappresentano il bene per ciascuna categoria, il punto cui devono mirare i componenti di ogni "classe": le idee tendono ad essere il bene per la loro categoria: l'idea di uomo è il punto cui tutti miriamo: le idee fanno quindi riferimento al bene in sè, che è quindi un principio supremo, una super-idea. Esso svolge le stesse funzioni che le idee svolgono nel mondo sensibile, ma sulle idee stesse: ce le renderà conoscibili (conosco un'idea perchè è il bene della sua categoria), le farà esistere ( esistono nella misura in cui sono il bene della loro categoria, partecipano al bene). L'idea del bene sarà anche l'unità della molteplicità delle idee, che sono innumerevoli, pur essendo il solo modello per ogni categoria.

Abbiamo detto che a volte, al posto di bene in sè, troviamo "uno", "misura". . . Abbiamo anche già parlato di quella volta che Platone tenne la conferenza sul bene parlando di matematica: dunque l'"uno" ben si riallaccia. Ma che cos'era il bene in sè? Per Platone esso è unità, armonia, ordine, misura, unità. . . In altri dialoghi parla del bene in sè, del vertice della realtà, come coppia di principi, o meglio come principio bipolare: al vertice della realtà ci sarebbero dunque l'"uno" e la "diade indefinita". L'"uno" è l'unità, la diade fa riferimento al 2, quasi all'idea di 2: Platone col 2 vuole chiaramente indicare la negazione dell'unità, suggerendo il principio della molteplicità o almeno un primo passo verso di essa. Con il bene in sè (in greco "katà auton") sta pian piano rivelandoci l'esistenza di un 5° livello, principio supremo della realtà. La dottrina delle idee serve a spiegare perchè, in fin dei conti, le cose sono buone, o meglio le idee sono buone: il mondo sensibile cerca di imitare la bontà delle idee, ma con scarsi risultati.

Abbiamo finora detto che le imitazioni risultano imperfette: è un'ipotesi molto vaga. E' il momento di spoiegare perchè le cose non sono perfettamente buone: bisogna o ammettere un altro principio o ammettere la bipolarità del principio: accanto all'"uno" (il bene vero e proprio)c'è la diade, la molteplicità concettuale che crea disordine.
Cerchiamo di ritracciare lo schema già trattato in precedenza, però più corretto : é una gerarchia ontologica: più si sale e più cresce il tasso di essere perchè si ha esistenza sempre più forte: l'idea di cavallo non muore, il cavallo sì. Il punto di partenza, puramente teorico, addirittura sotto il livello delle immagini-imitazioni, è il non essere, poi troviamo l'essere pieno delle idee;il bene in sè, però, per Platone è per "dignità e per potenza" superiore all'essere: se le idee sono l'essere ciò che le motiva (il bene in sè) non può essere essere. Di fronte a questa affermazione di Socrate (ricordiamoci che a parlare è lui, con parole platoniche) l'interlocutore del dialogo esclama con stupore "Oddio!". In realtà esclama "per Apollo". Un interprete ha avanzato un'ipotesi: dato che è un pezzo di dialogo particolarmente allusivo egli ha ritenuto che sotto l'espressione "Apollo" (la divinità del sole, già qui ci può essere un collegamento alla proporzione precedente) si possa leggere "a" (alfa privativa) e "pollos", che significherebbe non molteplice. Effettuando questa affermazione non ci dice tanto ciò che il principio supremo è, quanto piuttosto ciò che non è (molteplice). Il bene risulta quindi coglibile con qualcosa che sta oltre alla conoscenza: se i livelli della conoscenza corrispondono all'essere e il non essere non è conoscibile, man mano che cresce il tasso di essere cresce il tasso di conoscibilità: ma il bene in sè è sopra, al di là dell'essere e quindi ha una conoscibilità totalmente fuori dal normale.

Platone stesso ci dice che è una conoscenza extra-razionale. Schematizziamola in un grafico: la conoscenza non è nient'altro che un tentativo del soggetto di arrivare all'oggetto o dell'oggetto di arrivare al soggetto: limitiamoci a dire che è un tentativo di unione tra soggetto ed oggetto. Se si sale dalla parte del soggetto, di pari passo si sale da quella dell'oggetto: crescono di pari passo. Paradossalmente, però, l'identificazione tra soggetto e oggetto implica l'inconoscibilità: per conoscere ci deve essere un soggetto che compie l'azione ed un oggetto che viene conosciuto: se vengono a mancare, manca di conseguenza anche la conoscibilità. Il bene in sè si trova esattamente nel punto di incontro tra soggetto ed oggetto: Platone afferma che la conoscenza del bene in sè sia un'esperienza mistica dove però è indispensabile la ragione;la si potrebbe tranquillamente definire una mistica di superamento della ragione.

Platone dice poi di voler descrivere la nostra situazione di uomini, di come siamo e di come il nostro destino può cambiare. Si serve qui del celeberrimo mito della caverna, forse il più famoso mito platonico, dove emerge tutta la sua filosofia : descrive una caverna profonda stretta ed in pendenza, simile ad un vicolo cieco. Sul fondo ci sono gli uomini, che sono nati e hanno sempre vissuto lì;essi sono seduti ed incatenati, rivolti verso la parete della caverna: non possono liberarsi nè uscire nè vedere quel che succede all'esterno. Fuori dalla caverna vi è un mondo normalissimo: piante, alberi, laghi, il sole, le stelle. . . Però prima di tutto questo, proprio all'entrata della caverna, c'è un muro dietro il quale ci sono persone che portano oggetti sulla testa: da dietro il muro spuntano solo gli oggetti che trasportano e non le persone: è un pò come il teatro dei burattini, come afferma Platone stesso. Poi c'è un gran fuoco, che fornisce un'illuminazione differente rispetto a quella del sole. Questa è l'immagine di cui si serve Platone per descrivere la nostra situazione e per comprendere occorre osservare una proporzione di tipo A : B = B : C La caverna sta al mondo esterno (i fiori, gli alberi. . . ) così come nella realtà il mondo esterno sta al mondo delle idee: nell'immagine il mondo esterno rappresenta però quello ideale tant'è che le cose riflesse nel lago rappresentano i numeri e non le immagini empiriche riflesse. Si vuole illustrare la differenza di vita nel mondo sensibile rispetto a quella nel mondo intellegibile. Noi siamo come questi uomini nella caverna, costretti a fissare lo sguardo sul fondo, che svolge la funzioni di schermo: su di esso si proiettano le immagini degli oggetti portati dietro il muro. La luce del fuoco, meno potente di quella solare, illumina e proietta questo mondo semi-vero. Gli uomini della caverna scambieranno le ombre proiettate sul fondo per verità, così come le voci degli uomini dietro il muro: in realtà è solo l'eco delle voci reali. Gli uomini della caverna avranno un sapere basato su immagini e passeranno il tempo a misurarsi a chi è più bravo nel cogliere le ombre riflesse, nell'indovinare quale sarà la sequenza: è l'unica forma di sapere a loro disposizione ed il più bravo sarà colui il quale riuscirà a riconoscere tutte le ombre.

Supponiamo che uno degli uomini incatenati riesca a liberarsi: subito si volterebbe e comincerebbe a vedere fuori gli oggetti portati da dietro il muro non più riflessi sul fondo della caverna. Poi comincerà ad uscire ma sarà piuttosto riluttante perchè infastidito dalla luce alla quale era desueto: quando finalmente uscirà si sentirà completamente smarrito e disorientato. Comincerà a guardare indirettamente la luce solare: ad esempio la osserverà riflessa su uno specchio d'acqua. Man mano che la vista si abitua guarda gli oggetti veri: gli alberi, i fiori. . . In un secondo tempo le stelle e poi riuscirà perfino a vedere il sole. Chiaramente vi sono chiare allusioni a varie dottrine platoniche: evidente risulta l'allusione ai 5 livelli di conoscenza;le immagini proiettate sul fondo della caverna sono l'eikasia la capacità di cogliere le realtà empiriche riflesse, grazie al fuoco che rende visibili questi oggetti "artificiali". Gli oggetti artificiali che portano dietro il muro sono la pistis, il mondo sensibile vero e proprio. Curioso è che l'atto di voltarsi da parte degli uomini nella caverna venga espresso con la parola "convertirsi": è l'atto fondamentale per il cambiamento della propria prospettiva esistenziale. Le cose dietro il muro riflesse nello specchio d'acqua rappresentano la dianoia, gli enti matematici;gli alberi ed i fiori sono invece le idee vere e proprie, la noesis. Il sole, invece, è il bene in sè. Le stelle sono le idee più elevate (i numeri ideali. . . ). L'uomo che è fuggito dalla caverna e ha visto tutto si trova in una situazione piuttosto ambigua: da un lato vorrebbe rimanere all'aperto, dall'altro sente il bisogno di far uscire anche i suoi amici incatenati;alla fine decide di calarsi nella caverna e quando arriva in fondo non vede più niente, è come se accecato. Sostiene di essere tornato per condurli in un'altra realtà, ma essi lo deridono perchè non riesce più neppure a vedere le ombre riflesse sul fondo. Lui però continua a parlar loro del mondo esterno ma i suoi "amici" lo deridono e si arrabbiano e lo picchiano perfino.

In realtà Platone vuole qui descrivere la storia di Socrate , un uomo che ha visto realtà superiori e ha cercato di farle conoscere agli altri che non hanno però accettato. Per quel che riguarda il fatto che l'uomo tornato nella caverna non riesca più a cogliere le realtà sensibili, possiamo portare ad esempio la vicenda del filosofo Talete, che guardando le stelle cadeva nei pozzi e veniva deriso per il fatto che voleva vedere le stelle lui che non vedeva neppure cosa c'era per terra. La liberazione dalle catene avviene (come la reminescenza) o per caso o grazie all'intervento di qualcuno. Comunque il mito rievoca pure il compito dei governanti, che una volta raggiunto il sapere devono per forza tornare nel mondo sensibile per governare. La fuoriuscita dalla caverna può anche essere metafora del lungo percorso educativo dei filosofi-re. Si può quindi definire correttamente il mito della caverna come una sorta di riassunto della filosofia platonica. Platone passa poi alla descrizione delle "decadenze" statali: a suo avviso la miglior forma di governo è quella dello stato ideale da lui tratteggiato, che è però inattuabile: essa potremmo identificarla con l'aristocrazia, dove a detenere il potere sono coloro che risultano essere i più idonei.

Tra gli stati attuabili Platone attribuisce il secondo posto (se non contiamo lo "stato secondo" delle "Leggi) alla Timocrazia, vale a dire il governo basato sul senso dell'onore corrispondente allo stato spartano nel suo periodo migliore. A lungo si è pensato che Platone avesse effettuato questa graduatoria di forme di governo a seconda del numero di governanti: più ce n'è peggio è. In realtà la differenza tra un governo e l'altro è solo la capacità dei governanti. La repubblica ideale di Platone è un'aristocrazia idealizzata che non si distingue solo per il numero esiguo di persone preposte al governo, ma anche per le loro abilità: la sequenza delle decadenze statali va vista in parallelo con quella delle decadenze umane: infatti si ha aristocrazia quando nell'anima prevale la parte razionale (l'auriga). Nella Timocrazia, invece, prevale la parte irascibile (il cavallo bianco), desideroso di farsi onore. Subito sotto alla Timocrazia troviamo l'oligarchia, il governo dei pochi che però non sono i migliori: si servono del loro potere per arricchirsi, accecati dalla cupidigia.


Ad un livello al di sotto troviamo la democrazia, che si viene ad instaurare quando la massa degli ignoranti diventa gelosa delle ricchezze degli oligarchici: il "demos" volge a suo favore i beni che prima erano dell'oligarchia. Ai tempi di Platone la democrazia corrispondeva grosso modo con l'anarchia dove ciascuno faceva ciò che voleva e vigeva la maleducazione totale.
Subito sotto troviamo la tirannide: dalla democrazia si passa alla tirannide quando la massa ignorante si fa abbindolare dai demagoghi che promettono sempre maggiore libertà. Essi dicono che tutti ce l'hanno con loro e che per dare al popolo la libertà promessa han bisogno di guardie del corpo e così nasce la tirannide.


Platone arriva a dimostrare che il destino dell'uomo giusto sono la felicità e la giustizia. Egli è felice nella vita terrena perchè la giustizia lo appaga e gli rende l'anima sana. Nel libro 10° della "Repubblica" PLatone afferma che dopo la morte per i giusti ci sarà ulteriore felicità, per gli ingiusti altra infelicità. Pur avendo già dimostrato che l'anima è eterna in modo razionale, Platone si serve poi di un mito, il celebre mito di Er , un guerriero della Panfilia morto in battaglia. Il suo corpo viene raccolto e portato sul rogo (era un'usanza greca): proprio prima che gli diano fuoco si risveglia e racconta ciò che ha visto nell'aldilà, affermando che gli dei gli han concesso di ritornare sulla terra per raccontare agli altri uomini ciò che ha visto. Dice di aver visto 4 passaggi attraverso i quali le anime salgono nella dimensione ultraterrena, da un passaggio le buone, dall'altro le malvagie, e tramite i quali ritornano sulla terra. Infatti, dice, le anime buone finivano in una sorta di Paradiso dove godevano, le cattive in una sorta di Purgatorio (l'Inferno era un fatto raro, destinato solo ai più malvagi). I giusti ricevono premi per 1000 anni, i malvagi soffrono. Dopo questi 1000 anni le anime buone e quelle cattive si devono reincarnare. Esse si recano al cospetto delle 3 Moire che devono stabilire il loro destino. Le anime vengono radunate da una specie di araldo che distribuisce a caso dei numeri, seguendo una prassi che può ricordarci quella dei supermercati; infatti prende i numeri e li getta per aria ed ogni anima prende quello che le è caduto più vicino (questo sottolinea come nella nostra vita ci sia comunque una componente di casualità).
Il numero serve per dare un ordine alle anime che devono scegliere in chi reincarnarsi;chiaramente chi ha il numero 1 è avvantaggiato perchè ha una scelta maggiore, ma deve comunque saper scegliere bene. Dunque c'è sì una componente di casualità, ma in fin dei conti la nostra vita ce la scegliamo noi: è vero che per chi nasce, per esempio, in una famiglia agiata è più facile essere onesti rispetto a chi nasce in una famiglia povera, oppure chi nasce in una famiglia onesta è avvantaggiato rispetto a chi nasce in una famiglia disonesta, ma tuttavia la nostra vita ce la scegliamo noi. Ma quelli che hanno numeri sfavorevoli non sono necessariamente svantaggiati perchè scelgono dopo: in primo luogo le possibilità di scelta che gli restano sono sempre tantissime, in secondo luogo chi è primo non sempre effettua buone scelte; Er racconta che nel suo caso chi scelse per primo scelse la tirannide che gli aveva fatto una buona impressione (infatti lassù si vedono le cose sotto forma di oggetti: forse la tirannide aveva dei bei colori, chi lo sa?). Costui, non appena si era accorto di ciò che comportava l'essere tiranno, non voleva più esserlo, ma era troppo tardi: le Moire gli danno l'incarico di tiranno e lo lanciano sulla terra, dopo averlo immerso nel fiume Lete perchè dimentichi (Er chiaramente non è stato immerso). Er dice che per ultima era arrivata l'anima di Ulisse e che, stanca della passata vita "movimentata", scelse la vita di un comune cittadino.

Platone fa notare che di solito chi veniva dal Paradiso tendeva ad effettuare scelte sbagliate, mentre chi veniva dal Purgatorio e aveva sofferto sceglieva bene. Infatti chi aveva vissuto per 1000 anni di beatitudine si era scordato di che cosa fosse la sofferenza. Quindi chi ha sofferto sceglie bene e sceglie una buona vita che lo porterà al Paradiso, mentre chi ha goduto sceglie male e dopo che ri-morirà finirà in Purgatorio. Pare quindi un circolo vizioso, ma in realtà Platone dice che il motivo per cui si sceglie una vita buona o una cattiva può derivare da doti naturali: ci sono infatti persone portate a comportarsi bene per inclinazione naturale: vi è anche chi ha conoscenze basate sulla doxa (l'opinione) e che può cogliere alte realtà, ma solo casualmente, senza riuscire a fornire motivazioni: costoro, che conducono una vita buona per caso, non radicata nella coscienza, si smontano facilmente nel Paradiso quando godono e finiranno per scegliere male. Chi ha invece raggiunto il bene in sè, la super-idea del bene, non cadrà mai nel male. Secondo alcuni studiosi nella fase della vecchiaia è come se Platone effettuasse un'autocritica della dottrina delle idee: essa, infatti, risolve alcuni problemi per crearne altri; non si è totalmente certi che sia realmente un'autocritica e c'è chi sostiene semplicemente che Platone si faccia portatore di discussioni che si tenevano nell'Accademia , un luogo aperto dal punto di vista intellettuale: forse vi fu chi non approvò la teoria delle idee e la contestò.

Vi sono anche indizi che ci inducono a pensare che sia così: il "Parmenide" rientra in questi dialoghi e vede al centro la figura di Parmenide perchè si affronta il problema del rapporto tra l'uno ed i molti, molto caro a Parmenide appunto, e quello del rapporto idee-superidea del bene; i temi centrali sono quelli dei tempi di Parmenide (il dialogo è ambientato in quel periodo): è come se Platone riprendesse ciò che era stato lasciato in sospeso anni addietro. Protagonisti del dialogo sono Socrate , Parmenide e Zenone, discepolo di Parmenide; questo dialogo può per diversi aspetti essere accostato al "Sofista", dove il protagonista è "lo straniero di Elea", la città di Parmenide e di Zenone. Il vero tema centrale del "Parmenide" è quello riguardante le idee e le cose, a cui Platone aveva finora solo accennato senza mai sbilanciarsi troppo : che cosa intendesse per "compartecipazione", per esempio, non l'aveva ancora detto : arriva a dire che le idee sono ciò in virtù di cui le cose empiriche possiedono certe caratteristiche . Nel Parmenide sono attestate l'una accanto all'altra e con pari legittimità una versione concreta e materiale e una versione astratta e metaforica della compartecipazione : nella sua versione concreta , la partecipazione delle cose empiriche ad un'idea implica che l'idea sia effettivamente presente nelle cose partecipanti : ad esempio , tutte le cose empiriche molteplici si rivelano molteplici in quanto l'idea della molteplicità è presente in esse . Nella sua versione astratta e metaforica , invece , la partecipazione consiste nella somiglianza delle cose empiriche ad un'idea . Affronta questo problema partendo proprio dall'uno ed i molti. Tuttavia , se Platone si distacca dal maestro Socrate , egli è e gli resta fedele; è e resta fedele cioè all'ideale , che questi incarna , della filosofia come continua ricerca. Pure nel "Sofista" c'è il problema uno-molti, ma non è riferito al rapporto tra idee e cose, bensì tra idee e basta: è una questione tutta interna alle idee. Va subito rilevato che nel "Parmenide" ed in generale in tutti questi dialoghi della vecchiaia vi è un'attenuazione dell'aspetto dinamico, forse dovuto all'età: la fantasia giovanile tende a venir meno, così come la figura di Socrate tende a sfumare; mentre il "Simposio" è un esempio della letteratura greca, il "Parmenide" non lo è : testimonia la volontà di addentrarsi in discussioni tecniche e di conseguenza lo stile si fa più arido. Anche la figura di Socrate tende a diventare marginale ed a sparire: ciò significa che i temi di Platone sono davvero estranei e distanti da Socrate e non se la sente di metterglieli in bocca; è evidente che quando si parla di virtù e di giustizia ci si può riallacciare a Socrate , ma i problemi metafisici e ontologici non erano materie che rientravano negli interessi del maestro di Platone.

Nel "Parmenide" la figura di Socrate è addirittura quella di un ragazzino: volendo introdurre Parmenide per questioni cronologiche è costretto a mettere in gioco un Socrate giovane ed un Parmenide vecchio (Zenone è un uomo maturo); fatto sta che Platone deve comunque aver forzato leggermente la cronologia per immaginare l'incontro. Parmenide nel dialogo è sempre accompagnato dagli aggettivi "venerando" (sia perchè è anziano sia perchè Platone lo ritiene il fondatore della filosofia astratta) e "terribile" (ragionava in modo così logico e razionale da mettere in crisi). In tutti i dialoghi che abbiamo esaminato Socrate è sempre stato il protagonista indiscusso in cui Platone si identificava; ma nel "Parmenide" in chi dei tre si identifica ? Da un certo punto di vista si identifica in Parmenide , da un altro in Socrate; compare come Socrate nella forma giovanile, come Parmenide in quella senile. Il nucleo del dialogo ruota intorno a Socrate che fa delle affermazioni e a Parmenide che le corregge, dicendogli che da grande capirà.
Vi è una interpretazione ingenua e giovanile delle idee ed una più senile e completa: Parmenide non è che dica cose opposte, si limita a correggere ed a rendere più complesse e complete le affermazioni di Socrate . E' Platone anziano che si confronta con Platone giovane, ma può anche essere Platone che si confronta con chi nell' Accademia contestava la dottrina delle idee. Come detto il "Parmenide" affronta due tematiche: l'uno-molti, che viene discusso a livello astratto, e idee-cose.

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