IL MERCANTE MEDIOEVALE 

 

nel Cristianesimo, nell’islam, nell'Ebraismo  

 

 

 Giovanni De Sio Cesari

( www.giovannidesio.it )

 

Sommario: La figura del mercante Nel Cristianesimo  Nell'islam  Nell'ebraismo

 

La figura del mercante

 

Nel Medio Evo la figura del mercante fu una delle più importanti e significative. Essa pero assunse diversa connotazione etica e religiosa nel mondo cristiano, in  quello islamico e nell'ebraismo

Nel mondo cristiano il mercante  è visto sempre con sospetto dal punto di vista etico: non viene propriamente condannato ma la sua figura mal si accorda  con gli ideali etici e religiosi. Nell'Islam invece il mercante assume un diversa considerazione: non vi è alcuna riserva  o preclusione nei suoi riguardi, anzi diventa una personaggio centrale  della vita  sociale e politica, con grande prestigio anche morale.  Nell'ambito ebraico invece assistiamo  quasi a una identificazione del  mercante con la unica figura di rilievo

 In questo  lavoro esamineremo le motivazione filosofiche e religiose che portano a tali diverse valutazioni

 

Il mercante nel cristianesimo

 

Nella cultura europea, in linea generale, la figura del mercante è considerata meno prestigiosa di quella del proprietario terriero. Il concetto si trova gia in Roma nella quale l’ordine senatoriale (formato da proprietari terrieri) era considerato superiore a quello equestre (di quelli che si occupavano di  traffici e commerci) ed era anzi vietato ai senatori occuparsi di affari   Ma la figura del mercante viene  dequalificata  propriamente  nel medioevo cristiano.

 Gia nei vangeli vi  è, se non condanna, almeno una certa repulsione verso la ricchezza.  Il cristiano non deve avere eccessiva preoccupazione per i beni di sussistenza  ma confidare soprattutto in Dio:

 


 Perciò vi dico: non siate in ansia per la vostra vita, di che cosa mangerete o di che cosa berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. ...
 Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre. Non valete voi molto più di loro?....

E perché siete così ansiosi per il vestire? Osservate come crescono i gigli della campagna: essi non faticano e non filano; eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro.


Matteo 6:25-29

 

Il ricco non è propriamente visto con benevolenza che  è invece riservata  agli afflitti e ai sofferenti :

 

 Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione...
Luca 6:24

 

 E soprattutto la ricchezza è vista come un ostacolo sulla via della perfezione:

 


Mentre Gesù usciva per la via, un tale accorse e, inginocchiatosi davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?»
 Gesù gli disse:...Tu sai i comandamenti: "Non uccidere; non commettere adulterio; non rubare; non dire falsa testimonianza; non frodare nessuno; onora tuo padre e tua madre"».
Ed egli rispose: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia gioventù».
 Gesù, guardatolo, l'amò e gli disse: «Una cosa ti manca! Va', vendi tutto ciò che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi».
Ma egli, rattristato da quella parola, se ne andò dolente, perché aveva molti beni.

Marco 10:18-22

 

 Da qui la conclusione di Gesù  con il famoso paragone del cammello :

 

 
Gesù, guardatosi attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto difficilmente coloro che hanno delle ricchezze entreranno nel regno di Dio!»
I discepoli si stupirono di queste sue parole. E Gesù replicò loro: «Figlioli, quanto è difficile per quelli che confidano nelle ricchezze entrare nel regno di Dio!
 È più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio».

Marco 23-25

 
In seguito  nel cristianesimo, in linea generale,  la povertà fu considerato uno stato eticamente preferibile alla ricchezza : non è vietato propriamente al cristiano possedere ricchezze ma se vuole veramente percorrere il cammino della santità è preferibile che si spogli di essa. I monaci non possono possedere nulla. almeno personalmente  (anche se i  monasteri spesso sono ricchissimi). Tutti i riformatori  religiosi  insistono sulla condanna  della ricchezza.  Non a caso i francescani abbracciano soprattutto "sorella povertà".

In questo contesto il lavoro eticamente accettato era quello dei campi mentre veniva respinto quello del mercante.

Il lavoro, o meglio, la fatica  nei campi era vista come penitenza o come espiazione dei propri peccati: la mano dell’uomo semina e Dio si compiace quindi di benedire il suo lavoro facendo crescere   frutti e messi : la carestia è segno che l’uomo  ha troppo peccato e Dio non lo ha ancora perdonato. l’abbondanza è  pegno della benevolenza divina.

 Il concetto benedettino  “ora et labora” non contrappone la preghiere e il lavoro: vi è continuità fra le due attività perchè anche il lavoro è un ringraziamento, una preghiera a Dio: ma si intende il lavoro dei campi non certo la mercatura che anzi è severamente interdetta ai religiosi ai quali viene comminata la scomunica per “baratteria” ,

 La figura del mercante viene vista sempre almeno con  sospetto quando non è addirittura chiaramente ed esplicitamente condannata.

 Il mercante   infatti è colui il quale cerca la ricchezza, è quindi  avido e  avaro, tendente inevitabilmente all’inganno e al raggiro. Non chiede a Dio attraverso la natura il suo sostentamento:  se lo procura da solo togliendo i frutti agli altri uomini.

 Si aggiunga poi che nel Medio Evo il commercio verteva su beni di lusso, superflui e in contrasto  a una esistenza semplice e virtuosa. Anche se non mancava, ad esempio, il commercio di granaglie, infatti la difficoltà dei trasporti, l’insicurezza  generale rendeva conveniente trattare soprattutto beni di lusso molto costosi: panni pregiati, le spezie, la seta, l’ artigianato artistico, tutte cose  che il pio e il virtuoso disprezzava .

E così Dante nel  paradiso condanna la avidità dei mercanti che porta a lussi che corrompono la vita semplice e virtuosa, che  toglie gli uomini alla cura della propria famiglia esponendo i coniugi alle gravi tentazioni dell'adulterio :

 


Fiorenza dentro da la cerchia antica,
ond'ella toglie ancora e terza e nona,
si stava in pace, sobria e pudica.

  Non avea catenella, non corona,
non gonne contigiate, non cintura
che fosse a veder più che la persona.

  Non faceva, nascendo, ancor paura
la figlia al padre, che 'l tempo e la dote
non fuggien quinci e quindi la misura.

  Non avea case di famiglia vòte;
non v'era giunto ancor Sardanapalo
a mostrar ciò che 'n camera si puote.
...
  e vidi quel d'i Nerli e quel del Vecchio
esser contenti a la pelle scoperta,
e le sue donne al fuso e al pennecchio.

  Oh fortunate! ciascuna era certa
de la sua sepultura, e ancor nulla
era per Francia nel letto diserta.

 ....
  A così riposato, a così bello
viver di cittadini, a così fida
cittadinanza, a così dolce ostello,

Paradiso  canto XV

 

il Decamerone del Boccaccio può essere considerato,  come mostra  il massimo  critico, il Branca, il poema del mercante: esso entra pertanto in conflitto insanabile con le  virtù etiche e religiose. In verità Boccaccio non nega certo la fede, anzi continuamente la richiama nel Decamerone ma lo spirito del mercante (la furbizia, lo strattagemma)  al quale è improntata la sua opera viene in contrasto  irrimediabile con la  semplicità richiesta al cristiano.

Tutto ciò porta a vedere nel mercante una figura in negativo; anche se in molti epoche e in molti luoghi il mercante assume  grande importanza e considerazione sociale e spesso anche la direzione dello Stato (si pensi per esempio alla Firenze  delle corporazioni  o alle repubbliche marinare ) tuttavia il vero “signore”, il vero nobile è il proprietario terriero che non lavora i campi ma che, comunque, dai  campi trae la sua forza.  E infatti i mercanti appena hanno raggiunto un certo livello di vita abbandonano la mercatura per diventare proprietari terrieri, acquistano ville in campagna  e palazzi in città .

Si dice comunemente che i grandi palazzi che si affacciano  sul Canal Grande a Venezia siano il segno della grandezza di quella repubblica. In realtà storicamente  è il contrario: sono i segni della decadenza. Infatti i mercanti veneziani quando raggiungevano un  grado che essi ritenevano sufficiente di ricchezza smettevano di commerciare, compravano latifondi,  si costruivano ville splendide e soprattutto erigevano grandi e sontuosi palazzi. Praticamente smettevano di creare ricchezze  e si limitavano a sfruttare il lavoro dei contadini iniziando cosi la parabola della decadenza. Il fatto non riguarda solo Venezia ovviamente, ma un pò tutte le grandi città rinascimentali. Cosi i nostri avi ci hanno lasciato un grande patrimonio  artistico e una notevole povertà.

Il Manzoni, nei Promessi Sposi, nel raccontare i natali di Fra Cristoforo mostra quando fosse ancora una grave vergogna per l’Italia del 600 essere di origine mercantile. Solo dopo la rivoluzione industriale il mercante divenuto imprenditore assume un ruolo diverso e prestigioso: anche tuttora per altro non manca  diffidenza  non verso l’imprenditore   in quanto tale ma verso il ricco. Ma questo è altro discorso

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IL MERCANTE NELL’ISLAM

 

Non vi è nell’Islam  rigetto verso la ricchezza  come nel cristianesimo. L’islam infatti non predica come supremo momento religioso la ascesi. Vero è che essa è messa in risalto dai Sufi, dai  Dervisci ma essi sono considerati "deviati" ( in pratica  eretici ) dall’islam nel suo complesso che se ne tiene lontano considerandoli  di derivazione cristiana. L’islamico ortodosso  non ritiene di poter attingere una comunione con  Dio  nè in questa nè nell’altra vita : il paradiso islamico è un luogo di delizia allietato da conviti e da uri ( fanciulle) dai grandi occhi, non è confusione impossibile con Dio.

 Il compito dell’uomo quindi non è un unione  mistica con Dio ma l’operare secondo la Shari'ah ( via mostrata da Dio) cioè secondo i suoi precetti. Da questo punto di vista la ricchezza non è condannata, non è ostacolo alla elevazione spirituale ma un fatto assolutamente lecito e anzi vista come una benedizione di Dio. Ciò che viene condannato non è la ricchezza ma la avarizia cioè il non far partecipi gli altri delle propria ricchezza. Infatti l’islam prescrive fra i doveri fondamentali  ( uno dei cinque) la elemosina per i poveri e naturalmente più si è ricchi più l’aiuto fraterno  nell’ambito della Umma (comunità dei fedeli) sarà consistente. L'elemosina codificata viene definita zakât, che significa propriamente “probità” o “purità "  distinta dalla  quella volontaria, privata detta  detta sadaqa:

 


L’etimologia del termine zakât suggerisce che la funzione dell’elemosina è originariamente quella di purificare chi la pratica mediante un sano distacco dai beni terreni, il cui autentico proprietario resta soltanto Iddio. Pur non essendo incline a eccessive rinunce e privazioni, né a disprezzare le cose di questo mondo, l’Islàm condanna lo smodato attaccamento alle ricchezze. Si tratta di un dovere religioso ma anche sociale, dovuto però soltanto da quanti sono in grado di farvi fronte.

 

Silvia Introvigne L'elemosina secondo l'islam

 

 

 Notevole pure notare che la  Zikkat poteva esser pagata, oltre che in danaro e frutti della terra, anche in mercanzie  destinate al commercio. 

 

Anche nel diritto successorio vige il principio della solidarietà. Nel diritto europeo infatti i discendenti  escludono dalla linea successoria i collaterali e altri parenti: la sostanza dei genitori spetta tutta ai figli e anzi nel mondo feudale vi era la tendenza che tutta la proprietà ricadesse per intera  sul primo figlio maschio  escludendo anche fratelli e sorelle  per non spezzettare il feudo. Nel diritto mussulmano  invece la eredità viene distribuita più ampiamente a tutti i membri della famiglia secondo complicati calcoli la cui base si trova nel Cirano stesso.

Ad esempio_:

 


Ecco quello che Allah vi ordina a proposito dei vostri figli: al maschio la parte di due femmine. Se ci sono solo femmine e sono più di due, a loro [spettano] i due terzi dell'eredità, e se è una figlia sola, [ha diritto al] la metà. Ai genitori [del defunto] tocca un sesto, se [egli] ha lasciato un figlio. Se non ci sono figli e i genitori [sono gli unici] eredi, alla madre tocca un terzo. Se ci sono fratelli, la madre avrà un sesto dopo [l'esecuzione de]i legati e [il pagamento de]i debiti. Voi non sapete se sono i vostri ascendenti e i vostri discendenti ad esservi di maggior beneficio. Questo è il decreto di Allah. In verità Allah è saggio, sapiente.

A voi spetta la metà di quello che lasciano le vostre spose, se esse non hanno figli. Se li hanno, vi spetta un quarto di quello che lasciano, dopo aver dato seguito al testamento e [pagato] i debiti. E a loro spetterà un quarto di quello che lasciate, se non avete figli. Se invece ne avete, avranno un ottavo di quello che lasciate, dopo aver dato seguito al testamento e pagato i debiti. Se un uomo o una donna non hanno eredi, né ascendenti né discendenti, ma hanno un fratello o una sorella, a ciascuno di loro toccherà un sesto, mentre se sono più di due divideranno un terzo, dopo aver dato seguito al testamento e [pagato] i debiti senza far torto [a nessuno]. Questo è il comando di Allah. Allah è sapiente,

An-Nisâ'(Le Donne ) 11-13

 

 

 

In questa concezione quindi è estranea la diffidenza   propria del cristianesimo verso il mercante che  accumula ricchezza.

 

Il Corano pone chiaramente la differenza fra usura (proibita ) e commercio ammesso e anzi onorato

 


(quelli che ) ..di notte, in segreto o apertamente, danno dei loro beni, avranno la ricompensa presso il loro Signore, non avranno nulla da temere e non saranno afflitti. Coloro invece che si nutrono di usura resusciteranno come chi sia stato toccato da Satana. E questo perché dicono: "Il commercio è come la usura!". Ma Allah ha permesso il commercio e ha proibito l' usura.

Al-Baqara (La Giovenca)

 

 e inoltre :

 

 in  verità coloro che recitano il Libro di Allah, assolvono all'orazione e segretamente e in pubblico danno di ciò che abbiamo loro concesso, sperano in un commercio imperituro:   che Allah li compensi pienamente e aggiunga della Sua Grazia....

ll Creatore

 

 Lo stesso Muhammed inoltre vive e partecipa a  un ambiente mercantile. Anzi  ai suoi viaggi commerciali si deve la sua conoscenza delle sacre scritture ebraico cristiane.

 Le prime lotte poi dell'slam hanno un carattere commerciale .

 La battaglia di Sadr, la prima e emblematica battaglia dell ‘ islam,  resa nota attualmente  dal richiamo che gruppi estremisti fanno continuamente ad essa, è in realtà una battaglia di mercanti

Nel 634, 3° anno dell’Egira, presso i pozzi di Sadr, circa  300 mussulmani affrontarono quasi mille soldati provenienti dalla Mecca che avevano avuto il compito  di proteggere una carovana. I seguaci di Maometto rimasero vincitori. Si trattò di un piccolo scontro ma nella storia dell’Islam ebbe una grande importanza e si parlò anche di visioni di Maometto, di intervento di angeli, di atti eccezionali di eroismo: è considerata comunque la prima battaglia del jihad ed è significativo che l'oggetto fosse proprio una carovana di mercanti : nulla del genere sarebbe concepibile nell’ambito cristiano e certamente  angeli e santi non si sarebbero mossi per proteggere delle mercanzie.

 Dal Corano poi viene ricavata a serie di leggi  spesso specifiche che riguardano il commercio, una specie di di diritto commerciale ancora  almeno in linea di principio  vigente in quanto parte della Shari’ah. Esiste anche una teorizzazione della conduzione della finanza secondo leggi islamiche. Ad esempio:

 

 

L’Islam incoraggia i musulmani a investire il loro denaro e a diventare soci tra loro dividendo i rischi e i profitti dell’attività commerciale piuttosto che diventare creditori. Come stabilito nella Shari'ah, ovvero la legge islamica, la finanza islamica si fonda sulla credenza che colui che fornisce il capitale e colui che lo utilizza dovrebbero spartire in ugual misura i rischi delle imprese commerciali, sia che si tratti di fabbriche, aziende agricole, compagnie di servizi o semplici attività commerciali. Tradotto in termini bancari, il depositante, la banca e il debitore dovrebbero tutti dividere i rischi e i guadagni derivanti dal finanziamento di imprese commerciali. Questo è differente dal sistema bancario commerciale basato sugli interessi, dove tutta la pressione è sul debitore: il debitore deve restituire il suo prestito, insieme all’interesse concordato, indipendentemente dal successo o dal fallimento della sua impresa commerciale. Ciò che emerge da quanto detto è che l’Islam incoraggia gli investimenti affinché la comunità possa trarne beneficio. Tuttavia, l’Islam non desidera lasciare scappatoie per chi non vuole investire e correre rischi, ma preferisce piuttosto ammassare denaro o depositarlo in una banca in cambio di un aumento di questi fondi senza alcun rischio (tranne quello che la banca possa diventare insolvente). Di conseguenza, in base all’Islam, le persone devono investire correndo dei rischi oppure devono subire le perdite economiche determinate dalla svalutazione del denaro per l’inflazione derivante dal mantenere i loro fondi inattivi. L’Islam incoraggia il principio “maggiori rischi, maggiori guadagni” e lo promuove sbarrando tutte le altre strade disponili agli investitori. Lo scopo è fornire uno stimolo all’economia e spingere gli imprenditori a massimizzare i loro sforzi tramite investimenti ad alto rischio.

 

da : Nida’ul Islam, novembre-dicembre 1995

 

Nel mondo mussulmano la figura del mercante assume una funzione, un ruolo fondamentale tanto che possiamo identificare nel mercante la figura signorile elevata corrispondente al proprietario terriero europeo.

 I racconti arabi, le novelle infatti pongono quasi sempre al centro la figura del ricco mercante

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 IL MERCANTE EBREO

 

Nelle scritture ebraiche vi sono pochi accenni al commercio : il popolo ebraico era infatti formato  di pastori e poi di contadini: il commercio, almeno quello più importante, era una prerogativa  dei loro vicini nemici, i Fenici. Eppure nel corso del tempo è avvenuto che la figura stessa dell’ebreo venisse indissolubilmente  collegata a quella del mercante, l’ebreo nel Medio Evo era  “il mercante” per antonomasia. Complessi motivi spiegano un tale processo di  identificazione.

Nel Medio Evo gli ebrei conservarono la loro identità culturale e religiosa ma non una terra propria. Poichè sia nel mondo cristiano  che in quello islamico il credo religioso era identificativo di un popolo (il laicismo è cosa moderna)  l’ebreo veniva ad assumere il ruolo dello “straniero.” Non contava da quanto tempo vivesse in un certo territorio: a Roma vi erano comunità ebraiche prima ancora che sorgesse il cristianesimo, in Mesopotamia addirittura dai tempi della deportazione dei Babilonesi: poichè non erano cristiani o mussulmani erano comunque stranieri, e per questo potevano essere espulsi, come avvenne spesso, dalla Francia e dall’Inghilterra e poi dalla Spagna e dalla Germania. Persino nelle ultime persecuzioni antisemitiche troviamo lo stesso concetto: in Italia durante le leggi razziali la competenza sugli ebrei veniva demandato al ministeri degli esteri come se si trattasse di stranieri

La loro situazione giuridica era simile sia nell’Islam che nell’Europa cristiana. Si trattava di persone che erano "protette" dal potere politico: potevano cioè abitare in una terra non loro (perchè era cristiana o mussulmana)  solo con il beneplacito della autorità che poteva esigere  anche una contropartita in danaro. Nel modo islamico si trattava della   tassa che pagavano anche i cristiani  ( gizyàh”)  mentre nel mondo cristiano non vi era  nulla di prescritto legalmente ma spesso i principi imponevano del tutto arbitrariamente tributi e taglie.  In genere si dice che nel mondo islamico la loro posizione fosse migliore: in effetti anche nel mondo islamico non mancarono persecuzioni e massacri indiscriminati .

Tuttavia proprio  per costituzione politica i mussulmani erano più tolleranti in fatto di religione: essi infatti avevano conquistato  territori prima tutti cristiani , non imposero mai con la forza il credo islamico  e quindi era nelle loro leggi e precetto proprio del Corano stesso  il rispetto della "popoli del libro" cioè di cristiani ed ebrei. Tuttavia giuridicamente  la posizione degli ebrei era simile sia nel mondo mussulmano che in quello cristiano

 Dalla condizione legale di stranieri  nasceva la impossibilità per gli ebrei  di possedere la terra. Noi moderni pensiamo infatti alla terra come a una proprietà qualsiasi: ma questa concezione è un fatto moderno, effetto delle rivoluzione borghese e moderna. Nel Medio Evo come nell’antichità la vendita della terra non era una semplice transazione commerciale. L’acquisto della terra avveniva per eredita, per assegnazione  da parte dello stato,  per usucapione pure, ma difficilmente per semplice vendita. In particolare poi nell’Europa medioevale il sistema  feudale  dava ai possessori della terra anche un potere politico.

Impensabile quindi che la terra potesse essere posseduta da stranieri quali apparivano  appunto gli ebrei. La ricchezza fondamentale  quindi era preclusa agli ebrei. Spesso anche altre possibilità erano escluse: nell’Europa comunale le corporazioni  monopolizzavano anche l’artigianato ed essendo esse  a carattere religioso escludevano naturalmente  gli ebrei. Anche cariche dello Stato,  uffici pubblici erano preclusi: gli ebrei potevano infatti anche essere consiglieri di principi  (e lo furono spesso presso i mussulmani) ma solo a titolo privato , non potevano essere insigniti di cariche ufficiali .

 Il campo rimasto libero era proprio quello   della mercatura. L’ebreo di  successo quindi non poteva che essere un mercante di successo poiche il successo in tutte  le altre attività  gli era precluso.

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 Prof. Giovanni De Sio Cesari

( www.giovannidesio.it )

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