MOSES MONTEFIORE

UN MOSE'
   DEL 1800
      CONTRO...

...IL MOSTRO 
ANTISEMITA

in rete vedi SULL'ANTISEMITISMO
e anche il portale dell'ebraismo in italia  http://www.morasha.it

Partì giovanissimo da Livorno per andare a cercare lavoro in Inghilterra.
Raggiunto il successo, conquistato il titolo di lord, dedicò tempo e denaro alla difesa del popolo ebreo, perseguitato in tutto il mondo

Un ritmico e angosciante esplodere di atroci slogans antisemiti, centinaia di volti contratti da un odio irrazionale dalle millenarie radici, l'ondeggiare sempre più minaccioso di una folla, progressivamente eccitata dai suoi stessi clamori, che assedia il Gran Hotel affacciato sulla vasta piazza di Bucarest. E' un torrido 29 agosto del 1867. Scostando le cortine di seta che riparano le finestre dell'albergo, sir Moses Montefiore osserva quella massa urlante. Sul volto patriarcale, reso solenne dalla folta barba bianca, si fondono tristezza e determinazione. 

Sir Montefiore, ottantrè anni, il Mosè del 1800 che da decenni percorre il mondo per accorrere là dove il suo popolo, il popolo ebreo, ha bisogno di essere difeso da persecuzioni, da ingiustizie, da incursioni sanguinarie, da spoliazioni, anche questa volta non riesce a difendersi dalla profonda tristezza che si impadronisce di lui quando si trova davanti ai violenti rituali con i quali s'invoca il sacrificio di una comunità ebraica nel ruolo del capro espiatorio dei mali del momento. Che possono essere il cattivo raccolto o le vessazioni di un signorotto o di un regime, una crisi economica o un'epidemia. Tuttavia sir Moses si sottrae alla trappola della tristezza, che spesso é inibizione all'azione, conscio che soltanto la determinazione, la capacità di reagire, il coraggio di resistere possono esorcizzare il delirio dell'antisemitismo che obnubila la mente di milioni di persone in molte parti della terra, dalla Santa Russia all'Islam, dagli Stati tedeschi alla cattolicissima Spagna, a questa Romania, nazione appena nata dalla fusione della Moldavia e della Valacchia, dove una crociata contro gli ebrei rimuove i profondi malumori esplosi dopo l'iniziale e difficile processo di democratizzazione che ha portato all'incameramento dei beni ecclesiastici, alla riforma agraria alla creazione di una seconda camera. Alcune ore prima sir Montefiore ha parlato con il nuovo principe della Romania, Carlo di Hohenzollern Sigmaringen, parente di Napoleone III di Francia da parte di madre. Gli ha rimproverato i risultati dell'ultima persecuzione nel centro di Jassy: ventimila famiglie ebree in pericolo di vita e circa trecento ridotte alla rovina.

Non può andarsene dal Paese senza aver parlato anche a quella massa in preda al demone di un'aggressività che nasce da primitive paure. Lentamente comincia a dischiudere i battenti della grande finestra. Dal basso lampeggia il riflesso metallico di un'arma da fuoco. Qualcuno del seguito tenta di rinchiudere. "La supplico sir Moses, la uccideranno". Ma il patriarca ha deciso. E qualche secondo dopo la sua biblica figura si staglia nel vano della finestra. E' un'immagine dalla quale si sprigiona una forza incoercibile ma anche una grande serenità. Quel vegliardo senza paura forse evoca nella mente di ognuno l'infantile desiderio, frustrato, di avere un padre severo ma non tiranno, giusto, tenero, e rassicurante. Il muro di odio e di urla si sgretola d'improvviso e sulla piazza scende un silenzio quasi chiesastico. La voce di sir Montefiore risuona alta: "Sparatemi pure se volete. Sono venuto qua in nome della giustizia e dell'umanità per sostenere la causa di innocenti che soffrono". 

Null'altro. Ma gli occhi del nuovo Mosè restano fissi per qualche minuto sulla folla. E lentamente la piazza si svuota. Uno dei capi della comunità ebraica di Bucarest, che già gli aveva sconsigliato il viaggio in Romania, ha le lacrime agli occhi a causa della tensione. Tremando lo prega di non commettere più imprudenze di quel genere. Sir Moses risponde con fermezza: "Mi faccia preparare una carrozza scoperta per cortesia". Per due ore, senza protezione alcuna, in compagnia del suo segretario, il dottor Loewe, percorre le strade principali e i sobborghi della città. Il giorno seguente egli riceve una lettera del principe Carlo che, pur contenendo una menzogna diplomatica sulla realtà verificata da Montefiore, dimostra che la missione non é stata del tutto inutile: "Gli israeliti sono oggetto di tutta la mia sollecitudine e di quella del mio Governo e sono lieto che siate venuto in Romania, per convincervi che la persecuzione, della quale la malevolenza ha fatto tanto chiasso, non esiste. Considererò sempre un onore far rispettare la libertà religiosa e sorveglierò sempre che siano rispettate le leggi che proteggono gli israeliti, come tutti gli altri rumeni, nelle loro persone e nei loro beni".

Da questo episodio (uno dei tanti che lo hanno visto protagonista nei luoghi della sofferenza ebraica e nei luoghi della speranza come Gerusalemme, che egli visitò sette volte) sia pur indicativo, esce soltanto in parte la grandiosità di questa figura che il popolo ebreo ha celebrato in tutto il mondo in occasione del bicentenario della nascita (1784) e nel centenario della morte (1885). Ripercorrendo le tappe della sua vita ci si rende conto essere legittimo l'accostamento di Montefiore all'archetipo di Mosè. Pur se il titolo di baronetto (conferitogli dalla regina Vittoria nel 1837) e una vita intera passata in Gran Bretagna come leale suddito possono trarre in inganno, il cognome non lascia dubbi: Moses Montefiore è figlio di italiani ed è nato in Italia, nella grande e operosa comunità ebraica di Livorno. Nei registri delle nascite custoditi negli archivi dell'università israelitica l'evento è così annotato: "9 Heshvan 5545 (24 ottobre 1784) a Joseph di Moise Haim e Raquel Montefiore nacque un figlio che chiamarono Moise Haim". In via Reale al 7, sulla casa poi demolita nel 1963, una lapide ricordava i suoi centouno anni di vita: "Sia perpetuo ricordo/ che ai 24 ottobre 1784 qui nacque/ sir Moses Montefiore/ in Siria in Russia al Marocco in Romania/ indefesso apostolo di tolleranza/ ad ogni sorta di sventure/ senza distinzione di gente e di fede/ largamente pietoso/ morto in Ramsgate ai 28 luglio 1885/ onorato dai potenti dai miseri benedetto". 

Oriunda di Pesaro e Ancona, la grande famiglia dei Montefiore si ramifica in direzione di varie città italiane. Alcuni membri si stabiliscono a Livorno. Da uno di questi nasce Moshe Haim, nel 1712. Dopo il matrimonio con Ester Racah (quella dei Racah era una nota e agiata famiglia livornese dalla quale discende il professor Giulio Racah, fisico di fama e discepolo di Enrico Fermi, che fu rettore dell'università ebraica di Gerusalemme) Moshe Haim lascia I'Italia e continua la sua attività in Gran Bretagna. Ma i rapporti d'affari con Livorno e con gli altri familiari rimasti in Italia continuano e le puntate verso la vecchia patria sono frequenti. E' durante uno di questi rientri che a Joseph, quarto dei diciassette figli di Moshe, nasce quel bambino che un giorno diventerà, con un tocco di spada della regina Vittoria, il primo baronetto di origine italiana. 

Il piccolo Moses passa alcuni mesi della sua vita nella città toscana. Poi il rientro in quella che sarà la sua nuova e definitiva patria d'elezione. Fatte le scuole elementari, conseguito un grado di istruzione medio nella scuola ebraica, entra nel mondo produttivo - affari e commercio, queste erano le sole attività aperte agli ebrei dell'ultimo Settecento - prima come apprendista poi come impiegato. A vent'anni Moses dimostra l'alto grado della sua intelligenza riuscendo a conquistarsi una licenza di agente di cambio alla Borsa di Londra, dove i posti disponibili per gli ebrei sono soltanto dodici, e ad affermarsi solidamente sul mercato e non soltanto su quello borsistico: businessman capace di grandi visioni ed estremamente attento al futuro di un secolo in rapida evoluzione, dedica molte delle sue energie a due imprese che i suoi contemporanei considerano pionieristiche, la "Imperial gas association" e la "Alliance insurance company" che guida con mano sicura fino al suo ultimo giorno di vita. 

La carriera di Moses Montefiore è trionfale, ma il futuro baronetto conosce anche l'acre sapore della sconfitta, dell'imprevedibile crac. Perde tutto il suo patrimonio e rimane schiacciato dai debiti. Tuttavia nel giro di due anni è di nuovo sul ring, paga tutti i creditori, recupera le perdite, riprende il suo posto nell'empireo dei big della finanza. La "Montefiore brothers" (in società c'è il fratello Abraham) è più forte ed apprezzata di prima. E' il 1824, Moses ha quarant'anni. Il giovane uomo d'affari ebreo ha raggiunto le vette del successo in una società che, pur essendo più liberale di altre, porta ancora nel suo bagaglio culturale e legislativo delle riserve antisemite. La vittoria di un uomo, l'affermazione delle sue qualità in un contesto difficile. Ma è una vittoria che Moses Montefiore, il quale sente profondamente la sua ebraicità, considera appartenente a quel popolo dal quale ha ereditato la vivacità e la duttilità mentale, la capacità di adattarsi alle situazioni più difficili (e spesso inumane) conservando la propria dignità, la forza di mantenere la personalità culturale ed etnica pur nella bimillenaria tempesta della diaspora.

E' nel terreno di questa concezione che ha radice la scelta di vita che sbalordisce amici, pubblico, la Londra dell'alta finanza: Moses Montefiore decide di ritirarsi dagli affari. D'ora in poi, aiutato dalla moglie Judith (figlia di Levi Barenth Cohen uno dei più ricchi ebrei inglesi dell'epoca, sposata nel 1812), egli dedicherà il suo tempo, la sua intelligenza, le sue energie, i suoi mezzi alle attività sociali e filantropiche ma soprattutto "a servire la causa dei suoi fratelli ebrei, a sostenerne i diritti nei vari Paesi e ad aiutarli in tutto quanto le sue forze gli consentono, a partecipare ad ogni genere di attività filantropiche destinate a lenire miserie di uomini di ogni credo e di ogni nazione" (Umberto Nahon ne "La provincia di Livorno" 1963-1964 in un saggio dedicato a sir Moses Montefiore, "Una vita al servizio dell'ebraismo"). Il giovane ex finanziere (che tuttavia, dopo aver intestato al fratello la licenza di agente di cambio alla borsa di Londra, conserva il controllo di alcune società e gestisce in modo redditizio il proprio robusto patrimonio) inizia la sua nuova attività con lo stesso slancio mentale e fisico che lo ha portato a raggiungere il successo nel difficile campo degli affari. 

L'esordio avviene nella stessa Londra, dove prendono corpo i problemi creati dalla legislazione che limita l'attività degli ebrei e li emargina in parte dalla vita politica. Riferendosi a quest'ultimo punto Nahon ricorda che "gli ebrei, invero, potevano essere eletti al Parlamento, ma fin quando non fu loro permesso di prestare giuramento soltanto sul Vecchio Testamento e fino a quando la formula del giuramento comprendeva le parole 'come vero cristiano' gli ebrei non potevano occupare il loro seggio alla Camera. Moses Montefiore e Nathan M. Rothschild (cognato di Moses : n.d.r.) furono a capo di non poche delegazioni che si recarono presso deputati, lords, ministri, per ottenere la possibilità per gli ebrei di far parte del parlamento" Nel 1883 la Camera dei Lords respinge la proposta di "annullare tutte le disuguaglianze civili concernenti i sudditi di Sua Maestà di religione ebraica".

Nel 1837 Moses Montefiore, al quale si associa sir George Carrel, non ebreo, si reca alla Camera dei Comuni latore di una petizione del Lord Major di Londra ma anche in questa occasione il veto della Camera Alta nega il riconoscimento dei diritti richiesti. Soltanto nel 1851, dopo una lunga serie di battaglie, il primo ebreo inglese occupa il suo seggio alla Camera dei Comuni: è Lionel de Rotschild, figlio di Nathan e di Anne Cohen, sorella della moglie di Montefiore. Nel 1885, un mese prima di morire, sir Moses avrà l'immensa soddisfazione di cogliere un altro grande frutto del suo lungo e tenace lavoro: il primogenito di Lionel de Rotschild, Nathaniel, viene nominato lord e diventa il primo lord ebreo. Nel 1840 accade a Damasco un episodio che vede la comunità ebraica bersaglio di un'accusa atroce e non insolita: quella di "omicidio rituale", E' in questa occasione che Montefiore esordisce con la serie delle sue brillanti missioni all'estero. 

Prima di dare una sintesi dell'episodio va precisato che l'accusa di omicidio rituale - vecchia di secoli e secoli e profondamente radicata nelle culture musulmane e cristiana - attribuisce agli ebrei la consuetudine di uccidere un cristiano per servirsi del suo sangue nella preparazione del pane azzimo (ossia il pane non lievitato) tradizionalmente consumato durante la Pasqua, in ricordo dell'esodo dall'Egitto. L'accusa - meglio usare il termine calunnia - è priva di fondamento e appare assurda a chiunque abbia conoscenza, sia pur vaga, dei riti ebraici. "Non mangerai il sangue perché nel sangue è l'anima" comanda la Bibbia in diversi passi ed è in base a questa precisa norma che sono state elaborate le istruzioni rituali per l'uccisione degli animali con jugulazione in modo che il sangue sgorghi completamente. Tuttavia questa orrenda calunnia - definita tale già nel 1248 da papa Innocenzo IV e in seguito da altri pontefici e sovrani - continua a perseguitare gli ebrei anche in pieno illuminismo e all'inizio dell'età industriale. 

Il caso di Damasco è esemplare. Dalla città sparisce in circostanze misteriose (rapito e ucciso per poter montare l'imputazione a carico degli odiati giudei?) il cappuccino padre Tommaso che da molti anni esercita anche la funzione di medico; con lui scompare anche il suo servitore Ibrahim. Scatta immediatamente l'accusa e la macchina persecutoria si mette in moto. Nel quartiere ebraico (6000 abitanti) vengono effettuati numerosi arresti di "sospetti", vengono demolite diverse case per cercare i cadaveri degli scomparsi, viene innescato il meccanismo dell'odio popolare e della spinta all'eccidio. Gli arrestati vengono atrocemente torturati. Due di essi muoiono. Un povero barbiere ebreo, dopo lunghe ore di tormenti che gli hanno dilaniato il corpo, esce quasi di senno, "confessa" e accusa dell'immaginario delitto alcuni capi della comunità ebraica. L'assurdo si raggiunge quando alle autorità si presenta un astrologo il quale sostiene che, tramite la sua "scienza", ha scoperto i colpevoli. E fa i nomi di sette ebrei fra i quali due appartengono alla più nota famiglia della Comunità, quella dei Farchi. Seguono gli arresti. Nel quadro di questo dramma perdono la vita quattro ebrei. Quasi nello stesso periodo un'accusa di omicidio rituale viene formulata anche a Rodi. 

Per mettere fine all'atroce vicenda e scongiurare l'inasprirsi di persecuzioni antisemite in Siria e in altri Paesi dell'impero ottomano, Moses Montefiore e Lionel de Rothschild si recano dal ministro degli Esteri lord Palmerston a chiedere l'intervento ufficiale del Foreign Office. Il ministro s'impegna a porre il problema al governatore d'Egitto Mohamed Alì e al sultano di Costantinopoli e con essi a cercarne la soluzione. Tuttavia Montefiore, che nel frattempo è diventato presidente del "Board of deputies of british jews" (Consiglio dei delegati degli ebrei inglesi), non dà molto affidamento alle promesse di Palmerston e preferisce agire in prima persona. Cosi l'ex finanziere, con un gruppo di collaboratori, fra i quali c'è anche un alto rappresentante della Comunità ebraica francese, e le migliori credenziali del Foreign Office, piomba sul luogo della tragedia e mette sotto assedio, con una fitta serie di incontri, richieste di garanzie, trattative, argomentazioni, sia il governatore d'Egitto (che praticamente è re) che il sultano di Costantinopoli. Con Mohamed Alì segna la prima vittoria. Quando questi è pronto a rilasciare i nove ebrei ancora in stato di arresto e scrive nel testo del decreto la parola "perdono", Montefiore si oppone duramente e pretende, ottenendola, che ad essa venga sostituita la formula "onorevole liberazione".

L'abilità diplomatica, la capacità di convincimento, la sottigliezza di argomentazioni di Moses piegano anche la resistenza del capo dell'impero ottomano, il sultano Abdul Mejid. Questi dichiara, nel "firmano" sottoscritto il 16 novembre 1840 e depositato negli archivi dell'Impero : "E' corrente un antico pregiudizio contro gli ebrei. Gli ignoranti credono che gli ebrei abbiano l'abitudine di sacrificare un essere umano per fare uso del sangue di esso nella loro festa di Pasqua. In conseguenza di questa credenza gli ebrei di Damasco e di Rodi sono stati perseguitati. I libri religiosi degli ebrei sono stati esaminati da dotte persone, ben versate nella loro letteratura teologica e il risultato di questo esame è stato che agli ebrei è severamente proibito di servirsi non solo di sangue umano ma perfino del sangue degli animali. Ne consegue pertanto che le accuse contro di loro altro non sono che pura calunnia... La nazione ebraica deve possedere gli stessi vantaggi e godere gli stessi privilegi che sono accordati alle altre numerose nazioni sottoposte alla nostra autorità. La nazione ebraica deve essere protetta e difesa". 

Dopo un'assenza di sette mesi Montefiore rientra in Inghilterra. Fra gli onori che gli vengono tributati, anche le congratulazioni della regina Vittoria, che lo riceve a Buckingham Palace. Nel 1863 un'altra notizia dal Marocco, dove l'antisemitismo è feroce e radicato come nella restante parte del mondo arabo: due giovani ebrei sono stati giustiziati senza processo e altri nove sono stati arrestati e tormentati in vario modo. Anche in questo caso mancanza totale di prove, accusa costruita sul preconcetto. Il fatto. José Montilla, recaudador (esattore), del viceconsole spagnolo a Saffi, una città del Marocco, muore inaspettatamente il 30 luglio, dopo tre giorni di forti dolori. Il diplomatico sospetta un avvelenamento e immediatamente le autorità locali arrestano il servitore di Montilla, Jacob Benyuda, un ragazzo di quindici anni che viene accusato di aver somministrato al padrone una pozione mortale in complicità con altri ebrei.

Bastonatura delle piante dei piedi, flagellazioni continue, schiacciamento in un apposito torchio, principio di impalamento... e il ragazzo "confessa", fa il nome di un altro giovane, Eliahou Lalouche. Immediatamente catturato - e con lui finiscono in carcere il padre, la madre e i fratelli - anche Lalouche subisce le stesse torture fino alla "confessione". Il 13 e il 14 settembre Lalouche e Benyuda vengono decapitati. Naturalmente, sotto la spinta emotiva scatenata dalla vicenda, le angherie della popolazione musulmana nei confronti della comunità ebraica aumentano notevolmente: pestaggi, danneggiamenti, insulti non si contano. Poiché la situazione minaccia di degenerare e di rendere ancor più difficile la condizione dei cinquecentomila ebrei che vivono in Marocco, Moses Montefiore decide ancora una volta di intervenire personalmente. Per prima cosa, accompagnato dai membri della sua missione, si ferma a Madrid per discutere del problema con la regina Isabella di Spagna, sull'aiuto della quale egli conta, considerata la grande influenza che la Spagna ha sul Marocco. Da Madrid a Tangeri dove le autorità marocchine e spagnole, messe alle strette dalle argomentazioni di sir Moses e dalle credenziali che egli ha ottenuto dal Foreign Office e dalla regina Isabella, si piegano alle richieste e liberano i nove ebrei ancora detenuti. Ma il capo della missione non è ancora soddisfatto. Egli vuole maggiori garanzie sulla sicurezza dei suoi correligionari marocchini, vuole che per essi venga garantito anche un miglioramento delle condizioni di vita. Per ottenere questo è necessario incontrare il sultano del Marocco, che vive nella capitale, Marrakesh. La città si trova a otto giorni di viaggio, un viaggio che il "Mosé del 1800" ormai ottuagenario, compie intrepidamente alla testa di una carovana di muli e cammelli sotto il sole bruciante e nelle notti gelide. 

Il primo giorno di febbraio del 1864 c'è l'udienza con il sovrano. Anche in questo caso la dialettica di Montefiore, (il quale peraltro non omette di ricordare agli interlocutori di essere non soltanto il rappresentante della comunità ebraica inglese ma anche il portavoce di un Paese che è una grande potenza militare ed economica) supera ogni resistenza, raggiunge l'obiettivo stabilito. Il 5 febbraio il sultano fa pervenire a sir Moses un "firmano" così concepito: "E' nostro comando che tutti gli ebrei residenti nei nostri dominii siano trattati in modo conforme alle ben equilibrate bilance della giustizia, che nei procedimenti davanti ai tribunali essi occupino una posizione di perfetta uguaglianza con tutti gli altri sudditi, che gli ebrei godano in avvenire maggiore sicurezza di quanto sia stato finora e che il timore di far loro torto sia grandemente aumentato". Durante il viaggio di ritorno Montefiore si ferma a Madrid e a Parigi per consegnare copia del "firmano" a Isabella di Spagna e all'imperatore di Francia Napoleone III. A Londra un altro trionfo e altro incontro con la regina Vittoria. Dalle comunità ebraiche dei vari Paesi del mondo, più di duemila messaggi di plauso e di ringraziamento.

Oltre a questi episodi, che abbiamo riportato per la loro indicatività, molti altri ne dovremmo ricordare ma sarebbe necessario lo spazio di un libro (e infatti un libro c'è, "Il centenario di Moses Montefiore", edito nel 1985 in Inghilterra da Sonia e Vivian Lipman per i tipi della Oxford University Press) per fare una cronaca sia pur contenuta della frenetica e intensa attività che questo ormai mitico personaggio svolge nell'arco di sessant'anni, dal 1824, quando si vota completamente alla sua missione, al 1885, anno della sua morte. Tuttavia è impossibile concludere questa breve storia senza ricordare che il suo protagonista è l'uomo che mette la prima pietra per trasformare in realtà il "grande sogno": la costruzione della nuova Gerusalemme (che sorge a accanto all'antica Città Santa) nella quale i figli di Israele ritorneranno per ricostruire la loro nazione. 

L'attrazione che la città degli avi esercita su Montefiore è profonda, una specie di "richiamo della foresta". Lo dimostra il fatto che egli - in tempi non molto adatti per i viaggi di questo tipo, visto che in mare s'incontravano ancora i pirati - fa ben sette pellegrinaggi, il primo nel 1827 e l'ultimo nel 1875 alla bella età di 91 anni. Ma le visite a Gerusalemme (dalla quale sir Moses resta incantato e dirà "Nessuna città al mondo ha una migliore posizione di Gerusalemme, né esiste un clima migliore") non sono soltanto mistiche. Durante il secondo soggiorno, nel 1838-39, studia attentamente la situazione degli ebrei sparsi nella città e occupati dispersivamente in mille piccole attività, promuove un censimento "dei figli di Israele viventi nella Terra Santa nell'anno 5599 (1839)".

Fatto il punto in chiave strettamente pragmatica, come si conviene a un abile businessman, Montefiore, d'accordo con i rabbini e i capi laici delle singole comunità locali, elabora un progetto preciso: "Se il mio piano riuscirà, sono certo che esso varrà ad apportare felicità e abbondanza nella Terra Santa. In primo luogo chiederò a Mohamed Alì una concessione di terreni per cinquant'anni; cento o duecento villaggi che gli rendano il dieci o il venti per cento più di ora... Ma il terreno e i villaggi dovranno essere liberi, per la durata della concessione, da ogni tassa e balzello al Pashà o al governatore dei vari distretti e devono avere la libertà di disporre dei prodotti in ogni angolo del mondo. Ottenuta questa concessione formerò, piaccia al Cielo, una compagnia per la coltivazione del suolo e per incoraggiare i nostri fratelli d'Europa a tornare in Palestina. Sono sicuro che essi saranno felici nel godimento dell'osservanza della nostra santa religione in un modo che è impossibile in Europa".

Il piano non può essere attuato a causa di inceppi provocati da alcuni cambiamenti della situazione politica egiziana. Tuttavia sir Moses riesce - nei viaggi successivi - a realizzare alcuni progetti significativi. Fondazione di una tessitura. Istituzione di una scuola femminile con indirizzo pratico: sartoria, ricamo, economia domestica erano le materie che venivano insegnate alle 114 allieve oltre alle normali materie scolastiche. Acquisto di un terreno presso Giaffa che viene coltivato ad aranceto, il primo aranceto ebraico in terra d'Israele. Ma fra tutte le realizzazioni la più importante per il mondo ebraico è quella che nel 1860-61 permette agli ebrei di Gerusalemme di andare ad abitare in un quartiere-villaggio, nuovo di zecca, costruito fuori dalle mura. Realizzando questo quartiere all'esterno della città vecchia sir Montefiore si propone di assicurare alcune abitazioni salubri agli ebrei di Gerusalemme e nello stesso tempo di incoraggiarli ad una vita più attiva e produttiva: il piccolo orto accanto alla casa è l'embrione di un lavoro agricolo, il mulino costruito nell'area del quartiere costituisce il punto di partenza di una piccola attività industriale. Il vecchio sir Moses, a cose fatte, guarda con soddisfazione il quartiere, le bianche casette fra le quali già giocano i bambini, ma non si rende conto del valore storico della sua opera. Egli non si rende conto di aver messo le prime pietre della nuova Gerusalemme, della città ora popolata da centinaia di migliaia di ebrei, della futura capitale dello Stato di Israele.

Ringraziamo per l'articolo
(concesso gratuitamente) 
il direttore di

in rete vedi SULL'ANTISEMITISMO
e anche il portale dell'ebraismo in italia  http://www.morasha.it

CONTINUA IN TABELLONE ISRAELE