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Cronologia della letteratura antica
"dalla Biblioteca
di Assurbanipal" alla "Biblioteca di Alessandria".
Inizialmente la scrittura era utilizzata solo per scopi contabili, per ricordare debiti, crediti, impegni.
Poi venne un giorno in cui l'uomo decise di scrivere per "tramandare". Per far sì che le sue conoscenze fossero trasmesse alle generazioni successive, per far sì che il suo sapere tornasse utile ai suoi discendenti. E siamo noi i beneficiari di queste preziose informazioni che l'uomo non ha voluto far svanire nel nulla. Siamo noi gli eredi di questo grande tesoro.
Decine di migliaia di tavolette mesopotamiche (in alfabeto cuneiforme sumero) ci raccontano credenze, paure, preghiere; in seguito migliaia di papiri egizi ci tramandano le gesta dei Faraoni, e migliaia di monumenti riportano nomi, date, formule... E tutto questo creare è il più prezioso dei patrimoni, la più preziosa delle eredità.
Ho pensato che riuscire a raccogliere tutte queste storie, questi racconti, queste informazioni, questi frammenti, possa essere di grande importanza per tutti noi, per meglio capire le nostre origini.
Cercherò di raccogliere in queste pagine tutto ciò che è stato scritto dai popoli mesopotamici, dagli egiziani, dagli antichi popoli dell'India e della Cina, dagli antichi Greci e da tutti coloro che hanno deciso di tramandare qualcosa per iscritto.
Per cominciare a leggere, proprio dallo stesso punto in cui l'uomo ha cominciato a scrivere, volete aiutarmi in questa impresa? Vi va di collaborare?
L'amore per i libri e per la loro diffusione, ha caratterizzato le più grandi civiltà. Come non ricordare re Assurbanipal che volle raccogliere tutte le tavolette cuneiformi reperendole in ogni angolo del suo impero, per dar vita alla prima grande biblioteca della storia.
Per farne una impresa commerciale?
No! Per regalare all'umanità il sapere.
Spesso anche noi con lo spirito di Assurbanipal regaliamo agli amici più cari un libro. Forse come lui siamo ancora legati a quel vecchio proverbio indiano: "che tutto ciò che non viene donato va perso".
Ed è ancora più incisivo e chiaro quel proverbio cinese che dice:
"SE DUE UOMINI SANNO OGNUNO UNA COSA E SE LA SCAMBIANO, DOPO, ENTRAMBI SANNO DUE COSE".
Come non ricordare anche re Tolomeo, che fece costruire la splendida e purtroppo poi distrutta Biblioteca di Alessandria... Sappiamo che per ordine di questo re, tutte le navi che si fermavano nel porto dovevano essere perquisite dai soldati, che avevano il compito di confiscare tutti i libri trovati, non per rubarli, ma affinchè venissero ricopiati e destinati ad arricchire la più grande opera di diffusione del sapere mai concepita (prima di Internet, ovviamente...). Si racconta che tutti gli altri beni preziosi (oro, gioielli, spezie, stoffe pregiate) non venissero minimamente prese in considerazione da questi soldati nel perquisire le navi; la preda più preziosa era il sapere.
In pratica re Tolomeo ha fatto di tutto per non permettere alla cultura greca di non svanire nel nulla. Ma purtroppo, il tristemente noto incendio di Alessandria, compiuto dai romani, ha fatto scomparire nel nulla un numero non precisato di testi antichi (si narra comunque che vi erano circa un milione di manoscritti di tutto il mondo allora conosciuto)
Anche Harun al-Rashid, sovrano di Bagdad, attorno all'800 d.C. fece costruire nella capitale del suo regno, la Beit al-Hikma ("la casa del sapere"), che in qualche modo ricalcava l'intento di re Tolomeo.
Al mondo arabo dobbiamo anche la sopravvivenza di tutti i testi dell'età classica rispuntati dopo il MedioEvo, che altrimenti l'intolleranza religiosa di allora avrebbe potuto far bruciare e scomparire per sempre.
E mi viene in mente fra' Guglielmo, protagonista de "Il nome della Rosa" di U. Eco, che rischia la vita, per portare in salvo quanti più testi possibili, durante l'incendio della ricca biblioteca del monastero; e d'altra parte mi viene in mente "Fahreneit 451", in cui i pompieri arruolati dal regime dittatoriale descritto da Ray Bradbury, hanno il compito di bruciare tutti i libri trovati nelle case dei cittadini. E la comunità degli uomini-libri (sempre nello stesso romanzo), che decidono di imparare a memoria i testi più significativi, per tramandarli ai posteri, e sfuggire così allo scempio organizzato dagli uomini al potere.
E Plinio il Vecchio, che tradusse e raccolse in 37 volumi tutte le opere greche che aveva letto?; e il venerabile Beda? Gutenberg? Martin Lutero? e tanti altri personaggi che si sono battuti per salvare i libri o più semplicemente per permetterne la diffusione, e con essa la cultura?
Un po' meno di ieri, oggi, con il monopolio non degli autori, ma delle case editrici, che con la scusa del copyright (spesso sempre di più gli editori sono legati a una ideologia politica o sono essi stessi politici) riescono a seppellire nelle loro cantine-archivi opere dell'ingegno, che anche se sono dei "monumenti" del sapere, non vedono più la luce.
Ma torniamo a noi...
Questa è una breve cronologia, e mi darò da fare per ampliarla sempre più, magari fino a raggiungere l'anno Zero. (Poi chissà, potremmo pure continuarla fino al MedioEvo o ai giorni nostri!!! - copyright permettendo)
Alcuni dei testi sono già disponibili per la lettura e, man mano che i testi a disposizione aumenteranno, se ne potranno leggere sempre più.
Se volete consigliare altri titoli relativi ai testi antichi (egiziani, mesopotamici, biblici, greci, vedici, ecc.), inviate pure le vostre segnalazioni. Sono utilissime anche le segnalazioni di siti Internet (che purtroppo sono rarissimi in italiano)
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CRONOLOGIA DEGLI ANTICHI TESTI LETTERARI
Se possedete alcuni di questi testi in formato elettronico, e volete inviarli, o se conoscete link su cui trovare questi testi, vi sarei davvero grato (E anche Re Tolomeo, presumo, lo sarebbe...)
Vanno bene anche testi in lingua originale (sumerico, geroglifico, sanscrito, greci, ebraico) o in qualsiasi traduzione.
Se volete inviare commenti sulle opere, se disponete di notizie interessanti relative a questi scritti, se ritenete che vi siano errori da correggere, se volete ampliare la cronologia delle opere, inviate pure tutto quello che ritenete utile. Grazie ! Francomputerstoriologia@storiologia.it
(Ricordiamo che il Vs. nome va automaticamente sui vari motori di ricerca.
Quindi visibile in tutto il mondo come autore dell'articolo che avete inviato)
CRONOLOGIA
DELLE ANTICHE OPERE LETTERARIE
Quello che segue è uno dei testi più antichi scritti dall'umanità.
Il suo autore è il gran visir d'Egitto Ptahhotep, ministro del Faraone Djeret-Isesi, della V dinastia.
Si ritiene che l'autore avesse 110 anni quando decise di tramandare per iscritto la sua saggezza, e sembra che l'età di 110 anni avesse un significato particolare per gli egiziani.
La lettura può sembrare abbastanza ostica per chi non avesse buone conoscenze di storia e mitologia egiziana, perciò consiglio di visitare alcuni dei tanti siti Internet dedicati a questa civiltà meravigliosa, per chiarire di volta in volta i punti più oscuri.
Inoltre è reperibile in libreria (a un modico prezzo) e in alcune biblioteche (gratuitamente),
il testo di Cristian Jacq "L'insegnamento del saggio egizio Ptahhotep", che analizza in maniera meticolosa ognuna delle massime qui presenti.
Prologo
Insegnamento composto dal nobile, il capo, il padre divino, diletto del dio,
l'orecchio dei sei grandi tribunali,
la bocca che placa l'intero paese,
il direttore della città, il visir Ptahhotep,
sotto la maestà di colui che ha il giunco e l'ape, Isesi, che possa vivere secondo l'eternità dei cicli e l'eternità dell'istante,
il direttore della città, il visir Ptahhotep, dice:
Sovrano, mio signore,
la vecchiaia è sopraggiunta, l'età avanzata si è abbattuta,
lo sfinimento è arrivato, la debolezza si rinnova.
Egli passa ogni giorno a dormire, come ricaduto nell'infanzia.
La vista cala, diventa duro d'orecchi,
la forza viene meno, il cuore è stanco,
la bocca è silenziosa, non parla più,
il cuore non c'è più, non si ricorda più di ieri,
tutto, le ossa fanno soffrire.
Il buono si trasforma in cattivo.
Ogni gusto scompare.
L'azione della vecchiaia sul genere umano
è cattiva sotto ogni aspetto.
Il naso è chiuso, non respira più,
è penoso sia alzarsi che sedersi.
Sia decretato che il servitore qui presente, foggi un bastone di vecchiaia;
possa io dirgli le parole di coloro che ascoltano,
le direttive di coloro che sono davanti
e che un tempo, ascoltarono le potenze divine.
Possa l'agire essere simile per te;
che i conflitti siano respinti lontano dalle persone semplici,
che le due rive lavorino pere te.
La maestà di questo dio ha detto:
quanto a te, insegnagli la parola della tradizione.
Possa egli agire come un modello per i figli dei grandi,
penetrino in lui la comprensione e l'esattezza di ogni cuore, di chi gli parla,
perché non esistono saggi per nascita.
Massime della parola perfetta
Inizio delle massime della parola perfetta
pronunciata dal nobile, il capo, il padre divino,
il diletto del dio, il figlio primogenito del Faraone, del suo corpo,
il capo della città, il visir Ptahhotep,
per insegnare la conoscenza all'ignorante,
e la legge della parola perfetta;
ecco ciò che è luminoso per chi comprenderà,
ma nocivo per chi passerà oltre.
Dell'umiltà e della scoperta della parola perfetta
Egli dice a suo figlio
Che il tuo cuore non sia vanitoso a causa di ciò che conosci;
prendi consiglio sia dall'ignorante sia dal sapiente,
poiché non si raggiungono i limiti dell'arte,
e non esiste artigiano che abbia acquisito la perfezione.
Una parola perfetta è più nascosta della pietra verde:
la si trova tuttavia presso le serve che lavorano alla mola.
Dell'arte di discutere con un superiore
Se incontri un dibattitore in azione,
che dirige il suo cuore e che è più abile di te,
piega le braccia e curva la schiena;
non afferrare il tuo cuore contro di lui, non lo eguaglierai.
Possa tu umiliare colui che esprime male
non opponendoti a lui quando agisce;
è così che egli sarà additato come ignorante,
non appena il tuo cuore avrà eliminato la sua sovrabbondanza.
Dell'arte di discutere con un eguale
Se incontri un dibattitore in azione,
un tuo eguale, colui che è al tuo fianco,
agisci in modo che la tua superiorità su di lui si manifesti attraverso il silenzio,
proprio mentre egli parla male.
Quelli che lo ascoltano penseranno molto male di lui,
mentre la tua fama sarà perfetta nell'animo dei Grandi.
Dell'arte di discutere con un inferiore
Se incontri un dibattitore in azione,
un uomo da poco che non è certo tuo eguale,
che il tuo cuore non sia aggressivo contro di lui a causa della sua debolezza.
Mettilo per terra, e si punirà da sé.
Non rispondergli per dare sollievo al tuo cuore.
Non lavare il tuo cuore a causa di colui che si oppone a te.
Miserabile è colui che fa del male a un uomo da poco.
La gente desidera agire conformemente a quello che tu desideri,
e tu lo colpirai con la disapprovazione dei Grandi.
Dell'arte di essere un capo rispettando la regola
Se sei una guida,
incaricato di dare direttive a un gran numero,
cerca, per te, ogni occasione di essere efficiente,
in modo che il tuo modo di governare sia senza macchia.
Grande è la Regola (Maat), duratura la sua efficacia.
Essa non è stata turbata dal tempo di Osiride.
Chi trasgredisce le leggo è castigato,
anche se questa trasgressione è opera di quello che ha il cuore rapace.
L'iniquità è capace di impadronirsi della quantità,
ma il male non condurrà mai a buon porto la sua impresa.
Egli dice: io acquisto per me stesso;
non dice: io acquisto a vantaggio della mia funzione.
Quando viene la fine, la Regola rimane.
E' quello che dice un uomo giusto: questo è il dominio del mio padre spirituale.
Della vanità delle manovre umane
Non dedicarti a una macchinazione contro il genere umano,
poiché Dio castiga un simile intrigo.
Che un uomo dica: "vivrò così",
e sarà privato del pane per la bocca.
Che un uomo dica: "sarò ricco",
e dirà poi: "le mie percezioni mi hanno preso in trappola".
Che un uomo dica: "ruberò agli altri"
E finirà per fare un dono a chi non conosce!
Le manovre del genere umano non arrivano a compimento,
è ciò che Dio ordina, che si compie.
Pensa a vivere in pace con quello che hai
e quello che gli dèi danno, verrà da sé.
Delle buone maniere a tavola
Se sei un uomo che fa parte di quelli che sono seduti
alla tavola di uno più Grande di te,
accetta quello che egli dà, nel modo in cui ti sarà messo sotto il naso.
Guarda ciò che è davanti a te,
non disperderti in molti sguardi;
è l'abominio di Ka essere assillata.
Non rivolgergli la parola, prima che lui ti chiami;
non si sa se è in cattiva disposizione di cuore.
Parla quando si rivolge a te,
e che il tuo discorso renda felice il suo cuore.
Quanto al Grande, seduto dietro ai pani,
che il suo comportamento sia conforme alla direzione del suo ka.
Farà un dono a colui che vuole distinguere;
è l'usanza, al calare della notte.
E' il ka, che stende le sue braccia.
Il Grande fa un dono a colui che ha raggiunto la condizione di uomo eccellente.
I pani sono mangiati conformemente alla volontà di Dio,
sarà l'ignorante a lamentarsene.
Del rispetto della missione affidata
Se sei un uomo di fiducia,
mandato da un Grande a un Grande,
sii perfettamente scrupoloso quando ti manda;
trasmetti per lui il messaggio come lui l'ha formulato,
guardati dal forzare le parole,
per paura di inimicare due Grandi tra loro.
Tieniti saldamente alla Regola, non oltrepassarla;
la lavanda del cuore non deve certo essere ripetuta.
Non parlare contro nessuno,
grande o piccolo: è l'abominio del ka.
Del necessario silenzio del ricco e del fortunato destino di chi non ha figli
Se ari, e se la crescita si effettua nel campo,
Dio la dà in abbondanza nella tua mano,
non averne la bocca piena nel tuo vicinato,
poiché si prova un gran rispetto per il silenzioso.
Se un uomo di carattere è possessore di beni,
compie l'atto di possedere come un coccodrillo, anche nella corte di giustizia.
Non reclamare contro chi è senza figli,
non criticare il non averne, e non vantarti di averne;
ci sono parecchi padri nell'afflizione,
e parecchie madri che hanno partorito, mentre una senza figli, è più serena.
E' colui che è solo, di cui Dio permette la mutazione,
mentre il capo di un clan familiare prega che qualcuno gli succeda.
Della necessità di riporre la propria fiducia in una persona eccellente
Se sei debole, segui un uomo eccellente, degno di fiducia;
tutta la tua condotta ne sarà avvantaggiata al cospetto di Dio.
Se vieni a sapere che quest'uomo è stato in precedenza in umile condizione,
non avere il cuore arrogante nei suoi confronti,
a causa di ciò che sai della tua condizione anteriore.
Abbi timore e rispetto di lui, in virtù di quello che è diventato,
perché le cose non vengono certo da sé.
Sono le loro leggi per quelli che essi amano.
Quanto all'opulenza, l'uomo eccellente la ottenga da solo.
E' Dio a fare in modo che sia una persona di qualità
e a proteggerlo, anche quando dorme.
Della necessità di seguire il cuore e di non sprecare energia per mete materiali
Segui il tuo cuore per il tempo della tua esistenza,
non commettere eccessi rispetto a ciò che è prescritto,
non abbreviare il tempo di seguire il cuore.
Sprecare il proprio momento d'azione è l'abominio del ka.
Non sviare la tua azione quotidiana
in modo eccessivo per l'amministrazione della tua casa.
Avvengono le cose, segui il tuo cuore;
le cose non gioveranno al negligente.
Del comportamento verso un figlio spirituale
Se sei un uomo eccellente di cui ci si può fidare,
possa tu formare un figlio spirituale con il favore di Dio.
Se egli è retto, se si conforma al tuo modo di essere,
e se si prende cura dei tuoi beni scrupolosamente,
compi per lui ogni sorta di bontà.
E' davvero tuo figlio, appartiene al seme del tuo ka.
Non separare il tuo cuore da lui.
Il seme di un uomo può generare il conflitto.
Se egli va nella direzione sbagliata, se trasgredisce le tue raccomandazioni,
e disobbedisce in maniera insolente a tutto ciò che è detto,
se la sua bocca pronuncia parole spregevoli, caccialo, non è tuo figlio.
Mettilo al lavoro per la totalità del suo discorso.
Egli, che si è mostrato ostile verso di te, subirà lo sfavore degli dèi,
poiché un ostacolo gli fu inflitto quando si trovava ancora nel ventre.
Chi è guidato da loro non può smarrirsi,
ma colui che essi privano della barca, non avrà la possibilità di attraversare
il fiume della vita.
Dell'atteggiamento giusto nella corte di giustizia
Se ti trovi nel portico dove si amministra la giustizia,
resta in piedi o seduto, conformemente alla procedura,
che ti fu ordinata il primo giorno.
Non forzare il passaggio, altrimenti sarai respinto.
Penetrante deve essere la vista di colui che entra dopo essere stato annunciato,
largo è il seggio di colui che fu chiamato.
Il portico dove si amministra la giustizia è conforme alla rettitudine;
ogni comportamento deve essere conforme al filo a piombo,
è Dio a portare avanti il seggio.
Non saranno insediati quelli a cui si presta troppo la spalla.
Del cuore che rende felici e del ventre che condanna all'infelicità
Se sei in compagnia di persone diverse,
procurati degli alleati, in qualità d'uomo degno di fiducia che raggiunge il cuore;
colui che raggiunge il cuore
è colui che non aggira il linguaggio nel suo ventre.
Egli diventerà un uomo che comanda in prima persona, attraverso la parola,
un possessore di beni, grazie al suo comportamento.
Che la tua fama sia buona senza che tu ne parli.
Il tuo corpo sarà nutrito, il tuo viso si volgerà verso i tuoi prossimi,
e ti sarà regalato ciò che ignoravi.
Il cuore di chi dà ascolto al suo ventre scompare,
ispirerà il disprezzo invece dell'amore.
Il cuore sarà denudato e il suo corpo non sarà unto.
L'uomo dal grande cuore è un dono di Dio,
l'uomo che ubbidisce al suo ventre ubbidisce al nemico.
Dell'arte di comunicare
Trasmetti le tue direttive senza inghiottire il cuore,
e dà il tuo parere nel consiglio del tuo signore.
Se egli parla improvvisando,
non sarà difficile per il messaggero fare il suo rapporto,
e non gli sarà risposto: "chi è dunque colui che è correttamente informato?".
Per quello che riguarda il grande, i suoi beni andranno in rovina
se pensa di punirlo ingiustamente a causa di questo;
così tacerà il signore concludendo: "Ho detto!"
Dell'arte di governare
Se sei una guida,
che il tuo modo di governare possa viaggiare liberamente
per mezzo di ciò che tu hai ordinato.
Devi compiere cose elevate.
Pensa ai giorni che verranno,
così una disgrazia non sopravverrà nel bel mezzo dei favori;
come un coccodrillo emerge, così rapidamente lo sfavore si produce.
Della necessità di ascoltare le richieste
Se sei una guida,
ascolta serenamente il discorso di chi ti rivolge una richiesta;
non respingerlo, finché non abbia purgato il suo ventre
da ciò che aveva intenzione di dire.
Chi è oppresso dall'ingiustizia desidera che il suo cuore sia lavato,
più ancora che la realizzazione di ciò per cui è venuto.
Quanto a colui che respinge chi gli rivolge delle richieste,
la gente dirà con biasimo: "Per quale ragione lo respinge?"
Certo, non è possibile che tutte le richieste abbiano buon esito,
ma un buon ascolto appiana il cuore.
Del pericolo della seduzione
Se desideri far durare l'amicizia,
in una dimora nella quale sei ricevuto,
come signore, come fratello o come amico,
o in ogni luogo dove sei ricevuto,
guardati dall'avvicinarti alle donne.
Non è bene quando il fatto accade.
La vista non è mai abbastanza acuta quando le individua.
Migliaia di uomini si sono distolti in questo modo da ciò che è loro vantaggioso
lasciandosi prendere in trappola dalla seduzione
Un breve istante di piacere, simile a un sogno,
e la morte ti raggiungerà per averle conosciute.
E' una cattiva massima quella che dice "lancia una battuta contro l'avversario"
Quando ci apprestiamo ad agire così, il nostro cuore rigetti l'intenzione.
Quanto a colui che fallisce continuamente nel desiderarle,
nessuno dei suoi progetti riuscirà.
Dell'avidità, malattia incurabile
Se desideri che il tuo comportamento sia buono,
liberati da ogni male;
combatti ogni occasione di avidità di cuore.
L'avidità è la malattia grave di un incurabile;
penetrarvi è impossibile.
L'avidità semina sciagura tra padri e madri,
e tra i fratelli della madre,
separa la sposa dal marito.
E' la somma di ogni sorta di mali
è un sacco che contiene tutto ciò che è odioso
L'uomo è posato se applica correttamente la Regola,
e va per la sua strada, conformemente all'andatura da seguire.
E farà serenamente l'inventario dei suoi beni,
mentre l'avido di cuore non avrà tomba.
Dell'atteggiamento giusto verso l'avere
Non essere avido di cuore in ciò che riguarda la spartizione dei beni,
sii vorace solo dei tuoi beni personali.
Non essere avido di cuore verso i tuoi prossimi;
più ampia è la giusta rivendicazione dell'uomo dolce, che l'ingiusta del rude.
A quest'ultimo viene ben poco dai suoi prossimi,
perché egli è privo di ciò che è portato dalla parola.
Un po' di avidità basta a far nascere lo spirito del litigio nell'uomo dal ventre freddo.
Dell'amore e del rispetto dovuti alla sposa
Se sei un uomo eccellente, fonda la tua dimora,
ama la tua sposa con ardore,
riempi il suo ventre, vesti la sua schiena,
l'olio è un rimedio per il suo corpo.
Allunga il suo cuore per il tempo della sua esistenza.
Essa è una terra fertile, utile al suo Signore.
Non decidere per lei,
allontanala dal potente che la spoglierebbe dei suoi beni.
Il suo occhio è il vento, guardala,
e la farai restare nella tua casa.
Se la respingi, ecco spuntare le lacrime!
La vagina è una delle sue forme di azione;
ciò che ella impone è che sia fatto per lei un canale.
Della necessità di soddisfare i propri familiari
Soddisfa i tuoi familiari, nei quali hai fiducia, per mezzo di ciò che ti avviene:
tale è il destino di chi è favorito da Dio.
Di colui che fallisce continuamente nel soddisfare i suoi familiari in cui ha fiducia,
si dirà:"è un ka troppo soddisfatto di se stesso".
L'avvenire è ignoto, anche se abbiamo l'intuizione del domani.
E' una vera potenza creatrice, la giusta potenza che se ne soddisfa.
Se sono compiuti atti degni di lode,
i familiari degni di fiducia dicono: "Benvenuto!"
Quando non procuri la pace alla città,
dovrai portare con te i familiari se si verifica una calamità.
Del rifiuto della diceria
Non ripetere una diceria malevola,
non ascoltarla.
E' il modo di esprimersi di chi ha il ventre bollente.
Riferisci la faccenda che hai visto, e non soltanto udito.
Che la diceria malevola sia gettata a terra, no parlarne mai.
Colui che ti sta di fronte riconoscerà così la tua qualità.
Che sia ordinato di impossessarsi delle conseguenze della diceria malevola;
in effetti nascerà solo odio, conformemente alla legge, contro chi se ne
impadronirà per usarla.
Vedi, si tratta di distruggere una specie di brutto sogno.
Proteggiti da essa.
Del buon uso della parola
Se sei un uomo eccellente di cui ci si fida,
che siede nel consiglio del suo signore,
raduna ogni cuore verso la perfezione.
Sii silenzioso, è più utile che la chiacchiera.
Parla solo se porterai una soluzione;
dev'essere un eccellente artigiano colui che parla nel consiglio;
parlare è più difficile che ogni altro lavoro.
E' colui che interpreta questa massima correttamente a dare autorità alla
parola.
Della vera potenza e del dominio di sé
Se sei potente, agisci in modo da essere rispettato,
in funzione della conoscenza e della calma del linguaggio.
Dai ordini solo se le circostanze lo esigono.
Colui che provoca in modo bellicoso si imbarca in una cattiva azione.
Non essere vanitoso, non sarai umiliato.
Non essere silenzioso, ma bada di non calpestare,
e di non rispondere in modo focoso.
Distogli il tuo volto, controllati,
le fiamme di un individuo dal cuore bollente
gli tolgono valore.
Per la persona radiosa che avanza, la strada è costruita.
Colui che è triste di cuore, durante la giornata,
non realizzerà alcun momento felice.
Colui che è frivolo di cuore
non fonderà alcuna dimora.
Colui che conseguirà una pienezza
è come colui che tiene il timone, al momento di toccare terra.
Chi agisce nel modo opposto, è fatto prigioniero.
Colui che obbedisce al proprio cuore sarà in ordine.
Del giusto uso dell'energia
Non opporti all'azione di un Grande,
non rendere furioso il cuore di chi ha un grave carico,
poiché la sua ostilità si manifesterà contro chi lo combatte.
Libera l'energia creatrice, tu sei quello che la ama incessantemente.
Colui che dà potenza è in compagnia di Dio,
ciò che egli ama, si realizzerà per lui.
Quanto a te, placa il volto aggressivo dopo l'esplosione di rabbia;
la pace proviene dalla sua potenza creatrice, l'ostilità dal nemico.
E' la potenza che fa crescere l'amore.
Dell'energia di un Grande
Insegna a un Grande quello che gli è utile,
suscita per lui una buona accoglienza tra gli esseri umani,
fa' in modo che la sua saggezza ricada sul suo maestro.
E' dalla sua energia che provengono gli alimenti che ti sono attribuiti;
il ventre di chi è amato è colmo.
La tua schiena sarà rivestita grazie a lui.
Una volta realizzate queste condizioni, preoccupati della vita della tua casa,
dipende dal nobile che tu ami.
Egli vive grazie a questo,
e, ancor meglio, egli ti concederà buona protezione.
Ancor meglio, l'amore che ispiri durerà
nel ventre di quelli che ti amano.
Vedi, è al Ka che piace ascoltare continuamente.
Della necessità di essere imparziali
Se agisci, figlio di un uomo della corte di giustizia,
messaggero incaricato di placare la moltitudine,
togli le cose inutili dal documento scritto.
Quando parli, non inclinarti da un lato;
bada che non sia pronunciata questa accusa:
"Giudici, egli mette la sua parola sul lato che gli conviene!";
Allora la tua azione si rivolterebbe nel processo contro di te.
Dell'indulgenza
Se sei indulgente a proposito di una questione che ha avuto luogo,
favorisci un uomo in virtù della sua rettitudine.
Passa sopra il suo antico errore, non ricordartene,
non appena egli è silenzioso verso di te il primo giorno.
Del necessario distacco dai beni materiali
Se sei un grande dopo essere stato un piccolo,
e se fai fortuna dopo aver subito la miseria in precedenza,
nella città che conosci,
non rievocare con gemiti quello che ti è accaduto in precedenza.
Non riporre la fiducia del tuo cuore nell'accumulo dei tuoi beni materiali,
perché quello che ti è stato concesso è un dono di Dio.
Tu non sarai dietro a un altro, tuo simile,
che avrà vissuto un simile evento.
Del buon atteggiamento nei confronti di un superiore e del vicinato
Curva la schiena davanti al tuo superiore,
il tuo capo del palazzo reale;
in questo modo la tua dimora, con i suoi beni, sarà duratura,
e la tua ricompensa sarà al tuo posto giusto.
Sventurato colui che si oppone a un superiore,
poiché si vive solo nel periodo in cui egli esercita la sua clemenza.
Sventurato colui il cui braccio non si curva,
quando è denudato per salutare il suo superiore.
Non svaligiare la casa dei vicini,
e non appropriarti dei beni di chi è vicino a te,
per evitare che egli ti denunci, prima che tu lo venga a sapere, in ogni caso.
L'aggressivo è un senza cuore.
Se egli viene a sapere questo, attaccherà davanti alla giustizia,
perché è male attaccare il vicinato.
Della necessità di evitare la donna-bambina
Non fare l'amore con una donna-bambina,
perché tu sai che si lotterà contro l'acqua che è sul tuo cuore.
Quello che si trova nel suo ventre non sarà rinfrescato;
che ella non passi la notte a fare ciò che deve essere respinto,
ma che sia calmata dopo aver messo un termine al suo desiderio.
Come mettere alla prova un amico e conoscere la sua vera natura
Se cerchi di sondare la vera natura di un amico
non farti domande, ma avvicinati a lui.
Devi trattare questo affare da solo a solo con lui,
finché non sarai più preoccupato per il suo atteggiamento.
Parla con lui per il tempo necessario.
Metti alla prova il suo cuore in occasione di un dialogo.
Se ciò che ha visto gli sfugge
E se compie un atto che ti irrita,
sii amichevole con lui o sii silenzioso,
ma non distogliere il volto.
Raccogli le tue energie quando chiarisci l'affare per lui,
non rispondere con un atto di ostilità,
non andare contro di lui, non calpestarlo,
poiché il suo momento di verità non ha mai mancato di verificarsi,
e non si può sfuggire a colui che l'ha determinato.
Della necessità di essere benevoli
Che il tuo volto sia luminoso per il tempo della tua esistenza
Ciò che esce dal deposito non vi entra di nuovo.
E' del pane destinato alla distribuzione che siamo voraci.
Colui che ha il ventre vuoto è un accusatore,
e colui che è messo in continuo in condizione di mancanza diviene un aggressore.
Non rendere tale uno dei tuoi vicini.
La benevolenza è il monumento di un uomo,
per gli anni che vengono dopo l'esercizio del potere.
Della necessità di un carattere lucido, fermo e maturo.
Conosci bene quelli che ti stanno a fianco e i tuoi beni dureranno;
non essere debole di carattere verso i tuoi amici;
essi sono una riva coltivabile che riceve l’inondazione; essa è più importante
delle sue ricchezze,
poiché i beni dell’uomo possono toccare in sorte all’altro.
La virtù del figlio dell’uomo gli sarà utile;
una natura perfetta sarà un monumento.
Della necessità di punire il bene e combattere il male
Punisci principalmente, insegna completamente,
poiché l’atto di bloccare il male sarà l’instaurazione durevole della virtù.
Quanto a un misfatto, eccettuata la sventura,
esso è ciò che trasforma il piagnucolone in aggressore.
Della fortuna di sposare una donna gioiosa
Se sposi una donna
Che sia ricca, gioiosa di cuore e conosciuta dagli abitanti della sua città,
che ella si conformi alla doppia legge.
Sii piacevole con lei nel buon momento;
non separarti da lei, e agisci in modo che sia nutrita.
Una donna dal cuore gioioso porta l’equilibrio.
EPILOGO I
Della trasmissione della saggezza, della conoscenza e della rettitudine
Se hai ascoltato le massime che ti ho appena trasmesso,
ognuno dei tuoi progetti andrà avanti.
La loro rettitudine è la loro ricchezza;
il loro ricordo cammina nella bocca degli uomini
a causa del carattere perfetto del loro discorso coerente.
Si deve trasmettere ogni parola
affinché essa non perisca mai in questo paese.
Una massima deve essere formulata per il bene
in modo che i notabili ne parlino.
Significa insegnare a un uomo quello che deve dire alla posterità.
Chi ascolta ciò diviene un artigiano ascoltando.
E’ buona cosa formulare per i posteri; saranno loro ad ascoltare ciò.
Se il buon esempio è dato da chi è un capo,
esso sarà efficace per l’eternità;
tutta la sua saggezza sarà per l’eternità.
Il sapiente si preoccupa della propria capacità di sublimazione, assicurando la propria sussistenza
per mezzo di ciò che fa durare.
Grazie a essa, egli è felice sulla terra.
Il sapiente è saggio a causa di ciò che conosce,
e il nobile a causa del suo modo di agire.
Che il suo cuore regoli la sua lingua,
che le sue labbra siano giuste quando parla,
che i suoi occhi vedano,
che le sue orecchie si compiacciano di udire quello che è utile a suo figlio.
Chi agisce rettamente è esente da menzogna.
EPILOGO II
Della necessità dell’ascolto e della comprensione
E’ utile ascoltare per il figlio [spirituale] che ascolta.
Se l’atto di ascoltare incessantemente penetra colui che comprende.
Quando l’ascolto è buono, la parola è buona.
Colui che ascolta è padrone di ciò che è vantaggioso,
ascoltare è vantaggioso per chi ascolta,
è meglio di ogni cosa,
così nasce l’amore perfetto.
E’ davvero buona cosa che il figlio ascolti ciò che dice il padre;
portatore di questo messaggio, raggiungerà un’età avanzata.
Chi è amato da Dio, è colui che comprende;
colui che non comprende è odiato da Dio.
E’ il cuore a far nascere il suo padrone
come colui che comprende o come colui che non comprende.
Per un uomo, il suo cuore è vita, prosperità e salute.
Solo chi ascolta comprende ciò che è detto,
solo chi ama comprendere compie ciò che è detto.
E’ davvero buona cosa il figlio che obbedisce a suo padre.
E’ davvero cosa lieta, per quello a cui è detto:
”un figlio è benevolo se è possessore della capacità di ascolto”.
Chi ascolta colui che dice questo, sarà in perfetto accordo con se stesso
e beato presso suo padre.
Il suo ricordo sopravvivrà sulla bocca dei viventi che sono sulla terra.
EPILOGO III
Del figlio spirituale
Se il figlio dell’uomo accetta quello che dice suo padre,
nessuno dei suoi piani fallirà.
Educa, nel tuo figlio, colui che ascolta;
nel cuore dei nobili egli sarà un uomo di qualità, degno di fiducia,
lui che guiderò la sua bocca conformemente a ciò che gli è stato detto,
lui che sarà visto come colui che comprende.
I passi di un figlio, che è un uomo di qualità, degno di fiducia, sono notevoli.
Lo smarrimento penetra in colui che non ascolta.
Il sapiente si alza al mattino per mantenere il suo equilibrio,
mentre l’ignorante non ha scampo.
EPILOGO IV
Dell’ignorante
Quanto all’ignorante che non ascolta,
non porterà a compimento nulla.
Egli considera la sapienza ignoranza,
l’utile dannoso.
Fa tutto ciò che è odioso,
cosicché ogni giorno qualcuno si irrita contro di lui.
Vive di ciò che fa morire,
il suo cibo è il discorso contorto.
E’ proprio questa la sua caratteristica che i nobili han saputo riconoscere,
vale a dire: un morto-vivo ogni giorno.
I suoi atti saranno tralasciati
a causa delle numerose sventure che gli sono capitate ogni giorno.
EPILOGO V
Dei doveri e del destino del figlio spirituale
Un figlio che comprende è un seguace di Horus
ed è bene per lui, una volta che ha compreso.
Quando diventa anziano raggiunge la condizione di beato.
Trasmetta lo stesso messaggio ai suoi figli
rinnovando l’insegnamento del padre.
Ogni uomo riceve l’insegnamento conforme alla sua azione;
possa egli compiere un atto di trasmissione verso i suoi figli,
in modo che essi possano parlare ai loro figli.
Forma il carattere, non dare libero corso alla distruzione,
consolida la rettitudine, e la tua discendenza spirituale vivrà.
Quanto al primo che giungerà portatore di disordine,
possano dire gli uomini quello che vedranno:
“Ecco che cosa è conforme a questo miserabile!”
Sia detto a quelli che ascolteranno:
“Ecco chi è ben conforme a questo miserabile!”
Che tutti vedano la rettitudine e la moltitudine sia placata.
Senza di loro la ricchezza non sarà realizzata.
EPILOGO VI
Della parola giusta
Non rubare una parola e non portarla via,
non mettere una cosa al posto di un’altra,
cerca di rompere gli intralci dentro di te,
bada a ciò che dice colui che conosce lo cose:
”Ascolta, se desideri
durare sulla bocca di coloro che comprendono,
parla solo quando avrai raggiunto la padronanza del mestiere;
se parli in modo perfetto,
il tuo modo di vivere sarà giusto”
EPILOGO VII
Della parola giusta (seguito)
Immergi il tuo cuore, controlla la tua bocca,
e la tua condizione sarà di essere tra i nobili.
Che la tua testimonianza sia completa, alla presenza del tuo maestro.
Agisci in modo che egli possa dire: “Quello è un figlio”
e che coloro che udranno questo dicano:
“Felice colui per il quale egli è nato!”
Posa il tuo cuore nel momento in cui parli,
pronuncia parole elevate,
in modo che i nobili che udranno dicano: “Come è bello ciò che esce dalla sua
bocca!”
EPILOGO VIII
Della necessità che un figlio sia retto
Agisci in modo che il tuo maestro dica di te:
“Quanto è perfetto colui che ha ricevuto l’insegnamento di suo padre,
quando uscì lui dal suo corpo;
gli aveva parlato quando si trovava interamente del ventre materno;
ciò che egli ha compiuto è più grande di ciò che gli era stato detto”.
Vedi, un buon figlio è un dono di Dio,
una persona che compie più di quanto gli fu prescritto dal suo maestro;
che egli agisca rettamente,
che il suo cuore agisca conformemente alla sua andatura,
come tu ti ricongiungi a me, con un corpo in buona salute.
CONCLUSIONE
Il Faraone è soddisfatto di tutto ciò che è avvenuto;
possa tu acquistare anni di vita.
Non è piccolo quello che ho compiuto sulla terra.
Ho acquistato centodieci anni di vita
che il Faraone mi ha concesso.
Le lodi devono essere preminenti per gli antenati,
poiché agire per il Faraone conduce al luogo dove si realizza la condizione di
beato.
Significa andare da un inizio a una fine,
conformemente a quello che fu trovato per iscritto
Il Giuramento, di attribuzione controversa, è il primo codice di deontologia medica.
Ippocrate è stato il primo a ritenere che le malattie umane non sono il frutto di punizioni divine, ma l'effetto di un'alterazione dell'equilibrio di quelli che erano ritenuti i quattro umori dell'uomo (sangue, flemma, bile nera, bile gialla).
In pratica il pensiero di Ippocrate è stato un enorme passo in avanti, che ha permesso alla medicina di divenire una scienza razionale e di staccarsi dalla superstizione.
Un'altra considerazione degna di nota: Ippocrate ha ipotizzato che la pulizia del medico giovava al paziente, e questa idea precorre notevolmente la scienza medica. Pensate che appena nella metà del XIX secolo, i medici Ignaz Phillip Semmelweiss e Oliver Wendell Holmes (rispettivamente a Vienna e negli Stati Uniti) furono allontanati dal loro lavoro, perchè consigliavano in continuazione gli altri medici di pulirsi le mani prima di visitare il paziente successivo. Le loro prediche insistenti innervosirono i loro rispettivi colleghi, che riuscirono a mandarli via.
Solo con la teoria microbica di Pasteur, i medici si convinsero dell'utilità della pulizia continua anche come forma di rispetto verso i pazienti.
il Giuramento* Giuro per Apollo medico e Asclepio e Igea e Panacea e per gli dèi tutti e per tutte le dee, chiamandoli a testimoni, che eseguirò, secondo le forze e il mio giudizio, questo giuramento e questo impegno scritto: di stimare il mio maestro di questa arte come mio padre e di vivere insieme a lui e di soccorrerlo se ha bisogno e che considererò i suoi figli come fratelli e insegnerò quest'arte, se essi desiderano apprenderla; di rendere partecipi dei precetti e degli insegnamenti orali e di ogni altra dottrina i miei figli e i figli del mio maestro e gli allievi legati da un contratto e vincolati dal giuramento del medico, ma nessun altro.
* Regolerò il tenore di vita per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, mi asterrò dal recar danno e offesa.
* Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, nè suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo.
* Con innocenza e purezza io custodirò la mia vita e la mia arte. Non opererò coloro che soffrono del male della pietra, ma mi rivolgerò a coloro che sono esperti di questa attività.
* In qualsiasi casa andrò, io vi entrerò per il sollievo dei malati, e mi asterrò da ogni offesa e danno volontario, e fra l'altro da ogni azione corruttrice sul corpo delle donne e degli uomini, liberi e schiavi.
* Ciò che io possa vedere o sentire durante il mio esercizio o anche fuori dell'esercizio sulla vita degli uomini, tacerò ciò che non è necessario sia divulgato, ritenendo come un segreto cose simili.
* E a me, dunque, che adempio un tale giuramento e non lo calpesto, sia concesso di godere della vita e dell'arte, onorato degli uomini tutti per sempre; mi accada il contrario se lo violo e se spergiuro".
* 1 Quinto Mucio l'augure raccontava spesso, a memoria e in modo piacevole, molti episodi della vita di Caio Lelio, suo suocero, e in ogni discorso non esitava a chiamarlo "il Saggio". A Scevola ero stato affidato da mio padre, quando presi la toga virile, perché non mi staccassi mai dal fianco del vecchio, nei limiti del possibile e del consentito. Perciò, fissavo nella mente molti dei suoi accorti ragionamenti e anche molte delle sue massime secche e gustose, e cercavo di migliorare la mia educazione facendo tesoro della sua esperienza di vita. Quando morì, passai alla scuola di Scevola il pontefice, l'uomo che oserei definire il più grande della nostra città per intelligenza e senso di giustizia. Ne parlerò un'altra volta: ora ritorno all'augure.* 2 Di lui ricordo spesso molti episodi, ma in particolare uno: era a casa sua e sedeva, come al solito, nell'emiciclo: c'ero io pure e pochi intimi, quando gli capitò di raccontare un fatto che proprio allora era sulla bocca di molti. Ti ricordi certamente, Attico, tu che eri così vicino a Publio Sulpicio, quanta sorpresa o piuttosto quanta amarezza si diffuse tra la gente quando Sulpicio, tribuno della plebe, con odio mortale si staccò da Quinto Pompeo, allora console, insieme al quale era vissuto in un rapporto di grande intimità e affetto.* 3 Quel giorno Scevola menzionò casualmente il fatto e ci riferì il discorso che Lelio aveva tenuto sull'amicizia in presenza dello stesso Scevola e dell'altro suo genero, Caio Fannio, figlio di Marco, pochi giorni dopo la morte dell'Africano. Ho fissato nella mente i punti principali della discussione e li ho riportati in questo libro a mio modo: per così dire, ho messo in scena i personaggi stessi per evitare di ripetere troppi "dico" o "dice" e per dar l'idea che il discorso si sviluppi tra persone presenti, qui davanti a noi.* 4 Siccome, infatti, mi hai invitato spesso a scrivere qualcosa sull'amicizia, il discorso di Lelio mi è sembrato degno non solo di una divulgazione, ma soprattutto della nostra amicizia: così, ben volentieri ho cercato di esser utile a molti, su tua richiesta. Nel Catone il Vecchio, l'opera sulla vecchiaia a te dedicata, ho messo in scena un vecchio, Catone, perché a parlare della senilità nessun altro personaggio mi sembrava più adatto di colui che era stato vecchio per moltissimo tempo e proprio in vecchiaia era fiorito distinguendosi su tutti. Allo stesso modo, poiché so per tradizione avita che l'amicizia tra Scipione e Lelio fu più di ogni altra memorabile, il personaggio di Lelio mi è sembrato indicato a esporre, sull'amicizia, la conversazione che aveva già tenuto e di cui Scevola serbava il ricordo. Non so come, ma discorsi del genere, quando poggiano sull'autorità di uomini del passato, e per di più illustri, mi sembrano avere un peso maggiore. Così, nel leggere le mie parole ho talvolta l'impressione che sia Catone a parlare, non io.* 5 Ma se allora, da vecchio, dedicavo a un vecchio un libro sulla vecchiaia, adesso, da vero amico, dedico a un amico questo trattato sull'amicizia. In quel libro era Catone a parlare, l'uomo più anziano e più ricco di esperienza dei suoi tempi, in questo sarà Lelio a esprimersi sull'amicizia, "il Saggio" - tale era considerato -, il più grande per la gloria della sua amicizia.
Per qualche minuto, te ne prego, non pensare più a me, ma immagina che sia proprio Lelio a raccontare. Caio Fannio e Quinto Mucio vanno a trovare il loro suocero dopo la morte dell'Africano. Da loro ha inizio la conversazione, Lelio risponde e sua è l'intera trattazione dell'amicizia. Leggendola, riconoscerai te stesso.* 6 FANNIO. Sì, Lelio. Non ci fu uomo migliore dell'Africano, né più illustre. Devi tener presente, però, che gli occhi di tutti sono puntati su di te: sei l'unico che chiamino e giudichino saggio. Sino a poco tempo fa si attribuiva l'appellativo a Marco Catone e sappiamo che, all'epoca dei nostri padri, Lucio Acilio era chiamato "il Saggio". Ma entrambi in modo diverso da te: Acilio perché era considerato competente nel diritto civile, Catone perché aveva esperienza in molti campi ed era ricordato per il buon senso dei provvedimenti, per il coraggio delle azioni, per l'acutezza delle risposte di cui aveva dato prova più volte in senato o al foro. Perciò, in vecchiaia, il titolo di "Saggio" era diventato per lui una sorta di soprannome.* 7 Ma, nel tuo caso, è diverso. Ti dicono saggio non solo per le tue qualità naturali e morali, ma anche per i tuoi studi e per la tua cultura, saggio, quindi, non come lo intende la gente, ma come lo intendono gli intellettuali. In tal senso sappiamo che non ci fu nessuno nel resto della Grecia (i critici più sottili non annoverano nella categoria i cosiddetti Sette Sapienti), tranne ad Atene uno solo: e fu lui a essere giudicato "il più saggio" anche dall'oracolo di Apollo. Si pensa che la tua saggezza consista nel saper considerare ogni tuo bene un fatto interiore e nel giudicare le vicende umane subordinate alla virtù. Ecco perché vengono a chiedere a me, e anche a Scevola, penso, come sopporti la morte dell'Africano, tanto più che, alle ultime none, quando ci siamo riuniti nei giardini dell'augure Decimo Bruto per l'abituale seduta, non sei venuto, mentre hai sempre rispettato scrupolosamente quella scadenza e quell'impegno.* 8 SCEVOLA. Sì, Caio Lelio, molti mi rivolgono la domanda di cui parla Fannio. Ma io rispondo, sulla base di quanto ho osservato, che con equilibrio sopporti il dolore per la morte di un uomo così straordinario, soprattutto di un così caro amico. E aggiungo che non potevi rimanere indifferente, che sarebbe stato contrario alla tua sensibilità. La tua assenza nel nostro collegio delle none, quindi, dipese da ragioni di salute, così rispondo, non di lutto.
LELIO. La tua risposta è ottima e corretta, Scevola: una disgrazia privata non avrebbe dovuto impedirmi di adempiere al dovere di cui parli, da me sempre assolto quando stavo bene; del resto, in nessun caso, credo, può capitare a un uomo coerente di trascurare i propri doveri.* 9 Quanto a te, Farinio, quando dici che mi attribuiscono meriti che non mi riconosco né pretendo di avere, ti comporti da amico, ma, a mio parere, sbagli nel giudicare Catone: infatti o nessuno è mai stato saggio - come credo più probabile - o, se ve n'è stato uno, quello fu Catone. Come ha saputo affrontare la morte del figlio, per tralasciare il resto! Mi ricordavo di Emilio Paolo, avevo visto Galo: ma essi persero dei figli in tenera età, Catone perse un uomo maturo e affermato.* 10 Perciò non preferire a Catone neppure colui che, come dici, Apollo ha giudicato "il più saggio", perché dell'uno si lodano i fatti, dell'altro le parole. Quanto a me, per parlare ormai a tutt'e due, ecco cosa ne penso.
III Se dicessi di non soffrire per la morte di Scipione, giudichino i saggi quanto sia nel giusto. Ma mentirei, senza dubbio. Soffro, è vero, perché ho perso un amico che, come immagino, non avrà eguali in futuro, che, come posso dimostrare, non ne ha avuti in passato. Ma non ho bisogno di medicine. So consolarmi da solo, sostenuto in particolare dalla convinzione di non cadere nell'errore che fa soffrire i più quando muore un amico. Penso che nessun male si sia abbattuto su Scipione: se qualcuno ne è stato colpito, quello sono io. Ma affliggersi profondamente per le proprie disgrazie è tipico di chi ama se stesso, non l'amico.* 11 Quanto a Scipione, chi può dire che la sorte non gli abbia arriso? A meno che non aspirasse all'immortalità, cosa a cui non pensava affatto, quali sono tra i desideri concessi all'uomo quelli che non è riuscito a realizzare? Appena adolescente, grazie al suo eccezionale valore, superò le enormi aspettative che i suoi concittadini avevano riposto in lui sin da bambino. Non si candidò mai al consolato, ma due volte fu eletto console, la prima quando non aveva ancora l'età prescritta, la seconda a tempo debito per lui, ma forse troppo tardi, ormai, per lo stato. Con la distruzione delle due città più ostili al nostro impero, pose fine alle guerre del suo tempo e scongiurò le future. E che dire della sua disponibilità, dell'amore per la madre, della generosità verso le sorelle, della benevolenza verso i suoi, del senso di giustizia verso tutti? Sapete di cosa parlo. Quanto poi fosse amato dalla città, lo si è visto dal pianto generale ai suoi funerali. A cosa gli sarebbe servito vivere qualche anno di più? A niente, perché la vecchiaia, sebbene non sia un peso (ricordo che Catone, un anno prima di morire, lo sostenne discutendo con me e Scipione), non di meno porta via quel vigore che Scipione aveva ancora.* 12 Perciò la sua vita fu tale, quanto a fortuna e a gloria, che nulla di più le si poteva aggiungere. La morte, poi, arrivò così improvvisa da impedirgli di accorgersene. Come morì, è difficile dirlo: sapete quali sospetti circolano. Ma una cosa si può affermare con sicurezza: dei tanti giorni di grande festa e felicità che Scipione vide nella sua vita, il più bello fu quello in cui, dopo lo scioglimento della seduta senatoriale, venne accompagnato a casa, verso sera, dai padri coscritti, dal popolo romano, dagli alleati e dai Latini. Era il giorno precedente la sua morte. Sembrerebbe che da un così alto grado di dignità sia salito agli dèi superni piuttosto che sceso agli inferi. IV* 13 No, non sono d'accordo con chi, da qualche tempo, si è messo a sostenere che l'anima muore insieme al corpo e tutto viene distrutto dalla morte. Per me vale di più l'autorità degli antichi: quella dei nostri antenati, che non avrebbero sicuramente tributato ai morti diritti così sacri se avessero pensato che i morti ne fossero indifferenti; oppure l'autorità di coloro che abitarono il nostro paese e diedero istituzioni e norme di vita alla Magna Grecia, che oggi è certamente distrutta, ma allora era fiorente; o l'autorità di colui che, giudicato "il più saggio" dall'oracolo di Apollo, non disse sull'argomento ora questo ora quello, come fanno i più, ma sempre la stessa cosa: l'anima dell'uomo è divina e, quando si stacca dal corpo, ha schiuso di fronte il ritorno al cielo, ritorno tanto più veloce quanto più si è buoni e giusti.* 14 Ed era anche l'idea di Scipione. Egli, appunto, come se avesse un presentimento, pochissimi giorni prima di morire, in presenza di Filo, di Manilio, di molti altri e anche di te, Scevola, che mi avevi accompagnato, discusse per tre giorni sullo stato. Dedicò la parte finale del discorso essenzialmente al problema dell'immortalità dell'anima, raccontando quanto diceva di aver udito dall'Africano, apparsogli in sogno. Se è vero che, dopo morti, l'anima dei migliori vola via più facilmente come dalla prigione e dalle catene del corpo, chi, secondo noi, avrà avuto un cammino verso gli dèi più facile che Scipione? Ecco perché piangerne la sorte si addice piuttosto all'invidioso, temo, non all'amico. Se invece è più fondata la teoria secondo cui la morte è la stessa per l'anima e per il corpo e non sopravvive nessuna forma di sensibilità, allora come nella morte non c'è alcun bene, così certamente non c'è alcun male. Quando si perde la sensibilità, infatti, è come se non si fosse mai nati. Ma del fatto che Scipione sia nato ci rallegriamo noi e sempre esulterà, finché vive, la nostra città.* 15 A lui, dunque, come ho appena detto, la sorte ha arriso. Non altrettanto a me che, entrato prima nella vita, prima avrei dovuto uscirne. Tuttavia mi sento così appagato nel ricordare la nostra amicizia che mi sembra di aver vissuto un'esistenza felice solo perché l'ho vissuta insieme a Scipione. Con lui ho condiviso l'impegno della politica e degli affari privati, con lui ho vissuto in tempo di pace e di guerra , con lui - ecco la vera essenza dell'amicizia - ho avuto un'intesa perfetta di intenzioni, di aspirazioni e di opinioni. Perciò, non mi compiaccio tanto della fama di saggezza, oltretutto falsa, cui Fannio ha appena accennato, quanto della speranza che il ricordo della nostra amicizia sarà eterno. È una speranza che mi sta a cuore perché, di tutti i secoli passati, si ricordano a mala pena tre o quattro coppie di amici. Ma credo di poter sperare che l'amicizia tra Scipione e Lelio sarà nota ai posteri come una di queste.* 16 FANNIO. Non può essere altrimenti, Lelio. Ma, siccome hai menzionato l'amicizia e noi abbiamo del tempo libero, mi farai un grandissimo piacere - e anche a Scevola, spero - se vorrai parlarci dell'amicizia come sei solito discutere gli altri problemi che ti vengono proposti, dicendoci cosa ne pensi, quale essenza le attribuisci, che regole le assegni.
SCEVOLA. Sì, sarà per me un piacere. Anzi, stavo proprio per chiedertelo quando Fannio mi ha preceduto. Le tue parole, quindi, a entrambi saranno molto gradite.* 17 LELIO. Da parte mia, non farei certo difficoltà se confidassi nelle mie forze: l'argomento è bellissimo e, come ha detto Fannio, abbiamo del tempo libero. Ma chi sono io? E quale capacità oratoria ho? È un'abitudine dei dotti, e più precisamente di quelli greci, improvvisare su un tema loro proposto: è una fatica notevole ed esige un addestramento non superficiale. Perciò, tutti i discorsi che si possono tenere sull'amicizia, andateli a chiedere, per favore, agli improvvisatori di professione. Io posso soltanto esortarvi ad anteporre l'amicizia a ogni altro valore umano, perché niente è tanto conveniente alla natura dell'uomo, niente così opportuno nella buona o nella cattiva sorte.* 18 Innanzi tutto la mia opinione è questa: l'amicizia può sussistere solo tra persone virtuose. E non taglio la questione sul vivo, come fanno coloro che discutono con troppa sottigliezza. Forse hanno ragione, ma non forniscono un grande contributo all'utilità comune. Dicono che nessuno, tranne il saggio, è un uomo virtuoso. Ammettiamo pure che sia così. Ma per saggezza intendono quella che nessun mortale, finora, ha mai raggiunto. Noi, invece, dobbiamo guardare alla pratica e alla vita di tutti i giorni, non alle fantasticherie o ai desideri. Non potrei mai dire che Caio Fabrizio, Manlio Curio e Tiberio Coruncanio, considerati saggi dai nostri antenati, lo fossero secondo il parametro di costoro. Perciò si tengano pure il loro nome fastidioso e incomprensibile di sapienti; ammettano almeno che i nostri compatrioti sono stati virtuosi. Ma non faranno neppure questo. Diranno che tale concessione si può fare solo al filosofo.* 19 Ragioniamo allora, come si dice, con l'aiuto della "grassa Minerva". Uomini che si comportano, che vivono dimostrando lealtà, integrità morale, senso di equità, generosità, senza nutrire passioni sfrenate, dissolutezza, temerarietà, ma possedendo invece una grande coerenza (come i personaggi ora nominati), sono reputati virtuosi. Allora diamo loro anche il nome di virtuosi, perché seguono, nei limiti delle possibilità umane, la migliore guida per vivere bene, la natura.
Mi sembra chiaro, infatti, che siamo nati perché si instauri tra tutti gli uomini un vincolo sociale, tanto più stretto quanto più si è vicini. Così agli stranieri preferiamo i concittadini, agli estranei i parenti. L'amicizia tra parenti, infatti, deriva dalla natura, ma difetta di sufficiente stabilità. Ecco perché l'amicizia è superiore alla parentela: dalla parentela può venir meno l'affetto, dall'amicizia no. Senza l'affetto, l'amicizia perde il suo nome, alla parentela rimane.* 20 Tutta la forza dell'amicizia emerge soprattutto dal fatto che, a partire dall'infinita società del genere umano, messa insieme dalla stessa natura, il legame si fa così stretto e così chiuso che tutto l'affetto si concentra tra due o poche persone.
* L'amicizia non è altro che un'intesa sul divino e sull'umano congiunta a un profondo affetto. Eccetto la saggezza, forse è questo il dono più grande degli dèi all'uomo. C'è chi preferisce la ricchezza, chi la salute, chi il potere, chi ancora le cariche pubbliche, molti anche il piacere. Ma se i piaceri sono degni delle bestie, gli altri beni sono caduchi e incerti perché dipendono non tanto dalla nostra volontà quanto dai capricci della sorte. C'è poi chi ripone il bene supremo nella virtù: cosa meravigliosa, non c'è dubbio, ma è proprio la virtù a generare e a preservare l'amicizia e senza virtù l'amicizia è assolutamente impossibile.* 21 Diamo allora alla virtù il significato che ha nella vita quotidiana e nel parlar comune, senza misurarla, come fanno alcuni filosofi, dalla sonorità delle parole. E annoveriamo tra i virtuosi chi è considerato tale, i Paoli, i Catoni, i Galo, gli Scipioni, i Filo, di cui la vita di tutti i giorni si accontenta. E mettiamo da parte le utopie.* 22 Quando gli uomini sono tali, l'amicizia presenta vantaggi così grandi che a mala pena posso dirli. In primo luogo, come può essere "vivibile una vita", per usare le parole di Ennio, che non trovi sollievo nel reciproco affetto di un amico? Cosa c'è di più dolce che avere una persona cui confidare tutto, senza timori, come a te stesso? E quale frutto ci sarebbe nella prosperità se non avessi qualcuno capace di goderne al par tuo? Con difficoltà, poi, potresti affrontare le sventure senza un amico che ne soffra anche più di te. Infine, tutti gli altri beni a cui l'uomo aspira, se presi uno a uno, presentano un solo lato vantaggioso - la ricchezza per spenderla, la potenza per essere riveriti, le cariche per ricever lodi, i piaceri per goderne, la salute per non provar dolore e per disporre delle forze fisiche. L'amicizia, invece, comporta moltissimi vantaggi. Dovunque tu vada è a tua disposizione, non è esclusa da nessun luogo, non è mai inopportuna, non è mai un peso. Insomma, non sono l'acqua e il fuoco, come dicono, a esser utili in tante situazioni, è l'amicizia. E non mi sto riferendo all'amicizia volgare e mediocre, capace tuttavia di procurare diletto e utilità, ma all'amicizia vera e perfetta, come fu quella che legò quei pochi che ancor oggi sono ricordati. L'amicizia, infatti, conferisce più vivo splendore al successo e allevia il peso delle avversità, condividendole e partecipandovi.* 23 L'amicizia, dunque, comporta moltissimi e grandissimi vantaggi, ma ne presenta uno nettamente superiore agli altri: alimenta buone speranze che rischiarano il futuro e non permette all'animo di deprimersi e di abbattersi. Chi guarda un vero amico, in realtà, è come se si guardasse in uno specchio. E così gli assenti diventano presenti, i poveri ricchi, i deboli forti e, quel che è più difficile a dirsi, i morti vivi; tanto intensamente ne prolunga l'esistenza il rispetto, la memoria e il rimpianto degli amici. Ecco perché degli uni sembra felice la morte, degli altri lodevole la vita. Se poi privi la natura dei legami affettivi, nessuna casa, nessuna città potrà restare in piedi, neppure l'agricoltura sopravviverà. Se il concetto non è chiaro, basta osservare dissensi e discordie per capire quanto sia grande la forza dell'amicizia e della concordia. Quale casa è così stabile, quale città è così resistente da impedire a odi e divisioni interne di sconvolgerla da cima a fondo? Dal che si può giudicare quanto ci sia di buono nell'amicizia.* 24 Dicono che un filosofo di Agrigento abbia profetizzato, in versi greci, che tutte le cose immobili o in movimento nella natura e nell'universo debbano la loro coesione all'amicizia, la loro divisione alla discordia. È un'idea che tutti i mortali non solo intendono, ma anche comprovano nella realtà. Tant'è vero che, se talvolta si adempie al proprio dovere di amico affrontando o condividendo un pericolo, chi non è pronto a esaltare un simile gesto con le lodi più alte? Che applausi ha decretato, poco tempo fa, l'intero teatro al nuovo dramma di Marco Pacuvio, mio ospite e amico, nella scena in cui Pilade, davanti al re che ignorava l'identità di Oreste, si spacciava per Oreste, volendo morire al posto dell'amico, ma Oreste, ed era la verità, insisteva nel dire che Oreste era lui! In piedi gli spettatori applaudivano pur trattandosi di una finzione. Come pensiamo che si sarebbero comportati di fronte a una situazione reale? Certo, era la natura a rivelare la sua forza, perché degli uomini riconoscevano in altri il valore di un'azione di cui erano incapaci. Fin qui mi sembra di esser riuscito a esprimere il mio punto di vista. Se resta ancora qualcosa da dire, e penso che ne resti ancora molto, chiedetelo, se credete, ai filosofi di professione.* 25 FANNIO. No, preferiamo chiederlo a te. Del resto, ho interrogato spesso anche questi "filosofi" e li ho ascoltati con un certo piacere, è vero, ma altra è la stoffa delle tue parole!
SCEVOLA. E lo diresti a maggior ragione, Fannio, se qualche tempo fa avessi assistito alla discussione sullo stato che si tenne nei giardini di Scipione. Che difensore della giustizia si dimostrò, allora, Lelio contro la forbita arringa di Filo!
FANNIO. È stato senz'altro facile per un uomo tanto giusto difendere la giustizia.
SCEVOLA. E allora? Non sarà facile parlare dell'amicizia per un uomo che si è guadagnato gloria immensa conservando un legame con tanta lealtà, coerenza e giustizia?* 26 LELIO. Mi mettete proprio alle strette! Che importa con quali mezzi mi costringete? Certo è che lo fate. Ma resistere alle insistenze dei miei generi, specie se il motivo è valido, non solo è difficile, ma anche ingiusto.
Dunque: quando molto spesso rifletto sull'amicizia, mi sembra che occorra soffermarsi soprattutto su un punto: ricerchiamo forse l'amicizia spinti dalla debolezza o dal bisogno perché, seguendo la logica del dare e dell'avere, speriamo di ottenere dagli altri quel che da soli non riusciamo a procurarci per poi restituirlo a nostra volta? Oppure, fermo restando che questa sia una caratteristica dell'amicizia, la causa è un'altra, più nobile, più bella, più naturale? L'amore, infatti, da cui l'amicizia trae il nome, dà il primo impulso al legame affettivo. È vero che si ottengono spesso vantaggi anche da chi riceve l'onore di un'amicizia simulata e gli ossequi dell'opportunismo. Nella vera amicizia, al contrario, nulla è finto, nulla è simulato, tutto è vero e spontaneo.* 27 Perciò, secondo me, l'amicizia deriva dalla natura più che dal bisogno, da un'inclinazione dell'animo mista a un sentimento di amore, più che da calcoli utilitaristici.
Che le cose stiano così lo si può vedere anche in alcuni animali: l'amore che, fino a un certo periodo, riversano sui loro piccoli e l'amore che da essi ricevono rivela chiaramente il loro sentimento. Nell'uomo è molto più evidente. Primo, nell'affetto tra genitori e figli, che solo un crimine abominevole può distruggere. Secondo, in un analogo sentimento di amore che ci nasce dentro quando incontriamo una persona simile a noi per abitudini e carattere, perché crediamo di vedere in lei, per così dire, una luce di onestà e di virtù.* 28 Niente è più amabile della virtù, niente spinge di più a voler bene, se è vero che proprio per la loro virtù e moralità ci sono care, in un certo senso, anche persone che non abbiamo mai visto. Chi non si ricorda con stima e affetto di Caio Fabrizio e Manlio Curio, pur non avendoli mai visti? Chi, invece, non odia Tarquinio il Superbo, Spurio Cassio e Spurio Melio? Contro due condottieri abbiamo combattuto per la supremazia in Italia: Pirro e Annibale. Il primo, per la sua onestà, non lo detestiamo sino in fondo, ma il secondo, per la sua crudeltà, Roma lo odierà in eterno.* 29 Se, dunque, tanta è la forza dell'onestà da venir apprezzata in chi non abbiamo mai visto o, cosa ancor più notevole, addirittura in un nemico, perché stupirsi se l'animo umano rimane turbato quando crede di scorgere virtù e bontà in persone con cui si può legare nei rapporti della vita? È pur vero che l'amore si rafforza quando riceviamo un beneficio o ci manifestano simpatia o quando ancora si instaura l'intimità. Se a ciò si accompagna un'immediata attrazione, ecco allora accendersi un meraviglioso e intenso affetto.
Se alcuni pensano che l'amicizia derivi dalla debolezza e dalla necessità di cercare qualcuno in grado di procurarci quel che ci manca, è perché attribuiscono all'amicizia, se così posso esprimermi, un'origine davvero bassa e ignobile, volendola figlia del bisogno e dell'indigenza. Se così fosse, quanto più uno si sentisse insicuro, tanto più sarebbe adatto all'amicizia. Ma la verità è un'altra!* 30 Infatti quanto più uno ha fiducia in sé, quanto più è armato di virtù e di saggezza, in modo da non avere bisogno di nessuno e da considerare ogni suo bene un fatto interiore, tanto più eccelle nel cercare e nel coltivare le amicizie. Cosa? L'Africano aveva bisogno di me? Figuriamoci! E nemmeno io avevo bisogno di lui! Ma gli ho voluto bene perché ammiravo molto il suo valore, e lui, a sua volta, perché aveva una certa considerazione della mia persona. La confidenza accrebbe il nostro affetto. È vero, ne conseguirono molti e grandi vantaggi, ma la speranza di ottenerli non fu il presupposto del nostro attaccamento.* 31 Come siamo generosi e liberali non per riscuotere una ricompensa - non diamo i nostri benefici a usura, ma per natura siamo propensi alla generosità -, così dobbiamo credere che si debba ricercare l'amicizia non nella speranza di un contraccambio, ma nella convinzione che il suo intero guadagno consista unicamente nell'amore.* 32 Dissente radicalmente da tale opinione chi riporta tutto al piacere, come le bestie. Niente di strano, perché chi ha abbassato ogni pensiero a un livello così terra terra e spregevole non può levare lo sguardo a nulla di alto, di magnifico, di divino.
Perciò teniamo questa gente al di fuori dal nostro discorso e cerchiamo di capire, da parte nostra, che il sentimento di affetto e stima deriva dalla natura, ogni volta che appaia un segno di onestà. Chi vi aspira, si avvicina e si stringe sempre più per godere della presenza e del carattere di colui che ha iniziato ad amare: vuole rendere il proprio affetto in tutto reciproco, essere propenso a rendere servigi più che a richiederne, competere in una gara di virtù. Così l'amicizia procurerà i maggiori vantaggi e, derivando dalla natura e non dalla debolezza, avrà un'origine più nobile e più vera. Infatti, se fosse la convenienza il cemento delle amicizie, cambiati interessi il legame si scioglierebbe. Ma, dal momento che la natura è immutabile, ne consegue che le amicizie vere sono eterne. Ecco l'origine dell'amicizia, a meno che non abbiate qualche obiezione da fare.
FANNIO. No, continua tu, Lelio. A nome di Scevola, che è più giovane, rispondo io a buon diritto.* 33 SCEVOLA. Certamente. Ascoltiamo, dunque.
LELIO. Sì, ascoltate, uomini egregi, gli argomenti molte volte affrontati da me e Scipione nelle nostre discussioni sull'amicizia.
Nonostante tutto, diceva che nulla è più difficile che mantenere un'amicizia sino alla morte. Spesso si verificano o divergenze di interessi o disaccordi in politica; l'uomo, poi, non di rado cambia carattere sia nei momenti difficili sia per il peso degli anni. Come esempio di tali cambiamenti prendeva l'adolescenza, quando con la toga pretesta si accantonano spesso anche i profondissimi affetti dell'infanzia.* 34 Se invece durano sino alla giovinezza, vengono infranti dalle rivalità per un partito matrimoniale oppure per un interesse che i due amici non possono ottenere nello stesso tempo. Ma se l'amicizia si spinge oltre, eccola vacillare quando si accende la lotta per le cariche pubbliche.
La peste più esiziale dell'amicizia è, nella maggior parte degli uomini, la sete di denaro, nei migliori, la lotta per il potere e per la gloria. Ecco perché dagli amici più cari sorgono spesso gli odi più feroci.* 35 Gravi disaccordi, e per lo più legittimi, nascono anche quando si chiede all'amico un favore immorale come, ad esempio, farsi strumento di piacere o complice in una violenza. Chi si rifiuta agisce con onore, ma dalla persona che non vuole compiacere è accusato di tradire il codice dell'amicizia. Invece chi osa chiedere all'amico qualsiasi favore, con la sua stessa richiesta ammette di esser pronto a tutto per l'altro. Di solito le sue recriminazioni non solo distruggono antiche amicizie, ma suscitano anche odi eterni. Ecco le tante, per così dire, fatalità che incombono sull'amicizia: secondo Scipione per evitarle tutte non basta la saggezza, occorre anche la fortuna.* 36 Perciò, se siete d'accordo, vediamo innanzi tutto fino a che punto deve spingersi l'amore per un amico. Gli amici di Coriolano, se mai ne ebbe, avrebbero dovuto impugnare le armi contro la patria insieme a lui? E quando Vecellino e Melio aspiravano alla tirannide, gli amici avrebbero dovuto seguirli?* 37 Tiberio Gracco fomentava disordini contro lo stato: Quinto Tuberone e gli altri amici suoi coetanei lo abbandonarono, come si è visto. Invece Caio Blossio di Cuma, ospite della vostra famiglia, Scevola, quando venne da me a chiedere perdono, perché ero membro della commissione d'inchiesta con i consoli Lenate e Rupilio, per giustificarsi diceva di aver stimato tanto Tiberio Gracco da credere suo dovere l'esaudire ogni sua decisione. Allora io: "Anche se ti avesse chiesto di dare alle fiamme il Campidoglio?" "Non mi avrebbe mai chiesto una cosa simile!" rispose. "In quel caso, però, avrei ubbidito." Vedete che parole infami! E, perdio, lo fece davvero. Anzi, superò quanto aveva detto: non obbedì alla temerarietà di Tiberio Gracco, ma la istigò, non si offrì come complice della sua follia, ma come guida. E così, persa completamente la testa, per paura dell'inchiesta straordinaria, riparò in Asia, passò al nemico e pagò allo stato una pena dura, ma giusta. Perciò, dire di aver commesso un reato per un amico non è un'attenuante. Se infatti è stata la tua fede nella virtù a conciliarti l'amicizia, difficilmente l'amicizia resisterà se rinunci alla virtù.* 38 Se decidessimo che è giusto concedere agli amici qualsiasi cosa vogliano, oppure ottenere da loro qualsiasi cosa vogliamo, dovremmo essere proprio dei saggi provetti per riuscirvi senza inconvenienti! Ma mi sto riferendo agli amici che abbiamo sotto gli occhi, che vediamo o di cui ci è giunto il ricordo, che incontriamo nella vita quotidiana. È da loro che dobbiamo prendere esempio e, in particolare, da chi è più vicino alla saggezza.* 39 Sappiamo che Emilio Papo fu intimo amico di Luscino - lo abbiamo appreso dai Padri. Furono due volte consoli insieme e colleghi nella censura. È stato tramandato, inoltre, che un'intima amicizia li legava a Manlio Curio e a Tiberio Coruncanio, anch'essi grandi amici. Ebbene, non possiamo neppure sospettare che uno di loro abbia preteso dall'amico un favore contrario alla parola data, al giuramento, allo stato. È inutile dire che, trattandosi di uomini simili, se lo avesse preteso non lo avrebbe ottenuto, perché erano persone della massima integrità morale, perché cedere a una richiesta del genere o avanzarla va comunque contro ogni legge. Invece, Tiberio Gracco trovò dei seguaci in Caio Carbone, in Caio Catone e in suo fratello Caio, che allora non era così violento come oggi.* 40 Si stabilisca dunque la seguente legge dell'amicizia: non avanzare richieste immorali né esaudirle se richieste. È una scusa davvero vergognosa e assolutamente inaccettabile confessare di aver commesso un reato, specie contro lo stato, in nome dell'amicizia.
In verità, cari Fannio e Scevola, siamo arrivati a un punto che dobbiamo prevedere con largo anticipo quali mali si abbatteranno sullo stato. Ormai deviamo non poco dalla retta via tracciata dai Padri.* 41 Tiberio Gracco ha cercato di arrogarsi un potere regale o, piuttosto, è stato re per pochi mesi. Il popolo romano aveva mai sentito o visto qualcosa del genere? Anche dopo la morte di Tiberio Gracco i suoi amici e parenti ne seguirono l'esempio: e quel che fecero a Publio Scipione non posso dirlo senza piangere. Quanto a Carbone lo abbiamo sopportato quanto ci è stato possibile solo perché da poco era stata inflitta una punizione a Tiberio Gracco. Che cosa mi aspetto poi dal tribunato di Caio Gracco, è meglio non prevederlo. Ormai serpeggia un male che, una volta risvegliato, scivola giù a seminar rovina. Vedete, a proposito delle norme di votazione, che marcio si è creato prima con la legge Gabinia e due anni dopo con la legge Cassia. Mi sembra già di vedere il popolo opporsi al senato e le più importanti questioni risolversi secondo i capricci della folla. E la gente imparerà a fomentar rivoluzioni piuttosto che a porvi rimedio.* 42 Perché parlo così? Perché senza complici nessuno tenta simili imprese. Bisogna quindi esortare i virtuosi, se per caso e senza accorgersene si imbattono in amicizie del genere, a non credersi obbligati a non staccarsi da amici che si macchiano di gravi reati politici. Contro i corrotti si deve stabilire una pena non inferiore per i seguaci che per gli ideatori del crimine. Chi fu più illustre, in Grecia, di Temistocle? Chi più potente? Lui che, stratega della guerra contro i Persiani, aveva liberato la Grecia dalla servitù ed era stato esiliato per invidia, non seppe sopportare, come avrebbe dovuto, l'ingiustizia della sua patria ingrata. Compì lo stesso gesto che, vent'anni prima, da noi, era stato di Coriolano. Non trovarono nessuno che li aiutasse contro la patria: perciò, entrambi, si suicidarono.* 43 Non solo non bisogna coprire con il pretesto dell'amicizia un simile complotto di gente corrotta, ma piuttosto punirlo con le sanzioni più gravi, perché nessuno si creda autorizzato a seguire l'amico anche quando attenta allo stato. E, da come vanno le cose, non è detto che un domani non accada. Nel mio caso, poi, il pensiero di come sarà la situazione politica dopo la mia morte desta in me preoccupazioni non meno gravi di quelle per il presente.* 44 Si stabilisca dunque la prima legge dell'amicizia: bisogna rivolgere agli amici solo richieste oneste, compiere per gli amici solo azioni oneste senza aspettare di esserne richiesti, mostrarsi sempre disponibili e mai esitanti, avere il coraggio di dare liberamente il proprio parere. Valga soprattutto nell'amicizia l'autorità degli amici che danno buoni consigli; tale autorità serva ad ammonire non solo con sincerità ma, se la situazione lo richiede, anche con asprezza e, in tal caso, le si obbedisca.* 45 Alcuni che, a quanto sento dire, vennero considerati sapienti in Grecia, hanno sostenuto tesi a mio giudizio paradossali (ma non esiste argomento su cui non cavillino). Una parte afferma che dobbiamo rifuggire dalle amicizie eccessive, per evitare che uno solo si tormenti per molti; a ciascuno bastano e avanzano i propri problemi e farsi carico di quelli altrui è una bella noia. La cosa migliore, secondo loro, è allentare più che si può le briglie dell'amicizia, tirandole o lasciandole andare a proprio piacere; essenziale per vivere bene è la tranquillità, di cui l'animo non può godere se, per così dire, fosse uno solo a sopportare il travaglio per tutti.* 46 Altri, invece, a quanto si dice, sostengono una tesi ancora più disumana; l'ho brevemente accennata poco fa: le amicizie andrebbero ricercate in vista di protezione e appoggi, non per un sentimento di affetto e stima; insomma, quanto meno uno è deciso e forte, tanto più aspira all'amicizia; ecco perché sono le donnicciole a chiedere la protezione dell'amicizia più degli uomini, i poveri più dei ricchi e gli sventurati più di chi è considerato felice.* 47 Ma che bella saggezza! È come se privasse l'universo del sole chi priva la vita dell'amicizia: e niente di più bello, niente di più gradito dell'amicizia abbiamo ricevuto dagli dèi immortali. Allora, che cos'è mai questa tranquillità, in apparenza seducente, ma in realtà da ripudiare per molti aspetti? No, non ha senso rifiutarsi di intraprendere una cosa o un'azione onesta, oppure abbandonarla dopo averla intrapresa, per evitare noie. Ma se fuggiamo le preoccupazioni, dobbiamo fuggire la virtù che, all'inevitabile prezzo di qualche apprensione, ci porta a disprezzare e odiare il suo contrario, come fa la bontà con la cattiveria, la temperanza con le passioni, il coraggio con l'ignavia. Ecco perché si vedono soprattutto i giusti soffrire per le ingiustizie, i coraggiosi per la viltà, i moderati per gli eccessi. E proprio di un animo ben educato, quindi, rallegrarsi per il bene e affliggersi per il male.* 48 Perciò, se anche l'animo del saggio è sensibile al dolore - e lo è di sicuro, se non vogliamo ammettere che gli è stata strappata l'umanità -, perché dovremmo sradicare dalla vita l'amicizia, per evitare di provar fastidi a causa sua? Se si elimina il sentimento, che differenza c'è non dico tra l'uomo e una bestia, ma tra l'uomo e un tronco o un sasso o qualcosa del genere? No, non bisogna dare ascolto a chi pretende che la virtù sia dura e, per così dire, di ferro, quando invece in molte circostanze, ma soprattutto nell'amicizia, è così tenera ed elastica da aprirsi, se posso esprimermi così, alla fortuna dell'amico e da chiudersi di fronte alle sue avversità. Ecco perché l'angoscia, che spesso si deve patire per un amico, non è così forte da escludere l'amicizia dalla vita, non più di quanto siamo disposti a rinunciare alle virtù perché comportano preoccupazioni e fastidi.
* Poiché quello che induce a stringere un rapporto di amicizia, come ho detto prima, è il balenare di qualche segno di virtù, che induce un animo affine ad accostarsi e legarsi ad essa, quando ciò accade, allora sorge inevitabile l'amore.* 49 Siamo appagati da molte cose vane: onori, gloria, casa, vestiti, forma fisica, ma non apprezziamo affatto l'animo virtuoso, capace di amare e, per così dire, di ricambiare l'amore. C'è follia più grande? Niente, infatti, è più piacevole del reciproco affetto e della corrispondenza di attenzioni e cortesie.* 50 E se poi aggiungiamo - come si può fare a buon diritto - che niente affascina e attira qualcosa a sé quanto la somiglianza affascina e attira gli uomini all'amicizia, si finirà con l'ammettere che i buoni amano i buoni e li attraggono a sé come se li sentissero legati dalla parentela o dalla natura. Niente brama tanto il suo simile e ne è avido quanto la natura. Ecco perché possiamo ritenere certo, cari Fannio e Scevola, che i buoni hanno per i buoni un affetto in un certo senso ineluttabile: è la natura ad averlo posto come fonte dell'amicizia. Ma la bontà, in sé e per sé, può sussistere anche tra molte persone. La virtù, infatti, non è inumana, egoista e superba, ma suole proteggere interi popoli e provvedere nel modo migliore a essi. E non lo farebbe di sicuro se aborrisse dall'amore per la gente.* 51 Anzi, a mio parere, chi basa l'amicizia sull'interesse distrugge tra i vincoli dell'amicizia quello che è più vicino all'amore. In realtà, non ci è caro tanto ricavare un guadagno dall'amico, quanto il suo stesso amore, e quel che ci proviene dall'amico risulta piacevole solo se accompagnato dall'affetto. E credere che le amicizie si coltivino per indigenza è tanto lontano dal vero che si rivelano più generose e magnanime proprio le persone che, forti del loro prestigio, delle loro ricchezze e soprattutto della loro virtù, nella quale trovano la maggiore risorsa, hanno meno bisogno degli altri. Anzi, sono portato a credere che non è neppure necessario che agli amici non manchi mai assolutamente nulla. Quando avrei potuto dimostrare tutto il mio affetto se Scipione non avesse avuto bisogno mai del mio consiglio, mai della mia collaborazione in pace o in guerra? Non è stata pertanto l'amicizia a seguire il vantaggio, ma è il vantaggio che si è accompagnato all'amicizia.* 52 Non bisognerà allora dar retta a chi sguazza nei piaceri se talvolta discute sull'amicizia senza averla conosciuta né in teoria né in pratica. Chi, infatti, in nome degli dèi e degli uomini, vorrebbe annegare in un mare di ricchezze e vivere nella più grande abbondanza a patto di non amare nessuno e di non essere amato da nessuno? Non c'è dubbio: questa è la vita dei tiranni, vita che ignora completamente lealtà, affetto e fiducia in un legame durevole. Tutto desta sospetti e angosce, non vi è spazio per l'amicizia.* 53 Chi, allora, potrebbe amare una persona di cui ha paura o a cui pensa di ispirarne? Eppure i tiranni sono riveriti, ma da chi finge, e solo per un tempo limitato. Se mai cadono, come succede generalmente, allora viene a galla quanto fossero poveri di amici. È quello che, secondo la tradizione, ammise Tarquinio il giorno dell'esilio: riconobbe gli amici fedeli e quelli infedeli solo nel momento in cui non poteva più ripagare né gli uni né gli altri.* 54 È strano, comunque, che abbia potuto avere un solo amico, con la sua superbia e crudeltà! Ma se il suo carattere non poté procurargli veri amici, allo stesso modo le ricchezze impediscono a molti potenti di avere amicizie fedeli. La Fortuna, infatti, non solo è cieca, ma acceca spesso anche le persone cui ha concesso i propri favori. Ecco perché, di solito, si lasciano prendere dall'arroganza e dall'alterigia, e niente risulta più insopportabile di uno stupido fortunato. Si può poi osservare che uomini, il cui carattere era affabile, cambiano con un comando militare, una carica pubblica o un successo, disprezzano le vecchie amicizie e assecondano in tutto le nuove.* 55 Ma la vera follia, quando dispongono di ricchezze, possibilità e prestigio, è che si procurano tutto ciò che il denaro può offrire - cavalli, servi, vestiti di lusso, vasi preziosi -, ma non gli amici, il migliore, per così dire il più prezioso corredo della vita. Quando acquistano tutti quei beni, non sanno né per chi li comprano, né per chi si danno tanto da fare. Sono oggetti, infatti, che appartengono al più forte, mentre il possesso dell'amicizia è in ogni uomo stabile e sicuro. Di conseguenza, anche se conservassero quei beni, che sono come doni della Fortuna, una vita di solitudine, priva di amicizie non potrebbe dar la felicità. Ma sull'argomento ho detto abbastanza.* 56 Bisogna ora fissare i limiti dell'amicizia e, per così dire, la linea di confine dell'affetto. Vedo che sull'argomento circolano tre teorie, e nessuna mi sembra accettabile. La prima sostiene che dobbiamo nutrire per gli amici gli stessi sentimenti che proviamo per noi; la seconda che il nostro affetto per gli amici deve corrispondere in tutto e per tutto al loro affetto per noi; la terza che quanto uno stima se stesso, tanto deve essere stimato dagli amici.* 57 Non sono affatto d'accordo con nessuna delle tre. Non è vera la prima, secondo cui si deve esser disposti verso l'amico come si è disposti verso se stessi. Quante cose che non faremmo mai per noi, le facciamo invece per gli amici! Pregare uomini indegni, supplicare, scagliarsi contro un altro con troppa durezza e con troppa veemenza attaccarlo, tutti comportamenti che, quando si tratta di noi, risultano poco dignitosi, ma quando si tratta degli amici, diventano il massimo della dignità. In numerose circostanze, poi, gli uomini virtuosi sacrificano molti dei propri privilegi o tollerano di sacrificarli perché siano gli amici a goderne più di loro stessi.* 58 La seconda teoria considera l'amicizia come la reciprocità dei doveri e dei sentimenti. Ma significa ridurla a conti troppo gretti e meschini, per vedere se il bilancio è in pari! La vera amicizia, secondo me, è più ricca, più generosa e non bada con pignoleria a non rendere più di quanto abbia ricevuto. Non bisogna temere di perdere qualcosa, di lasciar cadere a terra una goccia o di fare troppo buon peso.* 59 Eppure la peggiore di tutte è la terza definizione: quanto uno stima se stesso, tanto deve essere stimato dagli amici. Spesso alcuni si sentono troppo depressi oppure nutrono un'esigua speranza di migliorare il proprio destino. Non è dunque da amico essere verso l'altro come egli è verso se stesso, ma è da amico fare di tutto per dare una scrollata a chi si sente giù spingendolo a nutrire speranze e pensieri migliori. Bisogna quindi stabilire un diverso limite alla vera amicizia. Prima, però, voglio riferire a cosa, in particolare, si indirizzasse la condanna di Scipione. A suo dire, non si potevano trovare parole più ostili all'amicizia di quelle pronunciate da chi si espresse così: "Bisogna amare come se in futuro si dovesse odiare". Non riusciva a capacitarsi che l'autore, come generalmente si pensa, fosse Biante, dal momento che viene annoverato tra i Sette Sapienti. No, quella era l'affermazione di un immorale, di un arrivista, di chi subordina tutto al potere. Come possiamo essere amici di chi consideriamo un potenziale nemico? Ma allora sarà inevitabile desiderare e augurarci che l'amico commetta il maggior numero di colpe possibili per offrirci più occasioni di rimprovero; al contrario, le sue buone azioni e i suoi successi finiranno col destare in noi tensione, dolore e invidia.* 60 Ecco perché tale precetto, di chiunque sia, serve solo a distruggere l'amicizia. Bisognerebbe piuttosto proporne un altro: quando stringiamo le amicizie, dobbiamo stare attenti a non iniziare ad amare chi, un giorno, potremmo odiare. Anzi, secondo Scipione, qualora la scelta degli amici non si rivelasse felice, dovremmo sopportarli piuttosto che pensare al momento giusto per aprire le ostilità.* 61 Ecco, dunque, a mio giudizio, i limiti dell'amicizia: quando gli amici hanno un comportamento irreprensibile, allora mettiamo in comune ogni azione, pensiero, proposito senza eccezione alcuna. Se poi il caso vuole che dobbiamo assecondare gli amici in propositi non del tutto giusti, in cui siano in gioco la loro vita e la loro reputazione, allora si deve fare uno strappo alla regola, purché non ne consegua un gravissimo disonore. Sino a un certo limite, infatti, possiamo usare indulgenza all'amicizia, senza però trascurare la nostra reputazione o sottovalutare il favore dell'opinione pubblica come se fosse una piccola arma nella vita politica, benché accattivarselo con la lusinga e la piaggeria sia una vergogna; quanto alla virtù, da cui sorge l'affetto, non dobbiamo mai rinnegarla.* 62 Ma Scipione - ritorno spesso a lui perché suo era l'intero discorso sull'amicizia - si lamentava che gli uomini in tutto usino più attenzione che nell'amicizia. Tutti sanno dirti quante capre o pecore possiedono, ma quanti amici no. Nel procurarsi un gregge usano ogni riguardo, ma nello scegliere gli amici sono distratti né hanno, per così dire, segni particolari e marchi che li aiutino a giudicare coloro che sono idonei all'amicizia.
Dobbiamo scegliere amici dotati di fermezza, stabilità e coerenza - e di tali caratteristiche vi è grande penuria! E giudicare una persona senza metterla alla prova è davvero difficile, ma la prova è fattibile solo se si è instaurato il legame. Così, l'amicizia precorre il giudizio e finisce con eliminare la possibilità di fare una verifica.* 63 È indice di saggezza, quindi, saper frenare l'impeto dell'affetto come si frena un cocchio, per poter usare dell'amicizia solo dopo aver sperimentato, in qualche modo, il carattere degli amici, così come si provano i cavalli. Spesso alcuni rivelano tutta la loro leggerezza di fronte a pochi soldi; altri, invece, irremovibili davanti a una piccola somma, si tradiscono di fronte a una grande. Ma se pure troveremo chi si vergogna di preferire il denaro all'amicizia, dove troveremo chi non antepone all'amicizia onori, cariche pubbliche e militari, potere, prestigio, e chi, avendo la possibilità di scegliere tra tutti questi beni e le prerogative dell'amicizia, non preferisce di gran lunga i primi? La natura umana è troppo debole per disprezzare il potere; e se si raggiunge il potere a prezzo dell'amicizia, si pensa che su ciò calerà un'ombra, perché non senza una valida ragione l'amicizia è stata trascurata.* 64 E così, è difficilissimo trovare vere amicizie in chi vede nella carriera politica una ragione di vita. Dove trovare chi preferisca alla propria affermazione quella dell'amico? E, per passare ad altro, come risulta gravoso e difficile, ai più, condividere gli insuccessi altrui! Non è facile trovare persone disposte ad abbassarsi a tanto. E benché Ennio abbia ragione nel dire:
L'amico certo si scopre nella sorte incerta
tuttavia due sono le situazioni che dimostrano la leggerezza e l'incostanza dei più: se disprezzano gli amici nel momento del successo o se li abbandonano nelle difficoltà. Chi, in entrambi i casi, si mostrerà amico serio, coerente e stabile, dobbiamo considerarlo di una stirpe umana rarissima, quasi divina!* 65 Base della stabilità e della coerenza, che cerchiamo nell'amicizia, è la lealtà. Nulla è stabile senza lealtà. Conviene inoltre scegliere una persona semplice, socievole e di sensibilità affine, cioè che reagisca alle situazioni come noi. Tutto ciò contribuisce alla fedeltà. Non può essere leale un carattere complesso e tortuoso, e neppure chi non reagisce come noi e ha una sensibilità diversa può essere leale e stabile. Bisogna poi aggiungere che l'amico non deve provar gusto nel calunniare o nel prestar fede a calunnie mosse da altri. Tutto ciò contribuisce alla coerenza, di cui sto trattando già da un po'. Ed ecco avverarsi la premessa del mio discorso: l'amicizia può esistere solo tra i virtuosi. Solo l'uomo virtuoso, che si può chiamare anche saggio, sa osservare due norme dell'amicizia. Prima: evitare tutto ciò che è finto o simulato; persino l'odio dichiarato è più nobile che nascondere il proprio pensiero dietro un'espressione del volto. Seconda: non solo respingere le accuse lanciate da altri, ma neppure nutrire sospetti, supponendo che l'amico si sia comportato male.* 66 Conviene aggiungere, infine, la dolcezza di parola e di modi, condimento per nulla trascurabile dell'amicizia. Il cattivo umore e la continua serietà comportano sì un tono di sostenutezza, ma l'amicizia deve essere più rilassata, più libera, più dolce, più incline a ogni forma di amabilità e di cortesia.* 67 Sorge a questo punto un problema di una certa difficoltà: a volte, dobbiamo forse preferire i nuovi amici, purché degni della nostra amicizia, ai vecchi, così come di solito preferiamo ai cavalli di una certa età quelli giovani? Dubbio indegno di un uomo! Nell'amicizia non deve esistere sazietà come nelle altre cose! Quanto più un'amicizia è antica, tanto più deve piacere, come quei vini che reggono bene l'invecchiamento. Ed è vero il proverbio che dice: bisogna mangiare insieme molti moggi di sale perché si possa dire assolto il dovere di amico.* 68 Quanto alle nuove amicizie, se lasciano sperare nella nascita di un frutto, come giovani piante che non ingannano l'attesa, non sono certo da rifiutare, ma l'anzianità deve rimanere al posto che le spetta, perché è grandissima la forza dell'anzianità e dell'intima conoscenza. Anzi, ritornando all'esempio del cavallo appena menzionato, se niente lo impedisce, non c'è nessuno che preferisca al cavallo cui è abituato uno mai montato e nuovo per lui. In realtà, è un'abitudine valida non solo per gli esseri animati, ma anche per quelli inanimati, tant'è vero che ci piacciono dei luoghi, anche se montuosi e selvaggi, se vi abbiamo dimorato per un certo periodo di tempo.* 69 Ma il presupposto fondamentale dell'amicizia è mettersi al livello di chi è inferiore. Spesso ci sono uomini di levatura superiore, come Scipione nel nostro gruppo. Eppure non fece pesare mai la sua posizione a Filo, mai a Rupilio, mai a Mummio, mai agli amici di rango inferiore. Anzi, onorava come un superiore, perché più vecchio di lui, suo fratello Quinto Massimo, uomo sì di grandi capacità, ma non del suo livello, e voleva offrire a ogni amico la possibilità di innalzare la propria posizione.* 70 Ecco cosa dovrebbero fare tutti, imitando Scipione: se sono riusciti a distinguersi per virtù, intelligenza e fortuna, rendano partecipi gli amici della propria superiorità, la condividano con chi hanno più vicino; se, per esempio, i loro genitori sono di umile condizione, se i loro parenti non sono molto dotati di spirito e di sostanze, ne accrescano le risorse e li aiutino a ottenere onori e dignità. È quel che accade in teatro, dove personaggi vissuti a lungo in stato di servitù, perché se ne ignorava la stirpe e l'origine, una volta riconosciuti come figli di dèi o re, mantengono intatto il loro affetto nei riguardi dei pastori che per molti anni hanno considerato loro padri. A maggior ragione bisogna comportarsi così nei confronti dei veri e sicuri genitori. Cogliamo infatti il maggior frutto dell'intelligenza, della virtù, di ogni tipo di superiorità quando ne diamo una parte a chi ci è più vicino.* 71 Come, dunque, nei legami di amicizia o nelle relazioni vincolanti i superiori devono mettersi al livello degli inferiori, così gli inferiori non devono affliggersi nel vedersi superati per intelligenza, fortuna e dignità. Invece, la maggior parte di questi è sempre pronta a lamentarsi o a rinfacciare qualcosa, soprattutto se pensa di poter ricordare un favore reso che ne attesti la premura, l'amicizia e anche un certo disturbo. Che gente odiosa! È sempre pronta a rinfacciare quel che ha fatto, mentre dei favori dovrebbe ricordarsi chi li ha ricevuti e non parlarne chi li ha resi.* 72 Perciò, nei rapporti di amicizia come coloro che sono superiori devono abbassarsi, così, in un certo senso, devono elevare gli inferiori. Ci sono persone, infatti, che tolgono il piacere dell'amicizia perché si credono disprezzate; capita generalmente solo a chi non si considera degno della stima altrui. È doveroso, quindi, liberarli di tale pregiudizio non solo a parole, ma anche con i fatti.* 73 Devi inoltre dare all'amico in primo luogo quanto sei in grado di dare, in secondo luogo quanto la persona che ami e vuoi aiutare è in grado di sostenere. Per quanto tu stia in alto non potresti condurre gli amici ai vertici delle cariche pubbliche. Scipione, per esempio, riuscì a far eleggere console Publio Rupilio, ma non il fratello di costui, Lucio. Ma se anche potessi conferire a un altro una carica qualsiasi, devi sempre vedere se sia capace di sostenerla.* 74 In generale, si devono giudicare le amicizie quando il carattere si è formato e l'età è matura. Se, da giovani, siamo stati appassionati di caccia o del gioco della palla, non dobbiamo considerare necessariamente amici i compagni che allora prediligevamo perché accomunati dalla stessa passione. In questo modo, nutrici e pedagoghi si sentiranno in dovere di esigere il massimo dell'affetto per diritto di anzianità! Noi non dobbiamo dimenticarli, ma amarli in un altro modo. Diversamente, le amicizie non possono durare in maniera stabile. Caratteri diversi comportano interessi diversi ed è questa diversità a separare gli amici; se i virtuosi non possono essere amici dei malvagi e i malvagi dei virtuosi è solo perché la loro differenza di carattere e di interessi è la più grande che ci sia.* 75 A ragione si può prescrivere un'altra regola nell'amicizia: un affetto incontrollato non deve ostacolare l'amico, come molto spesso accade, nel conseguimento di importanti successi. Per ritornare ai drammi, Neottolemo non avrebbe potuto conquistare Troia se avesse voluto dar retta a Licomede, presso il quale era stato allevato, che piangendo a dirotto cercava di impedirne la partenza. Spesso, poi, capitano gravi eventi che impongono un distacco: chi vi si oppone, perché incapace di sopportare la mancanza dell'amico è debole, senza carattere, e, proprio per questo, ingiusto nei confronti dell'amico.* 76 Insomma, in ogni circostanza devi valutare attentamente cosa chiedi all'amico e cosa sei disposto a concedergli.
* Incombe sulle amicizie una calamità, e non sempre è possibile evitarla: la rottura. Il mio discorso si abbassa ormai dall'amicizia tra saggi alle amicizie comuni. I difetti degli amici, infatti, molte volte si manifestano all'improvviso, ora a danno degli stessi amici, ora degli estranei, ma in modo che il disonore ricada sempre sugli amici. Bisogna frequentare tali amicizie sempre meno, sino ad arrivare allo scioglimento definitivo. Come ho sentito dire da Catone, dobbiamo scucirle, non strapparle, a meno che non divampi un motivo di risentimento davvero insopportabile; in tal caso non sarebbe giusto, né dignitoso, né possibile non troncare una volta per tutte il rapporto.* 77 Ma se il carattere o gli interessi cambieranno, come avviene di solito, o se il diverso orientamento politico diventerà motivo di contrasto (non mi sto riferendo, come ho appena detto, alle amicizie dei saggi, ma alle comuni), dovremo evitare di far credere che abbiamo fatto morire un'amicizia per concepire un odio. Niente è più indegno che aprire le ostilità contro la persona con cui hai vissuto in intimità. Scipione, lo sapete, a causa mia aveva rinunciato all'amicizia di Quinto Pompeo; per dissensi politici si staccò dal nostro collega Metello: in entrambi i casi agì dignitosamente, cioè con autorità, ma senza nutrire aspri rancori.* 78 Per prima cosa, dunque, bisogna cercare di impedire tra amici le lacerazioni, ma, se si verificano, bisogna comportarsi in modo che la fiamma dell'amicizia sembri essersi consumata da sola, e non che sia stata soffocata. Occorre poi evitare che le amicizie si convertano in odi feroci, da cui nascono liti, maldicenze e insulti. Se però sono tollerabili, bisogna sopportarle e tributare questo onore all'amicizia di un tempo, in modo che la colpa ricada su chi commette il torto, non su chi lo subisce.
In generale, il solo mezzo per prevenire e impedire questi guai e queste molestie è non iniziare ad amare troppo presto o persone indegne.* 79 Degno di amicizia è chi ha dentro di sé la ragione di essere amato. Specie rara! Davvero, tutto ciò che è bello è raro; niente è più difficile che trovare una cosa perfetta, nel suo genere, sotto ogni aspetto. Ma i più riconoscono come buono, nella vita umana, solo ciò che comporta un profitto e scelgono gli amici come le bestie, preferendo chi offre loro la speranza del massimo guadagno.* 80 Si privano così dell'amicizia più bella e più naturale, quella che si ricerca in sé e per sé, e non imparano dalla diretta esperienza quale sia l'essenza e l'importanza dell'amicizia. Ciascuno, infatti, ama se stesso, non perché pretende di ricavare da sé il compenso del proprio affetto, ma perché amarsi è fine a se stesso. Se non si trasferisce tale mentalità nell'amicizia, non si troverà mai un vero amico. E il vero amico è come un altro te stesso.* 81 Ora, se è evidente negli animali - dell'aria, dell'acqua, della terra, domestici e selvatici - che, primo, si amano (è un istinto "innato" in ogni essere vivente), e, secondo, cercano ardentemente un animale della stessa specie cui accoppiarsi (e lo fanno con slancio, con qualcosa che assomiglia all'amore umano), quanto tale sentimento è più naturale nell'uomo, che ama se stesso e cerca un altro con cui mescolare la sua anima, per farne di due quasi una sola!* 82 Ma i più assurdamente, per non dire con impudenza, vogliono avere amici come loro stessi non possono essere e quel che essi non danno agli amici lo pretendono da loro. Invece è giusto prima di tutto essere uomini virtuosi e poi cercare altri simili a noi. Solo tra virtuosi può rafforzarsi la stabilità dell'amicizia, di cui sto trattando già da un po', quando cioè gli uomini, legati dall'affetto, sapranno in primo luogo dominare le passioni, di cui gli altri sono schiavi, e poi ameranno l'equità e la giustizia, si sobbarcheranno a ogni sacrificio l'uno per l'altro, non chiederanno mai nulla che contravvenga alla morale e al diritto, e instaureranno così non solo un rapporto di stima e amore, ma anche di rispetto. In verità, priva l'amicizia del suo più bell'ornamento chi la priva del rispetto.* 83 Ecco perché chi considera l'amicizia un terreno aperto a voglie e colpe di ogni sorta cade in un pernicioso errore. La natura, invece, ci ha dato l'amicizia come ausilio della virtù, non come complice dei vizi, e lo ha fatto perché la virtù, incapace da sola di raggiungere il bene supremo, vi pervenisse congiunta e associata a un'altra virtù. E se tra gli uomini c'è, c'è stata o ci sarà una simile unione, bisogna considerarla la migliore e la più felice alleanza sulla via del supremo bene naturale.* 84 È un'unione, dico io, in cui risiedono tutti i beni che gli uomini considerano desiderabili: l'onore, la gloria, la serenità e la gioia interiore; se li possiedono la vita è felice, ma se non li hanno, non può esserlo. E siccome questo è il bene supremo, se vogliamo raggiungerlo dobbiamo consacrarci alla virtù, senza la quale non possiamo ottenere né l'amicizia né alcun bene desiderabile. Ma le persone che credono di avere degli amici pur calpestando la virtù, si accorgono alla fine di aver sbagliato, quando una grave circostanza li costringe a metterli alla prova.* 85 Ecco perché, e non bisogna stancarsi di ripeterlo, prima devi giudicare, poi voler bene, e non il contrario.
Scontiamo la nostra negligenza in molte circostanze, ma soprattutto quando scegliamo e coltiviamo le amicizie. Questo perché prendiamo le decisioni quando ormai è troppo tardi e, benché ce lo vieti un antico proverbio, tentiamo di cambiar l'ineluttabile. Ci facciamo strettamente vincolare agli altri o da una lunga relazione o anche dagli obblighi; poi, all'improvviso, sorge un ostacolo e sfasciamo l'amicizia, nel bel mezzo della navigazione.* 86 A maggior ragione, quindi, dobbiamo condannare tale indifferenza nei confronti di una cosa estremamente necessaria. Di tutti i beni della vita umana l'amicizia è l'unico sulla cui utilità gli uomini siano unanimemente d'accordo. È vero che molti disprezzano la virtù e la considerano uno sfoggio, un'ostentazione; molti, che si accontentano di poco e amano un tenore di vita semplice, spregiano invece le ricchezze; e le cariche politiche, il desiderio delle quali infiamma alcuni, quanto sono numerosi quelli che le disprezzano, al punto da considerarle il culmine della vanità e della frivolezza! Allo stesso modo, quel che per gli uni è meraviglioso, per moltissimi non vale niente. Ma sull'amicizia tutti, dal primo all'ultimo, sono d'accordo, da chi fa della politica una ragione di vita a chi si diletta di scienza e filosofia, da chi, al di fuori della vita pubblica, si occupa dei propri affari a chi, infine, si dà anima e corpo ai piaceri. Tutti sanno che la vita non è vita senza amicizia, se almeno in parte si vuole vivere da uomini liberi.* 87 L'amicizia, infatti, si insinua, non so come, nella vita di tutti e non permette a nessuna esistenza di trascorrere senza di lei. Anzi, se un uomo fosse di indole tanto aspra e selvaggia da rifuggire da ogni contatto umano e da detestarlo - un certo Timone, ad Atene, dicono che fosse così -, non potrebbe tuttavia fare a meno di cercare qualcuno cui vomitare addosso il veleno della sua acredine. Giudicheremmo meglio un tale comportamento se ci capitasse una cosa del genere: un dio ci strappa dal consorzio umano e ci isola in qualche luogo; qui, fornendoci senza risparmio ogni cosa necessaria alla natura umana, ci priva completamente della possibilità di vedere un altro essere umano. Chi sarebbe così duro da sopportare una vita simile? A chi la solitudine non toglierebbe il frutto di ogni piacere?* 88 Allora è vero quanto ripeteva, se non erro, Archita di Taranto (l'ho sentito ricordare dai nostri vecchi che, a loro volta, riportavano il racconto di altri vecchi): "Se un uomo salisse in cielo e contemplasse la natura dell'universo e la bellezza degli astri, la meraviglia di tale visione non gli darebbe la gioia più intensa, come dovrebbe, ma quasi un dispiacere, perché non avrebbe nessuno cui comunicarla." Così la natura non ama affatto l'isolamento e cerca sempre di appoggiarsi, per così dire, a un sostegno, che è tanto più dolce quanto più caro è l'amico.
* È vero: la natura stessa ci dichiara con tanti segni cosa vuole, cosa ricerca ed esige, ma noi diventiamo sordi, chissà perché, e non diamo ascolto ai suoi avvertimenti. In realtà, i rapporti di amicizia sono vari e complessi e si presentano molti motivi di sospetto e di attrito; saperli ora evitare, ora attenuare, ora sopportare è indice di saggezza.
Un motivo di risentimento in particolare non va inasprito, per poter conservare nell'amicizia vantaggi e lealtà: bisogna avvertire e rimproverare spesso gli amici e, con spirito amichevole, bisogna accettare da loro gli stessi rimproveri se sono ispirati dall'affetto.* 89 Invece, chissà perché, ha ragione il mio amico Terenzio quando dice nell'Andria:
L'ossequio genera amici, la verità odio.
Sgradita verità, se produce odio, il veleno dell'amicizia, ma molto più sgradito l'ossequio, perché, indulgente verso le colpe, non impedisce all'amico di cadervi! Ma è soprattutto colpevole chi rinnega la verità facendosi trascinare in inganno dall'ossequio. In tutto ciò bisogna usare raziocinio e accortezza, in primo luogo perché il monito non suoni aspro, in secondo luogo perché il rimprovero non risulti offensivo; si accompagni poi all'"ossequio" - mi piace usare il termine terenziano - la gentilezza, senza però far ricorso all'adulazione, complice dei vizi, indegna non solo di un amico, ma anche di un uomo libero. Perché in un modo si vive con il tiranno, in un altro si vive con l'amico.* 90 Se poi uno ha le orecchie chiuse alla verità e non può ascoltare dall'amico il vero, è il caso di disperare della sua salvezza. Acuto, come molti altri, è un detto di Catone: "Talvolta fanno del bene più i nemici irriducibili degli amici che sembrano compiacenti: i primi dicono spesso il vero, i secondi mai." Ed ecco un'altra assurdità: chi è rimproverato non prova il dispiacere che dovrebbe provare, ma si dispiace per quello che invece non dovrebbe toccarlo: infatti non si addolora per aver sbagliato, ma si irrita di venir ripreso. Invece dovrebbe provare il contrario: dolore per la colpa e gioia per la correzione.* 91 Se, dunque, è indice di vera amicizia ammonire ed essere ammoniti - e ammonire con sincerità, ma senza durezza, e accettare i rimproveri con pazienza, ma senza rancore -, allora dobbiamo ammettere che la peste più esiziale dell'amicizia è l'adulazione, la lusinga e il servilismo. Dàgli tutti i nomi che vuoi: sarà sempre un vizio da condannare, un vizio di chi è falso e bugiardo, di chi è sempre pronto a dire qualsiasi cosa per compiacere, ma la verità mai.* 92 D'altronde, se la simulazione in ogni circostanza è un male, perché impedisce il giudizio del vero e lo adultera, allora è assolutamente incompatibile con l'amicizia. Cancella infatti la verità senza la quale non ha più senso la parola amicizia. Se infatti l'essenza dell'amicizia consiste, per così dire, nel fondere in una sola anima più anime, come sarà possibile se nemmeno nell'anima del singolo individuo ci sarà sempre unità e identità, ma diversità, mutevolezza e ambiguità?* 93 Esiste qualcosa di tanto flessibile, di tanto sviato quanto l'anima di chi si trasforma non solo sulla base dell'umore e della volontà di un altro, ma anche della sua espressione o di un suo cenno?
Se dice no, io dico no. Se dice sì, io dico sì. Insomma, mi sono imposto di esser sempre d'accordo,
come afferma ancora Terenzio, ma per bocca di Gnatone. Avere un amico del genere è davvero indice di stoltezza!* 94 Ma siccome molti sono gli Gnatoni, e spesso superiori per condizione sociale, fortuna e fama, la loro piaggeria è pericolosa, perché alla menzogna si aggiunge l'autorità.* 95 Ma, stando bene attenti, è possibile distinguere e riconoscere l'amico adulatore dal vero amico, così come si riconosce ciò che è contraffatto e falso da ciò che è autentico e genuino. L'assemblea popolare, composta da persone molto ignoranti, è capace tuttavia di vedere, di solito, la differenza tra il demagogo, cioè il cittadino adulatore e infido, e il cittadino coerente, serio e ponderato.* 96 Con quali lusinghe Caio Papirio cercava di insinuarsi nelle orecchie dell'assemblea popolare poco tempo fa, quando presentava il disegno di legge sulla rielezione dei tribuni della plebe! Ci siamo opposti alla sua proposta. Ma non è di me, è di Scipione che preferisco parlare. Dèi immortali, che solennità, che maestà risuonò nelle sue parole! Non avresti esitato a chiamarlo guida del popolo romano, non semplice cittadino! Ma eravate presenti ed è in circolazione il suo discorso. Così, una legge di ispirazione popolare è stata respinta dai voti dei popolo. E, per ritornare a me, vi ricordate senz'altro di quanto apparisse popolare la legge sui sacerdozi presentata da Caio Licinio Crasso nell'anno del consolato di Quinto Massimo, fratello di Scipione, e di Lucio Mancino! L'elezione dei membri dei collegi sacerdotali veniva trasferita al popolo. E fu lui il primo a parlare al popolo con la faccia rivolta al foro. Nonostante ciò, il rispetto degli dèi immortali, da me difeso, sconfisse senza difficoltà il suo discorso demagogico. L'episodio risale alla mia pretura, cinque anni prima del mio consolato. Così, fu il suo significato intrinseco la migliore difesa di quella causa, e non la suprema autorità del suo oratore.* 97 Se, dunque, in quel teatro che è l'assemblea popolare, dove finzioni e apparenze giocano un ruolo di primo piano, il vero comunque prevale, purché sia svelato e messo nella giusta luce, che cosa deve accadere nell'amicizia, che si misura tutta sul metro della verità? Se nell'amicizia non vedessi, come si dice, che l'amico ti apre il suo cuore e tu gli mostri il tuo, non avresti nulla di cui fidarti, nulla di cui esser certo, neppure di amare e di essere amato, perché non sapresti quanto ci sia di vero in tutto ciò. Del resto l'adulazione, per quanto sia pericolosa, nuoce soltanto a chi l'ammette e se ne compiace. Ecco perché è proprio l'uomo pieno di sé e tutto preso dalla propria persona a spalancare le orecchie agli adulatori.* 98 Certo, la virtù ama se stessa: si conosce alla perfezione e sa quanto sia amabile. Però, non mi sto riferendo alla virtù, ma all'apparenza di virtù. La maggior parte degli uomini, infatti, preferisce l'apparenza di virtù al reale possesso della stessa. E sono loro a compiacersi dell'adulazione: quando ci si rivolge a queste persone con parole dette ad arte per rispondere alle loro aspettative, vedono in quel vano discorso un'attestazione dei loro meriti. Perciò non esiste amicizia tra due uomini quando uno non vuole sentire il vero e l'altro è pronto a mentire. L'adulazione dei parassiti non risulterebbe comica, nelle commedie, se non ci fossero i soldati fanfaroni:
Davvero Taide mi manda mille grazie?
Bastava rispondere: "Sì, mille grazie." Invece dice: "Milioni di grazie!". L'adulatore aumenta sempre, per compiacere, quei "molto" che l'altro vuol sentirsi dire.* 99 Perciò, anche se le menzogne dettate dall'ossequio funzionano su chi le attira a sé e le provoca, bisogna ugualmente avvertire le persone serie e coerenti a non diventare vittime di un'adulazione ben congegnata. Tutti, tranne il perfetto imbecille, riconoscono l'adulatore smaccato. Ma è da quello astuto e coperto che dobbiamo guardarci perché non si insinui in noi. Non è molto facile riconoscerlo. Spesso, infatti, adula anche contraddicendo: per compiacere finge di litigare, ma alla fine si arrende, si dà per vinto regalando all'altro l'illusione, con l'inganno, di esser stato più intelligente di lui. Cosa c'è di più vergognoso che farsi ingannare? A maggior ragione dobbiamo evitare che accada.
Come mi hai raggirato e menato ben bene per il naso, oggi, più di tutti gli stupidi vecchi delle commedie!* 100 Anche a teatro il personaggio più stupido è quello dei vecchio sprovveduto e credulone. Non so come, ma il discorso è scivolato dalle amicizie tra uomini perfetti, cioè saggi ( mi riferisco alla saggezza che sembra accessibile all'uomo), alle amicizie di poco conto. Ritorniamo allora al punto di partenza e cerchiamo di concludere.
* È la virtù, sì è la virtù, o Caio Fannio e tu, mio Quinto Mucio, a procurare e a conservare le amicizie. In essa c'è armonia, stabilità e coerenza. Quando sorge e mostra la sua luce, quando vede e riconosce la stessa luce in altri, vi si avvicina per ricevere, a sua volta, la luce che brilla nell'altro. Si accende così l'amore, o l'amicizia (entrambi i termini derivano infatti da amare). E amare altro non è che provare per chi si ama un affetto fine a se stesso, indipendente dal bisogno e dalla ricerca di vantaggi. I vantaggi, tuttavia, sbocciano dall'amicizia, anche se non sei andato a cercarli.* 101 È l'affetto con cui abbiamo amato, da giovani, i vecchi di allora, Lucio Paolo, Marco Catone, Caio Galo, Publio Nasica, Tiberio Gracco, suocero del nostro Scipione. È l'affetto che rifulge più vivo tra noi coetanei, come tra me e Scipione, Lucio Furio, Publio Rupilio e Spurio Mummio. E adesso, a nostra volta, ormai vecchi, troviamo sollievo nell'affetto per i giovani, come voi e come Quinto Tuberone. Dal canto mio, mi compiaccio molto anche dell'amicizia con i giovani Publio Rutilio e Aulo Verginio. E poiché la legge della vita e della natura vuole che a una generazione ne segua un'altra, dobbiamo augurarci sopra ogni cosa di poter arrivare, come si dice, al traguardo insieme ai coetanei con cui ci siamo mossi dalla linea di partenza.* 102 Ma dal momento che la fragilità e la caducità sono componenti della vita umana, dobbiamo sempre cercare persone a cui dare amore e da cui riceverne: senza amore e affetto la vita perde ogni gioia. Per me Scipione, anche se mi è stato strappato all'improvviso, vive ancora e sempre vivrà, perché ho amato in questo uomo eccezionale la virtù, che non si è spenta. Non sono l'unico a conservarne il ricordo, io che l'ho sempre avuta a portata di mano; anche per i posteri sarà un luminoso punto di riferimento. Nessuno potrà concepire ideali e speranze un po' elevate se non assumerà come modello il ricordo e l'immagine di lui.* 103 Quanto a me, di tutti i beni ricevuti dalla sorte o dalla natura, nessuno è paragonabile all'amicizia di Scipione. In essa ho trovato un perfetto accordo di vedute politiche, consigli negli affari privati e una piacevolissima tranquillità. Non mi sono mai scontrato con lui, per quanto me ne sia accorto, neppure nelle minime cose; non ho mai sentito da lui una parola che non avessi voluto udire. Avevamo la stessa casa, lo stesso tenore di vita, e questo ci univa; eravamo sempre insieme non solo sotto le armi, ma anche in viaggio o in campagna.* 104 E che dire della nostra passione di conoscere e di scoprire sempre qualcosa di nuovo, passione che ci allontanava dagli occhi della gente e divorava tutto il nostro tempo libero? Se il ricordo, se la memoria di quei tempi fossero scomparsi con lui, non potrei in alcun modo sopportare la perdita di un uomo che mi era così legato, che mi amava tanto. Ma il passato non è morto. Anzi, si alimenta ed è reso più vivo dal mio pensiero e dal mio ricordo, e, anche se ne fossi interamente privato, l'età mi garantirebbe ugualmente un grande conforto. Ormai non posso vivere ancora per molto con il mio rimpianto. Tutto ciò che è breve, del resto, anche se molto doloroso, è sopportabile.Ecco cosa avevo da dire sull'amicizia.
Vi esorto dunque a collocare tanto in alto la virtù,
senza la quale l'amicizia non può esistere,
da pensare che nulla è più nobile dell'amicizia, eccetto la virtù.
CICERONE