STORIA DELL'INQUISIZIONE

LIBRO VII. (seconda parte)

L'INQUISIZIONE MEDIOEVALE IN ITALIA.
*** Decadenza e soppressione dell'Inquisizione. - Le Cortes. - Il restauro. - La rivoluzione del 1820. - Il decennio della reazione. - L’Epilogo. - Riflessione.
*** I PAPI dell'Inquisizione e le condanne emesse.
*** COME LA SANTA INQUISIZIONE CATTURAVA ERETICI E PECCATORI.


L'INQUISIZIONE MEDIOEVALE IN ITALIA


Nei primi secoli del medioevo le condizioni normali in Italia non erano lontane da una totale anarchia. Un giorno era l'Imperatore che tentava realizzare il dominio della Penisola e l'altro erano i Papi che facevano degli sforzi per impossessarsi del potere.
Durante il secolo che ha visto imperare gli Hohenstaufen (1152-1254) e quando l'Impero si può dire si avvicinava alla fine, i Papi facevano di tutto per affrettarlo aizzando le singole città per farsi autonome ed indipendenti col dichiararsi repubbliche.

Così a Nord dallo Stato di San Pietro tutto il paese fu diviso in piccole repubbliche ed altre formazioni per la maggior parte democratiche. Tutti questi piccoli Stati erano affaccendati eternamente nelle lotte uno contro l'altro, come per esempio la lotta dei Guelfi e dei Ghibellini pro e contro l'Impero ed il Papato, e queste lotte finivano per indebolire le loro forze. La lotta non cessava mai. Qualche volta le necessità improrogabili ed impellenti avevano consigliato loro un momento di tregua: e perfino l'unione, come nel 1177 nella battaglia-di Legnano contro Barbarossa, ma la tregua durava poco e le cronache di quest'epoca non sanno d'altro che di feroci lotte, dentro e fuori delle Porte delle città.

Perché potesse nascere e svilupparsi l'eretismo non ci volevano che queste condizioni. La Chiesa in questi tempi era letteralmente immersa in preoccupazioni da una parte e nei dispiaceri dall'altra e cominciando da Papa Alessandro III che lottava contro Federico I, e i suoi quattro contro-Papi Vittorio, Calixtus, Pascal e Innocente, la questione della Fede non poteva mai essere messa sul tappeto.

Dopo la vittoria del Papato, Lucio III emetteva dei decreti severissimi, mentre Enrico VI nel 1194, e Ottone IV nel 1210 pubblicavano degli editti imperiali i quali però hanno avuto in pratica pochissimi risultati. Quando ogni singola città in sé si divideva in tanti partiti diversi anche l'eretismo si sviluppava a sbalzi, perché da alcuni partiti era tollerato, mentre dagli altri utilizzato ai propri fini.
In molti casi gli eretici stessi furono al potere in alcuni stati, oppure comandavano per mezzo di un partito che dominavano con la loro forma numerica.

Le grandi lotte fra città e città e fra il Papa e l'Imperatore offrivano ancor più occasione all'eretismo per farsi valere, e non mancava nemmeno una certa abilità diplomatica per raggiungere i loro scopi per il cui trionfo non trascuravano nessuna occasione.
I primi Papi che decisero una lotta seria contro l'eretismo furono Onorio III, Gregorio IX e l'Imperatore Federico II e questi punivano con la scomunica tutti quei nobili i quali tolleravano o difendevano gli eretici sui loro possedimenti e additavano interi villaggi al disprezzo dei fedeli dichiarandoli eretici.

Le parole «eretico» e « ghibellino » avevano quasi l'identico significato di fronte al Papato ma ciò non era esatto. Milano ad esempio fu una città eminentemente guelfa data la sua tradizionale lotta contro l'Imperatore, ma con tutto ciò, tutti sapevano che questa città era uno dei centri dell'eretismo.
Benché l'eretismo non era così diffuso e generale come si potrebbe concludere dal gran numero di scomuniche di quel tempo, pure gli eretici erano abbastanza numerosi per raggiungere una certa potenza in politica, ed anzi potevano ragionevolmente sperare che un giorno, in alcuni Stati avrebbero potuto anche avere nelle loro mani il Potere.

Quando nel 1209 Ottone IV si recò a Roma per essere incoronato, e ciò fu durante il Papato del vigile ed illuminato Innocenzo III, molti dignitari della Chiesa del seguito dell'Imperatore poterono constatare con loro grande meraviglia che esistevano a Roma delle scuole dove apertamente si insegnavano le dottrine antireligiose senza che nessuno intervenisse ad ostacolarle.
Gli antichi antagonisti degli eretici tenevano continuamente conferenze pubbliche di contraddittorio con gli eretici. Nel 1210 Ottone fu costretto dare disposizioni alle autorità di Ferrara di espellere tutti quelli i quali non erano disposti a tornare in seno alla Chiesa, ed anche i consenzienti.

Secondo Etienne de Bourbon un eretico ricreduto diceva che a Milano esistevano più di 17 sette eretiche, le quali stavano continuamente in acerbe discussioni fra loro: ciò nonostante possiamo dividere gli eretici in due sole categorie principali: una, i cathariani oppure Patarini, e l'altra i Waldenses.

I cathariani provenivano dal paese di Monforte in Lombardia nell'XI Secolo e il loro numero cresceva continuamente. A metà del Secolo XII avevano una grande quantità di chiese delle quali possediamo anche un elenco preciso redatto da Rainerio Saccone. Nella Lombardia e nella Campagna esistevano più di 500 anime della setta cathariana, più di 1500 della Concorrenzense e circa 200 della setta Bajolense.
I fedeli eretici della chiesa di Vicenza oltrepassavano le cento anime. Uguale numero troviamo a Firenze e a Spoleto ed inoltre troviamo in Lombardia circa i 50 eretici provenienti dalla Francia da dove fuggivano. Secondo valutazioni dello stesso Rainerio Saccona, da Costantinopoli ai Pirenei vivevano circa 4000 eretici dei quali più di due terzi si concentravano nella Lombardia dove costituivano una parte importante dell'intera popolazione.

In realtà fu la Lombardia il centro da dove si propagava il catharismo per tutta l'Europa. Nel 1240 a Languedoc in Francia un individuo di nome Yvo de Narbonne fu accusato di eretismo; questi fuggì in Italia dove fu ricevuto ed ebbe così tutte le possibilità di conoscere i segreti delle sette. In una sua lettera indirizzata al vescovo di Bordeaux, Géraud, descrive tutte le organizzazioni settarie in Italia facendo conoscere anche i legami che univano queste sette alle consimili organizzazioni dei paesi confinanti.
Da tutte le città della Lombardia e della Toscana moltissimi giovani furono inviati alla Università di Parigi allo scopo di procurarsi la coltura nella logica e teologia per poter poi approfondirsi negli errati dogmi eretici.

Molti commercianti e trafficanti cathariani venivano nelle città dove riuscivano a procurare permessi per entrare nelle case con le loro merci approfittando di questo modo per seminare i germi delle loro dottrine. In generale i cathariani erano zelantissimi ed erano convinti che la loro fede fosse la religione dell'avvenire. Erano dispostissimi subire anche il martirio pur di diffondere la loro fede: Il loro quartiere generale era a Milano ove tutte le chiese del mondo inviavano tutti gli anni i loro delegati. Questi delegati portavano con se mezzi finanziari per aiutare la loro organizzazione ed a loro volta prendevano istruzioni specialmente per ciò che riguardava il simbolo della loro fede che variava anno per anno, e serviva per farsi riconoscere fra di loro dimodochè ogni eretico poteva sempre riconoscere il correligionario e chiedere appoggi qualora ne avesse avuto bisogno.

Inutilmente nel 1212 Papa Innocenzo III minacciava la città di farle patire il destino di Languedoc (la fame!) e di indire una crociata per la sua purificazione. Per fortuna dei Lombardi non si trovo nessuno a cui il Papa potesse affidare la crociata, se non i tedeschi, sempre pronti a conquistare l'Italia. Ma i Papi avevano paura dei tedeschi più degli eretici. Amara ironia nella risposta di Federico II, il quale quando nel 1236 batté i Lombardi, rispose a Papa Gregorio IX che gli chiedeva di portare i suoi eserciti nella Siria, che i milanesi erano peggiori dei Saraceni, ed era ben più importante la loro disfatta che quella dei Saraceni.

Circa il numero degli appartenenti alla setta dei valdensi non abbiamo dati nemmeno approssimativi ma fatto sta che in alcuni luoghi furono altrettanto numerosi come i cathariani. C'erano poi gli Arnaldisti e gli Umiliati i quali ricevevano volentieri la visita dei missionari dell'Ordine dei Poveri di Lyone dai quali accettavano volentieri gli insegnamenti incitandoli nello stesso tempo di fare sempre più per sviluppare l'antagonismo contro Roma. Nel 1209 Papa Innocenzo dichiarava immedesimati gli Umiliati e l'Ordine dei Poveri e ordinava la loro espulsione da Faenza dove esplicavano attività di insegnamento, contaminando i fedeli con i loro dogmi, ma l'espulsione totale non poté mai aver luogo. Anzi questi costruirono poi una scuola a Milano dove pubblicamente insegnavano le loro teorie. Questa scuola in seguito, fu chiusa e quando nel 1209 il Vescovo Duran de Huesca gli ha chiesto di tornare in seno alla Chiesa, un centinaio di loro consentì di riabbracciare nuovamente la religione cattolica a condizione che la loro scuola le fosse restituita.

Del resto si può intuire che non hanno subìto molte vessazioni perché come si vede da alcune lettere di Innocenzo, queste sette esistevano ancora molto tempo dopo. Nel 1212 alcuni waldensi furono bruciati vivi in Strasburgo dopo che avevano confessato che il loro Capo risiede a Milano e loro (i condannati) avevano soltanto il compito di raccogliere dei denari inviandoli a Milano.

Il più grande numero di questi eretici si era stabilito nelle Alpi Cotie e nelle sue vallate e proveniva da Dauphine. In queste desolate e sterili vallate, occuparono ogni briciola di terra e svolsero una dura e faticosa esistenza. Presto crescevano ancora in numero finché le valli di Luzerna, Angrogna, San Martino e Perosa furono riempite. Nel 1210 il Vescovo di Torino Giacomo di Carisia rilevava con grande sgomento il gran numero degli eretici nella sua diocesi e faceva domanda a Ottone IV affinché fosse aiutato per sterminarli. L'Imperatore però nella sua risposta ammoniva il Vescovo di essere prudente e di non fare nessuna repressione crudele accontentandosi col farli espellere. Il Vescovo faceva di tutto per espellere tutti questi eretici ma senza successo, il che dimostra che la autorità locale non si affaticavano troppo per eseguire gli ordini e ne conseguiva che il numero degli eretici continuava a crescere. La diocesi apparteneva direttamente all'Abbazia di Ripaille ma causa la lontananza questa abbazia non poteva fare un severo lavoro di controllo e perciò il controllo fu affidato temporaneamente a Tomaso I duca di Savoia. Questo Duca puniva con dieci giorni di arresto tutti i difensori degli eretici ma anche questa punizione non servì molto.

Benché i waldensi della Lombardia asserivano di essere i diretti seguaci dei Poveri Umili di Lyone, il loro rapido sviluppo era causa di non poche differenze coll'Ordine d'origine, tanto che nel 1218 i delegati delle due sette dovevano e tenere una conferenza a Bergamo per vedere di concordare le divergenze. La conferenza però rimaneva senza esito e i dissidenti rifiutavano di adattare i principi della maggioranza.
Nel 1230 i Lombardi inviavano il resoconto della conferenza ai loro correligionari in Germania con la descrizione dettagliata dei propri punti di vista. Non é nostro compito di illustrare qui per esteso questo affare ma rammentiamo l'episodio perché questo dimostra le condizioni della Chiesa in quell'epoca e i rapporti attivi che esistevano allora fra le varie organizzazioni religiose di Europa.

L'aggressività degli eretici e la simpatia che il popolo dimostrava verso di loro, nonché l'impotenza della Chiesa di agire contro di essi, risulta nel miglior modo dai torbidi che avevano luogo nel 1204 a Piacenza. In questa città gli eretici erano talmente potenti che riuscirono ad aizzare le autorità contro il Vescovo Grimerio, il che aveva come conseguenza la forzata abdicazione dei preti e dei prelati i quali furono in seguito banditi dalla città.
I religiosi così fuggiti da Piacenza trovavano asilo a Castell'Arquata. La città di Piacenza rimase completamente senza preti durante tre anni e mezzo ed in questo periodo nessuna cerimonia religiosa e nessun insegnamento religioso non poté avere corso. I legami della Chiesa con il popolo erano talmente deboli che questi non curava affatto la sorte dei religiosi assenti, rimanendo completamente indifferente.

Nel 1206 Papa Innocenzo III inviava nella città tre delegati apostolici per convincere il popolo alla necessità di tornare in seno alla Chiesa, sotto minaccia di abolizione della diocesi, ma i cittadini non se ne curavano e rifiutavano anche di indennizzare il Vescovo per i danni che subiva in conseguenza della loro eresia. Dopo sei mesi di inutili mercanteggianti i delegati se ne andarono e nel 1207 tornò a Piacenza un'intera commissione con delle offerte migliori, le quali hanno reso possibile il ritorno dei religiosi fuggiti.

Nello stesso tempo Innocenzo doveva adoperare tutta la sua eloquenza per indurre i cittadini di Treviso ad espellere gli eretici. Era ben lontano dal Papa il pensiero di minacciare i trevigiani, anzi addirittura si é messo a rassicurarli promettendo che il Vescovo farà grandi riforme fra i preti i quali con il loro cattivo esempio turbavano ed offendevano il popolo nella loro fede.
È facile quindi comprendere perché gli eretici diventavano sempre più sicuri di sé e sempre più prepotenti e si comprende pure la disperazione dell'abate Gioacchino de Flora, il quale nella sua « Spiegazione dell'Apocalisse » vede negli eretici delle cavallette con la testa di scorpioni i quali emergono dalle profondità al quinto suono delle trombe. Questi eretici, diceva de Flora. sono degli Anticristi che diventano sempre più grandi e forti ed hanno già eletto il loro Re, il « Re delle Cavallette » il cui nome nella lingua ebrea é Abaddon e nella lingua greca « Apollyon ».

È inutile contro di loro ogni lotta, essi sono gli alleati dei saraceni coi quali nel 1195 hanno anche iniziato delle trattative.
Quando nel 1220 Onorio III convinceva Federico II che all'atto della sua incoronazione facesse pubblicare il suo crudele editto contro gli eretici, senza dubbio il Papa sperava che si fosse aperta la via per lo sterminio energico dell'eretismo. Se ciò egli sperava, doveva presto riconoscere di avere errato. Qualunque fossero le intenzioni di Federico e malgrado la grande severità con la quale esercitava il suo dominio nei suoi dominii di Sicilia, pure faceva di tutto per opprimere i capi dei ghibellini e rafforzare i guelfi nelle piccole repubbliche, con lo scopo finale di procurare il potere a sé stesso.

Tutto il suo regno non consisteva che in un conflitto interminabile con Roma sia pubblico o nascosto ed era talmente di mente progressiva e liberale che per lui era indifferente da quali fonti veniva l'aiuto per avere ragione sui suoi nemici. Perciò nell'Italia Centrale e Settentrionale le sue leggi non avevano nessun valore. Tanto é vero che quando nel 1227 a Rimini, il Podestà Ingheramo de Macerata fu espulso per aver ordinato che alcune ragazze eretiche fossero bruciate sul rogo e per avere esso voluto inserire nella costituzione le leggi di Federico, il Podestà si rivolse per la sua difesa non all'Imperatore ma a Papa Onorio III.

Senza dubbio si manifestava la necessità di adoperare mezzi più efficaci e non gli editti imperiali, perciò Onorio dopo un profondo studio dell'attività degli eretici, autorizzava i vescovi di Brescia e di Modena di espellere senz'altro dalla Lombardia tutti gli eretici. Questi due vescovi diventarono così dei veri inquisitori, e questa autorizzazione era il primo passo di quella tendenza che mirava ad introdurre l'Inquisizione anche in Italia.
Più tardi però il vescovo di Modena ricevette un'altra missione e cioè quella di convertire i « pagani prussiani » ed in sua vece diventò inquisitore il vescovo di Rimini. I due vescovi iniziarono la loro attività a Brescia il di cui vescovo sembra seppe indicare la maniera giusta del lavoro. Prima di tutto ordinarono la distruzione delle case dove si sapeva che gli eretici usavano tenere i loro convegni. Questa disposizione ha condotto la popolazione a una immediata sollevazione armata.

La tradizionale e secolare tranquillità della città era di colpo finita. Molte chiese venivano incendiate e gli eretici facevano oggetto di beffa della scomunica, inscenando delle parodie, gettando candele fiammanti nelle strade e scomunicando a loro volta tutti gli appartenenti alla chiesa romana.
Dopo lunghe lotte rimasero vincitori i cattolici ma le punizioni che seguivano erano così miti che si vedeva chiaramente l'intenzione di non irritare troppo i vinti.
Gli eretici scomunicati per esempio, avevano potuto rivolgersi personalmente alla Santa Sede per ottenere l'assoluzione. I castelli delle famiglie dei Conti di Gambara, Ugona, Criani e Botacio dovevano però essere demoliti con divieto di rifabbricarli; le fortezze che servivano alla lotta contro i cattolici dovevano essere a metà demolite. I preti che erano figli di eretici furono sospesi dalle loro funzioni per tre o più anni, secondo la parte che ebbero nelle sollevazioni.

Come indennizzo per i danni subiti si doveva pagare ai preti della Lombardia l'importo di lire trecento e trenta centesimi. I Lombardi trovarono queste punizioni troppo esagerate e le città di Milano e Brescia intervennero affinché fossero mitigate: le stesse autorità delle due città affermavano che la mitigazione delle punizioni potevano condurre alla moderazione della lotta religiosa ed alla pace. In seguito però fu nominato Vescovo di Brescia il frate domenicano Guala il quale fece inserire nello statuto della città, la legge di Federico, la quale legge ordinava di tagliare la lingua a tutti gli eretici.
Il Vescovo Guale fece giurare il podestà della città di eseguire severamente la predetta legge.

Il successore di Onorio, Papa Gregorio IX era un uomo ben più duro del predecessore e benché avesse già ottant'anni quando saliva sul trono papale, l'inizio del suo papato fu il segnale di una guerra senza quartiere contro gli eretici. Tre settimane dopo il suo insediamento, in seguito alla sua intromissione si concludeva la pace fra l'Imperatore Federico II e la Federazione degli Stati Lombardi, a condizione che le forze fossero unite per porre fine completamente all'eretismo.
Gregorio esigeva dai Lombardi di compiere il loro dovere. Rimproverava loro che tutti i loro sforzi erano rimasti fino allora infruttuosi perché le leggi dell'Imperatore rimanevano per tutti come lettera morta. Scacciavano sì gli eretici, ma poi li riaccoglievano e li lasciavano indisturbati; in questo modo gli eretici potevano naturalmente diventare sempre più numerosi. Se erano puniti a pagare delle ammende, poco dopo i denari venivano restituiti. Gli eretici potevano fare liberamente propaganda alle loro dogme, invece i fedeli cattolici dovevano essere imprigionati.

Questo stato di cose doveva assolutamente finire, i Lombardi dovevano mettersi seriamente a fare il loro dovere perché qualora persistessero in questo loro atteggiamento, la Santa Sede avrebbe trovato il modo di castigare anche loro.
L'ammonimento del Papa fu una cosa molto coraggiosa ma tale era la situazione politica in Lombardia, che l'ammonimento rimase senza esito. Più vicino a Roma Gregorio riuscì molto meglio a fare rispettare la sua volontà; per esempio a Firenze, con l'aiuto dell'Ordine dei Domenicani, poté instaurare l'Inquisizione. Il suo zelo aumentava sempre più, perché si accorse che intorno al 1231 nella stessa Roma l'eretismo riusciva a prender piede, iniziando una aperta propaganda e convertendo alla sue dogme molti preti e molti fedeli laici.

La prima ritorsione fu effettuata dal senatore Annibaldo, il quale presso la Porta Santa Maria Maggiore fece bruciare vivi parecchi disgraziati mentre molti altri furono condannati alla prigione perpetua; Gregorio approfittava di questa occasione per redigere il suo famoso decreto, il quale divenne la base del sistema inquisitorio.
Il primo che sappiamo con certezza di aver avuto in Lombardia il titolo di Inquisitore, era Fra Alberico nel 1232. Goffredo, cardinale di San Marco e legato del Papa si assunse il compito di sedare una sollevazione a Bergamo e fece mettere l'accordo fra i vani partiti. Nominava Podestà Pierre Torriani ed approfittava dell'occasione per dare un colpo anche agli eretici facendo imprigionare alcuni di questi. Il Cardinale appena fu partito dalla città, i cittadini non ubbidirono più al Podestà, eleggendo in sua vece un certo R. Madello, e, quello che risultò peggiore, lasciarono liberi tutti gli eretici imprigionati. Il Legato minacciava di scomunica tutta la città, e solo così riuscì a mettere ordine.

Il Papa, il 3 Novembre 1232, ordinava ad Alberico di assolvere la città da questa minaccia a condizione che la città indennizzi Pier Torriani e desse garanzie di espellere al più presto gli eretici. Da questo esempio possiamo vedere in quale rapporto intimo stavano i politicanti dell'epoca con gli eretici e come potevano impedire che questi potessero essere perseguitati dalla Chiesa.

Fra Rolando da Cremona era una volta professore all'Università di Toulouse, un cattolico fervente e senza riguardi. Lo troviamo nel 1233 a Piacenza dove prende parte attiva nell'oppressione degli eretici. I venticinque anni passati da quando i piacentini si dichiaravano indipendenti negli affari religiosi, non aumentavano per nulla la loro fede nella vera religione. Rolando visse fra loro predicando le dogme cattoliche ed in seguito volle indurre il podestà di emanare ordini per l'espulsione degli eretici, ma questi lo rifiutava. Anzi col tacito consenso dello stesso podestà gli eretici si sono sollevati ed appoggiati anche da molti frati hanno attaccato i preti ed anche lo stesso vescovo.
Nelle scaramucce cadeva un frate, e Rolando con altri suoi amici rimanevano feriti. Rolando, quasi esanime, fu salvato dai domenicani i quali lo hanno trasportato fuori della città, che fu poi interdetta dal Papa. Gli insorti cittadini allora si spaventarono e promettendo a Rolando complete riparazioni, lo pregarono di tornare fra loro ma Rolando, pur rimanendo assente, intimava alla città di arrestare il podestà con altri ventiquattro cittadini fin che, arrivasse la risposta del Papa.

Gregorio inviava l'arcidiacono di Novara con ordini di mettere la città sotto il controllo del partito dei fedeli e di esigere garanzie che gli eretici saranno senza riguardo perseguitati. Questi ordini non piacevano ai cittadini i quali nuovamente si sollevarono e liberarono i prigionieri. Questo incidente non diminuì lo zelo di Rolando il quale trasferiva il teatro delle sue gesta a Milano dove denunciò un nobile di nome Lantelma il quale nel suo castello vicino a Lodi dette asilo agli eretici. Il Lantelma fu condannato ad essere bastonato lungo le vie della città in presenza di Rolando.
Un mese dopo Rolando faceva catturare due commercianti di Firenze, Fariabente e Capso sequestrando tutti i loro averi. Questi due dovevano però essere degli uomini influenti perché il Papa ordinava la loro liberazione contro il pagamento di duemila ducati d'argento.

In quel periodo transitorio quando l'Inquisizione cominciava a rafforzarsi, fra i repressori frati domenicani era il più notevole fra Giovanni Schio da Vicenza. Dopo che questi riuscì di concludere la pace fra i preti e i cittadini a Bologna, fu incaricato da Papa Gregorio di recarsi a Firenze dove le incessanti lotte civili furono seguite da un periodo di forte sviluppo dell'eretismo. Malgrado gli sforzi iniziali dell'ancora debole Inquisizione l'eretismo si diffondeva senza ostacoli e i servi di Cristo furono attaccati e schermiti. Gregorio riteneva che Giovanni potesse svolgere il suo lavoro anche senza istruzioni papali essendo lui sufficientemente ispirato dallo Spirito Santo.
Giovanni era ritenuto un taumaturgo anche dal popolo e si diceva di lui che fosse capace di attraversare i fiumi a piedi, raccontando pure di altri miracoli, come per esempio, che gli avvoltoi, alla sua parola, discendevano a terra. I bolognesi erano restii a combattere contro di lui e solo erano disposti di ostacolarlo, affinché egli proseguisse a Firenze. Dietro intimazione del Papa però, lo hanno lasciato libero ed egli poté proseguire.

Avendo terminato la sua missione a Firenze il Papa lo inviò in Lombardia. L'alleanza, che con tanto successo lottava per l'indebolimento del potere imperiale, cominciava a dare segni di disgregamento. Gli alleati temevano che Federico presto tornerà col suo esercito ed anzi molti nobili e molte città erano disposti a pregarlo di ritornare. C'era grande necessità di una propaganda efficace contro queste tendenze e nessun propagandista poteva essere migliore di Giovanni. Egli pronunciava dei discorsi di propaganda a Padova, Treviso, Conigliano, Ceneda, Oderzo, Belluno e a Feltre benedicendo quelli che porteranno la pace e le sue orazioni erano di molta efficacia, tanto che all'ascoltarlo perfino il temuto Ezzelino da Romano fu visto piangere due volte.

Tutto il paese appariva pacificato, meno l'antica lotta fra Ezzelino e i Conti Campo San Piero; lotta la quale ha cagionato danni irreparabili. L'apostolo della pace dopo aver visitato Mantova, si recava a Verona che era allora accerchiata dagli eserciti di Mantova, Bologna Brescia e Faenza. Giovanni riuscì a convincere le parti belligeranti a fare la pace, e i veronesi per manifestare la loro riconoscenza, lo elessero loro podestà.
Giovanni non esitò un momento per esercitare i suoi poteri di Podestà, e il suo primo atto fu di fare bruciare vivi sessanta eretici di ambo i sessi i quali appartenevano alle più nobili famiglie della città.

Dopo questa sanguinosa vendetta diramava invito a tutte le città alleate e a tutti i nobili degli Stati per una grande adunanza sui campi veronesi. Presenziavano fra gli altri a questa adunanza le seguenti personalità: il patriarca di Aquileia, i vescovi di Mantova, Brescia, Bologna, Modena, Reggio, Treviso. Vicenza, Padova e Ceneda; il marchese d'Este il Signore il Mantova, il Conte di San Bonifazio (che era sovrano di Ferrara) e i delegati di tutte le città. Le persone presenti per attendere l'esito dell'adunanza, potevano calcolarsi da certuni a quarantamila, e da altri a cinquecentomila. L'eloquenza di Giovanni ha raggiunto pieno trionfo. Egli dichiarava nemici della Chiesa e rivoluzionari tutti i partigiani del ritorno di Federico e faceva giurare a tutti di accettare le condizioni che lui proporrà e quando queste condizioni furono conosciute dal popolo, tutte le accettarono.

Giovanni, dopo questo fatto, aumentò talmente nella considerazione del popolo, che Papa Gregorio IX prevedeva che egli vorrà farsi proclamare Papa. Il Concistoro raccomandava al Papa di scomunicare Giovanni dalla Chiesa il che sarebbe certamente avvenuto. A questo punto però il Vescovo di Modena intervenne giurando sul Libro della Messa di aver visto un angelo, il quale mentre Giovanni stava predicando, scendeva dal cielo con una croce d'oro, che deponeva sulla fronte dell'oratore.
È stata quindi inviata a Bologna una Missione speciale per indagare sull'attività di Giovanni e questa Missione ha raccolto innumerevoli testimonianze dei miracoli fatti da Giovanni, il quale riuscì perfino di resuscitare i morti. Un uomo così santo non poteva essere scomunicato dalla Chiesa e perciò questo piano fu abbandonato.

Nel frattempo Giovanni ritornava a Vicenza, sua città natale, invitato dal Vescovo di quella città e qui diventò oggetto dei più alti onori. La popolazione deponeva nelle sue mani tutta la costituzione della città, affinché facesse le leggi a suo piacere, lo nominarono conte, marchese e principe benché questi titoli spettavano al vescovo della città, ma malgrado ciò il Vescovo stesso si offrì per cedergli il vescovado.
Come a Verona, così a Vicenza Giovanni approfittava della sua potenza per mandare sul rogo una quantità di eretici. Mentre Giovanni si tratteneva a Vicenza, Uguccione Pileo - nemico della famiglia Schio - faceva sollevare la popolazione di Verona. Giovanni appena avuta questa notizia si affrettava a tornare, batté i rivoluzionari e condannò a morte e alla tortura una quantità di cittadini di cui si poteva supporre che fossero eretici.

Uguccione però non si lasciò facilmente intimorire e continuò a combattere. Dopo molta lotta Giovanni fu catturato ed imprigionato. Papa Gregorio gli inviava una lettera di consolazione nella prigione in data 22 Settembre 1233 e da questa lettera risulta come la Chiesa fosse debole e senza forze, quando in quei tempi burrascosi doveva difendere qualche suo agente contro i suoi nemici.
Giovanni fu costretto a pagare un forte riscatto per sé stesso e per poter liberamente tornare a Verona da dove si recava a Roma. Lo stato di pace che lui riusciva a stabilire durava poco tempo e presto ricominciavano le lotte, e a Giovanni fu chiesto dal Papa nuovamente di intervenire. Raggiungeva di nuovo buoni risultati, ma appena volgeva gli occhi dal campo della sua attività le lotte ricominciavano subito.

Gregorio faceva da intermediario fra i partiti e stati in lotta, e riusciva a concludere una tregua: ma la costituzione di un fronte unico non gli é mai riuscito e con questo il piano di impedire a Federico di tornare in Italia andò definitivamente in fumo. Ezzelino e una parte delle città reclamavano il ritorno di Federico e dopo la grande vittoria di Cortenuovo, nel Novembre del 1237 cadeva l'alleanza lombarda, che da tanto tempo teneva a bada l'Imperatore e così Federico diventava Signore assoluto della Lombardia.

In questo frattempo Gregorio faceva di tutto per estirpare l'eresia in Lombardia. Tutti i Legati del Vaticano di questa Provincia ebbero istruzioni di fare questo lavoro come uno dei loro primi doveri. Nel Maggio del 1236 volevano organizzare per la prima volta l'Inquisizione regolare, ma vi era poca speranza che l'Inquisizione potesse fare qualche cosa, nelle condizioni allora esistenti. Anche Federico tornava con il proposito di lottare contro gli eretici, ma quando Gregorio esigeva che l'Imperatore proibisse la predica ai frati e a tutti quelli che erano sospetti a favorire gli eretici, allora l'Imperatore si rivolgeva ai predicatori agenti della Chiesa, come Giovanni, ai quali nessuno poteva proibire la predica, benché questi, anziché servire la Chiesa contro gli eretici, approfittavano di creare la potenza di loro stessi.

Gregorio nella sua risposta non poteva fare altro che di sconfessare Giovanni declinando ogni responsabilità per l'attività di questo frate avventuriero. Però lo stesso Gregorio, quando la sua politica poteva sembrare essere in pericolo, non disdegnava moderare i suoi sfoghi contro gli eretici, tanto che in Germania si diceva che il Papa fosse accecato e fatto tacere dall'oro dei Lombardi.

Giovanni Schio in seguito viveva tranquillo in Bologna, ma nel 1247, quando l'Inquisizione cominciava ad acquistare forze e potenza, Papa Innocenzo IV lo nominava Inquisitore Perpetuo per tutto il territorio della Lombardia, e lo faceva Capo Provinciale dell'Ordine dei Domenicani dandogli pieni poteri per la completa organizzazione dell'Inquisizione. La missione di Giovanni malgrado i poteri conferitigli, rimase infruttuosa talmente erano disorganizzate le condizioni civili della Lombardia.
Di Giovanni non si parla più sino alla morte di Federico che avvenne nel 1250. Dopo la morte di questo imperatore, nel 1256 si rese possibile l'inizio della guerra contro Ezzelino de Romano. L'eloquenza di Giovanni ancora una volta fece sì che i bolognesi assumessero l'invio di truppe contro Ezzelino, ma Giovanni si stancò presto della continua lotta e prima ancora della finale catastrofica dei bolognesi, si ritirò a Bologna.
Nel 1265 in una battaglia dei bolognesi contro Manfredo, quando nell'esercito di Carlo Angioino servivano più di diecimila bolognesi, lo uccisero.

Fra quelli i quali lottavano contro gli eretici spietatamente ed implacabilmente, il più notevole era Piero da Verona il quale é meglio conosciuto sotto il nome di San Pietro Martire. Nacque a Verona nel 1203 o secondo alcuni nel 1206, da una famiglia eretica, e secondo una leggenda, Iddio stesso lo indusse a riconoscere gli errori eretici. All'età di sette anni suo zio lo interrogò su ciò che aveva imparato nella scuola, ed il bambino gli recitava tutto il catechismo. Lo zio non voleva sentire che la terra fosse creata da Dio ma il bambino con i suoi argomenti convinse il vecchio, il quale volle indurre i genitori di togliere il bambino dalla scuola degli eretici.
Il padre non voleva soddisfare questo desiderio sperando in segreto che il suo bambino un giorno potrà diventare capo della setta, e teneva quindi che il bambino continuasse i suoi studi. Col crescere, cresceva ancor più la sua fede alla religione, e nel 1221 entrò nell'Ordine del Domenicani. Lo zio testimoniava che il giovane non commetteva peccati, che era sempre ubbidiente, buono, religioso, paziente, fedele a Iddio fino al martirio, e che già faceva molti miracoli.

Prima che l'Ordine dei Domenicani avesse avuto la missione di perseguitare gli eretici, Piero si consacrava al compito che era uno dei primi doveri dei domenicani, e cioé di predicare contro gli eretici e se possibile convertirli.
Il giovane Apostolo fu aiutato in questo lavoro dal suo genio miracoloso. Gli attribuivano già molti miracoli a Mantova, Ravenna, Venezia, Milano ed in altre città minori. I suoi grandi successi di convertitore irritavano talmente gli eretici, che a Cesena onde impedirgli di predicare, buttarono giù una casa intera, per gettare i sassi contro di lui. Piero tentò prima di tranquillizzarli con le parole, ma quando vide che non si quietavano, pronunciò contro di loro un terribile anatema; appena pronunciato, la casa crollava seppellenudo molti dei sacrileghi; questa casa non ha più potuto essere rifabbricata, anche dopo molto tempo.

Quando l'Ordine dei Domenicani fu incaricato alla persecuzione degli eretici, il loro primo atto fu di eleggere loro duce Piero. Nel 1233 fu inviato a Milano dove fino allora i Legati del Papa tentavano inutilmente di indurre le autorità e i cittadini a perorare la loro causa. Tutte le leggi inserite nella loro Costituzione nel 1228 dal Cardinale Goffredo, rimanevano vane.
Tutto ciò cambiava, sotto l'influenza di Piero da Verona. Egli non solo riuscì a fare accettare la legge di Gregorio del 1231, ma indusse il podestà Olrado da Tresseno e l'Arcivescovo Enrico da Settala di aiutarlo seriamente.

Furono bruciati vivi un'immensa quantità di eretici, e questi furono le prime vittime di quel fanatismo che Milano non ha più visto dal tempo dei Cathari di Monforte. Queste sanguinose ritorsioni destarono una tale impressione che il podestà Olrado fu onorato con un monumento equestre con la seguente epigrafe : « Qui solium struxít, Catharos ut dibuit uxit ». Questa iscrizione é visibile ancora oggi sul muro della Sala di Consiglio oggi Archivio Pubblico.

L'Arcivescovo per contro fece un cattivo affare, perché perse tutta la sua autorità e popolarità e fu espulso dalla città. Per questo atto il Magistrato fu poi scomunicato dalla Chiesa. Dopo la sua morte soltanto, l'Arcivescovo fu riabilitato e sulla sua tomba ancora oggi si può leggere il seguente epigramma: Instituto inquisitore jugulavit hairesis ».
Piero, a Milano fondò una Alleanza contro gli eretici ponendo l'attività di questa sotto l'egida del Papa. Possiamo dare per certo che Piero continuava indefessamente la sua attività ma tuttavia di lui non abbiamo più notizie fino al 1242 quando lo ritroviamo nuovamente a Milano.

Due anni dopo lo troviamo a Firenze dove continua il lavoro di estirpazione degli eretici. Di Firenze sappiamo che era il teatro dei primi tentativi inquisitori; i primi capi inquisitori furono Fra Giovanni di Salerno, priore di Santa Maria Novella, che fu nominato Inquisitore nel 1228 e dopo la sua morte, fu nominato Aldobrandini Cavalcante, nel 1230; nel 1241 seguiva Fra Ruggiiri Calcagni. I primi due però in realtà valevano poco, essendo più predicatori che inquisitori.
Gli eretici crescevano di numero sotto le lotte dei Ghibellini, e malgrado la loro frequente condanna al rogo gli eretici sviluppavano in potenza con l'Imperatore Federico II e il suo partito.
Quando il vescovo di Paternon dovette fuggire, il suo posto fu preso da Torsello, dopo questo, da Brunetto, ed infine da Giacomo da Montefiascone. La maggior parte delle famiglie nobili furono eretiche oppure difensori aperti degli eretici come i Baroni, i Pulci, i Cipriani, i Cavalcanti, i Saraceni e i Maltresa.
I Baroni inalzarono a San Gaggio una fortezza, entro le mura della città dove offrivano asilo a tutti gli eretici perseguitati, e nella città c'erano numerose altre case che facevano lo stesso.
I Cipriani possedevano due palazzi, uno a Mugnone ed uno a Firenze dove si raccoglievano truppe cathariane sotto il comando di un eretico, di nome Marchisiano, mentre furono aperte scuole a Poggibonsi, Pian di Cascia e a Ponte Sieve.

Tutta l'Italia Centrale fu infetta dall'eretismo Lombardo e per la purificazione di questa regione si fece molto poco. Che fino al 1235 non si è fatto nessun passo per l'organizzazione dell'Inquisizione, lo possiamo constatare dalla pastorale del Papa che in tale anno pervenne ai Domenicani di Viterbo. Questa lettera del Papa autorizza i Domenicani di dare l'assoluzione a tutti gli eretici nelle diocesi di Toscana, Viterbo, Orte, Balnoreggio, Castro, Soano, Amerino e Narni, qualora si denuncino di loro volontà. Coloro i quali rifiuteranno di denunciarsi da sé dovranno essere puniti secondo gli statuti papali.
A Viterbo viveva Giovanni di Benvento, il quale fu chiamato Papa degli eretici, e quando Gregorio nel 1237 si recava a Viterbo per purificare la città, condannava Giovanni, insieme con molti suoi compagni di fede, ordinando la demolizione dei palazzi degli eretici appartenenti a nobili famiglie, dato che questi davano asilo al correligionari.

Al Vescovo di Padova furono inviate istruzioni di iniziare una severa repressione. A Parma fu fondato l'Ordine dei Cavalieri di Jesù con lo stesso scopo. Tutta questa attività dimostra l'inizio di sistematiche operazioni contro gli eretici. L'oppressione cresceva anno per anno. Dopo energiche disposizioni emanate da Ruggiero Calcagni, l'Inquisizione fiorentina si metteva al lavoro. Le esecuzioni si susseguivano, ma anche in altre città vicine le condanne al rogo cominciavano a diventare frequenti. Così leggiamo in un registro dell'anno 1244 della condanna al rogo di due cittadini di Pisa, certi Maffeo e Martello.

A Firenze la persistente crudeltà di Fra Ruggieri spinse alla disperazione gli eretici. Ogni giorno emergevano nuovi nomi di eretici e il numero dei perseguitati cresceva continuamente. La Signoria fu invitata dal Papa per fare valere gli ordini che citavano gli eretici davanti ai giudici. I prigionieri diventavano tanto numerosi che presto un terzo della popolazione fu in prigione. Ruggieri condannava anche i capi, alcuni in contumacia.
Gli eretici dovevano scegliere fra l'aperta ribellione e fra l'annientamente completo. I Baroni sceglievano la ribellione, e attaccarono le prigioni aprendo le porte ai prigionieri e nascondendoli poi nelle foreste della Toscana, dove questi si organizzavano, ricominciando le loro prediche e la diffusione delle loro dottrine.

La situazione tendeva di presto giungere a un punto critico. Era impossibile d'altra parte che una grande quantità di eretici potesse rimanere insensibile alla decimazione delle loro file ed anche i vincitori erano fuori di loro dalla gioia di avere finalmente vinto il nemico che da tanto tempo resisteva a loro. Papa Innocenzo IV invitava la Signoria di appoggiare l'Inquisitore con tutti i mezzi e pregò anche Piero da Verona di aiutare la Signoria.
Piero si affrettava a recarsi a Firenze e nel 1244 radunava in Piazza di Santa Maria Novella una tale folla che la Piazza non bastava a contenere tutti. Pronunciando un grande discorso, Piero destò un tale entusiasmo che una parte dei nobili costituiva un corpo armato per la difesa dei Domenicani e fondò un Ordine Militare, una cosiddetta Società di Capitani di Santa Maria. Lo stendardo di questo era una giubba bianca con la croce rossa. Queste due organizzazioni capeggiavano quell'associazione che conosciamo sotto il nome di « Compagnia della Fede » e i membri di questa compagnia giuravano di difendere l'Inquisizione contro tutti i pericoli che la minacciavano, avendo ricevuto in cambio dal Papa dei privilegi.

Dopo un tale incoraggiamento Ruggieri continuava a condannare sempre gli eretici al rogo e le vittime non si contavano più. Questo era un pericolo che non era possibile agli eretici scongiurare, che a costo dell'abbandono della loro religione. Anche loro si organizzavano sotto il comando dei Baroni e portarono alla loro causa il Podestà, Ser Pace di Pesanola di Bergamo, nominato al suo posto da Federico II. Fra le due organizzazioni la lotta non cessava poi durante i secoli e sotto le due bandiere le strage di Firenze si riempivano di sangue.

Il conflitto fu provocato volutamente da Ruggieri. Esso citava davanti a sé i Baroni e quando questi rifiutavano di comparire Ruggieri si faceva dare dal Papa un mandato di comparizione. Essendo così citati direttamente dal Papa i Baroni non solo comparivano, ma il 1° Agosto 1245 facevano giuramento di combattere al lato del Papa, e a garanzia del giuramento, depositavano mille lire.
Quando i cittadini seppero ciò e compresero che ormai sarebbero stati sottoposti ai Baroni, fecero appello al Podestà. Ser Pace allora, il 12 Agosto inviava dai Baroni i suoi ufficiali ordinando di cessare immediatamente tutta la loro attività che risultasse in contrasto con le disposizioni dell'Imperatore, e li diffidava, sotto pena di una ammenda di mille marchi, di comparire davanti a lui. In caso di non comparizione, egli sarebbe stato considerato un ribelle e sarebbe esonerato dal suo ufficio.
Fra Piero protestava fieramente, e così la città si accorse di essere divisa in due forti ed uguali partiti, con l'unico scopo di annientarsi gli uni e gli altri. Un giorno quando il Podestà sapeva che le chiese erano piene di cattolici, faceva suonare le campane a stormo ed attaccava le chiese, uccidendo molti cattolici disarmati davanti agli altari.

Il giorno di San Bartolomeo, Ruggieri e il Vescovo Argingho facevano pubblicare in Piazza Santa Maria Novella una sentenza contro i Baroni, in base della quale tutte le loro fortune dovevano essere sequestrate, i loro palazzi e fortezze dovevano essere demoliti; questa sentenza conduceva naturalmente a una lotta sanguinosa.
Piero dopo questo episodio si metteva a capo delle truppe della Compagnia della Fede, portando la bandiera come gli altri capitani, fra i quali si notava un certo De Rossi, uno dei più bravi. Due battaglie sanguinose sono state combattute sotto il suo comando, una presso la Croce di Trebbio, e l'altra sulla Piazza di S. Felice. In ambedue le battaglie gli eretici furono battuti. Le tracce di tali battaglie sono visibili ancor oggi.

La bandiera che fu data da Piero a De Rossi, si vede ancora ed é portata dalla Compagnia di San Piero Martire in occasione del suo onomastico, il 29 aprile; mentre la bandiera con la quale egli stesso combatteva esiste ancora oggi fra i cimeli di Piazza Santa Maria Novella e ogni giorno di festa viene mostrata ai fedeli.

Da queste lotte risultava l'annientamento delle forze degli eretici e dei Ghibellini a Firenze. Ruggieri nel 1245 fu nominato Vescovo di Castro, e dopo di lui, il posto dell'Inquisitore fu occupato dallo stesso Piero il quale continuava spietatamente l'estirpazione degli eretici.
Molti di questi riconoscevano l'inutilità di una resistenza ad oltranza e rinnegarono le loro idee. Molti di loro dovevano fuggire, e quando Piero lasciò Firenze, poteva vantarsi di avere distrutto l'eretismo e di aver assicurato le basi sicure per l'Inquisizione.

Mentre Ruggieri era occupato a Firenze, Papa Innocenzo IV nel sinodo di Lyone dichiarava decaduto dal trono Federico II e si dava attorno per trovare un pretendente al trono imperiale. Federico non si preoccupava per la sua destituzione, in parecchie battaglie poté facilmente aver ragione sui pretendenti; perse però i suoi possedimenti italiani e quando al 16 dicembre 1250 avveniva la sua morte, il Papato poteva finalmente constatare di essersi liberato da un sempre temibile nemico.

Il figlio di Federico, Corrado IV, di ventun anni, che seguiva il padre sul trono, non poteva essere pericoloso al pari del padre, ma tuttavia Innocenzo rimaneva ancora un certo tempo a Lyone prima di tornare a Roma. Arrivò poi a Genova il giorno 8 Giugno 1251 da dove scriveva a Piero da Verona e a Viviano da Bergamo esortandoli di approfittare della morte di Federico e di mettersi al lavoro.
L'appoggio che Federico dava agli eretici impedì che l'Inquisizione lavorasse con tutta forza, ma ora che Federico non esisteva più, l'Inquisizione doveva entrare in funzione dappertutto e con la massima severità. Piero e Viviano furono inviati a Cremona, e degli inquisitori furono mandati in ogni angolo della Lombardia.
Tutte le autorità che non davano sufficiente appoggio agli inquisitori, furono punite secondo le leggi della Chiesa e minacciate che se queste punizioni non fossero bastate, verranno adoperate le armi.
Il Papa ordinava pure ai capi provinciali domenicani di collaborare con gli inquisitori. Tutte le leggi di Federico dovevano essere cancellate dalle costituzioni.

Tutte queste disposizioni furono date con la massima fretta una dopo l'altra. Nel 1252 usciva una bolla papale che cominciava con le parole: « Ad extirpanda.... » e questa bolla sottordinava anche le forze armate dell'Inquisizione attribuendo l'estirpazione dell'eretismo al primo dovere di tutti gli Stati.
La lettera del Papa raggiungeva Piero a Piacenza, nel Convento di San Giovanni in Canali, del quale egli era il Priore sin dal 1250; qui esercitava le sue mansioni con tale severità che il suo migliore amico, Matteo da Correggio, fu perfino indotto a pregarlo di mitigare la severità delle sue disposizioni.

Quale attività esplicava Piero a Cremona ed a Milano dove fu trasferito dopo Cremona, non lo sappiamo dettagliatamente. Si può però supporre che corrispose completamente alle aspettative del Papa. Infatti dopo soli nove mesi di attività, fu talmente odiato dal popolo che si complottava per la sua uccisione. Il mandato di trovare gli assassini fu dato a un nobile di Aliate, di nome Stefano Confalonieri e il premio di lire venticinque per la sua uccisione fu offerto da Guidotto Sachella.
Nel 1252, la settimana prima di Pasqua, Stefano trovava l'assassino nella persona di un certo Manfredo Clitoro insieme a un altro, Carino da Balsamo. Un certo Giacomo della Chiesa si assunse il compito di uccidere a Pavia Rainiero Saccone, ma con tutto il suo zelo non riuscì a compiere l'atto. Altri assassini avevano più successi.

Fra Piero si recava a Como per le feste pasquali, ma il 7 Aprile doveva tornare a Milano. Stefano con Manfredo e Carino erano sempre sulle sue tracce ed attendevano il momento propizio. Il 7 Aprile Piero si preparava a tornare da Como a Milano a piedi, benché avesse la febbre addosso; in sua compagnia c'era solo un certo frate di nome Domenico.
Manfredo e Carino li seguivano a piedi e giunti a un posto abbandonato che sembrava il più adatto, gli piombarono addosso. Carino con una mazza ferrata spaccava il cranio di Piero, mentre Domenico fu ferito a morte da Manfredo. Giacché Piero, malgrado l'orribile ferita respirava ancora, Carino gli dava una pugnalata al cuore, compiendo così il nefasto delitto. Lasciavano poi i due corpi sulla strada, i quali furono trovati più tardi dai passanti e il cadavere di Piero fu portato a San Simpliciano.

Gli assassini espiarono il loro delitto solo dopo quarantatré anni, salvo Carino il quale, pentito, conduceva una vita santa, tanto che fu beatificato sotto il nome di Santo Averino. Un altro di quelli che presero parte nel complotto, Daniele da Giussano entrò nell'Ordine dei Domenicani. Giacopo fuggiva, ma Manfredo con un suo complice lo catturarono. Manfredo confessò di aver preso parte anche all'uccisione di altri due inquisitori e cioè di Pier di Bracciano e Fra Catalano, francescani, che furono assassinati in Lombardia a Ombraida. Manfredo doveva essere scortato fino al Papa per essere giudicato, ma riuscì a fuggire. Della sua fine nulla sappiamo. Nessuno degli assassini fu condannato a morte, perché alcuni di loro trovavano asilo presso i Waldensi, altri si nascondevano nelle vallate delle Alpi.

La Chiesa naturalmente sfruttava il martirio di Piero per i suoi fini. Si metteva in moto tutto l'apparato religioso per presentare il martire nella luce più simpatica e più santa davanti al popolo. I miracoli che - dissero - egli aveva fatto in vita sua aumentavano di numero dopo la sua morte. Nel 1253 fu proclamato Santo (San Piero da Verona Martire) con bolla papale. Mai nessuno fu creato santo con tale rapidità. Intorno a questo martire iniziò a crearsi un vero culto. Non finiva ancora il Secolo quando già Giacopo di Voragino paragonava il martirio di Piero a quello di Cristo, asserendo che l'estirpazione dell'eretismo in Lombardia era merito esclusivo di questo Santo.

È vero che già nella bolla di santificazione era compresa l'asserzione che molti eretici furono convertiti in conseguenza dei suoi miracoli e della sua morte. Nel 1291 un Domenicano di Napoli, certo Fra Tomaso di Aversa predicava in Chiesa, alla festa di San Piero che le sue ferite erano paragonabili a quelle di San Francesco, essendo le ferite di San Piero i segni del Dio vivente, mentre le ferite di San Francesco erano segni di Dio morto sulla Croce.
Questa predica però fu considerata da Papa Nicolò IV una blasfemia e il Papa, che egli stesso era un francescano, chiamava Tomaso a Roma ordinandogli di confessarsi e di non dire mai più simili eresie.

Anche i Papi successori coltivavano il culto di San Piero, fino a Papa Pio V, il quale nel 1586 qualificava questo Santo il secondo capo dell'Inquisizione dopo San Domingo. Nel 1588 si dava la completa assoluzione a tutti quelli che si recavano in chiesa per confessarsi nelle feste consacrate a San Domingo, San Piero e a Catherina da Siena. Nel 17° Secolo uno spagnolo entusiasmato dichiarava San Piero « Emperador de Martyres ».

Nel 1373 Gregorio IX ordinava di innalzare sul posto del martirio una cappella che con gli oboli degli innumerevoli pellegrini, diventò una magnifica chiesa. Nel 1340 fu aperta la cripta che conteneva i resti del Santo affinché questi fossero collocati in una cassa mortuaria fatta da un grande artista e in questa occasione il corpo del Santo fu trovato intatto, come se fosse morto da poche ore e si vedevano tutte le sue ferite che erano tali e quali come le descrivevano i suoi storici.

La gloria che ricordava la vita del Santo Piero fu poi abilmente sfruttata dalla Chiesa nella pratica. Per esempio la Chiesa organizzò in ogni città italiana i cavalieri più nobili, in formazioni che si chiamavano i Crocesegnati e tutti i membri di queste formazioni facevano giuramento di difendere gli Inquisitori contro i pericoli di morte e qualora occorresse sacrificherebbero anche la loro vita e le loro fortune per sterminare l'eresia; per tali servizi questi cavalieri avevano assicurata l'assoluzione per ogni loro colpa.
Alle feste per San Piero tutti i cavalieri tenevano convegno nelle chiese dei Domenicani, dove ascoltavano la messa con la sciabola sguainata per significare di essere pronti a marciare contro gli eretici anche con le armi.

Le chiese dei Domenicani furono del resto i centri irradiatori dell'Inquisizione. Questa organizzazione esisteva fino al XIX Secolo e Fra Pier Tomaso Campana, che era inquisitore a Cremona, rammenta con orgoglio di essere stato presente ad una cerimonia simile a Milano, nell'anno 1738.
I Crocesegnati porsero agli Inquisitori anche appoggi finanziari e occorrendo li aiutavano anche con le armi. Se talvolta accadeva che per richieste di denari pervenute dagli inquisitori essi davano risposte negative, allora erano subito scomunicati.

Possiamo immaginare quale immenso aiuto significava per l'Inquisizione una simile organizzazione.
Se gli eretici speravano di potere impedire l'attività dell'Inquisizione con il terrore, si sbagliavano fortemente. L'Ordine dei Domenicani era composto interamente da fanatici i quali non speravano di meglio che diventar dei martiri della Religione e per loro nessun sforzo era pesante.

Appena terminò l'attività di San Piero, il suo posto fu preso da Guido da Sesto e da Rainiero Saccone da Vicenza. Quest'ultimo aveva già occupato un'alta dignità nella Chiesa Cathariana (quindi eretico) , quando per ispirazione divina riconosceva il proprio errore e si convertiva alla causa del cattolicesimo entrando nell'Ordine dei Domenicani.
Probabilmente il suo caso serviva da precedente alla disposizione del Papa Innocenzo, il quale nel 1246 ordinava che il Priore milanese dei Domenicani poteva assumere nell'Ordine Domenicano anche gli eretici convertiti, senza che questi siano obbligati di fare un anno di noviziato, come dovevano fare i cattolici.

Dato che Rainiero Saccone conosceva bene tutti i segreti degli eretici, poteva fare alla causa del cattolicesimo dei servizi inestimabili. Presto diventò Inquisitore e in poco tempo decimava le file degli eretici.
Come abbiamo visto, anche lui fu designato dagli eretici per essere assassinato con San Piero, ed anche questo fatto dimostra come egli fosse odiato. Non sappiamo se i sicari avessero fatto il tentativo di assassinarlo, ma fatto sta che Giacopo della Chiesa tornò da Pavia, senza aver potuto compiere il misfatto. Rainiero Saccone fu traslocato subito a Milano, quale uomo più adatto per il posto già occupato da San Piero, e giustificava le speranze già in lui riposte, perché attendeva al suo ufficio con la più spietata severità.
Un uomo della sua tempra era allora una novità per i Lombardi ed egli con la sua intelligenza e col suo spirito di sacrificio era veramente l'uomo più adatto per organizzare e consolidare l'Inquisizione fra questa popolazione di natura ostinata.

In questa epoca, gli eretici furono ancora più numerosi in Lombardia perché l'attività di Bernar de Caux e i suoi compagni a Languedoc causava un forte esodo degli eretici dalla Francia, che poi affluivano tutti in Lombardia. Fino alla morte di Federico, la Lombardia fu per loro un porto sicuro. Si formavano intere colonie di fuggiaschi e anche dopo che l'Inquisizione fu istituita, durante mezzo Secolo continuava sempre questa immigrazione.
Rainiero Saccone dunque aveva bisogno di tutta la sua perseveranza per adempire al suo compito. Verso Treviso e nella sua provincia Ezzelino da Romano aveva moltissima influenza e questi difendeva apertamente gli eretici. Così anche le speranze destatesi dopo la morte di Federico non si avveravano. Quando Corrado nel 1233 passò Treviso per riconquistarsi il Regno di Sicilia, nominò vicario della Lombardia Uberto Pallavicino. Questi però presto diveniva odiato dalla Chiesa più dello stesso Ezzelino.
Benché Corrado morì nel 1254, e Innocenzo dichiarò Napoli possedimento della Chiesa, la potenza di Pallavicino sempre aumentava, tanto più perché questi si metteva in alleanza con Manfredo, figlio illegittimo di Federico, il quale riconquistava Napoli dalla Chiesa e diveniva capo dei Ghibellini.

In Milano, la Chiesa si accorse che il sentimento popolare gli era contro, perché i Guelfi, una volta tanto combattivi cadevano nella più profonda indifferenza; ciò perché Innocenzo calpestava i diritti della cittadinanza, offendendo anche il loro amor proprio con certe sue leggi.
Uno dei primi atti di Rainiero Saccone era di citare Egidio, il conte di Cortenuova sotto l'accusa di complice degli eretici. Il Castello di Cortenuova, vicino a Bergamo era dichiarato un nido degli eretici e fu demolito, interdicendo la rifabbricazione.
Il conte Egidio reagiva occupando la fortezza di Mongano, che fu da lui posta a disposizione degli eretici affinché servisse a loro come asilo. Si rifiutava altresì di comparire davanti a Rainiero Saccone e per punizione fu scomunicato, ma questa punizione non fece su di lui molto effetto.

Nel 1254 Innocenzo IV ordinava alle autorità di Milano di occupare con la forza il castello di Mongano, consegnando tutti i suoi abitanti all'inquisizione. Il conte però era in stretta amicizia con Pallavicino « nemico di Dio e la Chiesa » ed i milanesi dimostravano poco entusiasmo per l'impresa. Mongano quindi rimaneva ancora l'asilo degli eretici fino al 1269, quando finalmente i milanesi si decidevano ad accuparlo e consegnarlo ai Domenicani.

Molto più successo aveva Rainiero Saccone contro un altro nobile milanese, il Roberto Patta da Giussano. Durante vent'anni questo nobile era uno dei più strenui difensori degli eretici, nel suo castello di Gatta riceveva apertamente i vescovi eretici, permetteva di edificare case ed aprire delle scuole, dove potevano tenere lezioni e diffondere le loro dottrine.
Nel cimitero di Gatta potevano tumulare i loro morti e fra gli altri furono tumulati anche due loro vescovi, Nazario e Desiderio. Queste tombe furono conosciute da tutti, e si dice che anche San Piero Martire passò un giorno nel cimitero, predicendo il suo annientamento e l'esumazione dei suoi morti.

Roberto Patta da Giussano fu citato dall'Arcivescovo di Milano ed accusato di eresia ma non doveva essere punito, se gli eretici continuavano a rimanere ancora sotto la sua protezione. Ben diversamente andava la cosa nel 1254, quando Roberto fu citato la seconda volta, ma questa volta da Rainiero. Dato che rifiutava di comparire, fu semplicemente dichiarato eretico, i suoi beni furono sequestrati e lui e i suoi successori furono dichiarato decaduti da tutti i loro diritti.
Roberto Patta doveva convincersi che col nuovo Inquisitore non era possibile tergiversare. Le speranze dei Ghibellini in quel momento erano molto deboli e così Roberto non poteva fare altro che mettersi a disposizione dell'Inquisitore, dichiarando di accettare tutte le condizioni che il Papa vorrà dettargli.
Papa Innocente, non fu proprio clemente, ordinando il 19 Agosto 1254, di dar fuoco al castello di Gatta e le case degli eretici, e di disperdere i resti di questi tumulati nel cimitero di Gatta, mentre il Conte Roberto doveva espiare le sue colpe come era prescritto da Rainieri.

Il potere papale in questi tempi era al suo apice. Corrado IV decedeva il 20 Maggio 1254, si diceva per causa di avvelenamento. Così Innocenzo IV aggiunse al suo regno anche la Sicilia e poteva dirsi Signore non solo spirituale, ma anche materiale dell'intera Italia. Nessuna meraviglia quindi se faceva di tutto per perfezionare l'Inquisizione che era un mezzo sicuro politicamente, ma era forse il solo e unico mezzo per salvaguardare l'unità della Chiesa.

L'8 Maggio Innocenzo fece un passo importante, ordinando al Priore dell'Ordine dei Francescani di Roma di destinare alcuni frati dell'Ordine quali inquisitori per le province del Sud della Lombardia. Il 20 Maggio faceva nuovamente pubblicare la sua Bolla « ad extirpanda » ed il 22 spediva la Costituzione di Federico a tutti i regnanti dell'Italia, affinché questa fosse inserita negli Statuti di tutti gli Stati, comunicando che i Frati Mendicanti erano stati istruiti affinché potessero ammonirli qualora non obbedissero.
II 29 Maggio inviava ordini al capo della polizia della Lombardia per destinare quattro Inquisitori con giurisdizione da Bologna e Ferrara sino a Genova. A questo impulso del Papa bisogna ancora aggiungere l'energia di Rainiero e non è da meravigliarsi se l'Inquisizione diventava sempre più potente, salvo là dove alcuni potentati ghibellini, come Ezzelino e Uberto ostacolavano il lavoro.

Il sistema di lavoro degli agenti del Papa é illustrato molto bene dal caso di Asti, piccola repubblica vicino al confine della Savoia, che troviamo registrati in un verbale del tempo. Secondo questo verbale apparivano nella repubblica del 1254, due Inquisitori, e cioè Fra Giovanni da Torino e Fra Paolo da Milano, e comunicavano al Consiglio della Repubblica che il Papa attendeva da loro l'appoggio per il lavoro dell'Inquisizione. Gli astigiani rispondevano che sarebbero lieti di poter ubbidire al Papa, ma che non esisteva nel loro Statuto nessuna legge in base alla quale si possa perseguitare gli eretici. Hanno quindi dovuto redigere un nuovo ordine il quale prescriveva l'ubbidienza al Papa e alle leggi di Federico inserendo questo nuovo ordine nella Costituzione. Simili casi si verificavano anche in altri Stati.

La morte di Innocenzo IV avvenuta il 7 Dicembre 1254, nulla cambiò dell'energia devoluta al perfezionamento dell'Inquisizione. Dopo la sua elezione, Papa Alessandro IV confermava tutte le disposizioni del suo predecessore, sollecitando i prelati e gli inquisitori per un'attività ancor più alacre.
Giacché alcune città ricusavano consegnare agli inquisitori i cittadini condannati, autorizzava gli inquisitori di poter esigere da queste città un'ammenda di duecento ducati d'argento. In seguito a questa ordinanza Rainiero faceva radunare la popolazione di Milano sulla Piazza del Duomo e comunicava loro che fino allora aveva condotto una politica mite (!), ma che ora finivano i tempi quando si poteva ancora scherzare.
Asseriva che molti cittadini si permettevano di schermire pubblicamente l'Inquisizione, altri impedivano la sua attività con atti scandalosi e vessazioni. Ammoniva la popolazione che d'ora innanzi tutti quelli che ostacolavano il lavoro inquisizionale saranno scomunicati quali eretici ed inoltre saranno puniti nella misura delle loro colpe.

Poco dopo i quattro inquisitori della Lombardia risultavano insufficienti e perciò Papa Alessandro IV ne nominava ancora altri quattro. Nel 1257 Rainiero fu nominato Inquisitore Capo per tutto il territorio della Lombardia, compresi i circondari di Genova e Treviso.
Il potere di Rainiero finiva solo ai confini dei possedimenti di Uberto e di Ezzelino, dove finora nessun inquisitore osò porre piede. Nel 1257 Piacenza cadeva sotto il controllo di Uberto, e si rivolse contro il Papa il quale tolse il Vescovo dalla città, trasferendo il Vescovo Alberto a Ferrara.
A Vicenza dove imperava Ezzelino, la situazione era ancor peggiore. In questa città il duce degli eretici era uno di nome Piero Gallo, ed il suo nome fu il grido di battaglia « Viva Gallo » del suo partito. I cattolici invece gridavano « Viva Volpe » dato che il loro duce viceversa si chiamava Volpe. Questi gridi diventavano talmente tradizionali, che perfino nei secoli seguenti i cittadini di questa città gridavano « Viva Gallo » mentre nei quartieri di Piazza e Porta Nuova il grido abituale era « Viva Volpe ».

Ezzelino, sul suo territorio non ammetteva nessuna persecuzione religiosa, e quando uno degli alunni di San Domingo, il Bartolomeo di Breganze nel 1256 fu nominato vescovo di Vicenza, questi aveva istruzioni di fare solo il lavoro di persuasione. Fino un certo tempo il Vescovo predicava con scarsi risultati, ma un giorno ebbe un pubblico contraddittorio con Piero Gallo, e tanto effetto fece su di lui con le sue argomentazioni, che questi si convertiva al cattolicesimo. Poco dopo però il Vescovo fu allontanato da Vicenza, pare per l'intromissione di Ezzelino, il quale rimase male per il tradimento fattogli da Gallo.
Il Vescovo Breganze però ebbe una promozione inquantoché fu nominato Nunzio a Londra. Durante la sua assenza da Vicenza il suo Arcidiacono Bernardo Nicelli ebbe meno fortuna, benché riuscì a fare prigioniero il Vescovo Cathariano Viviano, un uomo di grande importanza. Con paziente lavoro di persuasione tentava di convertirlo al cattolicesimo, ma la sua eloquenza non bastò ed infine per richiesta di Ezzelino fu costretto a liberare il prigioniero.

Papa Innocenzo IV nel 1256 iniziò una guerra contro Ezzelino ed occupò una delle sue città più importanti, Padova. Nello stesso tempo Brescia cadeva nelle mani di Ezzelino, e questi si preparava a marciare contro Milano, dove aveva ottime relazioni con i capi ghibellini. Credeva così di essere vicino alla vittoria finale, quando la situazione cambiò di colpo. I capi dei ghibellini lombardi, Uberto Pallavicino e Buoso di Novara, Signori di Novara, erano sì i suoi alleati e lo aiutarono a conquistare Brescia, ma col proposito di dividere fra tutti il dominio della città.
Ezzelino però reclamò tutto il merito della vittoria unicamente per sé, volendo tenere il dominio esclusivo nelle sue mano e perciò gli altri due giurarono vendetta contro di lui.

L' 11 Giugno 1259 strinsero alleanza con i milanesi e con Azzo D'Este, capo dei guelfi lombardi, contro Ezzelino. Questi raccolse tutti i suoi fedeli e sperando anche nell'aiuto dei suoi amici di Milano, contava di raggiungere la vittoria. I suoi antagonisti però, Uberto, Buoso ed Azzo, l'attaccarono nel medesimo tempo, disperdendo tutto l'esercito di Ezzelino, e lui stesso fu ferito e cadeva nelle mani dei suoi nemici. La disfatta benché grande non menomò l'orgoglio di Ezzelino, il quale, strappate sdegnosamente le sue bende, rifiutò ogni cura, e dopo pochi giorni di sofferenze, morì.

Nessuno fece alla Chiesa un servizio più grande di quello di Uberto Pallavicino, il quale fu il maggior artefice della vittoria, la quale liberò la Chiesa di un terribile nemico, aprendo con ciò la strada di Treviso all'Inquisizione.
Era da aspettarsi che un tale servizio non rimanesse senza premio adeguato, ma non avvenne così perché i tre alleati nel patto concluso l' 11 Giugno avevano riconosciuto Manfredo - il figlio odiato di Federico - Re della Sicilia, facendo giuramento di adoperarsi affinchè egli possa fare la pace col Papa.
Per quanto il servizio reso alla Chiesa fosse stato grande non poteva mai cancellare questo atto. Quando Uberto, Buoso ed Azzo strinsero l'alleanza, furono tutti e tre assolti dalla scomunica; questa assoluzione però fu resa nulla da Papa Alessandro IV, con la motivazione che non venne fatta né dai Domenicani, né dai Francescani, mentre solo questi potevano farlo.
Il Papa aggiungeva però che qualora gli alleati ritireranno il loro appoggio a Manfredo e daranno garanzie di voler sempre ubbidire alla Chiesa, rispettando i beni papali, potranno riguadagnarsi l'assoluzione.

La vittoria riportata sopra Ezzelino sembrava aver reso cieco il Papa, il quale non realizzò con chi aveva a che fare, un uomo simile ad Uberto, da lui così trattato indegnamente. Questi era un uomo che sapeva difendersi anche contro il Papa, difatti si recò a Milano dove strinse alleanza con i Torriani e con altri potentati nobili, e nel 1260 si faceva eleggere podestà di Milano per la durata di cinque anni.
Rainiero Saccone inutilmente tentò di impedire l'elezione; tentò di accusare Uberto di eresia, minacciando di far marciare contro di lui il popolo e i crocesegnati, ma i cittadini non solo rifiutarono di marciare contro Uberto, ma invece attaccarono il convento dei Domenicani ed intimarono a Raniero di lasciare immediatamente la città se non voleva aver delle brutte sorprese. Rainiero allora partì suo malgrado.

Invano Papa Alessandro ordinava a Rainiero ed agli altri inquisitori di continuare la loro opera contro i renitenti; invano approvò il 14 Ottobre 1260 gli statuti della « Lega dei difensori della Fede » che fu fondata a Milano, sotto il patronato di Jesu Cristo, la Vergine Maria, San Giovanni Battista e San Pietro martire ed i cui membri facevano giuramento di mettersi a servizio dell'Inquisizione per la difesa della Fede.
Ora l'uomo più potente della Lombardia era Uberto, e dove comandava lui gli Inquisitori non potevano far nulla. Gli eretici erano assolutamente sicuri sotto la sua difesa e ricominciarono a tornare in Lombardia da tutte le parti, anche dal Languedoc e dalla Provenza.

Come Ezzelino, anche Uberto fu citato dal Papa il 9 Dicembre e gli Inquisitori ricevettero istruzioni di munirlo con salvacondotto, affinché potesse recarsi a Roma (ma non certo per farlo rimanere!) per discolparsi. Uberto invece non pensò nemmeno lontanamente a comparire. Continuava invece a consolidare la sua posizione, ed aggregava una città dopo l'altra al numero già rilevante dei suoi possedimenti.
Uberto dunque vinceva al Nord, mentre al Sud la dominazione severa ma illuminata di Manfredo, gli procurava larghi consensi, allargando sempre più i suoi territori.

In questo momento tutte le ambizioni della Chiesa nei riguardi dell'Inquisizione sembravano tramontare. Gli inquisitori non si sentivano più sicuri, nemmeno nello stesso stato Papale di Roma, ed i prelati non osavano neppur mettersi in viaggio se non scortati da guardie armate. La situazione però presto cambiò. Fuori dei territori lombardi sottoposti ad Uberto, l'Inquisizione silenziosamente ma ben sicura, guadagnò sempre più terreno, diventanto sempre più potente, minacciando seriamente l'egemonia di Uberto. In due anni il Papa riuscì, con l'aiuto di Carlo d'Angioino a procurare per sé il Regno di Sicilia ed Uberto fu costretto ad umiliarsi davanti al Papa.
In breve quasi tutta l'Italia cadeva sotto il dominio del Papa e gli eretici non avevano più un asilo dove potersi rifugiare o sentirsi sicuri. L'Inquisizione poteva organizzarsi dappertutto tranquillamente, nessuno osava più mettere in dubbio la sua potenza.

Papa Innocenzo IV nel 1254 divideva l'Italia fra i due ordini religiosi, e cioè fra i Domenicani e i Francescani. Genova e la Lombardia furono poste sotto i Domenicani, mentre l'Italia Meridionale e Centrale, sotto i Francescani. Le Province Romane e Toscane erano rette da due Inquisitori per ognuna, mentre la provincia di Spoleto - quello appartenente a S. Francesco - era retta da uno solo. Ogni singolo inquisitore poteva tenere due inquisitori supplenti e i capi della polizia ricevevano ordini di aiutarli con ogni mezzo affinché il « santo compito » potesse essere sollecitamente e più profondamente eseguito.

La Lombardia aveva otto inquisitori, aumentati nel 1304 a dieci, e cioè sette per la Lombardia superiore, e tre per quella meridionale. Treviso e la provincia Romagnola, prima erano sotto i francescani, ma questi trattavano il popolo così male che Bonifazio VIII dovette sostituirli con i Domenicani senza peraltro fare con questo atto, più contento il popolo.

In qualche località isolata l'Inquisizione ebbe difficoltà ad organizzarsi. Gli abitanti di Sirmione ad esempio, non volevano ammettere la persecuzione degli eretici durante sedici anni. Essi stessi erano rimasti cattolici, ma difendevano lo stesso gli eretici dando loro asilo, e perciò molti di questi si rifugiavano da loro. Per procurarsi delle prove contro questi abitanti di Sirmione, l'Inquisitore Fra Timodio inviava la spia Costanza da Bergamo, la quale pur dicendosi eretica aveva ricevuto l'assoluzione religiosa e così riuscì a penetrare in tutti i segreti dei sirmionesi.
Alla fine non potendo più tollerare lo scandalo di Sirmione, il vescovo di Verona incaricava Alberto della Scala di Verona, e Rinamonte de Bonacolsi di Mantova a costringere questa città all'obbedienza. Così essa nel 1276 doveva arrendersi, consegnando all'Inquisizione 174 eretici perché fossero ammessi nella religione cattolica e si impegnò alla fedeltà verso la Chiesa. La città poi chiese l'assoluzione, e Filippo Bonaccossa, vescovo di Treviso, chiese istruzioni al Papa se poteva concederla. Il Papa si occupava preferibilmente di poesia anziché di teologia, ed era propenso a perdonare ai sirmionesi, ponendo quale condizione di consegnare tutti gli eretici all'Inquisizione. Perciò ogni abitante di Sirmione dovette confessare quanti eretici conosceva, e quelli denunciati, in tutto 70, furono tutti bruciati vivi.

A Sirmione nel 1278 fu costruito un convento francescano per la difesa della religione. Il castello di Ezzelino che si trovava nelle vicinanze fu donato ai nobili di Sirmione per interessarli maggiormente nella fedeltà alla Chiesa per l'avvenire. Così l'eretismo piano piano perse tutti i suoi patroni e l'Inquisizione fu consolidata in ogni angolo del Paese.

Questa forza consolidata opprimeva perfino i fedeli cattolici i quali furono esposti a vessazioni e dovevano subire le estorsioni come gli stessi eretici. Su quei territori dove una volta imperavano i Ghibellini, nemmeno i cattolici erano liberi da persecuzioni, appena avevano il minimo urto con le autorità, oppure se erano di condizione agiata. La Chiesa era molto abile di confondere l'opposizione politica con la religione, che se uno serviva in file politiche opposte alla Chiesa, come per esempio nel partito di Ezzelino, ciò equivaleva per essere considerati dalla Chiesa come eretici. Allora quel disgraziato che cadeva sotto le loro mani, era sottoposto ad ogni sorta di persecuzioni ed al sequestro dei beni.
Nel 1304 le autorità di Vicenza dovevano supplicare il Papa di risparmiare i pochi superstiti del partito di Ezzelino e i loro discendenti, altrimenti sarebbero stati sterminati perfino i loro bambini. Il Papa volle sembrare clemente, ed acconsentì.

In quest'epoca l'Impero era solo l'ombra di se stesso, ed il ghibellinismo estremamente debellato. Quest'ultimo fu perseguitato ancora di più, ma solo per soddisfare la voracità degli Inquisitori che per altro.
La vittoria dell'Inquisizione non avveniva però senza ostacoli.

Nel 1277, per dirne un esempio, Fra Corrado Pagano conduceva un spedizione punitiva contro gli eretici di Valtellina, portando con se due altri suoi aiutanti e due scrivani, per fare la registrazione degli eretici che si trovavano in gran numero in quel posto.
A queste persone venne contro Corrado da Venosta, un nobile, noto protettore degli eretici, il quale sterminò tutta la spedizione punitiva. Ciò succedeva il giorno di Santo Stefano. Pagano finché visse, fu uno dei più zelanti persecutori degli eretici e per questo meritò il nome di San Pagano da Como, che gli fu attribuito dai Domenicani. I cimeli di questo Santo sono tuttora custoditi a Como ed in quella città la sua memoria viene ricordata ogni anno.
Nicola III fece tutti gli sforzi per ritrovare i suoi assassini, rivolgendosi per avere un aiuto anche a Rodolfo d'Absburgo, e non invano, perché nel Novembre 1279 il podestà di Bergamo, appoggiato dai cittadini, riuscì ad acciuffare Corrado Pagano ed i suoi complici. Per ordine del Papa gli assassini furono consegnati agli inquisitori, i quali ebbero severa consegna di pronunciare contro di loro una condanna esemplare. I capi delle forze armate della Lombardia dovettero garantire che i prigionieri sarebbero stati scortati fin sul posto della loro espiazione.

La giustizia dunque che lavorava per la causa del cattolicesimo, aveva anche l'appoggio della forza armata, ma un caso verificatosi a Parma, dimostra che la potenza dell'Inquisizione non era tanto forte sopra il popolo, come si poteva immaginare. Fra Florio era uno degli inquisitori più zelanti e possiam dirlo con sicurezza che non tralasciava nessuna occasione per mandare gli eretici al rogo; il numero degli eretici da lui bruciati vivi, era immenso.
Nel 1279 faceva perfino condannare al rogo una donna di Parma. I parmensi però non assistevano troppo volentieri a questi orribili spettacoli. Infatti per «istigazione del diavolo», come dissero, si sollevarono, attaccando con le armi il convento dei Domenicani, radendolo completamente al suolo, bruciando tutti i verbali e documenti che ivi si trovavano, bastonando a sangue i frati, parecchi dei quali rimasero morti sul campo.
I Domenicani per vendicarsi pronunciavano un terribile anatema contro la città dfi Parma, che lasciavano al suo destino. Le autorità non si affrettavano affatto per scoprire e punire i colpevoli, anzi, quando il legato del Papa riuniva il tribunale per esaminare e condannare i colpevoli, non poté far niente, perché i membri del Collegio giudicante non avevano la necessaria autorizzazione per esercitare il loro ufficio.

Per tagliar corto, allora tutta la città fu scomunicata e la scomunica rimase in vigore sino al 1282. Nel 1285 Papa Onorio IV ordinava ai parmensi di inviare a Roma i loro delegati per sentire dal Papa la condanna che sarebbe stata data alla città. In che cosa consisteva tale condanna non lo sappiamo, ma fatto sta che nel 1287 i parmensi umiliati supplicavano i Domenicani di tornare in città, impegnandosi al pagamento di lire mille, più lire ducento annue per le spese di fabbricazione di una nuova chiesa.

L'opposizione all'Inquisizione non cessò completamente nemmeno nello Stato papale perché nel 1254, Papa Innocenzo IV doveva incitare gli inquisitori di Orvieto e Anagni di essere più severi con gli eretici. Nel 1258 Papa Alessandro IV si lagnava che l'eretismo prendeva base anche nella stessa Roma e sollecitava gli inquisitori ad una attività più intensa, ordinando ai vescovi di appoggiare maggiormente il lavoro degli inquisitori.
Anche questi sforzi non erano sufficienti per raggiungere lo scopo. Vent'anni dopo il cavaliere Pandolfo trasforma il Castello di Castro Siriani, in vicinanza di Anagni in fortezza per asilo agli eretici. L'inquisitore della provincia di Roma, Fra Sinibaldo di Lago fece molti tentativi per espugnare questa fortezza ma inutilmente.
Nel 1278 Papa Nicola III inviò il suo segretario Magister Benedetto ad offrire al Cavaliere la assoluzione qualora tornasse in seno alla Chiesa, ma né lui nè gli eretici si mostravano disposti. Non rimase altro che ordinare a Orso Orsini, maresciallo della Chiesa in Toscana di raccogliere le sue truppe ed aiutare così Fra Sinibaldo a punire questi eretici ostinati.

L'Inquisizione dunque in tutta l'Italia Settentrionale e Centrale era in piena attività e davanti alla sua opera senza quartiere man mano spariva l'eretismo. Molti fuggivano in Sardegna, ma nel 1258 anche questa isola fu aggregata politicamente alla Toscana e furono inviati anche là degli inquisitori. In tutta l'Italia non rimanevano che due province che erano ancora immuni dall'Inquisizione e queste furono Venezia e le due Sicilie.

Napoli, come tutte le altre parti dell'Europa meridionale, non poteva non rimanere infetta dall'eretismo. Già prima dell'Inquisizione si trovavano nelle vallate degli Appennini meridionali dei missionari bulgari, ed a questi non era difficile di diffondere le loro dottrine fra questa popolazione mista di greci, saraceni e normanni, e di trovare un numero importante di proseliti.
I Re normanni stavano quasi tutti in inimicizia con la Santa Sede e si disinteressavano della religione dei loro sudditi, per non mettere contro sé stessi la nobiltà feudale dei loro paesi. Le dottrine dei cathariani dovevano essere molto conosciute fra queste popolazioni ed anche in Calabria, ma dato che Rainiero non parla di nessuna chiesa cathariana nelle province al Sud della Toscana, possiamo supporre che queste sette nel Meridionale furono troppo sparse e distanti una dall'altra e non erano affatto regolarmente organizzate.

Nel 1235 a Napoli i frati Domenicani furono attaccati dalla folla e il loro convento messo sossopra; solo dopo questi fatti Papa Gregorio IX ordinava delle azioni più serrate contro gli eretici meridionali e i loro protettori.
Affinché giudicare meglio le varie lotte in vari settori contro l'eretismo, bisogna tenere presente che l'Imperatore Federico II, benché fosse molte volte indotto dalle esigenze politiche ad emanare editti violenti per la persecuzione degli eretici, non fu sempre consenziente in questa politica. Le sue lotte, condotte contro il Papato fino alla sua morte, destavano per lui una segreta simpatia in tutti quelli i quali temevano il Papato per ragioni morali oppure finanziarie.
Una parte dei cathariani scacciati dal Languedoc non trovavano asilo sicuro in Lombardia, e questi preferivano piantare le loro tende lontano dalle vie battute, nelle vallate di Calabria e degli Abruzzi.

Papa Innocenzo IV regnava solo breve tempo a Napoli, e perciò non era in grado di organizzare le persecuzioni e quando Manfredo riconquistava il suo regno, si sentiva ancora troppo debole per andare a fondo contro gli eretici; tutto ciò che fece era di espellere dal paese Viviano il vescovo di Touluse e i suoi discepoli.
Carlo d'Angioino agiva da figlio della Chiesa e cominciava con la condanna a morte di Corradino e con l'organizzazione dell'Inquisizione su tutto il territorio del suo Regno.
Nel 1269 l'Inquisizione iniziava anche qui la sua attività, e tutti gli inquisitori ricevettero autorizzazione di poter adoperare quale aiuto, le forze armate dello Stato.
A Napoli c'era un Ufficio di Inquisizione composto di un gran numero di funzionari. Inquisizioni separate avevano Bari, Otranto, Terra di Lavoro e degli Abruzzi. Nel 1271 dotarono di Inquisitori anche la Calabria e la Sicilia. Quasi tutti gli Inquisitori erano Domenicani, uno solo era Francescano, Fra Benvenuto. Non sappiamo però se mettevano a disposizione degli inquisitori anche dei fabbricati e delle prigioni, ma fatto sta che le prigioni di Stato avevano istruzioni di mettersi a disposizione degli inquisitori ogni qualvolta si trattava di mettere alla tortura gli eretici.

Lo zelo di Re Carlo non si appagò col solo aiutare l'Inquisizione, ma lui stesso si mise alla persecuzione degli eretici. Benchè come abbiamo visto, gli Abruzzi avevano un Inquisitore, pure Re Carlo il 13 Dicembre 1269 vi inviava il Cavaliere Berardo da Rafano con ordine di catturare ed imprigionare tutti gli eretici e i loro protettori. Tutte le autorità ricevettero ordini di aiutarlo nel suo lavoro, senza però dare una diretta collaborazione. Carlo del resto era molto devoto alla Chiesa anche in altre cose; nel 1274 per esempio faceva fabbricare una bellissima chiesa a Napoli dedicata a San Piero Martire, e l'arredò magnificamente, regalandola ai Domenicani, incitando i nobili a seguire il suo esempio. La facciata della Chiesa rimase incompleta ancora per più di cinquanta anni in mancanza di fondi; finché Re Roberto regalò a questo scopo cinquanta once d'oro, dando ordine agli inquisitori di versare questa somma alla Chiesa, da quella terza parte delle fortune sequestrate agli eretici che toccava sempre al Re. Questo atto dimostra che i vantaggi finanziari derivati dal lavoro dell'Inquisizione, stavano anche a Napoli sotto il controllo dei Sacro Ufficio.

Dell'opera dell'Inquisizione a Napoli, abbiamo in seguito pochi dati, ma sappiamo che in quelle parti si trovavano sempre numerosi eretici, dato che i dintorni di Napoli erano molto favorevoli a nascondere i perseguitati.
Nell'Agosto del 1269 una disposizione emanata da Carlo, ordina la cattura di 68 eretici, designati da fra Benvenuto, questo fatto dimostra che il lavoro di persecuzione fu iniziato energicamente. Abbiamo pure una lettera del 14 Marzo del 1270 nella quale si allude a tre eretici bruciati sul rogo a Benevento per ordine di Fra Matteo di Castellamare.

In principio dell'anno 1269 gli inquisitori di Languedoc inviavano i loro agenti a Napoli per ritrovare e punire i profughi eretici, e un ordine di Carlo faceva obbligo a tutti di appoggiare il lavoro degli agenti in tutto quello che occorreva. Il fatto però che l'Inquisizione aveva continuamente bisogno dell'aiuto del Re, dimostra che l'Inquisizione a Napoli non fu talmente forte e potente come in Languedoc e in Lombardia. L'intervento del Re si rese necessario anche perché egli stesso non lasciava libertà d'iniziative agli inquisitori e pure per il fatto che le autorità locali non si mostravano sempre zelanti quando si trattava di collaborare con la Inquisizione. L'organizzazione inquisizionale a Napoli non può quindi vantare risultati omogenei nemmeno sotto gli Angioini, benché Carlo II fosse un persecutore molto zelante ed anche suo figlio, Roberto «il pio», non era a meno del padre nella persecuzione degli eretici. Anzi nel 1311 Roberto, cedendo alle insistenze di Fra Matteo da Ponza ordinava anche la dispersione degli ebrei battezzati fra nuclei di cristiani allo scopo di impedire che questi ebrei potessero tornare alla loro religione.

Dimostra l'inefficacia dell'Inquisizione napoletana anche il fatto che i waldensi emigrati dalle Alpi Cotti si sentivano sempre in assoluta sicurezza a Napoli. Questi emigrati waldensi furono condotti la prima volta a Napoli dal nobile milanese Zanino da Poggio il quale promise terra e privilegi. Poco dopo i primi emigrati, arrivarono degli altri gruppi, e pochi anni dopo troviamo interi villaggi composti di waldensi, come il villaggio Guardia Piemontese, Borgo degli Oltremontani, Argentina, La Rocca, Vaccarizzo e San Vincenzo in Calabria, nonché Monteleone, Montano, Faito, La Cella. e Matta nelle Puglie. Questi villaggi furono regolarmente visitati dai missionari, i quali consacravano la loro vita a girare fra questi villaggi distanti fra loro, aiutando la loro amministrazione e guardando alla loro assistenza religiosa.

La severità dell'Inquisitore François Borel fu causa di sempre più numerose emigrazioni verso il Mezzogiorno, dimodoché le Puglie finivano per diventare il centro della setta. Grandi masse di eretici potevano così stabilirsi e rifiorire in Apuglia, e l'Inquisizione non voleva, oppure non poteva arginare il loro movimento. Nel 1326 Giovanni XII perseguitando alcuni fraticelli fuggiti in Calabria si rivolse per la loro estradizione al Re Roberto ed al Principe di Calabria invece che all'Inquisizione, ciò che dimostra chiaramente come l'Inquisizione fosse ritenuta debole ed inefficace.

Quando nel 1282 la Sicilia veniva incorporata fra i possedimenti di Pedro III re. di Aragona, l'Isola si rivoltò apertamente contro la Santa Sede, e non si parlò nemmeno lontanamente di persecuzione di eretici. Nel 1285 Martino IV indiceva una crociata contro Pedro, motivandola col fatto che gli eretici si moltiplicavano in modo impressionante sull'Isola e che gli inquisitori erano impediti di recarvisi.
Nel 1302 Bonifazio VIII fu messo davanti al fatto compiuto e fu costretto di riconoscere Federico d'Aragona quale Re di Trinacria. Con ciò fu spianata la via anche all'Inquisizione. Nel 1304 Benedetto XI era già in grado di ordinare a Federico di ricevere ed appoggiare Fra Tomaso di Aversa, ed altri inquisitori che fossero inviati.
Il Papa però non istituì tribunali separati per la Sicilia, ma la Santa Sede disponeva, affinché la giurisdizione continentale fosse estesa anche alla Sicilia. L'Inquisizione rimaneva ciò nonostante più nominale che reale. Quando per esempio nel 1328 il Vescovo di Palermo fece arrestare un fraticello, questi si appellò a Federico, e con successo.

La repubblica di Venezia rimase sempre un territorio indipendente. Quando apparteneva ancora al circondario di Treviso, i suoi interessi la legavano alla costa orientale dell'Adriatico e la sua potenza continentale cominciava soltanto nel 1339, con la conquista di Treviso. Questa fu seguita dalla conquista di Padova nel 1405, poi da quella di Verona, Vicenza, Feltre, Belluno e Brescia. Nel 1448 si impossessava di Bergamo, che sino allora apparteneva al Vescovo di Milano. Così a Venezia rimase il controllo di tutta la politica religiosa ed inquisizionale del territorio veneto e gran parte della Lombardia.

La politica veneziana guardava sempre con occhio vigile ogni mossa ambiziosa della Santa Sede, ed evitava gelosamente ogni occasione che potesse dare modo ai Papi di immischiarsi nelle cose interne veneziane, oppure nei loro interessi esteri. Conduceva sempre una politica fedelmente religiosa ma non bigotta e perciò si teneva sempre lontana dalle beghe dei Guelfi e Ghibellini. Evitò così di venire sotto scomunica anche nei tempi di Ezzelino da Romano.
In realtà però fu Venezia la base di quella crociata che si faceva contro Ezzelino, ed anche la spedizione contro Padova fu comandata da un veneziano.

Quando si trattava però di dare appoggi al movimento di persecuzione contro gli eretici, appoggi sollecitati da Gregorio IX e i suoi successori, essi furono costantemente negati. Lo Statuto di Federico II non fu mai accettato dai veneziani. Nel 1229 il giuramento del Dogi Giacopo Tiepoli fa allusioni solo al codice penale di Federico ma senza menzionare gli eretici e tanto meno la loro persecuzione.
In quest'epoca l'Inquisizione si sentiva abbastanza rafforzata per iniziare la sua aggressività, ma in Venezia non riuscì a prendere piede. Venezia riconosceva bensì l'obbligo dello Stato di perseguitare gli eretici ma la loro autorità statale non rinunciava mai al diritto di controllare l'applicazione delle leggi sul proprio territorio tanto negli affari commerciali come negli affari religiosi.

Nel 1249 il Doge Marino Morosini comprendeva nel suo giuramento la promessa di nominare degli agenti cattolici per investigare contro gli eretici. Questi, consegnati alle autorità statali dal vescovo di Grado e da quelli dei territori veneti, dovevano esseri condannati al rogo, ma soltanto se la maggioranza del Consiglio di Stato si fosse pronunciata per la condanna. Le condanne di morte pronunciate dai Vescovi venivano quindi riesaminate dal Consiglio e senza la sua approvazione, nessuno poteva essere condannato a morte.

Tale stato di cose non poteva soddisfare il Papato e quando, dopo la morti di Federico, si cercava di rafforzare l'Inquisizione anche sui territori dove essa era rimasta fino allora debole, non si dimenticò naturalmente di Venezia.
Con un editto in data 11 Giugno 1251, Papa Innocenzo IV ordinava a Fra Vincenzo da Milano e Fra Giovanni da Vercelli di recarsi immediatamente a Venezia per iniziarvi la persecuzione energica e totale degli eretici.

Non si sa precisamente se questi due frati abbiano o no ubbidito a quell'ordine, perché se avessero ubbidito, avrebbero fatto certamente una brutta fine.
È naturale che nel tempo dell'Inquisizione in Lombardia ed in altri territori, molti eretici fuggissero per salvare la loro vita e molti si portassero a Venezia per cercarvi asilo, sapendo che là l'Inquisizione aveva poca possibilità di raggiungerli. Infatti Papa Onorio IV inviava inutilmente a Venezia l'inquisitore Fra Filippo di Mantova da Treviso con l'ordine che la Ripubblica facesse inserire nello Statuto le disposizioni di Federico e dei Papi contro gli eretici. Tutte le città della Marca Trevigiana ubbidirono, mentre Venezia rifiutò energicamente. Infine nel 1288 Papa Nicolò IV perse la pazienza, ordinando immediatamente che la Signoria adattasse le leggi papali ed imperiali, e che il Doge facesse un giuramento preciso, per non impedire le attività degli inquisitori, ma bensì di appoggiarle. L'ordine del Papa aggiungeva che in caso di disobbedienza, la città sarebbe stata severamente punita.

A quell'epoca la situazione e la potenza di Venezia non era più attaccabile. Aveva in vigore leggi proprie, la sua amministrazione era indipendente e serviva di eccellente e sicuro asilo a proscritti di ogni sorta, rifiutando sempre di consegnarli alla Chiesa o di ucciderli. Pur non avendo assolutamente accettato l'imposizione di inserire le leggi papali ed imperiali nel suo Statuto, autorizzò il Doge Giovanni Dandolo il 4 Agosto 1289 di dare appoggi all'inquisitore qualora questi lo richiedesse, ma di ogni singolo caso egli doveva riferire al Senato.

Un'altra saggia disposizione veneziana fu di aggiudicare a favore dello Stato ogni partecipazione risultata dai sequestri di fortuna, e fu poi lo Serenissima che concedeva una parte dei beni sequestrati alla Santa Sede. L'inquisitore percepiva un stipendio altissimo di 12 ducati mensili oltre le spese rimborsate per il mantenimento delle prigioni e dei prigionieri, di modo che l'Inquisitore fu posto in grado di adempire alla sua carica; mentre così si riduceva al minimo la possibilità che il posto di Inquisitore servisse ad estorsioni, come in altri Stati; lo Stato quindi si mantenne il pieno diritto di controllo.
Con tale severo controllo l'Inquisizione a Venezia non poté prosperare, e in poco tempo decadde.

Nei secoli XIV e XV in Italia come in Francia l'Inquisizione (medioevale) era già in decadenza. È vero che in Italia l'Inquisizione non poteva affermarsi contro la potenza di singoli Sovrani come in Francia, ma l'avventura di Avignone e il progressivo indebolimento del Papato, nonché lo sviluppo continuo delle città sul terreno colturale e finanziario, condusse allo stesso risultato.
Il grande scisma seguito dai concistori di Costanza e Basilea ha fatto emancipare gli spiriti degli uomini conducendo la conclusione della loro indipendenza. Nel secolo XIV poi, in luogo dell'attività inquisizionale subentrò il nuovo eretismo dei fraticelli.

Il movimento dei fraticelli era, si può dire, l'unica eccezione da quella progressiva decadenza delle attività spirituali che seguiva l'indebolimento dell'Inquisizione. Man mano che il numero degli eretici diminuiva, anche l'utilità dell'Inquisizione diveniva illusoria, così che l'Inquisizione cessò completamente.

Per ciò che riguarda i cathariani, l'Inquisizione fece molto bene il suo lavoro. Con la sua pressione incessante e senza misericordia, gradualmente riuscì a sterminare questa setta la quale nel XIII Secolo minacciava di poter contestare a Roma il possesso dell'Italia. La setta Waldense per contro, malgrado la stessa inesorabilità di persecuzione non cessò di esistere.
Nel voler esaminare la causa della totale cessazione del catharismo, la quale in un tempo possedeva il potere di fare subire l'orribile morte sul rogo a migliaia e migliaia di persone che sacrificavano per esso volentieri la vita, dobbiamo ricercarne la causa nello sconfinato pessimismo di questa stessa fede, che non faceva nulla per rafforzare ed aiutare l'uomo nella lotta per la vita. Il Manes privò il mazdeismo della sua forza vitale quando proclamò che sopra l'Universo regna il principio del Male, e quando fece sua la filosofia di Sankhya la quale insegna che l'esistenza dell'uomo é un male mentre la morte é l'emancipazione di tutti quelli che credono nell'immortalità dell'anima, asserendo che per quelli che sono incapaci all'ascetismo la morte significa soltanto il rinnovamento dell'odiata esistenza.

Col progressivo avanzamento della civilizzazione e al nascere di nuove idee il principio menicheo perse tutta la sua forza di attrazione. Il mondo realizzò delle nuove possibilità, superò la sterile filosofia del pessimismo e inconscio preparò quell'avvenire onde l'uomo non vedeva più nella Natura il suo nemico, ma bensì il suo Maestro. Il catharismo non aveva possibilità di sviluppo ed in ciò era la sua condanna.
Fondamentalmente diversa era invece la fede dei Waldensi; seria e semplice, questa riempiva i suoi seguaci di speranza, fiducia e indulgenza; ispirava in loro la sicurezza nelle cure che il Padre Celeste ha per gli uomini, sue creature. Il contadino, l'artigiano, sentivano benedetti il loro lavoro, consapevoli di compiere un dovere. Questa fede rafforzò tutte le virtù costituenti la base di ogni società cristiana, l'operosità, la bontà, l'abnegazione, la puritanità, la parsimonia; i seguaci erano convinti che il loro destino in questo e nell'altro mondo dipendesse da loro stessi e non da persone intromesseo da appoggi degli altri.
Questa fede assimilava l'uomo all'ambiente naturale, laddove la natura lo collocò. Questa fede dunque aveva una sua vitalità. Se attaccata od estirpata in un posto, rifioriva in un altro, perché corrispondeva alle esigenze ed ai bisogni delle masse. In Italia, i cathariani esistettero ancora per molto tempo dopo che dalla Francia furono banditi. Solo quando anche in Lombardia e nell'Italia Centrale la loro posizione diventò insostenibile decisero di trasferirsi in altri luoghi meno accessibili. Nel 1340 li troviamo in Corsica, dove però furono seguiti dai missionari francescani i quali riuscivano a convertire molti di loro. Nel 1369 altri francescani arrivarono in Corsica con a capo Fra Mondino da Bologna muniti di appoggi di Gregorio XI. Nel 1372 e 1373 Gregorio autorizzò i vescovi di Ajaccio e Marrana, nonché Fra Gabriele da Montalsino di emanare anche sentenze di morte. Nel 1397 poi fu inviato in Corsica Fra Francesco quale nunzio pontificio e inquisitore.

Sul continente, solo in Piemonte i cathariani riuscirono a mantenere ancora in vita la loro setta. Nel 1388 Fra Antonio Secco riusciva di catturare un membro attivissimo della setta, nella persona di Giacomo Bechet di Torino. Nel verbale della sua deposizione davanti all'inquisitore e al Vescovo di Torino troviamo una descrizione dettagliata della situazione della setta di quel tempo. Sottoposto a tortura il Bechet rivelò molti nome membri della setta, fra i quali numerose famiglie nobili del Piemonte come i Patrizi, i Bertoni, i Detriti, i Narro, Balbix e Cavour.
L'attività di Fra Antonio di Savigliano conduceva più tardi alla scoperta di un'altra setta cathariana nelle vallate ad Occidente di Torino. Nel 1387 Fra Antonio faceva catturare a Pinerolo un individuo accusato di eresia, un certo Antonio Galosna.

L'Inquisizione in queste parti era quasi indipendente dalle autorità laiche, non volendo Amedeo VII, conte di Savoia, appoggiarla.
Il Galosna cominciò a negare l'accusa di eretismo ma sotto la tortura prometteva di confessare tutto qualora fosse liberato. Il giorno seguente cominciò la sua confessione. Il giudice di Pinerolo, Antonio da Valenza e Giovanni Brayda, cameriere di Amedeo, lo volevano indurre a ritirare l'intera sua confessione promettendogli la libertà qualora seguisse i loro suggerimenti. Anche il comandante della fortezza di Pinerolo gli prometteva la libertà contro il pagamento di cinque scudi per lui e settanta scudi per le spese. Galosna sacrificò tutta la sua sostanza per trovare questi soldi, ma ciononostante la sua liberazione non avvenne.
Il 29 Dicembre fu condotto davanti al Conte di Savoia, ma fu avvisato da Brayda che qualora confermasse la sua confessione sarebbe stato impiccato. Galosna spaventato ritirò la confessione senza però poter riacquistare la sua libertà: anzi, riconfermò definitivamente la confessione estorta da lui con le torture. Si può arguire che questa confessione doveva costituire un serio argomento fra Stato e Chiesa: pare che la Chiesa vincesse, perché il Galosna lo troviamo nelle mani del vescovo di Torino e davanti l'inquisitore anche un anno dopo, sottoposto sempre a vari interrogatori.

Il Galosna doveva essere ritenuto una personalità importante, perché il suo interrogatorio durò dal 29 maggio al 10 Luglio. Confessò di essere stato membro della setta durante 25 anni, trascorrendo 15 anni in peregrinazione quale missionario. Conosceva tutte le congregazioni, che erano numerose, la maggior parte nelle province di Torino e nelle vallate delle Alpi, fra Pinerolo e Susa. Rammenta la setta di Vaudois ma questa nulla ha a che fare con i Waldensi. Dei cathariani dice che la maggior parte di questi erano dei poveri contadini, servi, osti, artigiani e anche i capi delle loro sinagoghe erano delle stesse classi umili, benché rare volte si trovassero fra questi anche dei preti, canonici, notai ed altre persone colte.
Quali erano le loro dogme non poteva precisamente definirle. Dato il rude trattamento al quale il Galosna fu sottoposto, egli finalmente fu propenso a soddisfare la curiosità dei suoi giudici e perciò alcune sue asserzioni sembrano talmente incredibili da menomare perfino l'attendibilità dell'intera confessione. Riferiva per esempio che tutti quelli che richiedevano di fare parte della setta, dovevano ingoiare un certo liquido puzzolente, liquido derivato dalle secrezioni di rane. Si diceva che coloro i quali bevevano di questo liquido non avevano più la forza di lasciare questa setta. Il pastore principale della setta, Martino de Prete, possedeva un gatto nero, grande come un vitello che diceva essere il suo migliore amico sulla terra.

Con forti dubbi dobbiamo accogliere la parte della confessione che asserisce come dopo le cerimonie religiose le candele si spegnevano e le cerimonie erano seguite da aberrazioni sessuali.
Forti contraddizioni troviamo nella confessione riguardanti le dottrine religiose, il che dimostra la vivace fantasia di Galosna, piuttosto che la sua buona memoria. Si dice che gli fu promessa completa assoluzione e beatificazione dell'anima qualora avesse sempre seguito la setta eppure asserisse che le dogme della setta negavano l'immortalità dell'anima, insegnando che l'anima muore insieme col corpo; più in là, confessò che secondo gli insegnamenti della setta non esiste un purgatorio, ma soltanto un paradiso e un inferno.

I cathariani professavano che la creazione del cielo fu opera d'Iddio, ma con ciò adoravano il grande Dragone, creatore del Mondo, il quale combatté Dio e gli Angeli e diventò in terra più potente d'Iddio. Cristo, secondo la setta, non era figlio di Dio, e non meritava perciò nessuna speciale considerazione dagli uomini. Tutte queste contraddizioni rendevano la confessione poco chiara, ma tuttavia si poteva intuire in essa qualche cosa come un mezzo catharismo e vi si alludeva anche al consolamento ed alla trasformazione del pane.
Come Giacopo Bech, anche Galosna rinunciò ai suoi diritti umani e perciò ambedue furono consegnati alla giustizia laica e furono senza misericordia bruciati vivi.

Dopo questi fatti il catharismo volse rapidamente verso la sua fine. Questa setta viene rammentata in un documento del 1403, a occidente dell'Adriatico, dove il grande missionario spagnolo San Vincenzo Ferrer, trovò ancora alcuni cathariani fra i waldensi, i quali furono da lui presto convertiti.
Il waldensianismo italiano continuò ancora per molto tempo a fiorire nei nidi montanari piemontesi, dove la continua lotta con la natura inclemente aiutava la gente a corazzarsi di severe virtù e di costanza.

Col crescere della potenza dell'Inquisizione anche in Piemonte, intere colonie emigravano nel Mezzogiorno dove un miglior clima e una minore aggressività dell'Inquisizione, facevano radicare questa gente, in modo che le province meridionali divenivano i quartieri generali della loro setta. Sappiamo che nel 1387 il loro capo spirituale risiedeva nelle Puglie.
Anche le comunità rimaste in Piemonte erano capeggiate da pugliesi. Dopo un secolo questi settentrionali guardavano all'Italia meridionale come il centro della loro chiesa.
La persecuzione contro questi centri della setta si iniziò nel 1292. Sappiamo che nel 1332 molti eretici furono bruciati sul rogo, ma con poca efficacia per i rimasti, perché la pastorale di Giovanni XXII rammenta che la Chiesa dei waldensi nelle diocesi di Torino era in fiorenti condizioni. Quando Fra Giovanni Alberto, inquisitore di Torino iniziò i passi per reprimerli, i waldensi si sollevarono in massa, iniziando una resistenza armata. Catturarono ed uccisero un prete di nome Guglielmo e riuscirono a catturare lo stesso inquisitore Alberto, il quale si rifugiò in un palazzo abbandonato per nascondersi.

L'inquisitore poteva dirsi fortunato quando fu lasciato libero sotto la condizione di lasciare immediatamente il Piemonte e di non tornarvi più. Venti anni dopo uno dei capi waldensiani, Pier Marino, denominato anche Giuliano e Martino Pastrae, in una sua peregrinazione missionaria, cadeva prigioniero a sua volta di Joan de Bades, inquisitore di Provencia. Il Papa dette ordine affinché il prigioniero fosse consegnato a Fra Alberto, il quale fu autorizzato di torturarlo, per procurarsi preziose informazioni per la setta. Fra Alberto riuscì di avere delle informazioni che facilitarono la cattura di molti waldensi, ma non poté fare nulla di veramente importante, avendo paura di recarsi nelle città del Piemonte, perché ricordava bene la sua precedente avventura.

La persecuzione continuò, e troviamo un'ordinanza di Giacomo, principe di Piemonte, in data 1354, con la quale il Principe dispone affinché i conti di Lucerna facciano catturare alcuni waldensi nelle valli dei dintorni. Questa ordinanza fu sollecitata da Pietro di Ruffia, inquisitore del Piemonte il quale però pagò caro il suo zelo, perché poco dopo fu ucciso in Susa.
Altri tentativi per lo sterminio della setta in Piemonte furono fatti nel 1363 e 1364 da Papa Urbano V. Il territorio abitato dalla setta fu attaccato da due parti; da occidente l'attacco fu fatto da Frére Jien Richard di Marsiglia, e da oriente, da parte dell'inquisitore e dal vescovo di Torino. Amedeo di Savoia da parte sua appoggiò gli attaccanti e la lotta finì con la cattura di molti waldensi.

Nella persecuzione degli eretici, Papa Gregorio XI dimostrò molto zelo. Infatti questo Papa riuscì a vincere i wandensi in Provenza ed in Dauphiné, ma i piemontesi si mostrarono molto più resistenti. Fra Antonio Pavo si recò una volta a Bricarax « luogo infetto da eretici » per predicare contro di loro: gli eretici anziché ascoltarlo lo attaccarono e l'uccisero.
Un altro inquisitore, Piero di Ruffia, faceva la stessa fine in un monastero di domenicani.

Dopo questi fatti ci volevano punizioni esemplari e Gregorio sollecitò continuamente Amedeo VI di epurare il paese dagli eretici. La notte di Natale l'inquisitore François Borel di Provenca con truppe armate attaccò il paese di Pragelato nella valle di Susa, uccidendone tutti gli abitanti. Solo una piccola parte di essi potevano fuggire, ma la fame ed il freddo fecero strage fra loro in modo che rimanevano morti nelle montagne; fra loro si trovarono una cinquantina di donne e bambini appena nati.

Gli inquisitori che seguirono, come Piero di Castelmonte, Ruffino di Terdona, Tomaso da Casacho e Michele Grassi non si affaticarono troppo per la lotta contro i wandelsi. Solo François Borel continuò le sue crudeli irruzioni armate nelle valli, le quali furono completamente epurate e gli eretici abitanti si rifugiarono in Piemonte. Tuttavia Amedeo VII che seguì suo padre sul trono nel 1383 dava poco appoggio agli inquisitori per il loro lavoro di repressione.

Nel tempo del grande scisma la persecuzione rallentò, ma nel 1416 uscivano nuovi decreti contro i waldensi. I particolari e i dettagli di queste persecuzioni non li conosciamo, ma ècerto che in questo periodo la repressione fu molto attiva.
Le autorità di Lucerna si lagnavano presso il Duca di Savoia che gli abitanti delle vallate erano di nuovo in fermento, e si raccomandavano di riprendere le persecuzioni. Questa richiesta non sappiamo precisamente quando fu fatta, perché il documento non porta nessuna data ma doveva essere il 1417, perché solo in quell'epoca Sigismondo creò il Ducato di Savoia.

Fra il 1440 e il 1450, Fra Bertrando di Piero, sostituto inquisitore faceva bruciare sul rogo a Coni ventidue eretici sequestrando le loro sostanze. Questo episodio é rammentato in un memoriale che gli abitanti di Bernez, villaggio in vicinanza di Coni, indirizzavano a Papa Calixtus III nel 1457. Fra Bertrando visitò anche questo paese - Bernez - senza però ripetere il gesto di Coni. Nel paese fu inviato un canonico per vedere di porre fine alle repressioni. Dopo di lui Felice V (Amadeo di Savoia) inviò un nuovo inquisitore il quale cercò di danneggiare tutti gli abitanti, coloro già sotto processo ma anche quelli lasciati liberi dalle accuse.

Su ricorso fatto al Papa il vescovo di Mondovì nominò due competenti di teologia per dare assistenza all'inquisizione. Da quel momento l'inquisitore giudicò sempre con l'intervento di questi due teologi. Così si trascinò per molto tempo il lavoro di repressione, e nel 1453 Papa Nicolò V, visto che gli abitanti delle vallate non intendevano tornare in seno alla Chiesa, scomunicò tutti in massa. Solo dopo questo atto papale gli abitanti dimostrarono attitudini più concilianti chiedendo la revoca della scomunica. Questa fu concessa, e dopo il perdono, tutti . gli abitanti poterono riprendere i loro diritti civili.

Nel 1475 si iniziò una nuova crociata contro i waldensi, promossa dalla Principessa Jolanda duchessa di Savoia, e una forte azione repressiva dell'inquisizione di Dauphiné. Nel 1476 tutte le autorità del paese furono sottordinate alle autorità inquisizionalí. Senonché Re Luigi XI di Francia, il quale nel proprio paese fece cessare ogni azione repressiva ed ogni persecuzione, ebbe pietà per i sudditi del paese di sua sorella, sottoposti a sì crudeli persecuzioni, e avvertì la principessa di mettere un freno al suo zelo eccessivo.
Dopo l'infortunio occorso a Carlo l'Audace, il destino di Jolanda dipendeva interamente da suo fratello. Papa Sisto IV divenne furibondo contro il Re di Francia per la sua intromissione ed inviò un commissario in Piemonte per accelerare il "lavoro sacro" di repressione, ingiungendo allo stesso tempo a mezzo lettera a Luigi XI di smettere la difesa degli eretici. Nello stesso tempo dava ordini al vescovo di Torino perché si recasse in Francia dove doveva intraprendere severe disposizioni contro gli eretici liberi di professare le loro convinzioni.

Nel 1483 moriva Luigi XI il difensore degli eretici, e dopo la sua morte si riprese subito la persecuzione. Gli eretici che si trovavano nelle città piemontesi furono crudelmente perseguitati, e solo quelli che si trovavano nelle vallate potevano ancora sentirsi in relativa sicurezza, soffrendo solo delle periodiche irruzioni di truppe armate di persecutori.
Nel 1487 l'arcidiacono di Cremona Alberto De Capitani nella sua qualità di Nunzio e Commissario papale, indisse una nuova crociata contro gli eretici raccogliendo in Francia ed in Piemonte un esercito di diciottomila uomini i quali furono divisi in quattro piccoli eserciti per poter tagliare la via da ogni parte agli eretici. In Val Luise questi eserciti fecero strage di eretici, ma in Val d'Angrogna, furono completamente annientati. Questa vittoria rafforzò alquanto la posizione dei waldensi i quali in seguito furono chiamati da Carlo I a conferenza in Pinerolo, dove si concluse una pace e i loro privilegi furono confermati.

Al principio del Secolo XVI si trovarono intorno al Po interi villaggi di waldensi. Tre di questi villaggi furono distrutti dall'inquisitore Riccardo Angelo, aiutato dalla Marchesa di Salice, Marguerite de Foix. Una parte degli abitanti dei villaggi riuscì a fuggire in Lucerna dove però molti di loro furono catturati e cinque furono anche condannati al rogo. L'esecuzione capitale fu però impedita da una grande tempesta di neve di cui approfittarono i condannati per fuggire e raggiungere i loro compagni di fede.
L'inquisitore non voleva tuttavia fare a meno dello spettacolo e perciò sostituì i fuggiaschi con tre altri prigionieri ai quali promise piena assoluzione se confessavano i loro errori in fatto di religione; essi lo fecero ma invano, perché furono ugualmente messi al rogo.

I paesi evacuati furono completamente privati dei loro beni e dati ai cattolici. I profughi però tornarono uno dopo l'altro, uccidendo tutti quelli che trovavano nelle loro case di modo che nessuno aveva più il coraggio di trattenersi in quei paesi. La marchesa, vedendo che in questo modo non sarebbe mai tornata la tranquillità nel 1512 permise agli esiliati di ritornare e vivere in pace, ma però li costrinse a versare una somma per tale permesso.
La pace non durò tuttavia molto tempo. La Costituzione Savoiarda del 1513 promise disposizioni per la repressione degli eretici dando istruzioni alle autorità locali di appoggiare l'Inquisizione. Si apriva dunque la possibilità di nuove persecuzioni, le quali non cessarono nemmeno quando i waldensi iniziarono trattative con i protestanti della Svizzera, che ebbero come risultato l'unione dei waldensi ai calvinisti.

Ora non resta altro che descrivere quali erano le attività della Inquisizione e le sue condizioni d'esistenza nelle varie province italiane nei secoli XIV e XV. Nella Savoia, come abbiamo visto, l'Inquisizione riuscì a stabilirsi per un lungo periodo, ma nelle altre province man mano retrocedeva, meno che in Lombardia, dove il terrore imperava da molto tempo. Abbiamo solo poche descrizioni circa le persecuzioni che furono iniziate nel 1318 contro i così detti « lallardi ». In seguito a queste persecuzioni molti uomini fuggirono in Boemia, mentre un gran numero di donne vennero condannate al rogo; i loro bambini vennero affidati a famiglie cattoliche per l'educazione cristiana.

Nel 1344 una parte del popolo era in fermento perché ritenevano innocenti una buona parte delle vittime dell'Inquisizione. Non cessando questo fermento, Luchino Visconti, Vicario del Papi, fece proposta a Papa Clemente VI per una severa investigazione; del risultato di questa, non abbiamo però nessun documento.

Nel 1346 a Milano fu ucciso un inquisitore Francescano, molto zelante nelle sue persecuzioni, segno questo che il popolo reagiva contro le ingiustizie dell'Inquisizione. L'eterna lotta che imperversava fra la Santa Sede e i Visconti, impediva in parte l'efficacia delle persecuzioni. Nell'Archivio dell'Arcivescovado di Milano fra tutti i documenti dal 1343 al 1495 non se ne trova nemmeno uno che abbia un accenno all'Inquisizione o alle persecuzioni.

Nel 1388 uscì un editto che dava istruzioni alle autorità civili per l'appoggio all'Inquisizione; ma nello stesso tempo stabiliva gravi sanzioni contro quegli inquisitori che abusavano, delle loro facoltà per fare delle estorsioni.

Le passioni politiche già in quei tempi impedivano di molto l'attività del Sacro Uffizio, come possiamo constatare anche dal caso di Fra Ubertino di Carleone il quale da semplice frate francescano diventò vescovo di Lipari, e che nel 1360 fu accusato dall'inquisitore di Piacenza di essere eretico.
Fra Ubertino per trarsi d'impaccio dava la colpa della sua persecuzione al ghibellismo, sollevando uno contro l'altro tutti i partiti politici della città e fuggendo poi appena scatenata la rivolta.

Con l'andare del tempo si continuò sempre a nominare nuovi inquisitori, ma si perdeva man mano la fiducia nell'efficacia della loro opera. Questo fatto si può constatare anche dalle disposizioni di Papa Martino V il quale nel 1417 prima di lasciare Costanza nominò il frate Giovanni Capistrano dell'Ordine Francescano, inquisitore straordinario di Mantova, col compito di severa persecuzione degli eretici; ciò è una prova che i Papi non avevano più fiducia nell'attività ordinaria dell'Inquisizione.
Si vede che l'Inquisizione non poteva più assolvere il suo compito, e si doveva perciò nominare degli inquisitori straordinari scegliendo per questo scopo degli uomini i quali disponevano di speciali capacità e di grande abnegazione come per esempio Capistrano e il suo amico Giacomo della Marca.
Quando però più tardi la giustizia inquisitoria fu sovrapposta alla giustizia ecclesiastica, anche la nomina straordinaria degli inquisitori se dimostrò in misura insufficiente.

Nell'anno 1457 si scoperse a Brescia e a Bergamo una nuova setta di eretici che attaccò Cristo e Maria Vergine rivoltandosi contro la Chiesa combattiva e questa infettava non solo e laici ma anche gli ecclesiastici. Papa Calisto II nominò un Nunzio nella persona di Magister Bernardo del Bosco col compito di fare catturare tutte gli eretici svolgendo una severa istruttoria contro tutte queste e muniva il Nunzio con poteri straordinari.
Esso aveva diritto di fare eseguire le proprie condanne senza il benestare dell'Inquisizione e delle autorità ecclesiastiche. Vi é che il Papa stesso non tenne conto di questi poteri straordinari del suo Nunzio e quando due anni più tarde l'eretico Zanino da Solcia fu condannato da Magister Bernardo, e la condanna fu comunicata al Papa, queste la modificò.

Così il rispetto dell'Inquisizione da parte del popolo diminuì continuamente. Nel 1459 fu messo perfino in dubbio la legalità delle bolle papali di Papa Innocenzo IV e Alessandro IV, le quali bolle autorizzavano gli inquisitori di condurre lotte contro gli eretici e di perquisirli, tanto nelle loro persone quanto nelle loro comunità.
Papa Calisto III fu costretto ad emanare una seconda volta ambedue le bolle per sostenere l'Inquisizione.

In questi tempi in Lombardia cresceva l'indifferenza di tutto il popolo contro l'Inquisizione. Nel 1440 a Milano uno scienziato e gran matematico di nome Amadeo de' Landi fu imputato di essere eretico. L'istruttoria era ancora in corso, quando con grave danno della reputazione dello scienziato, egli fu proclamato eretico nelle prediche di vari frati, come anche da quello di gran fama, Bernardino da Siena.
Alla fine dell'istruttoria, il Landi fu trovato innocente e fu assolto, senza però che egli avesse potuto ottenere soddisfazione per le calunnie dei frati. Si vede che l'assoluzione pronunciata dall'Inquisizione ebbe meno forza che la predica di Bernardino. Amadeo de Landi si rivolse al Papa per ottenere riparazioni e Papa Eugenio V dette incarico a Giuseppe de Brippo per esaminare la cosa e per pronunciare giudizio definitivo. Giuseppe diffidò i calunniatori di presentarsi da lui a un tal giorno, ciò che essi non fecero mai: Fra Bernardino fu quindi diffidato di ritirare pubblicamente le calunnie sotto pena di scomunica. Bernardino non si preoccupò troppo della scomunica, e quando nel 1444 si iniziarono i passi per consacrarlo Santo della Chiesa, Amadeo si opponeva destando un grande scandalo, e dichiarando che Bernardino, essendo morto scomunicato, non poteva diventare santo.

Molte frate invidiosi dell'ordine francescano e molti preti laici appoggiarono Amadeo nella sua tesi ed aiutarono ad ingrossare lo scandalo. L'ordine però al quale Bernardino apparteneva era molto potente in quei tempi e nel 1447 poté indurre Papa Nicolò V ad emettere una Bolla con la quale tutta la procedura istituita da Giuseppe a carico di Bernardino fu dichiarata nulla, i verbali furono distrutti e Amadeo ricevette ordine di smettere la sua campagna.
La bolla papale dichiarava che Bernardino aveva ragione e fu proibito ai frati e ai preti di continuare la diffamazione. Con tutto ciò i francescani avevano ancora abbastanza influenza per fare sospendere il processo di santificazione sino al 1450.
Un episodio abbastanza umoristico chiude questa lotta. Quando nel 1447 a Rieti moriva Tommaso di Firenze, di beata memoria, e il suo nome cominciò a figurare sempre più frequente nei miracoli, Capistrano si affrettò a recarsi a Rieti proibendo.... al morto di manifestare la sua forza miracolosa sino all'avvenuta santificazione di Bernardo; ed il morto.... di buon grado obbedì.

A Venezia, come abbiamo visto, l'Inquisizione non poté mai agire liberamente, dato che lo Stato teneva sempre il controllo nelle proprie mani. In quale spirito furono curate qui le relazioni col Santo Ufficio dimostra il caso occorso nel 1356, quando Fra Michele da Pisa, inquisitore di Treviso fece imprigionare alcuni ebrei letterati. Tale provvedimento rientrò perfettamente nelle sue facoltà, ma le autorità laiche si intromisero nella faccenda, e proibirono di prendere altre misure contro gli arrestati; gli incaricati dell'inquisitore furono arrestati, anzi, furono sottoposti a maltrattamenti, perché rei di avere approfittato dei beni degli arrestati.
Questo fatto destò la più grande indignazione nel Papa Innocenzo VI, ma la Repubblica non cedeva ed il Papa non potè fare nulla. Nei documenti rimasti su questo episodio, si parla di altri simili fatti , dimodochè é certo che non furono rari i casi quando l'attività dell'Inquisizione fu impedita dalle autorità civili.

Accadde perfino che la Serenissima in molti casi ignorò completamente l'esistenza dell'Inquisizione. Così quando nel 1365 un tale imprecò contro la Vergine Santa e doveva perciò esse giudicato dal Gran Consiglio, questi ordinò al vescovo di Castello di esaminare la cosa e pronunciare verdetto di esilio qualora l'imputato fosse stato colpevole; così si prescriveva perfino il grado di punizione, e fu riconosciuto quale unico caso di giudizio soltanto il prelato e non l'Inquisizione,
Nel 1373 la città di Venezia apprese la nomina ad inquisitore di Fra Lodovico da San Martino, mentre il veneziano Fra Niccolò Mucio fu nominato inquisitore a Treviso. Tra i due inquisitori si iniziarono lunghe discussioni per la divisione di competenza dei grande patriarcato di Aquilea che si estendeva dalla provincia di Spalato sino alla provincia di Milano.
Il patriarcato di Grado, che sino al 1451 non era ancora aggregato a Venezia, fu affidato a Fra Lodovico, insieme col vescovado di Fiesole. Quest'ultima località era nelle vicinanze immediate di Venezia, ma era completamente in rovina e la sua cattedrale senza tetto, serviva ad eccellente asilo agli eretici i quali là dentro si sentivano sicuri dalle persecuzioni.

Tale divisione di zona non aumentava certamente il prestigio dell'ínquisitore di Venezia la cui importanza fu ridotta praticamente al minimo. Sembra che esso fosse considerato come un funzionario semplice di Stato. Nel 1412 l'inquisitore ricevette ordine dal Gran Consiglio di impedire le prediche di un certo Michael, prete greco, il quale aveva un certo ascendente sul popolo, facendolo esiliare, in modo però che il Gran Consiglio non dovesse più intervenire.
Appena un mese dopo, l'ordine di esilio fu annullato dal Gran Consiglio, mantenendo soltanto la proibizione per le prediche. Nel 1433 i due circondari di Venezia e Treviso furono unificati, mantenendo però in ciascuno di essi l'Inquisizione separata. Gli inquisitori tuttavia non acquistavano nessuna importanza e prestigio. Lo vediamo nel caso di Fra Luca Cioni, il quale volle procedere contro Ruggieri da Bertona, imputato di eresia, ma per poter farlo dovette pregare Papa Eugenio IV di dare ordine affinché il vescovo di Castello lo appoggiasse.

Anche la nomina di Giovanni Capistrano ad inquisitore straordinario di Venezia, avvenuta nel 1437 e successivamente nel 1450 fu una prova di riconoscimento dell'inefficacia dell'ordinaria Inquisizione di Venezia. A Venezia continuarono ancora per molto tempo le nomine di inquisitori, ma la giustizia locale non teneva affatto conto dell'Inquisizione, ed agiva indipendentemente da essa. Nel 1521 nemmeno la personale interferenza del Papa poté indurre la Signoria a togliere dalle proprie mani il diritto della suprema decisione.

In Toscana la fede raggiunse una vittoria completa. Sappiamo da una predica di Fra Giordano da Rivaldo, pronunciata nel 1304, che gli eretici in Toscana furono completamente sterminati. Ciò viene confermato anche da Villani, il quale asserisce che a metà del Secolo XIV a Firenze non si trovasse nemmeno un solo eretico. Nel 1337 l'arcivescovo Bertrando dà ordine all'ufficio inquisizionale di non tenere degli impiegati in quantità ridotta. Al massimo potevano nominare quattro consiglieri, due scrivani, due guardie carcerarie e dodici fattorini. Perfino questo numero si é dimostrato eccessivo.

Anche sequestrando i pochi beni degli eretici impoveriti, questi beni erano insufficienti per mantenere l'ufficio. Perciò si doveva provvedere di fare aumentare in qualche modo le competenze degli inquisitori. L'Inquisizione in parte riuscì di farsi dare qualche aiuto dalla Camera papale ma più di questo si aiutò da sé, inventando false accuse di eresia contro ricchi cittadini ed estorcendo in tal modo delle somme forti da questi disgraziati presi di mira.
Se però tutto questo veniva scoperto, era difficile di mettere la cosa a tacere, e si doveva almeno esonerare l'inquisitore, qualora trovato colpevole. Al posto dell'esonerato molte volte fu difficile la nomina di un nuovo inquisitore, perciò non di rado esso veniva nominato d'ufficio. Così diventò inquisitore anche Fra Piero di Aquila.

Fra Piero di Aquila faceva parte dell'ordine dei Francescani. Prima della sua nomina fu cappellano di corte della Regina di Napoli. Era un valente scrittore e i suoi commenti alle sentenze di Pietro di Lombardia, avevano gran successo. Questi commenti furono diffusi in una bella edizione a Speier. Un uomo di tale talento fu ben ricevuto in Toscana, tanto che la repubblica ringraziò l'Ordine francescano per tale nomina. Al principio della sua attività fra Piero continuò il modo di lavoro dei suoi predecessori, sottraendo senza scrupolo dalla Camera Papale tutte le somme che poteva ed anche estorceva dei denari dai facoltosi cittadini con la scusa che fossero degli eretici.
Per tale sue malefatte la repubblica elevò contro di lui delle accuse, di modo che Fra Piero dovette fuggire dalla Toscana.

Il Cardinale Santa Sabina, quale Nunzio e Legato del Papa ebbe occasione di visitare molte corti italiane e di raccogliere somme importanti. Queste somme furono date al Cardinale, nella convinzione che fossero consegnate al Papa; i denari però una volta depositati nelle Banche fiorentine degli Acciaiuoli furono registrate al nome del Cardinale. I banchieri si impegnarono di restituire le somme a richiesta del Cardinale e, per le eventuali vertenze riconobbero competente la Camera Apostolica. Nel 1343 il Cardinale doveva riscuotere dodicimila fiorini ma gli Acciaioli non erano in grado di effettuare il rimborso, perché la crisi commerciale ed economica di quegli anni aveva completamente rovinato il commercio e l'industria della Città.
I banchieri toscani prestarono precedentemente delle enormi somme a Re Eduardo III d'Inghilterra e Roberto il Buono Re di Napoli, e chiesero inutilmente da questi il rimborso. La guerra lombarda vuotò completamente le casse di questi stati e tutta l'economia nazionale era in fallimento. Non soltanto gli Acciaiuoli ma anche i Bardi, i Peruzzi ed altri grandi banchieri chiusero le loro banche e i fiorentini si avvicinarono sempre più alla completa rovina.

Il 9 Ottobre 1343, Papa Clemente VII scrisse alla Repubblica, ripetendo le lamentele del Cardinale, ed ordinò che la Signoria obbligasse gli Acciaiuoli a rimborsare la somma. Dette anche ordine all'inquisitore di farsi aiutare dai preti laici e se necessario anche dalle autorità per salvare la somma, e quando fosse necessario, dava autorizzazione di poter scomunicare tutta la città. In questa fase della vertenza apparve nuovamente nella città Fra Piero, il quale dette ordine al Consiglio di non imprigionare tutti i debitori, altrimenti tutta la città avrebbe dovuto essere scomunicata.
Le Autorità risposero che per omaggio al Papa ed al Cardinale erano disposti a cedere all'inquisitore il potere sopra gli organi esecutivi dello Stato. Anche queste misure non potevano condurre a risultati, perché mancavano i denari ma gli Acciaiuoli invece di contanti consegnarono a Fra Piero i loro beni mobili. Fra Piero malgrado tutto ciò, ritenne responsabile per il loro debito tutta la città intera. L'inquisitore ordinò l'arresto di Silvestro Baroncelli, il quale faceva parte della Banca in dissesto, e quando egli uscì dal palazzo della Banca fu preso da tre inservienti i quali lo volevano trascinare nelle prigioni dell'inquisizione.
Le autorità però non approvarono questo arresto e i tre inservienti furono condannati all'esilio e alla perdita del braccio destro.

Tutte queste cose non bastarono però ad estorcere denari dai falliti banchieri e perciò Fra Piero dichiarò interdetta tutta la città. Questa interdizione tuttavia non fu osservata né' dai preti né dalla popolazione. Continuavano a tenere aperte lo stesso le chiese celebrando tutte le cerimonie religiose, fatto che destò la rabbia del cardinale e dei vescovi.
Entro le mura della città i fiorentini avrebbero resistito agli ordini della Chiesa, ma non era possibile tagliare via la città dalle sue relazioni esterne. Bisogna pensare che i cittadini di Firenze e le loro merci, giravano in tutti i centri industriali e commerciali della Penisola e perciò l'interdizione recò loro grave danno.
Per queste considerazioni il Consiglio, il 14 Giugno del 1346 mise a parte ogni orgoglio e inviò degli incaricati dal Papa Clemente, impegnandosi per mezzo di questi incaricati in nome della Repubblica di rimborsare interamente il credito del Cardinale entro otto mesi e portandone una parte - settemila fiorini - in contanti con loro, quale primo versamento. Il Papa accolse benevolmente la delegazione e nel 1347 ritirò l'interdizione, dichiarando però subito che sarebbe senz'altro ristabilita entro otto mesi, qualora per quella data il resto del debito non fosse interamente rimborsato.

La Repubblica non era impegnata sola in questa lotta contro Fra Piero. Il Papa aveva un suo Nunzio a Lucca, un certo Piero, il quale aveva il compito di scoprire e punire quegli inquisitori i quali truffavano la Camera Papale. Questo Nunzio aveva un suo incaricato a Firenze nella persona di Niccolò, arciprete di S. Maria.
Niccolò denunziò Fra Piero alla Signoria e questi a sua volta fece un'altra denunzia contro il nunzio Piero, per estorsioni di denari a mezzo di false accuse contro i cittadini, chiedendo il 16 Marzo 1346 la sua sostituzione e la nomina di Fra Michele di Lapo quale suo successore. Ma inutilmente Fra Piero dovette fuggire nuovamente e trascorso un certo termine si pronunziò contro di lui la scomunica. Questa scomunica fu pubblicata in tutte le chiese della Toscana ed in questo modo egli non poteva più esercitare nessuna funzione religiosa e fu, si può dire lasciato al potere di Satana.

Fra Piero accolse tutte queste condanne con indifferenza filosofica. Aveva tanti meriti di fronte alla Chiesa per l'aver salvato i settemila fiorini e per l'avere estorto tanti denari dai fiorentini durante i due anni del suo inquisitorato, che si sentiva proprio al sicuro.
Infatti mentre era perseguitato a Firenze, fu nominato vescovo di S. Angelo di Lombardia. Poi dopo la sua scomunica fu trasferito alla sede vescovile di Trivento che era molto più importante della sua prima sede. I fiorentini non potevano fare altro che pregare il Papa, che in avvenire gli inquisitori fossero nominati fra i cittadini di Firenze, sperando che un concittadino non potesse mai essere reo di tanti scandali ed estorsioni come uno straniero. Questa loro domanda fu accolta nel 1354 quando fu nominato a loro inquisitore Fra Bernardo di Toscana.

Anche questa misura non era però sufficiente e la Signoria ha intrapreso anche altri passi per la sua difesa, introducendo nella sua legislazione alcune nuove leggi, già introdotte prima a Perugia. Per impedire che gli inquisitori potessero vendere il diritto di porto d'armi per compensi in denaro, stabilirono per legge che gli inquisitori non potessero tenere più di sei uomini armati. Tolsero completamente la facoltà all'inquisitore di poter ordinare degli arresti senza la preventiva autorizzazione del Podestà, il quale solo poteva emanare tali ordini. Gli inquisitori furono anche obbligati di vuotare tutte le loro prigioni, trasferendo tutti gli arrestati nelle prigioni della città. Fu loro proibito di eseguire dei sequestri di denari e di beni, ed anche di condannare gli eretici al rogo.

Queste leggi erano veri atti di ribellione contro il Papa e certamente contribuirono ad inasprire ancora la vertenza originata da cause politiche nel 1375.

Le domande dei Papi per rivedere le leggi furono dalla Signoria respinte. Nel 1372 la popolazione faceva tutti gli sforzi per fare allontanare dalla città Fra Tolomeo da Siena, inquisitore che divenne oltremodo odioso al popolo, ma invece Papa Gregorio XI ne aveva la massima fiducia, tanto che lo collocò sotto la difesa di Filippo, vescovo di Sabina e vicario capo. Alla pari di Firenze, anche Pistoia introdusse leggi di difesa contro gli inquisitori, ma fu subito posta sotto interdizione, ed i suoi cittadini scomunicati.
Per le insistenze e le lagnanze di Ser Lippo, il quale si lamentò con il papa per le leggi introdotte, queste leggi furono cancellate per ordine del Papa stesso, ma la Signoria non dette peso a quest'ordine, tanto che il popolo rimase tanto indignato, che in poco tempo si formò una massa inferocita che assalì le prigioni dell'inquisizione, distruggendole, mentre. l'inquisitore stesso fu cacciato via dalla città.

Nel disordine che seguì, il popolo bruciò vivo un certo frate Niccolò. La Signoria negava la propria responsabilità per questi fatti spontanei del popolo, ma nonostante ciò, Papa Gregorio con una bolla del 31 Marzo 1376 inflisse alla città una terribile punizione.
Con questa bolla il Papa pose sotto interdizione e scomunica non solo lo Stato e la città di Firenze, ma tutti i cittadini i quali così venivano soggetti a perquisizioni, sequestri dei loro beni e incarcerazione. Tutti i beni dei fiorentini che si trovavano fuori ai confini furono egualmente confiscati e di questi, solo pochi furono i fortunati che poterono salvare la loro vita, fuggendo.

Gran parte di questi fiorentini all'estero furono catturati, e in Inghilterra furono trattati da schiavi dal pio Re Edoardo III. Uno stato che viveva di commercio non poteva continuare ad esistere in queste condizioni e Firenze - come sempre - fu costretta a cedere.
La pace fu firmata il 28 Luglio 1378 ed in essa la Repubblica di Firenze acconsentì a cancellare le leggi che impedivano la libera attività dell'Inquisizione, autorizzando l'incaricato del Papa di fare lui stesso la cancellazione. Solo più tardi, quando il grande scisma indebolì l'aggressività del papato, alcune di queste leggi poterono essere nuovamente ripristinate. Ciò fu nel Codice dell'anno 1415.

Nel secolo XV l'Inquisizione perse d'importanza anche nell'Italia centrale. L'effetto del grande scisma indebolì il prestigio del Papato, e questo si faceva sentire principalmente in Italia. Tutti gli sforzi degli incaricati papali furono concentrati per farsi ubbidire dal popolo. Non appena il grande scisma fu compiuto a Costanza, Martino V si rivoltò contro i fraticelli, i quali soprattutto nelle province Romane, divennero molto numerosi. Da una bolla del 1418 apprendiamo che non appena gli inquisitori volevano procedere contro qualcuno, questi si rivolgevano per la loro difesa a qualche grande potenza laica, la quale a sua volta fu tanto temibile, che gli inquisitori non osavano intraprendere nulla contro di essa.
Martino V non trovava di meglio che di nominare degli altri inquisitori, e ne conseguì che il loro prestigio venne a diminuire ancora più rapidamente. In una procedura iniziata nel 1421 a Firenze, contro tre fraticelli, Martino nominò quale investigatore il professore di teologia Fra Leonardo, benché ci fosse già un inquisitore sul posto. Così, benché si continuasse a nominare ancora altri inquisitori dappertutto, la loro autorità e prestigio continuava a declinare. Così successe ovunque.

Circa dieci anni dopo, l'inquisitore di Bologna, Fra Simone de Novada catturò un certo Guizardo da Sassuolo sospetto di essere un eretico. La procedura da seguire in simili casi era andata in questi ultimi tempi tanto in disuso, che l'inquisitore dovette chiedere al Papa Paolo II in che modo doveva comportarsi. Il Papa si congratulò con l'inquisitore per il suo zelo, disponendo che il procedimento fosse continuato secondo il diritto canonico, che l'inquisitore chiedesse pure appoggio dal Vicario vescovile di Bologna.

Gli eretici in quest'epoca erano già molto rari e l'Inquisizione non aveva altro da fare. A Roma dove si doveva condannare un eretico, non si trovava più un inquisitore al quale affidare il procedimento. Nulla risulta nel tempo dell'Inquisizione sui procedimenti contro Lutero. Nella bolla papale del 15 Giugno 1520 « Exsùrge Domini » che fu emanata contro le dottrine di Lutero, non si parla di inquisizione.
Nel 12 Giugno 1521, quando le dottrine di Lutero furono pubblicamente bruciate, questa cerimonia fu eseguita dal Vescovo di Ascoli e da Padre Silvestro, gran Maestro dei sacri palazzi, dopo una prefazione annunziata da Fra Cipriano, professore di teologia del Sacro Collegio. Fu questo forse « l'auto-da-fé » più notevole della storia, ma in questo l'inquisizione non ebbe nessuna parte.


IL DECLINO E LA FINE DELL'INQUISIZIONE

L'Inquisizione ebbe il suo maggior periodo ed arrivò all'apice della sua potenza sotto Filippo IV. Abbiamo visto che questo monarca religioso ha sempre ceduto a tutti gli abusi dell'Inquisizione, in modo che essa era divenuta un organo indipendente nello Stato, ubbidendo o no alla volontà del Sovrano, ma vivendo in aperta ribellione con il Governo dello Stato.
È vero che il Re, che si trovava sempre in ristrettezze finanziarie si impossessasse di una parte dei beni e somme sequestrate dagli inquisitori, ed é per questo che era fortemente interessato nei loro fatti; con tutto ciò non cedette mai dalle sue prerogative ne dal suo diritto di nominare degli inquisitori, e dei membri del supremo tribunale.

Dopo la loro nomina però questi giudici godettero piena indipendenza, e poterono esercitare il loro ufficio secondo le proprie intenzioni.
Sotto il regno infelice di Anna Maria d'Austria e Carlos II, l'autorità ed il prestigio della regalità sparì completamente, perché questi sovrani erano troppo deboli per impedire che uomini come Nithard e Valladares, potessero a loro piacere abusare dell'indipendenza dell'inquisizione. Solo Don Juan d'Austria si dimostrò capace di cacciare Nithard e di ristabilire l'autorità della casa reale.

 

I BORBONI

Con l'assunzione al trono dei Borboni, fu immesso un nuovo sistema nell'organizzazione politica della Spagna. L'assolutismo di Luigi XIV si riferiva non soltanto allo Stato ma anche alla Chiesa, e le teorie galliche riguardo alla potenza della Santa Sede ricevettero da lui un incoraggiamento, rafforzando nello stesso tempo anche l'autorità della Corona.
Era inevitabile però che i consiglieri del Re avessero delle vedute differenti circa le relazioni fra il Re e l'Inquisizione. Le dichiarazioni di Filippo sulle prerogative sovrane certamente non diminuivano lo zelo del Re per la fede, almeno sino al momento che l'Inquisizione rimase entro i limiti della propria competenza, consacrando tutte le sue forze allo sterminio degli eretici.
Eppure Filippo stesso dette vita a sua insaputa a quel movimento il quale conduceva poi all'annullamento di questa istituzione che sino allora si basava su fondamenta sicure.

Filippo portò con sé dalla Francia la convinzione che il Re dovesse essere il Patrono dei letterati e degli scienziati, ed era ambizioso di regnare sopra un popolo civile e saturo di cultura. Riuscì a smuovere tutta la classe intellettuale della Spagna, col fondare delle accademie per l'insegnamento della filologia, della storia e delle scienze mediche, fondando anche una grande biblioteca nazionale e un seminario per la nobiltà.

Malgrado la severità della censura era inevitabile che il risveglio delle classi colte non si volgesse avidamente verso il frutto proibito della filosofia moderna ch'era tanto di più attrattiva, perché non si poteva goderlo che di nascosto. Però l'Inquisizione destò ancora molta paura e molti casi provano che non si poteva far proprie le opinioni moderne se non in tutta segretezza.
Paradossalmente non appena le restrizioni che limitavano l'attività intellettuale della società furono cadute, diminuì pure l'interessamento per queste moderne espressioni del pensiero, di modo che le nuove istituzioni andarono decadendo, principalmente dopo le incursioni napoleoniche nella Spagna.

È molto probabile che con lo sviluppo di questo modernismo, anche i suoi antagonisti dovessero essere sempre più influenzati accogliendo man mano lo spirito nuovo, e con ciò si può spiegare in parte il rapido declino della Inquisizione.
Il grande Tribunale di Toledo in 44 anni, e cioè dal 1750 al 1794 non trattò più di 57 pratiche e cioè in media una sola pratica all'anno. Questa scarsezza nelle procedure giudiziarie non può essere attribuita alla mancanza di malfattori perché la bigamia, la negazione di Dio, la perversità, la stregoneria ed altre colpe, con le quali furono in passato imputati dall'Inquisizione la maggior parte degli arrestati, sussistevano sempre come prima.

La qualità del personale in dipendenza dell'Inquisizione diveniva man mano sempre più scadente e davanti alle popolazioni essa non aveva più nessun prestigio. Benché il valore del denaro diminuiva sempre, non si pensò di aumentare affatto i contributi dovuti all'Inquisizione. Non serviva nemmeno appellarsi al sentimento religioso e patriottico della popolazione e l'aumento del personale non veniva concesso.

In questi tempi l'Inquisizione volgeva rapidamente verso la fine. Re Carlos III, portò con sé da Napoli un alto concetto dei diritti Sovrani, ma nello stesso tempo dimostrò meno comprensione verso la Chiesa come era sinora in uso nella Spagna. Aveva dei consiglieri come Roda, Campomanes, Aranda e Floridablanca, i quali erano più che sospetti di essere partigiani della moderna filosofia. Esercitava un severo controllo sopra l'attività dell'Inquisizione, come risulta da un documento col quale il Re dà disposizioni al Sacro Uffizio di occuparsi soltanto della lotta contro gli eretici e di non immischiarsi negli affari della Corte Reale.

Nel 1788, dopo assunto al trono Carlos IV, si iniziò per la Spagna una nuova era infelice. Questo Re aveva un carattere timido, indeciso ed impotente ed era completamente sotto l'influenza della moglie, Maria Luisa, che era una donna molto energica ed autoritaria. Solo l'avvenimento della rivoluzione francese ha ridato nuovamente una certa importanza all'Inquisizione.

Quando le dottrine dei filosofi francesi cominciavano a spargersi nel mondo, queste, nella politica conducevano all'indebolimento degli istituti monarchici e le idee di fratellanza universale minacciavano addirittura la fine di tutte le monarchie; é chiaro che in mezzo a questi sconvolgimenti il Sacro Uffizio proclamava che la base di ogni ordine sociale è la religione e dunque l'opera dell'Inquisizione aveva per lo Stato una importanza capitale: pure lo Stato riconobbe la grande importanza dell'Inquisizione per la lotta contro le idee di fratellanza ed uguaglianza.
Col declinare della forza delle dottrine religiose e con il nascere di un nuovo ordine da sotto tutte queste rovine, anche l'Inquisizione doveva trasformarsi ed adattarsi ai nuovi tempi, ma tuttavia la censura fu resa ancor più severa. L'Inquisizione poteva ormai tranquillamente distogliere l'attenzione dal Giudaismo, dall'Islamismo e dal Protestantesimo perché la Chiesa non era più minacciata dal di fuori ma invece doveva temere la ribellione dei propri figli.

Purtroppo le prescrizioni della Chiesa furono trascurate e perciò era innumerevole la quantità della gente che fu per questa trascuratezza processata. Questa indifferenza per le prescrizioni religiose erano poca cosa in confronto degli atti vandalici commessi contro le immagini di Cristo, Maria Vergine e numerosi Santi. Perfino il Sacramento non fu rispettato. Centinaia di casi dimostravano l'assoluta scomparsa di quel rispetto verso la Chiesa, che durante tre secoli fu l'orgoglio del popolo spagnolo.
Gli inquisitori con ragione dovevano preoccuparsi per le loro posizioni dato che c'erano già dei progetti di riforme.

È chiaro che le minacce contro l'Inquisizione aumentavano giorno per giorno, ma le radici di tale istituzione erano talmente profonde che ci voleva una forza enorme perché questa istituzione potesse essere sradicata. Un tentativo pieno di buona volontà, ma alquanto stupido fu fatto contro l'Inquisizione da parte di Gregoire, vescovo di Blos, il quale era un fervente cattolico, ma imbevuto di idee liberali.
Questo tentativo anzi contribuì non poco a salvare la Chiesa attraverso le tempeste della rivoluzione francese. Il vescovo nel 1798 indirizzava una lettera all'inquisitore capo della Spagna, sollecitando lo scioglimento dell'Inquisizione, e introdurre la completa tolleranza religiosa, che secondo il vescovo sarebbe diventato un mezzo per liberare la Spagna dal dispotismo affinché essa potesse occupare il suo posto fra le altre nazioni, libera e pienamente padrona di sé. Questa lettera fu tradotta in lingua spagnola e diffusa in molte migliaia di copie. Se ciò fu possibile era solo perché in quest'epoca l'Inquisizione era già impotente.

Tuttavia l'orgoglio di questa istituzione non diminuì di nulla. Costituiva ancora e sempre una minaccia per tutti quelli che professavano teorie liberali e dai conservatori l'Inquisizione fu guardata come un baluardo difensore della nazione contro le correnti del libero pensiero.

 

LE CORTEZ

L'accordo di Fontainebleau del 27 Ottobre 1807 disarmò il Portogallo che era destinato a Ferdinando di Parma, quale regno indipendente. Fu inviato contro il Portogallo un esercito francese il quale, insieme con truppe spagnole mise il paese in stato di oppressione. Junot allora fece uscire un decreto, col quale annetteva il paese all'impero. Insieme all'occupazione del Portogallo gli eserciti francesi invasero la Spagna, occupando, sotto il comando di Dupont e Moncey, parecchie sue fortezze importanti.
Murat, quale comandante in capo fu inviato contro Madrid, occupandola. Il 19 Marzo 1808 Carlos abdicava in favore di suo figlio Fernando VII, che fu accettato con entusiasmo dalla nazione, ma che non fu invece riconosciuto né da De Beuharnais, ambasciatore di Francia, né da Murat.
Carlos protestava presso Napoleone; e la Regina nonché Fernando e suo fratello minore, si recarono a Bayonne dall'imperatore. Fernando fu costretto ad abdicare a favore di suo padre il quale poi cedeva la Corona a Napoleone. Carlos e Maria Luisa furono inviati a Compiégne mentre Fernando fu mandato a Valencia, dove rimase fino al 1814.

A Madrid frattanto Murat diede ordine di espulsione contro gli infanti Antonio e Francisco e contro altri membri della famiglia reale. Il popolo si ribellava contro queste disposizioni attaccando i veterani di Napoleone, ma la ribellione fu domata, con gran sacrificio di sangue da parte del popolo, e molti ribelli furono decapitati.
Con tutto ciò l'eroismo degli spagnoli non diminuiva e tutto il popolo insorgeva. Si iniziò la lotta per la libertà che durò sei anni ed il popolo dimostrò cosa poteva fare una grande nazione anche se i suoi regnanti disertavano indegnamente.

Napoleone continuava ad andare avanti per raggiungere gli scopi prefissi. Richiamò suo fratello Giuseppe da Napoli nominandolo Re e facendolo riconoscere dagli alleati.

L'Inquisizione in questa situazione si credeva al sicuro e perciò - paradossalmente - appoggiò la dominazione napoleonica.

Il sanguinoso soffocamento della rivoluzione madrilena del 2 Maggio però distrusse questa sicurezza, e già il 6 Maggio la « Suprema » faceva circolare un manifesto, dove caratterizzava la ribellione come assassinio vile di bassa popolazione contro la nazione amica francese. Così l'Inquisizione poteva continuare a rimanere a Madrid sotto la difesa dell'esercito francese. Non gli rimase però molta facoltà di agire.

Quando Napoleone, il 4 Dicembre 1808. faceva il suo ingress a Madrid, dichiarò che nella città non sarebbe stata tollerata altra religione che la cattolica. Però nello stesso giorno emanò un decreto con la quale scioglieva l'Inquisizione quale nemico della monarchia e delle autorità statali, e dichiarò sequestrati tutti i beni dell'Inquisizione a favore della Corona.

L'inquisitore Francisco Riesco dichiarò nel consiglio delle Cortez di Cadiz che questo decreto fu causato dall'opposizione della Suprema, la quale rifiutò di fare giuramento di fedeltà alla nuova dinastia. Questa dichiarazione non rispecchia però la verità, dato che la maggior parte dei membri della Suprema aveva già prestato giuramento a Payonne. Francisco Riesco dice pure che Napoleone ordinò l'arresto dei membri dell'Inquisizione i quali però riuscirono a fuggire e mettersi al sicuro. In tal modo l'Inquisizione rimase senza capi tanto che si doveva cessare la corrispondenza con Papa Pio VII.
Solo i Tribunali inquisitoriali continuarono a sussistere ma non potevano esercitare nessuna attività salvo quando ciò fu loro permesso dalle truppe d'occupazione.

Quando i francesi al primo Febbraio del 1810 giunsero a Siviglia, sciolsero subito l'Inquisizione, i cui membri fuggirono a Centa. In questo frattempo si riunirono le Cortez, le quali si dichiaravano assemblea sovrana e depositarie dell'espressione della volontà popolare in assenza del monarca assente. All'apertura delle Cortez si riunirono circa 100 deputati. Questi deputati provenivano dalle parti della Spagna non ancora soggette all'occupazione francese ed in parte erano della città di Cadisi. L'assemblea era composta da membri alquanto misti ma rispecchiava nella sua composizione l'opinione pubblica allora esistente.
Erano inevitabili serie differenze di opinioni, ma il lavoro di questa assemblea costituente era formato su basi idealistiche. Questo idealismo portava con sé il fallimento che causava molto sangue e miseria al paese. Tutti i membri delle Cortez dovevano giurare fedeltà verso Re Fernando e dovevano dichiarare di accettare quale religione unica la religione cattolica.

Dopo la lunga guerra, la reazione cominciava a farsi sentire, i francesi fecero molta distruzione in quasi tutte le province ed era molto difficile riparare tutto. Il valore del denaro diminuiva continuamente e questo era causa di molte sofferenze e molti guai.
Tutti i funzionari statali che rimasero al loro posto durante l'occupazione, furono esonerati dalle Cortez. Ai parroci furono restituite le loro sedi ed il popolo continuava a far pervenire alle Cortez le lamentele contro gli abusi dei liberali, dunque alle Cortez non mancava il lavoro.
L'esaurimento, la povertà, gli effetti della lunga guerra si facevano sentire in tutti gli strati del popolo ed é naturale che il popolo faceva responsabile i suoi capi per tutti i mali sofferti.

Durante tutto questo tempo Fernando trascorreva il suo tempo in tutta comodità a Valencia. Tutta la sua prigionia consisteva nella sola proibizione di non montare a cavallo. Si dice che Napoleone pensava perfino di fornire il sovrano spodestato di donne, dato che Fernando era uomo di forti esigenze sensuali. Fernando dimostrò il suo basso carattere persino con una lettera che inviò all'imperatore congratulandosi per i suoi successi sui campi di battaglia.

Dopo la battaglia di Lipsia Napoleone comunicava a Fernando che gli inglesi volevano fare della Spagna una repubblica giacobina. Fernando allora firmò, l' 11 Dicembre del 1813, il trattato di Valenza che stabiliva la pace fra la Francia e la Spagna. In forza di questo trattato tutti i profughi potevano tornare in Spagna dove gli furono restituiti i loro impieghi e possedimenti, mentre Fernando assicurava a suo padre e a sua madre un appannaggio di trentamila franchi annui.
Fernando inviava a Madrid il principe San Carlos con istruzioni di ottenere la ratifica dell'accordo. Frattanto egli era lasciato libero da Napoleone senza condizione e tornava in Spagna entrando da Valencia. Dappertutto fu accolto con febbrile entusiasmo e fu idealizzato dal popolo come simbolo della Nazione per la quale egli lottava durante sei lunghi anni ed ora non conosceva ostacoli per poter tornare, e poter così dimostrare la sua fedeltà ed attaccamento alla Nazione.


LA RESTAURAZIONE


Pochi regnanti hanno potuto esercitare un'influenza così grande sul destino della propria nazione, come Fernando. Il suo avo Enrico IV aveva un compito più difficile quando tentava di mettere d'accordo i suoi sudditi, i quali erano continuamente in lotta fra loro. Per contro Fernando aveva sotto il suo scettro una Nazione unita che lottava in grande accordo contro i nemici esteriori. Fernando non era uomo crudele nel senso di voler assolutamente spargere il sangue dei suoi sudditi, ma di fronte alle sofferenze umane rimaneva freddo ed indifferente.
Fernando arrivò in Spagna il 16 Aprile ed attese la fine dei preparativi per il rovesciamento del Governo liberale. Le Cortez nel frattempo si occupavano della preparazione del giuramento reale decorando magnificamente la sala del trono, ed ignare delle intenzioni di Fernando non pensavano minimamente a prepararsi per la difesa.

Fernando concentrò le sue truppe vicino a Madrid ponendole sotto il comando del Generale Eugia il quale aveva fama di reazionario. La notte del 10 Maggio, quando le truppe di Fernando erano giunte sotto la capitale, il Generale Eugia faceva sapere al Presidente delle Cortez che la città era completamente accerchiata. Infatti le truppe entravano a Madrid, occuparono la sala del trono, sigillarono gli archivi mentre la polizia si mise ad arrestare i 38 individui i quali furono elencati quali sospetti di essere antimonarchici.
La rapida occupazione della città non incontrò nessuna resistenza e questo evento importante, che tanta influenza avrà poi sul destino della Spagna, si compì con facilità incredibile.

Dopo l'occupazione della città, la polizia arrestò in tutto 52 individui i quali rimasero in prigione 19 mesi. Alla fine però non era possibile pronunciare contro di loro nessuna condanna, perché avevano dei protettori i quali godevano la fiducia della Corte.
Il primo atto di Fernando fu di pubblicare il 4 Maggio un manifesto, col quale annullava tutti gli atti delle Cortez, ripristinando nuovamente l'Inquisizione. La città di Siviglia non attese nemmeno il manifesto, che già aveva ripristinato il Santo Uffizio nelle sue funzioni. La bandiera dell'Inquisizione fu portata in trionfo e nel Duomo fu celebrato un Te Deum con grande concorso di popolo; seguiva in tutta la città una grande illuminazione.

Fernando col suo decreto del 21 Luglio 1814 dichiarava ritenere utile e necessario che il Santo Uffizio potesse nuovamente esercitare le sue funzioni in base alle leggi garantite dal Papa, ed ai privilegi reali che gli venivano concessi dai sovrani precedenti.
Introdusse però alcune riforme, istituendo una Giunta del Santo Uffizio. Questa Giunta fu composta di due membri eletti e di altri due nominati dal Re ed aveva il compito di controllare la censura e di denunciare tutte le irregolarità al Re. Come inquisitore capo della Spagna fu nominato Francisco Xavier de Mier y Campillo, vescovo di Almeria ed anche ai posti vacanti della Suprema furono nominati nuovi membri.
La Giunta cominciò a tenere delle sedute ed iniziò la sua attività. Fu esaminata la condotta di tutti i funzionari dello Stato, molti dei quali cedevano alle idee liberali prima del ritorno del Re. Inoltre bisognava risolvere anche le questioni finanziarie.

Sotto l'era liberale i Tribunali furono costretti ad investire i loro capitali in titoli di Stato emessi dalle Cortez, i quali titoli in seguito persero tutto il loro valore. Col riprendere dell'Inquisizione fu difficilissimo restituire questi valori ai proprietari. È bensì vero che il decreto reale autorizzava il Santo Uffizio a ricominciare le sue funzioni, ma non faceva nessuna menzione di restituire a loro le loro fortune precedentemente sequestrate. La Suprema fece di tutto per tornare in possesso dei suoi beni, ma inutilmente.

Dopo molte difficoltà i Tribunali uno per uno, ricominciarono le loro funzioni. Nell'Ottobre del 1814 il Tribunale di Siviglia giudicò il Generale Florenco de Castillo per negazione dell'esistenza di Dio. Il Tribunale di Saragozza iniziò un procedimento contro Mathias Pintado, parroco di Bujinuelo, il quale denunciò sé stesso. Davanti al Tribunale di Valencia svolgeva il processo contro Don Jose de Zayas, uno dei più noti generali dell'esercito, il quale fu imputato di essere un massone. Uscì un decreto il quale prometteva la grazia a tutti quelli che manifestavano sentimenti contro l'Inquisizione, senza però aver commesso nessun altro reato.

Con tutte queste misure di difesa, l'Inquisizione non riuscì più a riconquistare la sua posizione di potenza. Non solo l'Inquisizione non costituiva più oggetto di rispetto ma non aveva più nemmeno il coraggio di esigere tale rispetto. In un'istanza fatta dalla Suprema nel 1819 al Re, questa impotenza fu chiaramente riconosciuta. Molti casi accaduti in questi tempi dimostrano che nel giudicare i reati contro la religione, l'Inquisizione non aveva più quella severità che ebbe prima.
Bisogna considerare che funzionavano nel paese una cinquantina di Tribunali vescovili, i quali erano più competenti di giudicare questi reati che la stessa Inquisizione.

Tutto il tempo del Regno di Fernando trascorse nel modo come iniziò. In tutto il tempo imperò una Camarilla composta di membri di bassa origine, la quale non faceva che aumentare l'immoralità in tutti gli strati della popolazione, mentre ciascun componente della camarilla accumulava per sé più fortuna che poteva. Il governo del Re, oltre ad essere composto di uomini di nessun valore, era anche impotente di intervenire e così tutti gli affari dello Stato andavano in malora. Per il lavoro costruttivo non si potevano più trovare i mezzi e perciò tutto era trascurato. L'esercito non era più pagato e della marina non esistevano più che delle rovine, dato che essa era stata annientata completamente a Trafalgar.

L'amministrazione pubblica non poteva fare nulla per migliorare la situazione del paese e non era capace nemmeno di mantenere almeno quello che era rimasto ancora dalle rovine. Era naturale che da questo stato di cose, nascesse in tutto il paese uno stato di ribellione e delle grandiose accoglienze che attendevano il Re al suo ritorno, non ne rimaneva più nemmeno il ricordo.

 

LA RIVOLUZIONE DEL 1820


Durante il periodo descritto nel capitolo precedente si succedevano numerosi tentativi rivoluzionari. Nel 1814 un movimento di rivolta fu tentato dal Generale Mina, ma senza successo e fu seguito dalla fuga dello stesso generale. Nel 1815 un altro tentativo fatto da Porlier, finì male per il capo, il quale fu punito con la morte. Lo stesso destino toccò a Riccardo a Madrid. In Catalogna subì la stessa sorte il rivoluzionario Lacy. Nel 1818 a Valencia veniva fucilato Vidal, per un fallito tentativo rivoluzionario. Nella stessa città fu scoperto il 1° Gennaio 1819 un altro complotto e i tredici capi furono impiccati.
Con tutte queste sanguinose ritorsioni la situazione non migliorava affatto e permaneva continuamente la possibilità di movimenti rivoluzionarci. Una parte delle truppe erano tenute continuamente in permanenza a San Juan, a poca distanza dalla città di Cadiz. Il 1° Gennaio 1820 queste truppe furono arringate dal Generale Raffaello de Riego, comandante del reggimento Astudia, e le truppe fecero giuramento alla Costituzione. Riego attaccò Aros, catturando 4 generali e realizzando il collegamento fra le proprie truppe e fra quelle dei generali Espana, Corona e Antonio Aniroga. Cadiz fu attaccato dai rivoluzionari senza successo: ma il fatto diede una spinta potente al movimento rivoluzionario. Il 21 Febbraio a Caruna si iniziò il movimento rivoluzionario che presto si estese ad Aragossa, dove le truppe e le autorità si erano riunite ai rivoluzionari.

Quando a Barcellona giunsero le notizie di questi fatti, il popolo si sollevò subito, attaccando l'Inquisizione, senza però ucciderne i componenti. Tutto l'esercito si schierò dalla parte dei rivoluzionari, così che il movimento trionfava senza spargimento di sangue. Solo il basso popolo si diede ad atti sanguinari, istigati da Don Emanuel Freyre. Il 6 Marzo le Cortez furono convocate, ma oramai era già tardi. Il Re Fernando fu abbandonato da tutti, persino dal suo Corpo di Guardia, e dovette fuggire a Buen Ritiro, da dove annunciava di essere disposto a giurare sulla Costituzione. Il popolo però perse la pazienza e il giorno 9 accerchiò il palazzo in attitudine minacciosa. Le guardie del palazzo rimasero inermi, così il Re si trovò solo davanti al popolo, il quale lo costrinse a fare il giuramento davanti a loro.
Soltanto quando il popolo apprese che il giuramento del Re era già avvenuto, gli spiriti si tranquillizzarono ed il Re fu lasciato in pace. La città rimase illuminata per tre notti in segno di giubilo, mentre il Santo Uffizio fu completamente distrutto insieme al suo archivio, e i due prigionieri ivi trovati, furono subito liberati.

Furono nuovamente convocate le Cortez e furono votate delle leggi che dichiaravano sequestrate tutte le proprietà dell'Inquisizione. Un decreto disponeva che tutte queste proprietà dovevano essere vendute all'asta. L'Inquisizione giunse così alla sua fine e l'ultimo procedimento ebbe luogo al Tribunale di Toledo, dove il 28 Gennaio 1820 fu giudicato Manuel della Penna Palacios, parroco di Catoba.

Un regime che trattava così l'Inquisizione non poteva mantenere relazioni amichevoli con la Santa Sede. Il primo atto del nuovo Governo, fu di cacciare i Gesuiti dalla Spagna. Papa Pio VII protestava contro queste disposizioni ma il Nunzio del Papa fu espulso dalla Spagna. Si venne così ad una rottura completa col Papa, ma i clericali dichiaravano che la nuova costituzione non era altro che una setta di eretici, fomentando nello stesso tempo il partito dei contadini.
Si formò con questo un così detto "Esercito della Fede", e circa cinquemila contadini attaccarono la Fortezza di Scol de Urgel, dove stabilirono il loro quartier generale.

La Spagna piombò in completa anarchia. Il Governo era troppo debole per poter impedire questi disordini. Fra i vari partiti era escluso ogni accordo, e solo si poteva sperare in un aiuto dall'estero. Re Fernando si trovava a Cadiz dove ricevette comunicazione che era libero di domandare aiuto ai francesi. Il popolo però era contrario a ciò e voleva delle garanzie. Il Re allora indirizzò un editto alla Nazione, dichiarando di assumere nuovamente la Corona, amnistiando tutti gli spagnoli che facevano parte nei complotti contro la sua persona.
Nominò Capo del Governo Damien Saez, suo confessore, ed il nuovo governo emanò subito due decreti reali. Nel primo, annullava tutte le disposizioni anteriori al 7 Marzo 1820, mentre nel secondo mise sotto accusa la Giunta e la Reggenza. Questi decreti furono affissi in tutta la Spagna. Il Re in segreto condannò a morte alcuni liberali, i quali però poterono fuggire con l'aiuto del Comandante francese Bourmont. Tutto ciò era però un inizio dello scompiglio che, doveva in seguito avvenire.

 

I DIECI ANNI DELLA REAZIONE


Il decreto di Fernando col quale ristabilì le leggi in vigore prima del 7 Marzo 1820, naturalmente rimise in vita anche l'Inquisizione. Però gli inquisitori non vollero riprendere le loro funzioni, senza un ordine categorico del Re, ben sapendo che la Francia era contraria al ristabilimento del Santo Uffizio. Redassero numerose domande indirizzate a Angoulême, ma questa invece di dar loro una risposta decisiva promise di far liberare prima di tutto il Re, lasciando poi al Sovrano di decidere secondo le sue idee ed in modo corrispondente agli interessi del suo paese.

Dopo la sua liberazione, Re Fernando ricevette migliaia di lettere di ringraziamento per le sue disposizioni emanate. In molte lettere veniva pregato di fare in modo che l'Inquisizione potesse subito riprendere il suo posto e il suo lavoro. Benché il Re fosse molto propenso a ristabilire l'Inquisizione, pure non poteva dare nessuna disposizione, perché gli alleati erano fortemente contrari affinché questa istituzione, che era odiata da tutti, dovesse riprendere a funzionare.

Chateaubriand il 1 ° Dicembre scriveva così a Talaru, Ministro di Francia : « Non possiamo ammettere che la nostra vittoria sia macchiata dalle persecuzioni degli innocenti e che sull'altare della nostra gloria, si accendano le fiamme dell'Inquisizione! ».
L' 11 Dicembre, Chateaubriand si dichiarò contrario che il confessore del Re appartenesse all'Inquisizione.
Fernando frattanto realizzava che la questione della ristabilizzazione dell'Inquisizione, aveva una grande importanza politica, e siccome egli vedeva la religione sempre dal punto di vista politico, ritenne più prudente temporeggiare e lasciare la decisione in sospeso. Il 17 Ottobre invece tolse alla Spagna l'autonomia dell'amministrazione pubblica. I funzionari delle città non potevano più essere eletti ma bensì nominati, e venivano posti sotto lo stretto controllo del Re. Bisognava dimostrare al popolo che il potere reale esisteva veramente in Spagna, e che le leggi che sostenevano la monarchia non erano per nulla cambiate.
I diritti dell'Inquisizione provenivano dalle leggi emanate dal Papa e non dal Re, e perciò non era concepibile che il Re facesse uso di questa istituzione per i suoi scopi politici. Inoltre Fernando non poteva più attendere dall'Inquisizione nessuna utilità politica, perché questa non aveva più nulla da offrire.
Oltre tutto ciò, egli non poteva ignorare che l'opinione pubblica dell'Europa era contraria all'Inquisizione e che non poteva da solo portare l'odio di tutta l'Europa per il ristabilimento di questa.

La Giunta Apostolica guardava già verso Don Carlos come il possibile. successore di Fernando qualora questi morisse senza successori e Don Carlos stava completamente sotto l'influenza della Chiesa. Carlos non era di carattere forte, ma era un uomo di onore ed inoltre fu legato a Fernando da intima amicizia. Egli avrebbe pazientemente atteso che la cosa facesse il suo corso, ma sua moglie, Francesca da Portogallo e la sorella di questa, la principessa Beira, vedova dell'Infante Pedro, furono donne ambiziose. Per opera delle due donne la casa del Principe Carlo fu il centro di intrighi, senza che egli sapesse di queste macchinazioni. Fernando per mezzo delle sue spie era al corrente di tutto, ma non prese nessun provvedimento perché fidava nella fedeltà del fratello ed era convinto che Carlos avrebbe saputo mettere un termine a questi intrighi.

Il periodo di pace in Spagna era però solo temporaneo. In Luglio ricominciarono i moti rivoluzionari in Manres, dove si costituiva una Giunta rivoluzionaria e in breve tempo tutto il popolo fu chiamato ad abbracciare questa causa. In Catalogna i rivoluzionari ebbero l'appoggio dell'esercito e dominavano tutta la Regione. Si invocò l'annullamento della Costituzione ed il ristabilimento dell'Inquisizione, dicendo al popolo che i rivoluzionari saranno appoggiati dal Papa, perché il Re era in potere dei massoni.
Si sapeva però che tutta la rivoluzione era opera dei clericali e dei preti, i quali approfittando dell'ignoranza del popolo e del loro fanatismo, non volevano altro che fare nuovamente onnipotente l'Inquisizione.

EPILOGO


Forse nessuna nazione in Europa non ha avuto una storia così travagliata come la Spagna. Quando il Regno di Castiglia fu liberato dall'anarchia per opera di Giovanni II e Enrico IV solo l'energia di Ferdinando ed Isabella salvarono l'ordine e l'avvenire del paese realizzando l'unificazione della Spagna con l'Aragona. Ferdinando conquistò la Granada e la Navarra, procurando al paese nuove colonie anche nel Nuovo Mondo e con ciò assicurarono alla Spagna una posizione dominante fra le Nazioni.

Non possiamo quindi terminare la storia dell'Inquisizione senza porre questa questione: quale parte ha avuto l'Inquisizione nella formazione della mentalità e dello spiriti spagnolo e quale influenza ha esercitato l'opera del Santo Uffizio per lo sviluppo della storia della nazione? Naturalmente molta parte di queste influenze si esercitavano in vie indirette e perciò bisogna convenire subito di non esagerarne la loro portata.
Bisogna tenere presente che la monarchia spagnola si evolveva in puro assolutismo tanto che si diceva fra il popolo che perfino i divertimenti reali dovevano costituire legge per il paese. Tutte le funzioni esecutive e quelle giudiziarie si concentravano nel potere reale. Le leggi furono emesse dal Re, egli determinava la misura delle tasse, raccoglieva, manteneva e comandava l'esercito, dichiarava guerra e concludeva la pace secondo il proprio volere ed infine disponeva sulla vita di tutti i suoi sudditi.

Il ministro di Venezia in Spagna, Contarini, descrive nel 1605 il paese come una grande massa affamata sotto un Sovrano indolente attorniato da ministri avidi di guadagni, corrotti ed incapaci. Tale era la situazione quando con l'esilio dei mori per giunta, privarono il paese dal suo elemento più produttivo.
La situazione peggiorò ancora quando saliva sul trono Filippo IV, nel 1621. Questo Sovrano era un uomo di buona volontà, di carattere mite ed era inoltre un gaudente, come dimostrano il numero dei suoi figli illegittimi, che erano non meno di trentuno. Figlio legittimo non ne aveva che uno solo, Don Juan d'Austria. Filippo non si preoccupava molto per le sorti del suo Stato cedendo tacitamente le redini del governo a un suo favorito, il Principe Olivares e più tardi al nipote di questo, Don Luigi de Hares.

Secondo gli storici del tempo, all'epoca della salita sul trono di Filippo, la Spagna era al colmo della povertà ed il popolo era sull'orlo della rovina totale. Nel paese regnava un disordine fantastico ed il popolo era talmente privo di forze che non meritava che commiserazione. Eppure il primo atto del governo di Filippo fu di disdire tutti i trattati con l'Olanda che era poi la causa di tutte le guerre interminabili che si susseguirono durante il lungo regno di Filippo.
In seguito Filippo convocò le Cortez e pretendeva che esse trovassero i mezzi per l'equipaggiamento e mantenimento dell'esercito. Gli fu risposto di pensare prima di tutto ad impedire affinché il popolo venisse a diminuire per la fame e che trovasse lavoro per gli innumerevoli disoccupati che senza di questo vagabondavano nel paese trascinando dietro le loro famiglie affamate.

Filippo però, occupato come sempre con le sue avventure amorose, non pensava ad altro che di continuare le sue guerre, sperperando i denari in tutte le maniere possibili salvo di preoccuparsi di aiutare il popolo in piena miseria. Le feste della Corte reale sfidavano la povertà ed erano organizzate con un lusso favoloso, sinora mai conosciuto. Le feste di Carnevale del 1637 costavano in base ai conti ufficiali non meno di 300 mila pesos d'oro. Nel 1655 l'ambasciatore di Venezia riporta che il Re ha regalato al figlio di Don Luigi Haro la somma di 50 mila pesos, facendo organizzare nello stesso tempo una magnifica festa in onore delle sue dame di Corte. Ogni corrida costava al Re la somma di sessantamila pesos reali, e la festa data all'occasione della nascita del Principe Prospero - il quale morì poco dopo - costò al Re la bella somma di ottocentomila pesos. E tutte queste somme - scrive l'ambasciatore veneziano - furono estorte dal sangue di un popolo all'estremo delle sue forze, dal popolo più povero di Europa.

A tale situazione é da attribuirsi anche la caccia agli impieghi statali che poi gravava con peso insopportabile sul bilancio dello Stato. Nel 1674 le entrate dello Stato ascendevano a 75 milioni dipesos e tale somma fu sperperata senza nessuna utilità per il popolo. Da questo abisso era difficile emergere e salvare il paese ed infatti il processo di risanamento proseguiva lentamente sotto i Borboni.
Qualche merito in questo risanamento possiamo dare a Filippo V malgrado le guerre che conduceva durante quasi tutto il suoregno. Dopo che questo regnante riuscì a sbarazzarsi dalle influenze di avventurieri come Alberoni, Lipperda e Patino, la sua genialità nelle cose pratiche poteva liberamente esprimersi.
Sotto il regno di Fernando VII continuò il miglioramento, mentre sotto Carlos III tale miglioramento prese addirittura un ritmo accelerato. Molti mali avrebbero potuto essere evitati se le riforme prescritte dal Consiglio di Trento fossero state introdotte nella legislazione. Queste riforme però rimanevano per la Spagna le terre morte.
Nel 1723 Filippo persuase i vescovi spagnoli di indirizzare una supplica al Papa Innocenzo IV ed il risultato di questa supplica collettiva fu che il Papa dotò la Spagna di una nuova costituzione, facendo anche diminuire il numero dei componenti del clero ed il numero degli ordini religiosi e i loro monasteri. Con tutti questi alleggerimenti più della metà dei beni del paese furono impegnati a garanzia dei suoi debiti e perciò solo l'altra metà del paese era soggetta a sopportare tutti i tributi.
In ultima analisi tutto quello che il paese ha potuto dare fu spremuto dal lavoro prodotto dai poveri artigiani e dall'industria che il paese aveva; su quest'ultima incombeva il tributo di mantenere tutta l'amministrazione religiosa, che era poi una delle cause dell'impoverimento della popolazione.

Quando nel 1558 raggiunse uno sviluppo notevole fu accolto dal popolo con malcelata gioia, significando questo un alleggerimento tributario per tutto il popolo. Giovellando osserva amaramente che dall'antica gloria di Castiglia non rimaneva altro sotto il cattolicesimo che lo scheletro delle sue città, ed in luogo delle botteghe piene di ogni ben di Dio, non si vedeva altro che chiese e monasteri.
I preti stavano ben lontano dalla povertà degli Apostoli e non si poteva certamente attendere da un clero simile di andare avanti con buon esempio ed elevare il benessere del popolo. Nemmeno ai propri doveri giornalieri questo clero non adempiva, e della sua moralità era inutile parlare.

Del clero non aveva una migliore opinione nemmeno l'inquisitore capo Valdez, il quale descrive che quando nel 1546 occupò la sede arcivescovile di Siviglia il clero della sua diocesi si trovò completamente demoralizzato. Questi preti non nascondevano di vivere insieme pubblicamente con le donne, e la maggior parte di loro aveva dei figli e nipoti i quali accompagnavano i loro "padri" sino in chiesa aiutandoli nelle loro funzioni. Molti preti erano tenutari di case di piacere e di gioco e questi ambienti erano pieni di gente della più bassa qualità e condizione.
La Chiesa che aveva simili emissari non era certamente molto adatta di utilizzare per il bene comune quella enorme influenza di cui disponeva negli affari di Stato. Inoltre la teoria della Chiesa era sempre quella: « il potere della Chiesa é il sole, mentre il potere reale è la luna che riceve la sua luce dal riflesso del sole ». L'intolleranza religiosa ha nuociuto non poco alla Chiesa, come abbiamo potuto vedere dopo la cacciata degli ebrei dal paese. Anche la violenta conversione dei mori non serviva certamente a rafforzare la Chiesa, mentre Espinosa curava di sobillare Granada e la sua rivoluzione.

In conseguenza di tali condizioni malsane della Chiesa tutta quella tolleranza religiosa che caratterizzava sinora il primo periodo medioevale ha dato luogo a un fanatismo senza limiti che trovò la sua espressione nell'istituzione dell'inquisizione la quale a sua volta faceva di tutto perché tale fanatismo fosse ancora più esasperato.
Per ciò che riguardava la religione di Carlo V questa non può essere mesa in dubbio; tutti gli incaricati veneziani che frequentarono la sua corte testimoniavano che il Re adempiva con scrupolosità ai doveri religiosi ed unico modo di guadagnare i favori del Re era di mostrarsi religiosi. Poco prima della sua morte egli esprimeva il suo rammarico di non aver fatto decapitare Lutero a Worms stante la sua parola data in contrario, mentre sarebbe stato minor peccato di non mantenere la promessa e di liberare così la Chiesa da questo suo nemico, vendicando l'offesa fatta a nome di Dio.
Nel suo testamento redatto a Bruxelles, nell'anno 1554, ha raccomandato al suo successore Filippo II di appoggiare in tutti i modi l'inquisizione impedendo in tal modo i reati contro la religione. Sul suo letto di morte, il 9 Settembre 1558 ha nuovamente esortato suo figlio di essere energico contro gli eretici punendoli duramente.

Filippo II non aveva troppo bisogno di queste raccomandazioni essendo stato educato fin dalla sua prima infanzia in un'atmosfera ostile agli eretici. Gli fu insegnato che il primo dovere di un regnante era di mantenere l'unità della fede contro ogni volere degli uomini. Il perseguimento di questo scopo non era soltanto uno scopo religioso ma anche politico e da ciò dipendeva la tranquillità e la sicurezza di tutto il suo regno. Filippo durante tutto Il suo regno rimase fedele a tali idee meritando l'ammirazione e la riconoscenza della Chiesa ed é naturale che pure lui dava le stesse istruzioni al suo successore e non invano. Filippo IV durante il suo regno di quasi mezzo secolo fu fedele sostenitore dell'inquisizione subordinando a questa ogni altra ragione.

Carlos II fu invece un uomo insignificante e non merita nemmeno di essere ricordato. Con i Borboni poi la storia spagnola entra in una nuova e più luminosa fase dove il fanatismo religioso cessò di dominare la politica dello Stato.

Con la mentalità nostra del XX Secolo é difficile capire e comprendere quali potenti passioni ha scatenato la fede nei tempi medioevali e quale enorme influenza avevano le questioni religiose su un popolo facilmente irritabile, come lo spagnolo, che fu dominato più dallo spirito dell'immaginazione che dalla ragione.

Paolo Tiepolo nel 1563 descrive gli spagnoli come un popolo molto ossequioso per le forme esteriori della religione, ma mette in dubbio che siano anche religiosi nella loro anima. Il clero spagnolo vive come gli pare e piace, senza essere richiamato all'ordine da nessuno. Le commedie inscenate nelle chiese nei giorni di festa sono addirittura scandalose. La Chiesa sembra dovesse servire a tutto meno che alla religione. Lo stesso Tiepolo descrive le molte cerimonie profane celebrate nelle chiese con la maggior indifferenza del clero. Tali cerimonie consistevano nella processione dei mascherati e dei demoni ed altri simili. Nelle chiese si adoperava un linguaggio osceno e pochi erano perciò i fedeli che non peccavano durante queste cerimonie.
Nella stagione calda l'ombra della Chiesa serviva addirittura ad accogliere le coppie innamorate, non esclusi gli stessi preti e le suore. Per i posti disponibili nella chiesa per tali osceni appuntamenti svolgeva un vero commercio, peggio che sul mercato della città. Queste non erano abitudini passeggiare perché anche dopo un secolo troviamo le chiese nelle stesse condizioni.

Francesco Santos descrive la chiesa piena di gente, dove regnava una tale confusione che della predica non era possibile sentire nulla. Mendicanti invadevano tutto lo spazio disponibile, litigando fra loro per il possesso degli oboli. In un angolo si vedevano due uomini in contestazione ed in atto di sguainare la sciabole. Una parte dei fedeli disertava la chiesa durante le funzioni per seguire uno dei preti che era ritenuto di saper predicare meglio. In una cappella laterale un gruppo di donne prende la cioccolata chiacchierando di mode e società dove la religione era soltanto un pretesto per potersi riunire.

Papa Urbano VIII il 30 Gennaio 1642 riceveva delle lamentele da parte della diocesi di Siviglia dove fu riferito che era divenuto uso nelle chiese della città il fumare e perfino i preti fumavano mentre celebravano la messa! Era evidente che l'inquisizione mentre lottava per l'intangibilità dei dogmi non si curasse affatto di assicurare il rispetto per la religione.

Invece, sotto gli Absburgo l'inquisizione contribuì a dividere le varie classi della società e ad ispirare un minor rispetto per le leggi. Appunto a questo spirito di disgregazione é da attribuirsi lo spirito anarchico che si manifestò dal principio del Secolo XVII. Il guaio era che l'Inquisizione non tenne nessun conto della giustizia e dei suoi organi anzi agiva sempre malgrado di essi perseguendo i propri scopi anche con la violenza se occorreva. Quando i funzionari del Re e dello Stato potevano essere arrestati ed imprigionati dall'inquisizione, senza curarsi della legge, allora nessuna meraviglia se il rispetto della legge era andato a zero.

L'inquisizione era talmente temuta che perfino in seno alle famiglie non era consigliabile di manifestare opinioni contrarie, dato che l'obbligò di denunzia si riferiva anche al padre, al figlio e ai figli del figlio.
Prima di emettere un giudizio definitivo, principalmente su quello che fu la crudeltà dell'inquisizione, bisogna esaminare la mentalità d'allora, soprattutto su ciò che riguarda le condanne al rogo, ciò che impressiona maggiormente la nostra immaginazione.
Certo è che il numero di queste terribili condanne fu alquanto esagerato dall'opinione pubblica. Oggi non é più possibile avere un'idea esatta sul numero delle vittime, ma qualche deduzione possiamo farla dalle statistiche che si riferiscono ad alcuni tribunali.
L'unico scrittore contemporaneo che ci trasmette dei dati attendibili, è Hernando de Pulger, segretario particolare della Regina Isabella, il quale aveva tutte le possibilità di procurarsi dei dati esatti. Egli fu un grande nemico dell'inquisizione e perciò é certo che i dati da lui menzionati saranno un poco esagerati.
In un solo anno furono bruciate vive duemila persone, mentre il numero delle condanne a pene minori superava i quindicimila. Manca la data del documento in questione ma é probabile che si riferisca all'anno 1490. Altri scrittori accettano senza riserve questi numeri, mentre Bernaldez dice soltanto che il numero dei bruciati vivi fu impressionante.
Secondo lo storico Llorente, il numero dei bruciati sul rogo dal principio dell'inquisizione sino al 1808 fu di circa 31.912; i condannati « in effigie » 17.569, mentre il numero dei condannati ad altre gravi pene, ascenderebbe a 291.450.
Questi dati furono modificati (ma si discostano di molto poco) da Gallois, il quale fornisce le seguenti cifre: bruciati vivi 34.658, condannati « in effigie » 18.049; condannati a pene gravi 288.214.
Non disponiamo di sufficienti informazioni della storia. per poter stabilire con esattezza tale terribile verità. Del resto il numero maggiore o minore delle vittime non serve a cambiare per niente il giudizio che possiamo formarci su questa terribile istituzione. Quello che è orribile a pensare é che in qualsiasi tempo della Storia esistevano individui i quali seguivano le idee terribili dell'inquisizione con tutta la loro fede e la tranquillità della loro coscienza convinti di servire coloro i quali annunciavano la pace fra gli uomini, lottando e morendo per la fratellanza universale.

L'inquisizione con tutta la sua forza e con tutto il suo terribile apparato, combatteva quella che riteneva essere eresia. Il numero delle sue vittime non significa tanto la crudeltà quanto il numero di quelli che diventavano le vittime per avidità o per sconfinata ambizione. Non i suoi organi esecutivi debbono essere ritenuti colpevoli, ma l'insegnamento che immetteva in loro dei concetti simili di dovere e di crudeltà.

Questo fanatismo fu la base di questa lugubre istituzione, la quale coprì di segretezza la sua terribile opera e tolse alle sue vittime persino la possibilità di difendersi.

Nel nostro libro abbiamo seguito la storia dell'inquisizione dalla sua origine fino alla sua fine, abbiamo esaminato i suoi metodi, ed abbiamo voluto valutare la sua influenza e la sua parte in tutte quelle disgrazie, le quali hanno travagliato la nazione.

Giudicando scevro di ogni passione, si può stabilire senza tema di smentita, che l'opera dell'inquisizione fu quasi sempre alimentata da istinti malvagi, e sotto il riflesso della sua attività i suoi giudici hanno sofferto assieme alle vittime. Possiamo per la sua esistenza incolpare Isabella e Torquemada, oppure i principi Asburgo, i quali hanno creato e mantenuto questo strumento infelice dell'ingiustizia?
La Chiesa insegnò durante i secoli che l'unico mezzo per la salvezza dell'anima era l'accettazione incondizionata dei suoi dogmi e che la setta degli eretici non era altro che per insegnare a rinnegare Iddio. Dunque la sua estirpazione é un servizio gradito da Dio e dagli uomini. Questo insegnamento è diventato la fede di tutti, e quando le sétte protestanti cominciarono a professare una fede differente, ognuna di loro era sicura di conoscere la fede vera e le forze misteriose della creazione che dirige i destini degli uomini: ciascuna setta insisteva per dimostrarsi più crudele nel servizio del proprio Dio.

Gli inquisitori erano uomini che si possono definire come esseri soggetti alle volontà degli altri, tanto è vero che troviamo qualche volta degli esempi tendenti a fare del bene o rimediare alle ingiustizie; ma purtroppo tutte le azioni dell'inquisizione sono risultate contrarie a tutte queste intenzioni. I capi dell'inquisizione non disconoscevano il pericolo che questa crudeltà nascondeva per la formazione delle anime cristiane, ed appunto per diminuire questo effetto ordinarono di ripetere giorno per giorno la bella preghiera contenuta nella « carta acordada » del 1600, che doveva essere recitata ad ogni messa mattutina.

La storia dell'inquisizione ci insegna che ogni tentativo avente per scopo di dirigere la coscienza degli uomini, finiva per danneggiare sé stesso. Questi tentativi erano rovinosi per gli uomini soggetti alle sue influenze, ma rovinavano anche i suoi stessi promotori.

Il destino é inesorabile per tutti, ed abbiamo visto che in Spagna, benché dopo molto tempo, pure si arrivò alla resa dei conti!
Fu un errore di voler forzare l'unità della fede, perché più si insisteva per il raggiungimento di tale scopo, più si rafforzava l'azione per la libera evoluzione dello spirito, e chi ne avvantaggiava erano i liberi pensatori.

Finchè il Santo Uffizio riguardò la salvazione dell'anima come una cosa affatto sua, non é stato possibile nessun progresso.

Se dobbiamo sinceramente deplorare gli odii e le rivalità che seguivano la riforma, tuttavia dobbiamo riconoscere che lo scatenare di queste passioni ha avuto il salubre effetto di elevare il senso morale da ambedue le parti, distruggendo i fanatismi ed aprendo la via al progresso.
Le guerre religiose successe dopo l'avvento del luteranesimo erano terribili, ma erano sempre più utili per il popolo spagnolo che non l'inerzia che impossessò il popolo durante l'imperare dell'inquisizione.
Finché la natura dell'uomo rimarrà quella che è stata finora, finché l'uomo avrà bisogno di incitamenti, finché il progresso resterà il premio di oneste fatiche, dobbiamo ammettere che la lotta rimarrà sempre il mezzo e la condizione indispensabile per raggiungerlo, e che la rivalità delle buone azioni é la sfera più eletta di ogni attività umana.

FINE DEI 7 CAPITOLI

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I PAPI
dell'Inquisizione e le condanne emesse


Quelli qui di seguito elencati ovviamente sono una parte
delle vittime e degli orrori perpetrati dai vari Papi, ma rendono
bene l'idea di cosa facevano - alcuni - in nome di Cristo.

 

— Papa Clemente V

Fra Dolcino, per nulla intimorito dalle minacce dell'Inquisizione, si scaglia contro Clemente V accusandolo di immoralità. Ridotto a brandelli il suo corpo viene bruciato al rogo. 13 marzo 1307
Suor Margherita e Frate Longino insieme ad oltre mille seguaci dell'eretico Dolcino, bruciati al rogo. 1307.
Soppressione dei Templari con stragi di massa con "torture inimmaginabili" perché accusati di eresia. Molay, Gran Maestro, fu arso vivo a Parigi dopo anni di atroci torture.

 

— Papa Benedetto XII

Francesco da Pistoia, Lorenzo Gherardi, Bartolomeo Greco, Bartolomeo da Bucciano, Antonio Bevilacqua e altri dieci frati Francescani, arsi vivi per predicare la povertà di Cristo - Venezia 1337.
Stessa sorte a Parma per Donna Oliva anch'essa perché seguace di S. Francesco.

 

— Papa Clemente VI

Migliaia di vittime dell'inquisizione delle quali ci sono pervenuti soltanto i processi di:
Francesco Stabili, detto Cecco d'Ascoli, il quale fu arso vivo per aver detto, a proposito delle tentazione di Gesù, che non è possibile vedere tutta la terra da una montagna per quanto alta fosse stata come veniva affermato da vangelo.
Pietro d'Albano, medico, bruciato vivo perché accusato di stregoneria.
Domenico Savi condannato al rogo come eretico per aver eretto un ospedale senza la benedizione della Chiesa.

 

— Innocenzo VI

Tra le numerose vittime di Santa Madre Chiesa da ricordare i frati Pietro da Novara, Bernardo da Sicilia, Fra Tommaso vescovo d'Aquino e Francesco Marchesino vescovo di Trivento accusati di appartenere ai fraticelli di S.Francesco. Torturati e bruciati vivi.

 

— Gregorio XI

Intere città furono teatro di stragi perché avevano ospitato gli eretici. Nelle piazze di Firenze, Venezia, Roma e Ferrara fu un continuo accendersi di roghi.
Belramo Agosti, umile calzolaio, torturato e bruciato vivo per aver bestemmiato durante una partita a carte: 5 giugno 1382.
Menelao Santori perché conviveva con due donne: 10 ottobre 1387.
Lorenzo di Bologna costretto sotto tortura a confessare di aver rubato una pisside. Reso moribondo dalle torture, fu accompagnato al rogo a colpi frusta. 1 novembre 1388.
La descrizione dei moltissimi decapitati, impiccati e squartati dall'Inquisizione sotto Gregorio XI è riportata in un libri scritto da Mastro Titta.

 

— Gregorio XII

Dopo il periodo di tregua passato sotto Urbano VI, con Gregorio XII riprendono le stragi e i roghi in una maniera estremamente spietata. La città che fu particolarmente colpita fu Pisa. Un certo giovane di nome Andreani fu torturato e bruciato vivo insieme alla moglie e alla figlia perché aveva osato deridere i Padri Conciliari. I cardinali appartenenti al concilio assistettero in massa alle esecuzioni per il piacere di veder morire insieme alla sua famiglia colui che essi "avevano condannato per solo sentimento di vendetta". 1413.
Jean Hus e Gerolamo da Praga macellati e bruciati vivi per aver detto che la morale del vangelo proibisce ai religiosi di possedere beni materiali. 1414.

 

— Papa Eugenio IV

Giovanna d'Arco, bruciata viva accusata di stregoneria (1431).
Merenda e Matteo, due popolani, bruciati vivi dall'Inquisizione per rendere un favore alle famiglie dei Colonna e dei Savelli delle quali avevano parlato male.
Ripetute stragi in Boemia contro gli Hussidi (seguaci di Jean Hus), per le rimostranze fatte in seguito alla uccisione del loro maestro. Una delle stragi fu eseguita facendo entrare gli Ussidi in un fienile al quale dettero fuoco dopo aver chiuso le porte. Il fatto fu così commentato da uno scrittore cattolico: <<Appena entrati, si chiusero le porte e si appiccò il fuoco; e in tal modo quella feccia, quel rifiuto della razza umana, dopo aver commesso tanti delitti, pagò finalmente tra le fiamme la pena del suo disprezzo per la religione>>.

Ma il peggio verrà allorché la Chiesa dovrà difendersi dall'avvento del Rinascimento.

 

— Papa Sisto IV

In Spagna eccelse per la sua crudeltà il domenicano Tommaso Torquemada il quale, confiscando i beni degli accusati di eresia e di stregoneria, era arrivato ad accumulare tante ricchezze da essere temuto dallo stesso Papa che lo obbligò a versargli la metà del bottino. Quando costui arrivava in un paese come inquisitore, la popolazione fuggiva in massa lasciando tutto nelle sue mani.
Nell'impossibilità di elencare tutte le vittime di Torquemada mi limiterò a dire che in 18 anni della sua inquisizione ci furono:
800.000 ebrei allontanati dalla Spagna, con confisca dei beni, sotto pena di morte se fossero restati.
10.200 bruciati vivi.
6.860 cadaveri riesumati per essere bruciati al rogo in seguito a processi (terminati tutti con la confisca dei beni) celebrati "post mortem" (dopo la morte).
97.000 condannati alla prigione perpetua con confisca delle proprietà.
E intanto che Torquemada faceva il macellaio in Spagna, a Roma l'inquisizione accendeva roghi in tutte le sue piazze per bruciare gli eretici i cui patrimoni venivano automaticamente requisiti per conto del Papa dalla confraternita di San Giovanni Decollato.

 

— Papa Alessandro VI

Gerolamo Savanarola bruciato vivo in Piazza della Signoria a Firenze. 23 maggio 1498 insieme ai suoi due suoi discepoli Domenico da Pescia e Sivestro da Firenze.
Tre ebrei arsi vivi in campo dei Fiori a Roma. 13 gennaio 1498
Gentile Cimeli, accusata di stregoneria arsa viva a campo dei Fiori 14 luglio 1498
Marcello da Fiorentino arso vivo in piazza S. Pietro. 29 luglio 1498.

 

— Giulio II

4 donne giustiziate per stregoneria a Cavalese (Trento). 1505.
Diego Portoghese impiccato per eresia. 14 ottobre 1606.
30 persone bruciate vive a Logrono (Spagna) per stregoneria.
Fra Agostino Grimaldi giustiziato per eresia. 6 agosto. 1507
15 cittadini romani massacrati dalle guardie svizzere per eresia.1513.
Orazio e Giacomo di Riffredo, giustiziati per eresia. 30 aprile 1513.

 

— Leone X

30 donne accusate di stregoneria arse vive a Bormio. 1514.
Martino Jacopo giustiziato per eresia a Vercelli. 18 febbraio 1517.
80 donne bruciate vive in Valcamonica per stregoneria. 1518.
5 eretici arsi vivi a Brescia. 13 aprile 1519.
Baglione Paolo da Perugia decapitato per eresia alla Traspontina. 4 giugno 1520.
Fra Camillo Lomaccio, Fra Giulio Carino, Leonardo Cesalpini strangolati in carcere per eresia.
8 luglio 1520.

 

— Clemente VII

Anna Furabach, giustiziata per eresia. 9 maggio 1524.
Migliaia di protestanti Anabattisti decapitati, arsi vivi, annegati e torturati a morte. 1525.
Una donna accusata di stregoneria arsa viva in Campidoglio. 30 settembre 1525
Claudio Artoidi e Lerenza di Pietro giustiziati per eresia. 16 maggio 1526.
Rinaldo di Colonia giustiziato per eresia. 26 agosto 1528.
Lorenzo di Gabriele da Parma e Tiberio di Giannantonio torturati e giustiziati per eresia. 9 sett. 1528.
Berrnardino da Palestrina bruciato vivo per eresia. 20 novembre 1529.
Giovanni Milanese bruciato vivo per eresia. 23 novembre 1530.

 

— Paolo III (Con i dubbi sull'esistenza di Cristo).

Uccisi tutti gli abitanti della città di Mérindol (Francia) per aver abbracciato la fede dei protestanti Evangelici. I loro beni furono confiscati e la città rimase deserta e inabitabile.1540.
Tutti gli Anabattisti della città di Munster (Germania) furono massacrati. Giovanni di Leida, loro capo, fu ucciso dopo essere stato sottoposto "a orrendo supplizio". 4 aprile 1535.
Martino Govinin giustiziato nelle carceri di Grenoble. 26 aprile 1536.
Francesco di Giovanni di Capocena ucciso per eresia. 1538.
Ene di Ambrogio giustiziato per eresia. 1539.
Galateo di Girolamo giustiziato nelle carceri dell'Inquisizione per eresia. 17 gennaio 1541.
Giandomenico dell'Aquila. Eretico, bruciato vivo. 4 febbraio 1542.
Federico d'Abbruzzo ucciso per eresia. Il suo corpo fu portato al supplizio trascinato da un cavallo. Quello che rimase del suo corpo fu appeso alla forca. 12 luglio 1542.
2.740 Valdesi furono massacrati dai cattolici in Provenza (Francia). Aprile 1545.
Girolamo Francese impiccato perché luterano. 27 settembre 1546.
Baldassarre Altieri, dell'Ambasciat inglese, fatto sparire nelle carceri dell'Inquisizione. 1548
Federico Consalvo, eretico, giustiziato. 25 maggio 1549.
Annibale di Lattanzio giustiziato per eresia. 25 maggio 1549.

 

— Giulio III

Fanino Faenza impiccato e briciato per eresia. 18 febbraio 1550.
Domenico della Casa Bianca, luterano. Decapitato. 20 febbraio 1550.
Geronimo Geril Francese, Impiccato per eresia e poi squartato. 20 marzo 1550.
Giovanni Buzio e Giovanni Teodori, impiccati e bruciati per eresia. 4 settembre 1553.
Francesco Gamba, decapitato e briciato vivo per eresia. 21 luglio 1554.
Giovanni Moglio e Tisserando da Perugia, luterani. Impiccati e bruciati vivi. 5 settembre 1554.

 

— Paolo IV

Istituzione del Ghetto a Roma con restrizioni contro gli ebrei ancor più severe del ghetto di Venezia.
Cola Francesco di Salerno, giustiziato per eresia. 14 giugno 1555
Bartolomeo Hector, bruciato vivo per aver venduto due Bibbie. 20 giugno 1555.
Golla Elia e Paolo Rappi, protestanti, bruciati vivi a Torino. 22 giugno 1555.
Vernon Giovanni e Labori Antonio, evangelisti, bruciati vivi. 28 agosto 1555.
Stefano di Girolamo, giustiziato per eresia. 11 gennaio 1556.
Giulio Napolitano, bruciato vivo per eresia. 6 marzo 1556.
Ambrogio de Cavoli, impiccato e bruciato per eresia. 15 giugno 1556.
Don Pompeo dei Monti, bruciato vivo per eresia. 4 luglio 1556.
Pomponio Angerio, bruciato vivo per eresia. 19 agosto 1556.
Nicola Sartonio, luterano, bruciato vivo. 13 maggio 1557.
Jeronimo da Bergamo, Alessandra Fiorentina e Madonna Caterina, impiccati e bruciati per
omosessualità. 22 dicembre 1557.
Fra Gioffredo Varaglia, francescano, bruciato vivo per eresia. 25 marzo 1558.
Gisberto di Milanuccio, eretico, bruciato vivo. 15 giugno 1558.
Francesco Cartone, eretico, bruciato vivo. 3 agosto 1558.
14 protestanti bruciati vivi a Siviglia in Spagna. 1559.
15 protestanti bruciati vivi a Valadolid in Spagna. 1559.
Gabriello di Thomaien, bruciato vivo per omosessualità. 8 febbraio 1559.
Antonio di Colella arso vivo per eresia. 8 febbraio 1559.
Leonardo da Meola e Giovanni Antonio del Bò, impiccati e bruciati per eresia. 8 febbr.1559.
13 eretici più un tedesco di Augsburg accusato di omosessualità arsi vivi. 17 febbraio 1559.
Antonio Gesualdi, luterano, giustiziato per eresia. 16 marzo 1559.
Ferrante Bisantino, eretico, arso vivo.24 agosto 1559.
Scipione Retio, eretico, ucciso nelle carceri della Santa Inquisizione. 1559.

 

— Papa Pio IV

I monaci dell'Abazia di Perosa (Pinerolo) si divertirono a bruciare vivi a fuoco lento un prete evangelico insieme ai suoi fedeli. Dicembre 1559.
Carneficina di Valdesi in Calabria per opera di bande di delinquenti assoldate da Santa Madre Chiesa (uomini, donne, vecchi e bambini atrocemente torturati prime di essere uccisi su diretto ordine del Papa). Dicembre 1559.
"A Santo-Xisto, alla Guardia, a Montalto e a Sant'Agata si fecero cose inaudite: gente sgozzata, squartata, bruciata e orrendamente mutilata. Pezzi di resti umani furono appesi alle porte delle case come esempio alle genti. Quelli che fuggirono sulle montagne furono assediati fino a che morirono di fame. Molte donne e fanciulli furono ridotti in schiavitù". I559. (Da "La Santa Inquisizione di Maurizio Marchetti. Ed. La Fiaccola).
4000 valdesi massacrati su ordine di Santa Madre Chiesa. 1560.
Giulio Ghirlanda, Baudo Lupettino, Marcello Spinola, Nicola Bucello, Antonio Rietto, Francesco Sega, condannati a morte perché sorpresi a svolgere una funzione religiosa in una casa privata officiante la messa uno spretato. 1560.
Giacomo Bonello, bruciato vivo perché evangelista. 18 febbraio 1560.
Mermetto Savoiardo, eretico, arso vivo. 13 agosto 1560.
Dionigi di Cola, eretico, bruciato vivo. 13 agosto 1560.
Aloisio Pascale, evangelista, impiccato e bruciato. 8 settembre 1560.
Gian Pascali di Cuneo, bruciato vivo per eresia. 15 settembre 1560.
Stefano Negrone, eretico, lasciato morire di fame nelle prigioni della Santa Inquisizione.
15 settembre 1560.
Stefano Morello, eretico, impiccato e bruciato. 25 settembre 1560.
Bernardino Conte, bruciato vivo per eresia. 1560.
300 persone a Oppenau, 63 donne a Wiesensteig e 54 a Obermachtal in Germania, bruciate vive per stregoneria. 1562.
Macario, vescovo di Macedonia, eretico, bruciato vivo. 10 giugno 1562.
Cornelio di Olanda, eretico, impiccato e bruciato. 23 g3nnaio 1563.
Franceso Cipriotto, impiccato e bruciato per eresia. 4 settembre 1564.
Giulio Cesare Vanini, panteista, bruciato vivo dopo avergli strappato la lingua.
Giulio di Grifone, eretico, giustiziato.

 

— Pio V .

Con bolla papale viene imposta a Roma la chiusura di tutte le sinagoghe.
Muzio della Torella, eretico, giustiziato. 1 marzo 1566.
Giulio Napolitano, eretico, bruciato vivo. 6 marzo 1566.
Don Pompeo dei Monti, decapitato per eresia. 3 luglio 1566.
Curzio di Cave, francescano, decapitato per eresia. 9 luglio 1566.
17.000 (diciassettemila) protestanti massacrati nelle Fiandre da cattolici spagnoli.
Giorgio Olivetto arso vivo perché luterano. 27 gennaio 1567.
Domenico Zocchi, ebreo, impiccato e bruciato a Piazza Giudia nel Ghetto di Roma. 1 febbraio 1567.
Girolamo Landi, impiccato e bruciato per eresia.. 25 febbraio 1567.
Pietro Carnesecchi, impiccato e bruciato per eresia. 30 settembre 1567.
Giulio Maresco, decapitato e arso per eresia. 30 settembre 1567.
Paolo e Matteo murato vivo per eresia. 30 sett.1567.
Ottaviano Fioravanti, murato vivo per eresia. 30 sett. 1567. .
Giovannino Guastavillani, eretico, murato vivo. 30 settembre 1567.
Geronimo del Puzo, murato vivo per eresia. 30 settembre 1567.
Gerolamo Donato con altri suoi confratelli dell'Ordine degli Umiliati, vengono giustiziati su ordine di Carlo Borromeo (santo), vescovo di Milano, dopo lunghe ore di torture, per eresia. 2 agosto 1570.
Macario Giulio da Cetona, decapitato e bruciato per eresia. 1 ottobre 1567.
Lorenzo da Mugnano, impiccato e bruciato per eresia. 10 maggio 1668.
Matteo d'Ippolito, impiccato e bruciato per eresia. 10 maggio 1568.
Francesco Stanga, impiccato e bruciato per eresia. 10 maggio 1568.
Donato Matteo Minoli, lasciato morire nelle carceri dopo avergli rotto le ossa e bruciato i piedi. 27 maggio 1568.
Francesco Castellani, eretico, impiccato. 6 dicembre 1568.
Pietro Gelosi, eretico, impiccato e bruciato. 6 dicembre 1568
Marcantonio Verotti, eretico, impiccato e bruciato. 6 dicembre 1568.
Luca di Faenza, eretico, bruciato vivo. 28 febbraio 1568.
Borghesi Filippo, decapitato e bruciato per eresia. 2 maggio 1569.
Giovanni dei Blasi, impiccato e bruciato per eresia. 2 maggio 1569.
Camillo Ragnolo, impiccato e bruciato per eresia. 25 maggio 1569.
Fra Cellario Francesco, impiccato e bruciato per eresia. 25 maggio 1569.
Bartolomeo Bartoccio, bruciato vivo per eresia. 25 maggio 1569.
Guido Zanetti, murato vivo per eresia. 27 maggio 1569.
Filippo Porroni, eretico luterano, impiccato. 11 febbraio 1570.
Gian Matteo di Giulianello, giustiziato per eresia. 25 febbraio 1570.
Nicolò Franco, impiccato per aver deriso il papa con degli scritti. Impiccato. 11 marzo 1570.
Giovanni di Pietro, eretico, impiccato e bruciato. 13 maggio 1570.
Aolio Paliero, eretico, impiccato e bruciato su espreso desiderio di Papa Pio V (santo).3 luglio1570.
Fra Arnaldo di Santo Zeno, eretico, bruciato vivo. 4 novembre 1570.
Don Girolamo di Pesaro, Giovanni Antonio di Jesi e Pitro Paolo di Maranzano, giustiziati per eresia. 6 ottobre 1571.
Francesco Galatieri, pugnalato a morte dai sicari pontifici perché eretico. 5 gennaio 1572.
Madonna Dianora di Montpelier, eretica, impiccata e bruciata. 9 febbraio 1572.
Madonna Pellegrina di Valenza, eretica impiccata e bruciata. 9 febbraio 1972.
Madonna Girolama Guanziana, eretica impiccata e bruciata. 9 febbraio 1572
Madonna Isabella di Montpelier, eretica impiccata e bruciata. 9 febbraio 1572.
Domenico della Xenia, eretico impiccato e bruciato. 9 febbraio 1572.
Teofilo Penarelli, eretico impiccato e bruciato. 22 febbraio 1572.
Alessandro di Giulio, eretico impiccato e bruciato.

 

— Gregorio XIII

Alessandro di Giulio, impiccato e bruciato per eresia. 15 marzo 1572.
Giovanni di Giovan Battista, impiccato e bruciato perché eretico. 15 marzo 1572.
Girolamo Pellegrino, impiccato e bruciato per eresia. 19 luglio 1572.
10.000 (diecimila) eretici massacrati in Francia per ordine del Papa (strage degli Ugonotti- Notte di S. Bartolomeo). 24 agosto 1572.
500 eretici massacrati in Croazia per ordine del vescovo cattolico Juraj Draskovic. 1573.
Nicolò Colonici eretico impiccato e bruciato.
Giovanni Francesco Ghisleri, strangolato nelle carceri dell'Inquisizione. 25 ottobre del 1574.
Alessandro di Giacomo, arso vivo. 19 novembre 1574.
Benedetto Thomaria, eretico bruciato vivo. 12 Maggio 1574.
Don Antonio Nolfo, eretico giustiziato. 29 luglio 1578.
Giovanni Battista di Tigoni, eretico giustiziato. 29 luglio 1578.
Baldassarre di Nicolò, eretico impiccato e bruciato. 13 agosto 1578.
Antonio Valies de la Malta, eretico impiccato e bruciato. 13 agosto 1578.
Francesco di Giovanni Martino, eretico impiccato e bruciato. 13 agosto 1578.
Bernardino di Alfar, eretico impiccato e bruciato. 13 agosto 1578.
Alfonso di Poglis, eretico impiccato e bruciato. 13 agosto 1578.
Marco di Giovanni Pinto, eretico impiccato e bruciato.13 agosto 1578.
Girolamo di Giovanni da Toledo, eretico impiccato e bruciato 13 agosto 1578.
Gasparre di Martino, eretico impiccato e bruciato. 13 agosto 1578.
Fra Clemente Sapone, eretico impiccato e bruciato. 29 novembre 1578.
Pompeo Loiani, eretico impiccato e bruciato. 12 giugno 1579.
Cosimo Tranconi, eretico impiccato e bruciato. 12 giugno 1579.
222 (duecentoventidue) ebrei bruciati al rogo per ordine della Santa Inquisizione. 1558.
Salomone, ebreo impiccato per aver rifiutato il battesimo. 13 marzo 1580.
Un inglese bruciato vivo per aver offeso un prete. 2 agosto 1581.
Diego Lopez, bruciato vivo per eresia. 18 febbraio 1583.
Domenico Danzarelli, impiccato e bruciato per eresia. 18 febbraio 1583.
Prospero di Barberia, eretico impiccato e bruciato. 18 febbraio 1583.
Gabriello Henriquez, bruciato vivo per eresia. 18 febbraio 1583.
Borro d'Arezzo, bruciato vivo per eresia. 7 febbraio 1583.
Ludovico Moro, eretico arso vivo. 10 luglio 1583.
Fra Camillo Lomaccio, Fra Giulio Carino, Leonardo di Andrea strangolati nel carcere di Tor Nona per eresia. 23 luglio 1583.
Lorenzo Perna, arrestato per ordine del cardinale Savelli per eresia, si ignora la sua fine. 16 giugno
1584.
<<La Signora di Bellegard>>, arrestata per eresia, si ignora la sua fine. ottobre 1584.
Giacomo Paleologo, decapitato e bruciato. 22 marzo 1585.
I fratelli Missori decapitati per aver espresso il diritto alla libertà di stampa. Le loro teste furono lasciate in esposizione al pubblico. 22 marzo 1585.
(Il corpo di Gregorio XIII, di questo carnefice, viene onorato e riverito dai cattolici nella sua monumentale tomba in S.Pietro a Roma).

 

— Papa Sisto V

Questo Papa fece impiccare uno spagnolo per aver ucciso con una bastonata un soldato svizzero che lo aveva ferito con l'alabarda.
Respinta la richiesta di sostituire la forca con la mannaia, Sisto V assisteva gioiosamente alle esecuzioni facendosi portare da mangiare perché "questi atti di giustizia gli accrescevano l'appetito". Dopo l'esecuzione di una sentenza disse: << Dio sia benedetto per il grande appetito con cui ho mangiato>>.
Pietro Benato, arso vivo per eresia. 26 aprile 85.
Pomponio Rustici, Gasparre Ravelli, Antonio Nantrò, Fra Giovanni Bellinelli, impiccati e
bruciati vivi per eresia. 5 agosto 1587.
Vittorio, conte di Saluzzo, giustiziato per eresia. 9 dicembre 1589.
Valerio Marliano, eretico impiccato e bruciato. 16 febbraio 1590.
Don Domenico Bravo, decapitato per eresia. 30 marzo 1590.
Fra Lorenzo dell'Aglio, impiccato e bruciato.13 aprile 1590.

 

— Gregorio XIV

Fra Andrea Forzati, Fra Flaminio Fabrizi, Fra Francesco Serafini, impiccati e bruciati.
6 febbraio 1591.
Giovanni Battista Corobinacci, Giovanni Antonio de Manno Rosario, Alexandro d'Arcangelo, Fulvio Luparino, Francesco de Alexandro, giustiziati. Giugno 1590.
Giovanni Angelo Fullo, Giò Carlo di Luna, Decio Panella, Domenico Brailo, Antonio Costa, Fra Giovanni Battista Grosso, l'Abate Volpino, insieme ad altri seguaci di Fra Girolamo da Milano, arrestati dalla Santa Inquisizione, si ignora la loro fine... 1590.
( Totto questo in un solo anno di Santo Pontificato!).

 

— Clemente VIII

Giordano Bruno, bruciato vivo per eresia il 17 febbraio 1600.
Quattro donne e un vecchio bruciate vive per eresia. 16 febbraio 1600.
Francesco Gambonelli, eretico arso vivo. 17 febbraio 1594.
Marcantonio Valena e un altro luterano, arsi vivi. agosto 1594.
Graziani Agostini, eretico impiccato e bruciato. 1596.
Prestini Menandro, eretico impiccato e bruciato. 1596.
Achille della Regina, se ne ignora la fine. Giugno 1597.
Cesare di Giuliano, eretico impiccato e bruciato. 1597.
Damiano di Francesco, eretico impiccato e bruciato. 1597.
Baldo di Francesco, impiccato e bruciato per eresia. 1957.
De Magistri Giovanni Angelo, eretico impiccato e bruciato.1597.
Don Ottavio Scipione, eretico, decapitato e bruciato.1597.
Giovanni Antonio da Verona e Fra Celestino, eretici bruciati vivi. 16 settembre 1599.
Fra Cierrente Mancini e Don Galeazzo Porta decapitati per eresia. 9 novembre 1599.
Maurizio Rinaldi, eretico bruciato vivo. 23 febbraio 1600.
Francesco Moreno, eretico impiccato e bruciato. 9 giugno 1600.
Nunzio Servandio, ebreo impiccato. 25 giugno 1600.
Bartolomeo Coppino, luterano arso vivo. 7 aprile 1601.
Tommaso Caraffa e Onorio Costanzo eretici decapitati e bruciati. 10 maggio 1601.

 

— Papa Paolo V

Giovanni Pietro di Tunisi, impiccato e bruciato. 1607.
Giuseppe Teodoro, eretico impiccato e bruciato. 1609.
Felice d'Ottavio, eretico impiccato e bruciato. 1609.
Rossi Francesco, eretico impiccato e bruciato. 1609.
Antonio di Jacopo, eretico impiccato e bruciato. 1609.
Fortunato Aniello, eretico impiccato e bruciato. 1609.
Vincenti Pietro, eretico impiccato e bruciato. 1609.
Umberto Marcantonio, eretico impiccato e bruciato. 1609.
Fra Manfredi Fulgenzio, eretico impiccato e bruciato. 1610.
Lucarelli Battista, eretico impiccato e bruciato. 1610.
Emilio di Valerio, ebreo, impiccato e bruciato. 1610.
Don Domenico di Giovanni, per essere passato dal cristianesimo all'ebraismo, impiccato. 1611.
Giovanni Milo, luterano impiccato. marzo 1611.
Giovanni Mancini, per aver celebrato la messa da spretato impiccato e bruciato. 22 ottobre 1611
Jacopo de Elia, ebreo impiccato e bruciato. 22 gennaio 1616.
Francesco Maria Sagni, eretico impiccato e bruciato. 1 luglio 1616.
Arrestato un negromante zoppo, arso vivo per stregoneria. 1617.
Lucilio Vanini, arso vivo per aver messo in dubbio l'esistenza di Dio. 17 febbraio 1618.
Migliaia di eretici trucidati dai cattolici nei Grigioni in Valtellina. 1620.
(La Chiesa, rimasta nella convinzione che in Valtellina ci siano ancora tendenze religiose eretico-pagane, mantiene tutt'oggi la regione sotto controllo tramite la "Missione Rezia", affidata ai cappuccini, dipendenti direttamente da "Propaganda Fidei") ... e il Santo Padre Gian Paolo II chiede perdono!!!

 

— Urbano VIII

Galileo Galilei, torturato e condannato al carcere perpetuo quale eretico per aver affermato che la Terra gira intorno al Sole. 1633.
Ferrari Ambrogio, eretico impiccato. 1624.
Donna Anna Sobrero, morta di peste in carcere dove era stata condannata a vita. 1627. (nei mesi che seguirono, tutti coloro che passarono per quel carcere, morirono di peste).
Frate Serafino, eretico, impiccato e bruciato. 1634.
Giacinto Centini, decapitato per aver offeso la sovranità papale. 1635.
Fra Diego Giavaloni, eretico impiccato e bruciato. 1635.
Alverez Ferdinando, bruciato vivo per essersi convertito all'ebraismo. 19 marzo 140.
Policarpo Angelo, impiccato e bruciato per aver celebrato la messa da spretato. 19 maggio 1642.
Ferrante Pallavicino, eretico impiccato e bruciato. 1644.
Fra Camillo d'Angelo, Ludovico Domenico, Simone Cossio, Domenico da Sterlignano, giustiziati per eresia. 1644.

 

— Papa Innocenzo X

Brugnarello Giuseppe e Claudio Borgegnone, impiccati e bruciati per aver falsificato alcune lettere apostoliche. 1652. ( Se questo Papa applicò in prevaleza condanne di carceri a vita ciò dipese dal fatto che in quegli anni ricorreva l'anno Santo).

 

— Papa Alessandro II

Fello Giovanni, sacerdote, decapitato per eresia. 1657.
1.712 Valdesi massacrati dai cattolici nelle Valli Alpine. 1655.

 

— Papa Innocenzo XI

20 ebrei condannati al rogo. 1680.
Vincenzo Scatolari, per aver esercitato la professione di giornalista senza autorizzazione di Santa Madre Chiesa. Decapitato. 2 agosto 1685.
2.000 (duemila) Valdesi massacrati dai cattolici nelle Valli Alpine per ordine diretto del Papa. Maggio 1686.
24 protestanti uccisi dai cattolici a Pressov in Slovacchia. 1687.

 

— Papa Innacenzo XII

Martino Alessandro, morto in carcere per torura. 3 maggio 1690.
37 ebrei bruciati vivi. 1691. (poi si cercano le cause che hanno generato l'antisemitismo!).
Antonio Bevilacqua e Carlo Maria Campana, cappuccini, decapitati perchè seguaci del Quietismo di Molinos. 26 marzo 1695.

 

— Clemente XI

Filippo Rivarola, portato al patibolo in barella per le torture ricevute, decapitato. 4 agosto 1708.
Spallaccini Domenico, impiccato e bruciato per aver bestemmiato a causa di un colpo di alabarda ricevuta da una guardia papalina. 28 luglio 1711.
Gaetano Volpini, decapitato per aver scritto una poesia contro il Papa. 3 febbraio 1720.

 

— Clemente XII

Questo Papa, ripristinando la "mazzolatura" (rottura delle ossa a colpi di bastone), si dimostrò uno dei più cinici sostenitori dell'arte della tortura.
Pietro Giarinone, filosofo e storico, morì sotto tortura per aver sostenuto la supremazia del re sulla curia romana. 24 marzo 1736.
Enrico Trivelli, decapitato per aver scritto frasi di rivolta contro il Papa. 23 febbraio 1737.
Le numerose vittime di questo Papa sono rimaste sconosciute perché egli preferiva più uccidere sotto tortura nella carceri dell'Inquisizione che giustiziarle nelle pubbliche piazze.

L'EUROPA COMINCIA A RISENTIRE DEL BENEFICO EFFETTO DELL'ILLUMINISMO CHE SI MANIFESTA LIMITANDO L'ALTERIGIA DELLA CHIESA CHE RIDUCE LE SUE PERSECUZIONI RELIGIOSE ORIENTANDOSI VERSO DELITTI POLITICI, CRIMINI COMUNI OPPURE REATI RIGUARDANTI GLI ORDINAMENTI INTERNI ECCLESIASTI. QUELLO CHE PER LEI CONTA SOPRA OGNI COSA È L'IMPORRE IL SUO POTERE ATTRAVERSO IL TERRORE.

 

— Clemente XIII

Tommaso Crudeli, condannato al carcere a vita per massoneria. 2 agosto 1740.
Giuseppe Morelli, impiccato per aver celebrato l'Eucaristia da spretato. 22 agosto 1761.
Carlo Sala, eretico, giustiziato. 25 settembre. 1765. (Carlo Sala è l'ultimo martire ucciso dalla Chiesa per eresia).
I massacri, non più di carattere religioso, continuarono contro i cospiratori politici, i giornalisti e tutti quei progressisti che intendevano rovesciare l'immoralità dell'oscurantismo religioso attraverso una rivoluzione armata.
Le atrocità furono come nel passato. Tagli di teste, torture con mazzolature, impiccagioni e sevizie che spesso portavano allo squartamento degli accusati.
Pur di mantenere il terrore venivano puniti di morte anche i delitti meno gravi come i semplici furti.

 

— Pio VI

Nei suoi quattro anni di pontificato ci furono soltanto cinque esecuzioni capitali per reati comuni, anche se la sua lotta si intensificò aspramente contro gli ebrei che furono costretti, tra le tante umiliazioni e minacce che subirono, a indossare vestiti di colore giallo perché fossero pubblicamente oltraggiati.

 

— Pio VII

Gregorio Silvestri, impiccato per cospirazione politica. 18 gennaio 1800.
Ottavio Cappello, impiccato perché patriota rivoluzionario. 29 gennaio 1800.
Giovanni Battista Genovesi, patriota squartato e bruciato. La sua testa fu esposta al pubblico. 7 febbr. 1800.
Teodoro Cacciona, impiccato e squartato per furto di un abito ecclesiastico. 9 febbraio 1801.
Paolo Salvati, impiccato e squartato per aver derubato un corriere del Papa. 11 dicembre 1805.
Bernardo Fortuna, impiccato e squartato per furto ai danni di un corriere francese. 22 aprile 1806.
Tommaso Rotilesi, impiccato per aver ferito un ufficiale francese.
161 furono le esecuzioni capitali per reati comuni nei 15 anni del pontificato di questo vice Dio in terra che prese il mite e devoto nome di Pio.

 

— Leone XII

Leonida Montanari, decapitato per aver offeso pubblicamente il Papa. 23 novembre 1825.
Angelo Targhini, decapitato per aver ferito una spia papalina. 23 novembre 1825.
Luigi Zanoli, decapitato per aver ucciso uno sbirro papalino. 13 maggio 1828.
Angelo Ortolani, impiccato per aver ucciso guardia papalina. 13 maggio 1828.
Gaetano Montanari, squartato per tentato omicidio dell'emissario papalino Rivolta. 1828
Gaetano Rambelli, impiccato per aver ferito emissario papalino. 1828.
Le esecuzioni capitali, oltre queste sopra elencate, furono 29 e sempre per reati comuni.

 

— Pio VIII

In un anno di Pontificato eseguì 13 condanne capitali per reati comuni.

 

— Gregorio XVI

Impose divieto assoluto ad ogni libertà di parola o di espressione scritta che non seguisse i dettami di Santa Madre Chiesa. Dietro le minacce più gravi obbligò gli ebrei di non esercitare nessuna attività fuori del Ghetto.
Giuseppe Balzani, decapitato per offese la Papa. 14 maggio 1833.
Luigi Scopigno, decapitato per furto di oggetti sacri. 21 luglio 1840.
Pietro Rossi, decapitato per piccolo furto. 9 gennaio 1844.
Luigi Muzi, decapitato per piccolo furto. 19 gennaio 1844.
Giovanni Battista Rossi, decapitato per piccolo furto. 3 agosto 1844.
Oltre a queste ci furono sotto il pontificato di questo Santo Padre altre 110 condanne a morte per reati comuni.

Lo Stato Pontificio dopo la restaurazione, per le condanne a morte oltre che la forca adottò anche la ghigliottina. In Europa fu l'ultimo stato ad abolire la pena di morte.
Aumentando il numero dei "ribelli", le disposizioni per il loro annientamento aumentarono, i processi non si contarono e la ghigliottina funzionò a Roma fino al 1865 (qui la foto dell'ultima "spettacolare" esecuzione di un condannato)

 

— Pio IX (santificato da Giov. Paolo II)

Romolo Salvatori, decapitato per aver consegnato ai Garibaldini l'Arciprete di Anagni. 10 settembre 1851.
Gustavo Paolo Rambelli, Gustavo Marloni, Ignazio Mancini, decapitati per aver ucciso tre preti. 24 gennaio 1854.
Antonio de Felici,decapitato per aver attentato al Cardinale Antonelli.

Per comprendere la criminalità di questo Papa (santo), basta dire che quando i patrioti dell'unificazione italiana entrarono nelle carceri pontificie per liberare alcune decine di prigionieri che vi vivevano incatenati da così lungo tempo da aver perso la vista e l'uso delle gambe, trovarono in quei sotterranei mucchi di scheletri e di cadaveri in decomposizione in un misto di tonache di frati e di monache, di vestiti civili di uomini e di donne, divise militari e scarpe come quando furono liberati i campi di sterminio nazisti. Vi furono trovati anche giocattoli di bambini morti insieme ai loro genitori.

Nota: l'articolo qui sopra è tratto da internet http://www.alateus.it/streghe.htm
ma la fonte originaria non è più esistente. Probabilmente trattasi di uno studio riassuntivo di L. Cascioli.


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COME LA SANTA INQUISIZIONE
CATTURAVA ERETICI E PECCATORI

di Ilaria Tremolada

L'8 marzo 2000, papa Wojtila pronunciava la "richiesta di perdono" per i mali inferti dalla chiesa nei secoli a tutta l'umanità. In particolare, Giovanni Paolo II recitava il "mea culpa" pensando alle vittime della Santa Inquisizione. Il processo che metteva sotto esame il tribunale medievale accanitosi nei secoli contro coloro che venivano definiti eretici, si concludeva con le pubbliche scuse del papa, dopo essersi aperto 6 anni prima. Nel 1994, con la lettera apostolica Tertio Millennio Adveniente datata 10 novembre, Giovanni Paolo II avviava la preparazione del Giubileo chiedendo ai cristiani di "pentirsi" soprattutto per Giovanna d'Arco alla testa del suo esercito "l'acquiescenza manifestata, specie in alcuni secoli, a metodi di intolleranza e perfino di violenza nel servizio della verità."

La lettera papale aprì la strada a due incontri che si tennero, il primo nel '98 dedicato alla "Shoah", sulla quale si invitava a riflettere, mentre il secondo, che più ci interessa, aveva come tema centrale l'"Inquisizione" e si svolse tra il 29 e il 31 ottobre 1999 in Vaticano. Il Simposio internazionale fu presieduto dal Cardinale Roger Etchegaray e dalla Commissione teologico-storica del Comitato centrale del Grande Giubileo, sovrintendente del quale era il domenicano padre Georges Cottier. Dando inizio ai lavori, quest'ultimo ha specificato che "la considerazione delle circostanze attenuanti [quelle storiche riguardanti la società dei tempi e la sua grettezza] non esonera la Chiesa dal dovere di rammaricarsi profondamente per le debolezze di tanti suoi figli, che ne hanno deturpato il volto".

Queste "debolezze", per usare il termine di Cottier, provocarono decine di migliaia di morti che formano un filo nero ininterrotto capace di dare alla storia della Chiesa di quei secoli che fanno l'età medievale e moderna, un unico e macabro denominatore.
Il grande pubblico identifica la storia delle persecuzioni religiose con uomini importanti come Galileo Galilei e Giordano Bruno o più in generale con i roghi delle streghe. Ciò che si scopre studiando la storia della Santa Inquisizione è qualcosa che, per noi figli del XX secolo ha dell'incredibile. I Pensieri e i fatti che hanno generato tale meccanismo di morte ci appaiono così distanti, eppure anche gli ultimi decenni non sono stati privi di quelle distorsioni ideologiche che più appaiono come il sostrato di scempiaggini catastrofiche come quella esemplare generata dalla mente malata di Adolf Hitler. L'accostamento può sembrare azzardato soprattutto perché poche sono le coincidenze, nei tempi e nei fatti, tra l'odio nazista per gli ebrei e lo stesso sentimento mostrato dalla Chiesa cattolica nei confronti degli eretici.

Ciò che comunque appare confrontabile è la perdita di ogni senso della realtà in nome di un'idea delirante che genera morte.
Oltremodo, la lotta della Chiesa contro i suoi nemici solletica un vasto interesse nel pubblico, dovuto in parte al fascino morboso che aleggia intorno ai metodi inquisitori. L'Inquisizione, che si affermò alla fine del XII secolo, quando in Occidente si diffondevano movimenti eretici come il manicheismo, il valdismo e poi il catarismo, trae il suo nome dalla inquisitio, una procedura del diritto romano sconosciuta e basata sulla formulazione di un'accusa da parte dell'autorità giudiziaria pur in assenza di denunce sostenute da testimoni attendibili. Tale procedura trova con il decreto Ad abolendam, emanato da papa Lucio III nel 1184, quando cioè si cominciò a infliggere ai peccatori la pena del rogo, la sua codificazione.

Alcuni anni dopo venne autorizzata la confisca dei beni degli eretici e l'impiego della tortura in questioni di fede, mentre si stabilivano particolari disposizioni che garantissero la segretezza delle procedure, l'anonimato dei testimoni e l'applicazione delle sentenze. Con il papato di Gregorio IX (1227-1241) la procedura inquisitoria si trasforma in una nuova istituzione che avrà in principio larga diffusione nella Francia meridionale e che verrà ufficializzata nei suoi compiti con il nome di Sacra Inquisizione. Tra i tanti manuali scritti all'epoca per riassumere la procedura sulla base della quale lavorava il tribunale è rimasta celebre la Practica Inquisitionis hereticae pravitatis (ca.1320).

Il successore di Gregorio IX, Innocenzo IV, non trascurò di proseguire nell'opera iniziata dal suo predecessore. Nel 1252, infatti, con la bolla Ad extirpanda ribadiva l'importanza della ricerca dei peccatori che si nascondevano nella società minandone non solo le basi religiose ma anche quelle politiche, e rafforzava il significato della punizione corporale indicando la tortura come mezzo per "portare alla luce la verità".

Durante il XIII e il XIV secolo, l'Inquisizione, parallelamente alla crescita di alcuni dei più importanti movimenti considerati eretici, accrebbe le proprie zone d'influenza e le proprie competenze. All'inizio del '300, in buona parte dell'Europa erano attivi dei tribunali inquisitori competenti a livello territoriale che avevano l'ordine di indagare anche su reati quali la blasfemia, la bigamia e la stregoneria, e gli utopisti della politica e della religione.
( vedi la storia di FRA DOLCINO )

La stregoneria, della quale parleremo diffusamente più avanti, nasce dalla trasformazione in reato di tutti quei riti pagani, bagaglio di una forte tradizione popolare ancora parte irrinunciabile della vita di molte zone dell'Europa. Attraverso i secoli bui, la Santa Inquisizione, come abbiamo visto, seppur brevemente, accresce la sua importanza, ma soprattutto la sua ingerenza nella vita sociale. Di fondamentale importanza in questo processo di penetrazione sarà il ruolo svolto dai re cattolici Isabella di Castiglia e Ferdinando d'Aragona. Unendo le loro corone in un grande e potente regno i due monarchi trasformarono il tribunale dell'Inquisizione in uno strumento di controllo del loro potere. Esercitarono pressioni sul pontefice affinché istituisse una nuova Inquisizione nel regno di Castiglia che ancora non ne aveva conosciuto le opere.

Fu così che con la bolla papale, Exigit sinceras devotionis affectus, del 1° novembre 1478 Sisto IV concesse ai sovrani spagnoli la potestà di nominare due o tre inquisitori nelle città e nelle diocesi dei loro regni. Da quel momento si aprì una contesa tra la concezione ecclesiastica della Santa Inquisizione e quella temporale dei due re Cattolici, che vedevano nel tribunale antiereticale un valido collaboratore attraverso il quale mantenere e rafforzare il proprio potere. Il braccio di ferro si protrasse fino all'ottobre 1483 quando con la nomina del frate Tomás de Torquemada a inquisitore generale dei regni di Castiglia e di Aragona, nasceva l'Inquisizione moderna. Il papa Sisto IV, al quale ormai la situazione era sfuggita di mano non aveva potuto far altro che riconoscere l'estensione delle competenze giuridiche anche al regno di Aragona, per il quale inizialmente il pontefice aveva negato la concessione.
A questo punto la chiesa di Roma si trovava ad aver ceduto, passo dopo passo, al regno governato da Isabella e Ferdinando, il controllo sui tribunali della Santa Inquisizione in Spagna.
Sostanzialmente, il potere di nominare il Grande Inquisitore demandava nei fatti alla Corona la gestione di tutta la macchina costruita in difesa della verità dei dogmi, pur rimanendo il papa il depositario dell'autentica legittimità dell'istituzione.

Tra le figure più importanti dell'Inquisizione spagnola, spicca per la sua spietatezza verso gli ebrei il già ricordato Tomás de Torquemada. Al momento dell'investitura, gli inquisitori spagnoli recitavano davanti al Grande Inquisitore, una formula che rimase invariata fino al 1820:
"Noi, per misericordia divina inquisitore generale, fidando nelle vostre cognizioni e nella vostra retta coscienza, vi nominiamo, costituiamo, creiamo e deputiamo inquisitori apostolici contro la depravazione eretica e l'apostasia nell'inquisizione di [
qui veniva inserito di volta in volta il nome del luogo dove l'inquisitore veniva mandato] e vi diamo potere e facoltà di indagare su ogni persona, uomo o donna, viva o morta, assente o presente, di qualsiasi stato e condizione che risultasse colpevole, sospetta o accusata del crimine di apostasia e di eresia, e su tutti i fautori, difensori e favoreggiatori delle medesime".

Negli altri paesi europei si ebbero situazioni anche molto diverse tra loro. La Francia non conobbe l'Inquisizione nella sua forma moderna. I Parlamenti continuarono ad occuparsi dei processi agli eretici senza che per questi reati venisse aggiornata la versione medievale dell'istituto.
Il Portogallo vide nascere il tribunale dell'Inquisizione solo nel 1547, mentre in Italia apparvero solo verso la fine del XVI secolo, qualche decennio più tardi della nascita di un'Inquisizione tutta speciale che il papa aveva creato appositamente per "se" nel 1542. Ad oggi, quella papale è l'unica Inquisizione sopravvissuta con il nome di Congregazione per la Dottrina della Fede.

Il funzionamento del Santo Uffizio era garantito in primo luogo dal lavoro dell'inquisitore generale che si appoggiava al Consiglio della Suprema, e in secondo luogo dalla presenza capillare sul territorio dei tribunali di distretto. Nella carica di inquisitore generale si è già visto che il più tragicamente illustre fu il frate Tomás de Torquemada. Sulla sua figura sono stati dati pareri contrastanti: lo storico Juan Antonio Llorente ne parla come di "...una persona dai tratti raccapriccianti responsabile della morte sul rogo di 10.280 persone, e della punizione con infamia e confisca dei beni di altre 27.321". Al contrario lo storico inglese Walsh dice che Torquemada "era un pacifico dotto che abbandonò il chiostro per espletare un incarico sgradevole ma necessario, cosa che fece con spirito di giustizia temperato da pietà e sempre con grande abilità e prudenza.[…] Fu l'uomo che più efficacemente contribuì alla grandezza della Spagna dell'epoca del siglo de oro."

È abbastanza evidente che il giudizio dello storico ha in entrambi i casi influenzato il racconto della vita di un uomo che comunque al di là di queste critiche senza appello fu un grigio ed efficiente funzionario che servì i re cattolici con esemplare lealtà, pur tributata a idee sbagliate, fornendo il modello essenzialmente politico a cui si sarebbero ispirati gli inquisitori generali per un lunghissimo arco di tempo.
A partire da questa che era la carica più importante, l'inquisizione era organizzata in base ad una struttura fortemente gerarchizzata che prevedeva il Consiglio della Suprema e Generale Inquisizione che si riuniva tutte le mattine dei giorni non festivi per discutere le questioni di fede, mentre nelle sedute pomeridiane del martedì, giovedì e sabato si tenevano i processi pubblici e si parlava dei casi si sodomia, bigamia, stregoneria e superstizione.

Da questo organo dipendevano i tribunali distrettuali in ognuno dei quali operavano due inquisitori. Quasi sempre erano un teologo e un giurista così da poter avere una competenza che coprisse tutti gli aspetti della problematica inquisitoria. Nel XVI secolo si accentuò, fra gli inquisitori, il predominio del clero secolare nei confronti di quello regolare (i membri degli ordini religiosi). La maggior parte degli inquisitori, comunque, proveniva dalla piccola nobiltà e aveva frequentato l'Università.

Tra le altre cariche previste dal Santo Uffizio per il suo funzionamento va sicuramente ricordata quella importantissima dei famigli (familiares), ovvero di quei servitori laici che collaboravano con i funzionari dell'Inquisizione, partecipavano alle ricerche e agli arresti e costituivano un vero e proprio apparato di informazione e spionaggio. Il loro numero crebbe smisuratamente nei tempi. Fare parte di quella che con termini attuali potremmo chiamare la "polizia segreta" della Santa Inquisizione comportava numerosi vantaggi: i famigli godevano di un privilegio giurisdizionale secondo il quale potevano essere giudicati solo dalla stessa Inquisizione, inoltre avevano privilegi fiscali e il permesso di girare armati. Poiché si poté presto intuire il rischio che questa casta privilegiata diventasse molto potente, ogni distretto adottò un regolamento che innanzitutto fissava il numero massimo dei famigli. L'estrazione sociale di questi ultimi era assai eterogenea.

A Valencia nel XVI secolo oltre i tre quarti erano di origine popolare, ma il rapporto si sarebbe presto ribaltato a favore delle classi medie. In Andalusia i famigli vennero invece reclutati tra la piccola nobiltà all'interno della quale alcune dinastie finirono per imporre un vero e proprio monopolio servendosi della mansione per esercitare un'assoluta autorità locale sintomo di corruzione e di nepotismo.
Gli apparati inquisitori vennero messi sotto inchiesta raramente, nonostante la loro condotta riprovevole e spesso macchiata dalla scorrettezza fosse sotto gli occhi di tutti. Il lavoro svolto dai famigli era il punto di partenza della fase istruttoria dei processi che proseguiva con la denuncia e l'immediato arresto della persona oggetto della denuncia stessa. Seguivano poi tre udienze durante le quali veniva presentata l'accusa ed era prevista una discolpa dell'imputato.

Il verdetto era pronunciato collegialmente dagli inquisitori e dal vescovo. Al termine del processo, ogni sentenza prevedeva tre categorie di pene: spirituali, corporali e finanziarie. Momento culminante di ogni processo era l'autodafé, "atto di fede", cerimonia solenne con messa, sermone e lettura delle sentenze che nel tempo si trasformò in una specie di evento teatrale che nella sostanza doveva attirare quanta più gente possibile per mostrare il potere della Santa Inquisizione nel riportare le anime smarrite sulla strada della verità.

Di solito l'autodafé si celebrava una volta l'anno. La condanna a morte era comminata ai recidivi o rei convinti che rifiutavano di ammettere la falsità delle loro credenze. La sanzione più comune per chi decideva di collaborare era l'abiura alla quale erano connesse diversi tipi di penitenza: obbligo di indossare il sambenito (termine derivante da saco bendito "sacco benedetto"), ovvero una mantellina gialla, con una o due croci disegnate diagonalmente, che i penitenti erano obbligati a portare in segno di indegnità per un periodo che poteva essere lungo pochi mesi ma anche tutta la vita; c'erano poi le pene corporali come le frustate, con un numero che poteva variare da 100 a 200; lavoro forzato sulle galere e confisca dei beni.

Una delle abiure più importanti che la storia ricorda è senza dubbio quella di Galileo.
Davanti al tribunale che lo inquisiva di eresia, l'autore del Dialogo dei massimi sistemi pronunciò il 22 giugno 1633 queste parole: "....avendo davanti gl'occhi miei li sacrosanti Vangeli, quali tocco con le proprie mani, giuro che sempre ho creduto, credo adesso, e con l'aiuto di Dio crederò per l'avvenire, tutto quello che tiene, predica e insegna la Santa Cattolica e Apostolica Chiesa. Ma perché da questo S. Offizio, per aver io, dopo essermi stato con precetto dall'istesso giuridicamente intimato che omninamente dovessi lasciar la
falsa opinione che il sole sia centro del mondo e che non si muova e che la terra non sia centro del mondo e che si muova, e che non potessi tenere, difendere né insegnare in qualsivoglia modo, né in voce né in scritto, la detta falsa dottrina, e dopo d'essermi notificato che detta dottrina è contraria alla Sacra Scrittura, scritto e dato alle stampe un libro nel quale tratto l'istessa dottrina già dannata e apporto ragioni con molta efficacia a favor di essa, senza apportar alcuna soluzione, sono stato giudicato veementemente sospetto d'eresia, cioè d'aver tenuto e creduto che il sole sia centro del mondo e imobile e che la terra non sia centro e che si muova.
Pertanto volendo io levar dalla mente delle Eminenze Vostre e d'ogni fedel Cristiano queste veemente sospizione, giustamente di me conceputa, con cuor sincero e fede non finta abiuro, maledico e detesto li suddetti errori e eresie, e generalmente ogni e qualunque altro errore, eresia e setta contraria alla Santa Chiesa; e giuro che per l'avvenire non dirò mai più ne asserirò, in voce o in scritto, cose tali per le quali si possa aver di me simil sospizione; ma se conoscerò alcun eretico o che sia sospetto d'eresia lo denonziarò a questo S. Offizio, o vero all'Inquisitore o ordinario del luogo, dove mi trovarò.
Giuro anco e prometto d'adempiere e osservare intieramente tutte le penitenze che mi sono state o mi saranno da questo S. Offizio imposte […] Io Galileo soddetto ho abiurato, giurato, promesso e mi sono obbligato come sopra […] In Roma nel convento della Minerva, questo dì 22 giugno 1633."



Spesso durante i processi lo strumento più utilizzato per portare il peccatore alla confessione dell'errore era la tortura. Rigorose norme ne fissavano durata, modalità e frequenza. Le dichiarazioni rese sotto tortura erano considerate nulle se non venivano confermate 24 ore dopo. I metodi più usati erano la garrocha, la toca e il potro . Nel primo caso la vittima veniva appesa per i polsi a una corda pendente dal soffitto che serviva per issare il corpo poi fatto ricadere di colpo. La Toca era invece più complicata: la vittima veniva immobilizzata su un telaio inclinato, costretta a spalancare la bocca nella quale veniva introdotto un panno che costringeva il torturato a inghiottire tutta l'acqua che veniva versata lentamente. Infine c'era il potro, il sistema più utilizzato a partire dal XVI secolo che consisteva nel legare il peccatore a un cavalletto con canapi che si avvolgevano intorno al corpo e alle estremità. Accorciando la lunghezza delle corde il carnefice le faceva penetrare nel corpo del torturato.
Le migliaia di persone, si parla di 150.000, che furono chiamate a rendere conto in molti casi di una vita "normale" inquisita a volte perché i funzionari potessero dimostrare zelo e attaccamento al lavoro senza però che ce ne fosse neanche il pretesto, appartenevano al movimento dei catari, a quello valdese, oppure erano ebrei, musulmani, marranos, cioè ebrei e mussulmani convertiti, o ancora protestanti e templari. Se non rientravano in nessuno di questi gruppi potevano essere streghe o semplicemente individui dalle "strane" convinzioni non coincidenti con quelle ecclesiastiche, come Giordano Bruno, filosofo arso sul rogo a Roma nell'anno 1600, Gioachino da Fiore teologo e filosofo le cui idee vennero condannate dal Concilio lateranense nel 1215, Arnaldo da Brescia canonico e riformatore religioso impiccato e arso come eretico a Roma nel 1155, Copernico che sostenendo che la terra gira intorno al sole vide la sua opera messa all'indice nel 1616, il già ricordato Galileo Galilei accusato di avere sostenuto le tesi copernicane e costretto ad abiurare, e poi ancora Giovanna D'Arco messa al rogo nel 1431 con l'accusa di essere eretica recidiva, apostata e idolatra.

In modo del tutto indicativo e assolutamente casuale nella scelta degli esempi, questa breve lista dà però un'idea di quanto profondamente l'Inquisizione seppe condizionare la crescita del pensiero impedendo quella libertà d'espressione fonte del progresso della società civile.
Le vicende di questi uomini e donne vittime della Santa Inquisizione non sembra poter acquisire un senso preciso. Pur invocando un vago rispetto del dogma cristiano si rimane senza risposte di fronte ad un così diffuso uso della violenza, ad una così spietata quanto gratuita umiliazione del pensiero umano.

Dopo la decadenza della Santa Inquisizione iniziata nel XVIII secolo ed in conseguenza all'apertura degli archivi del tribunale avvenuta negli anni '20 dell'800 sono comparsi una messe di studi che hanno fatto chiarezza sulle vicende oscure legate all'organismo nato nel medioevo e sono riuscite a spiegare motivandole, alcune delle condanne e delle azioni più eclatanti.
La parte che sembra ancora avvolta dal mistero, ma che forse non potrà mai trovare un suo perché, data la stessa assurdità che la caratterizza è l'inquisizione delle streghe. Tra i tanti episodi che fanno parte di questa storia si è scelto di raccontarne uno in particolare che per la quantità di documenti ritrovati si presta ad una ricostruzione precisa. Ha poi particolare senso, quando si parla di persecuzione delle streghe, fare riferimento a casi particolari evitando di abbandonarsi così ad una caratterizzazione generica che toglierebbe all'argomento il sapore intenso dei suoi particolari.

La caccia alle streghe attuata, con spietata intensità, soprattutto tra i secoli XVI e XVII è stata letta dalla storiografia come uno scontro culturale tra il mondo colto rappresentato dalla chiesa e il mondo popolare identificato nelle pratiche magico-tradizionali. Spinta da un rinnovato spirito di evangelizzazione, la chiesa mosse sistematicamente guerra, dal '500 in avanti, a superstizioni, vecchie credenze, riti post-pagani facenti parte della cultura folklorica e pratiche magiche.
Gli storici che hanno tentato di fare una stima numerica delle vittime delle accuse di stregoneria si sono sempre fermati di fronte alla mancanza delle fonti cioè alla mancanza dei verbali dei processi. Nei rari casi in cui si può disporre di queste carte si rimane sconvolti dalla loro durezza e drammaticità e dalla capacità in essi insita di trasmettere un vivido spaccato del mondo delle streghe e della sua persecuzione.

È quanto accade con il Corpus di carte riguardanti i processi eseguiti nella valle di Poschiavo, una valle della Svizzera italiana. L'insieme di questi documenti unici per quantità e coerenza interna permette di studiare, attraverso l'analisi dei rescritti di 65 processi, le caratteristiche di una caccia alle streghe che in questo luogo assume caratteristiche diverse da tutti gli altri episodi che fanno parte della stessa vicenda.
Non emerge infatti, in questo caso particolare, quella cesura tra mondo colto degli inquisitori e mondo popolare degli inquisiti che invece sotto forma di scontro aperto è la base di ogni processo di stregoneria. In questa valle delle Alpi Retiche non si riscontra un nucleo di credenze pagane o precristiane conviventi con quelle della religione ufficiale. Solo alcune imputate ammettevano di usare scongiuri o antiche parole magiche che pareva potessero aiutarle a fronteggiare una vita sempre al limite della sussistenza.

Nella maggioranza dei casi però le imputate erano povere donne, come povera era la buona parte della popolazione, accusate più che per pratiche o comportamenti sospetti, per futili motivi che possono essere ricondotti alla difficoltà di un vivere sociale nel quale rancori, battibecchi, invidie e liti, che spesso animavano i rapporti di vicinato, diventavano le reali cause che portavano all'accusa.
Oltretutto, in quegli stessi anni la Valtellina era stata pesantemente colpita dalla peste che aveva reso, se possibile, ancora più fragile l'economia della zona. Considerando tutte le varianti endogene, nell'accusa di stregoneria si possono vedere riflesse tutte quelle paure e quelle angosce da sempre caratteri del mondo contadino, "che da se rivelavano i punti deboli di quella economia, creando un rapporto di causa-effetto tra le presunte streghe con le loro pratiche che "agivano" e le disgrazie della vita che diventavano il risultato del loro agire; dall'altra, l'accusa sconvolgeva i rapporti sociali e familiari di chi era accusato […] incrinando equilibri e generando reazioni a catena".

Motivo cardine della persecuzione delle streghe erano i loro ritrovi notturni: i sabba, come venivano chiamati. Secondo i persecutori, durante queste adunanze presiedute dal diavolo, si svolgevano riti che parodiavano in modo blasfemo la liturgia cristiana, cui si aggiungevano unioni bestiali, orge collettive, balli, banchetti e sacrifici umani. Anche le presunte streghe di Poschiavo avevano le loro riunioni sataniche. A questi incontri, che si svolgevano quasi sempre di giovedì, mancava però, quella ritualità blasfema tipica di queste riunioni. Le donne della valle si incontravano per ballare e divertirsi non compivano riti di nessun genere, anche se dalle testimonianze rese durante i processi sembra che il diavolo fosse presente, pur con sembianze del tutto normali e non mostruose.

Le donne interrogate dicevano che satana aveva le sembianze di un uomo di mezza età o di un giovane ragazzo. Più raramente veniva descritto come un animale, anche se non è da escludere che le sue repellenti malformazioni fossero più il frutto delle fantasie morbose degli inquisitori che non delle imputate, come si rileva dal processo a Orsola Lardo, durante il quale la descrizione si delinea, a poco a poco, sotto l'insinuante interrogatorio dei giudici che le chiedono (le parole dell'imputata vengono lasciate nel dialetto del luogo): "Era come un homo?"
e l'imputata risponde:
"Al pareva alli vestimenti, ma l'era il demonio"
e ancora:
"Come era in faccia?"
"Al'era un brut lavor [= cosa], era negro in facia".
"haveva barba, et capelli in testa?".
"L'aveva una brutta barbascia, et in testa l'era come motto [= calvo]".
"Haveva corni in testa?".
"Signor no ma l'haveva come dei cap [= corna]".
"Haveva mani come homo?".
"Signor no che l'haveva come due griffe [= artigli]".
"E li piedi come li haveva?".
"Li haveva come quelli di un bosc [= caprone]".
"Et nella vitta come era, et come lo cognoscevate?".
"Mi nol sei l'era un soz lavor".

Altre donne raccontano anche di avere avuto con il diavolo rapporti sessuali...
... ma il tutto si limita a qualche descrizione che comunque sia non muta il carattere modesto di questi incontri che di satanico non avevano granché. Durante il loro svolgimento non vi erano riti parodistici del culto cristiano, né un uso blasfemo degli oggetti sacri, né riti sacrificali di nessun genere. In conclusione i ritrovi di Poschiavo sembrano essere state semplici e allegre feste che dato il clima di censura morale venivano volutamente visti come la realizzazione di riti satanici.
Tutt'al più, gli incontri di queste donne, peraltro quasi tutte provenienti dalle stesse famiglie e dalle stesse contrade, il che indica una limitata pubblicizzazione dei ritrovi stessi, potevano essere visti come una compensazione delle privazioni materiali a cui erano sottoposte ogni giorno. La conoscenza delle erbe, che in alcuni casi potevano provocare lievi allucinazioni, le aiutava così a straniarsi da una realtà spesso troppo dura.

Questi innocui tentativi di evasione venivano invece scambiati per pratiche di magia nera che facevano paura soprattutto per il loro impatto sulla società e non per la sfida religiosa che essi ponevano. Ciò di cui ci si preoccupava maggiormente era la loro capacità di recare danno a tutta la società attraverso la distruzione dei raccolti che poteva essere ottenuta facendo grandinare, piovere, tempestare, facendo franare il terreno. Era così che queste donne venivano ritenute capaci di sovvertire e distruggere un'esistenza quotidiana difficile, dalla quale esse cercavano di sottrarsi con metodi del tutto innocui, ma capaci di rendere insicuri e sospettosi uomini e donne attaccati alla consuetudine, prime che alla religione, e spaventati dalla loro stessa ignoranza.
Ilaria Tremolada
BIBLIOGRAFIA
Il martirio delle streghe, di Tiziana mazzali, Xenia edizioni, Milano, 1988
Il giudice e l'eretico, di John Tedeschi, Vita e Pensiero, Milano, 1997
L'inquisizione, di Ricardo Garcia Cárcel, Fenice 2000, Milano, 1994
Domenico Scandella detto Menocchio, a cura di Andrea Del Col, Edizioni biblioteca dell'immagine, Pordenone, 1990
Il manuale dell'inquisitore, a cura di Louis Sala-Molins, Fanucci, Roma, 2000
Storia generale dell'Inquisizione corredata da rarissimi documenti, di Pietro Tamburini, Bastogi, Foggia, 1998
Giordano Bruno: tra magia e avventure, tra lotte e sortilegi la storia appassionata di un uomo che, ritenuto mago dai contemporanei, fu condannato per eresie dall'Inquisizione e arso vivo sul rogo, di Gabriele La Porta, Newton Compton, Roma, 1988
L'Avvocato delle streghe: stregoneria basca e Inquisizione spagnola, di Gustav Henningsen, garzanti, Milano, 1990
Ringrazio per l'articolo sopra
concessomi gratuitamente
dal direttore di Storia in net. Gianola

FINE

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