LETTERATURA

SEC. XVIII - XIX
LA CONCILIAZIONE DI DUE SECOLI

VERSO IL ROMANTICISMO

Il 1815 è una data memorabile come quella del Concilio di Trento. Segna la manifestazione ufficiale di una reazione non solo politica, ma filosofica e letteraria, iniziata già negli spiriti, come se ne vedono le orme anche ne' Sepolcri, e consacrata nel diciotto brumaio. La reazione fu così rapida e violenta come la Rivoluzione. Invano Bonaparte tentò di arrestarla, facendo delle concessioni e cercando nelle idee medie una conciliazione. Il movimento impresso giunse fino al punto tale, che tutti gli attori della Rivoluzione furono mescolati in una comune condanna, giacobini e girondini, Robespierre e Danton, Marat e Napoleone. Il « terrore bianco » successe al « rosso ».

Venne di moda un nuovo vocabolario filosofico, letterario, politico. I due nemici erano il materialismo e lo scetticismo, e vi sorse contro lo spiritualismo, portato sino all'idealismo e al misticismo. Al diritto di natura si oppose il diritto divino, alla sovranità popolare la legittimità, ai diritti individuali lo Stato, alla libertà l'autorità o l'ordine. Il medio evo ritornò a galla, glorificato come la culla dello spirito moderno, e fu corso e ricorso dal pensiero in tutti i suoi indirizzi. Il cristianesimo, bersaglio fino a quel punto di tutti gli strali, divenne il centro di ogni investigazione filosofica e la bandiera di ogni progresso sociale e civile; i classici furono per strazio chiamati «pagani», e le dottrine liberali furono qualificate, senz'altro, pretto paganesimo; gli ordini monastici furono dichiarati benefattori della civiltà, e il papato potente fattore di libertà e di progresso. Mutarono i criteri dell'arte. Ci fu un'arte pagana e un'arte cristiana, di cui fu cercata la più alta espressione nel gotico, nelle ombre, ne' misteri, nel vago e nell'indefinito, in un di là che fu chiamato « l'ideale », in un'aspirazione all'infinito, non capace di soddisfazione, perciò malinconica : la malinconia fu battezzata e detta qualità « cristiana »; il sensualismo, il materialismo, il plastico divenne il carattere dell'arte « pagana » : sorse il genere cristiano « romantico » in opposizione al genere « classico ». « Religione », « fede », « cristianesimo », l' « ideale », l' « infinito », lo « spirito », il « trono e l'altare », la « pace e l'ordine » furono le prime parole del nuovo secolo.

La contraddizione era spiccata. A Voltaire e Rousseau succedeva Chàteubriarid, Stàel, Lamartine, Victor Hugo, Lamennais. E proprio nel 1815 uscivano alla luce gli Inni sacri del giovane Manzoni. Storia, letteratura, filosofia, critica, arte, giurisprudenza, medicina, tutto prese quel colore. Avevamo un neoguelfismo, il Medioevo si drizzava minaccioso e vendicativo contro tutto il Rinascimento.
Il movimento non era già fittizio e artificiale, sostenuto da penne salariate, promosso dalle polizie, suscitato da passioni e interessi temporanei. Era un serio movimento dello spirito, secondo le eterne leggi della storia, al quale partecipavano gl'ingegni più eminenti e liberi del nuovo secolo.

Movimento esagerato, senza dubbio, ne' suoi inizi, perché mirava non solo a spiegare ma a glorificare il passato, a cancellare dalla storia i secoli, a proporre come modello il medio evo. Ma l'una esagerazione chiamava l'altra. La dea Ragione e la comunione de' beni avea per risposta l'apoteosi del carnefice e la legittimità dell'Inquisizione.
Ma l'esagerazione fu di corta durata, e la reazione falli ne' suoi tentativi di ricomposizione radicale alla Medioevo. Avea contro di sè infiniti nuovi interessi, venuti su con la Rivoluzione : interessi materiali, morali, intellettuali.
D'altra parte il nuovo ordine di cose favoriva in gran parte la monarchia, che avea pure contribuito. a promuoverlo. Non era interesse de' principi restaurare le maestranze, le libertà municipali, le classi privilegiate, tutte quelle forze collettive sparite nella valanga rivoluzionaria, nelle quali, essi vedevano un freno al loro potere assoluto.
Rimase dunque in piedi quasi dappertutto e quasi intero l'assetto economico-sociale consacrato da' nuovi codici, e la monarchia assoluta uscì più forte dalla burrasca. Perchè il clero e la nobiltà, un giorno suoi rivali, divennero i suoi protetti e i suoi servitori sotto titoli pomposi; e, scomparse le forze collettive naturali, potè con facilità riordinare la società sopra aggregazioni artificiali, necessariamente sottomesse alla volontà sovrana : burocrazia, esercito e clero.

La burocrazia interessava alla conservazione dello Stato la borghesia, che si dava alla caccia degl'impieghi, e, centralizzando gli affari, sopprimeva ogni libertà e movimento locale e teneva nella sua dipendenza province e comuni. Una moltitudine di impiegati invasero lo Stato come cavallette, ciascuno esercitando per suo conto una parte del potere assoluto, di cui era strumento.
L'esercito, divenuto permanente, anzi una istituzione dello Stato, fu ordinato a modo di casta, contrapposto ai cittadini, evirato dall'ubbidienza passiva e avvezzo a ufficio più di gendarme che di soldato.
Il clero, stretta l'alleanza fra il trono e l'altare, si prese in mano l'educazione pubblica, vigilò su scuole, libri, teatri, accademie, osteggiò tutte le idee nuove, mantenne l'ignoranza nelle moltitudini, trattò la coltura come sua nemica. Motrice della gran mole era la polizia, penetrata in tutte queste aggregazioni governative, divenuto spia l'impiegato, il soldato e il prete. Ne uscì una corruzione organizzata, chiamata «governo », o in forma assoluta o in maschera costituzionale.

Una reazione così fatta era in una contraddizione violenta con tutte le idee moderne, e non poteva durare. Sopravvennero i moti di Spagna, di Napoli, di Torino, di Parigi, delle Romagne; Grecia e Belgio conquistavano la loro autonomia. Il sentimento nazionale si svegliava insieme col sentimento liberale. E il secolo decimottavo ripigliava il suo cammino con i suoi dritti individuali, con i suoi principi d'eguaglianza, con la sua « Carta » dell'Ottantanove. I prìncipi legittimi caddero.

La monarchia per vivere si trasforma, si ammodernò, prese abiti borghesi, divise il suo potere con le classi colte. E soddisfatta la borghesia, soddisfatti tutti. Il terzo stato era niente; il terzo stato fu tutto.
Su questo compromesso visse l'Europa lunghi anni. Le istituzioni costituzionali si allargarono. Il censo e la capacità apersero la via ai più alti uffici, rotte tutte le barriere artificiali. Continuò la guerra più aspra al feudalismo, alla manomorta, ai privilegi. La borghesia trovò largo pascolo alla sua attività e alla sua ambizione ne' parlamenti, ne' consigli comunali e provinciali, nella guardia nazionale, nei giuri, nelle accademie, in quelle scuole sottratte al clero. Le industrie e i commerci si svilupparono; si apersero altre fonti alla ricchezza. Un nuovo nome segnava la nuova potenza venuta su. Non si diceva più «aristocrazia», si diceva «bancocrazia », alimentata dalla libera concorrenza. Chi aveva più forza vinceva e dominava, forza di censo, d'ingegno e di lavoro.

L'attività intellettuale, stimolata in tutti i versi, fra tanta pubblica prosperità faceva miracoli. All'ombra della pace e della libertà fiorivano le scienze e le lettere. Anche dove gli ordini costituzionali non poterono vincere, come in Italia, la reazione allentò i suoi freni, la borghesia ebbe una parte più larga alle pubbliche faccende, e vi s'introdusse un modo di vivere meno incivile. A poco a poco il vecchio si accostumava a vivere accanto al nuovo; il diritto divino e la volontà del popolo si associavano nelle leggi e negli scritti, formula del compromesso sul quale riposava il nuovo edificio; e venne tempo che una conciliazione parve possibile non solo fra il monarcato e il popolo, ma fra il papato e la libertà.

D unque, sedati i primi bollori, quel movimento, che aveva aria di reazione, era in fondo la stessa Rivoluzione, che, ammaestrata dalla esperienza, moderava e disciplinava se stessa. I disinganni, le rovine, tanti eccessi, un ideale così puro, così lusinghiero, profanato al suo primo contatto col reale, tutto questo dovea fare una grande impressione sugli spiriti e renderli meditativi. La reazione era il passato ancora vivo nelle moltitudini, assalito con una violenza che tirava in suo favore anche gl'indifferenti, e che ora rialzava il capo con superbia di vincitore. L'esperienza ammaestrò che il passato non si distrugge con un decreto, e che si richiedono secoli per cancellare dalla storia l'opera dei secoli. E ammaestrò pure che la forza allora edifica solidamente quando sia preceduta dalla persuasione, secondo quel motto di Campanella che « le lingue precedono le spade ».

Evidentemente la Rivoluzione aveva errato, esagerato le sue idee e le sue forze; ed ora si rimetteva in via con minor passione, ma con maggior senso del reale, confidando più nella scienza che nell'entusiasmo. Che cosa fu dunque il movimento del secolo decimonono, sbolliti i primi furori di reazione? Fu lo stesso spirito del secolo decimottavo, che dallo stato spontaneo e istintivo passava nello stadio della riflessione, e rettificava le posizioni, riduceva le esagerazioni, acquistava il senso della misura e della realtà, creava la scienza della Rivoluzione. Fu lo spirito nuovo, che giungeva alla coscienza di sè e prendeva il suo posto nella storia. Chàteaubriand, Lamartine, Victor Hugo, Larnennais, Manzoni, Grossi, Pellico erano liberali non meno di Voltaire e Rousseau, di Alfieri e Foscolo-. Sono anch'essi figli del secolo decimosettimo e decimottavo, il loro programma è sempre la carta dell'ottantanove, il loro «Credo » è sempre « libertà, patria, uguaglianza, diritti dell'uomo ». Il sentimento religioso, troppo offeso, si vendica, offende a sua volta; pure, non può sottrarsi alle strette della Rivoluzione.

Risorge, ma impressionato dello spirito nuovo, col programma del secolo decimottavo. Ciò a cui mirano i neocattolici non è di negare quel programma, come fanno i puri reazionari, con i gesuiti in testa; ma è di conciliarlo col sentimento religioso, di dimostrare anzi che quello è appunto il programma del cristianesimo nella purezza delle sue origini. È la vecchia tesi di Paolo Sarpi, ripigliata e sostenuta con maggior splendore di parola e di scienza. La Rivoluzione è costretta a rispettare il sentimento religioso, a discutere il cristianesimo, a riconoscere la sua importanza e la sua missione nella storia; ma, d'altra parte, il cristianesimo ha bisogno come suo passaporto il secolo decimottavo, e prende quel linguaggio e quelle idee, e odi parlare di una «democrazia cristiana» e di un « Cristo democratico », a quel modo che i liberali trasferiscono a significato politico parole scritturali, come l' « apostolato delle idee », il « martirio patriottico », la « missione sociale », la « religione del dovere ».

La Rivoluzione, scettica e materialista, prende per sua bandiera « Dio e popolo » ; e la religione, dommatica e ascetica, si fa valere come poesia e come morale, e lascia le altezze del soprannaturale e s'impregna di umanismo e di naturalismo, si avvicina alla scienza, prende una forma filosofica. Lo spirito nuovo raccoglie in sè gli elementi vecchi, ma trasformandoli, assimilandoli a sè, e in quel lavoro trasforma anche se stesso, si realizza ancora più. Questo è il senso del gran movimento uscito dalla reazione del secolo decimonono, di una reazione mutata subito in conciliazione. E la sua forma politica è la monarchia « per la grazia di Dio e per la volontà del popolo ».

La base teorica di questa conciliazione è un nuovo concetto della verità, rappresentata non come un assoluto immobile a priori, ma come un divenire ideale, cioè a dire secondo le leggi dell'intelligenza e dello spirito. Onde nasceva l'identità dell'ideale e del reale, dello spirito e della natura, o, come disse Vico, la « conversione del vero col certo ». Il qual concetto da una parte ridonava ai fatti una importanza che era contrastata da Cartesio in qua, li allogava, li legittimava, li spiritualizzava, dava a quelli un significato e uno scopo, creava la filosofia della storia; d'altra parte realizzava il divino, togliendolo alle strettezze mistiche e ascetiche del soprannaturale e umanizzandolo. Il concetto dunque era in fondo radicalmente rivoluzionario, in opposizione recisa col medio evo e con lo scolasticismo, quantunque appaia una reazione a tutto ció che di troppo esclusivo e assoluto era nel secolo decimottavo. Sicchè quel movimento, in apparenza reazionario, dovea condurre a un nuovo sviluppo della Rivoluzione su di una base più solida e razionale.

Il primo periodo del movimento fu detto « romantico », in opposizione al classicismo. Ebbe per contenuto il cristianesimo e il Medioevo, come le vere fonti della vita moderna, il suo tempo eroico, mitico e poetico. Il Rinascimento fu chiamato « paganesimo », e quell' età, che il Rinascimento chiamava « barbarie », risorse cinta di nuova aureola. Parve agli uomini rivedere dopo lunga assenza Dio e i Santi e la Vergine e quei cavalieri vestiti di ferro e i tempii e le torri e i crociati. Le forme bibliche oscurarono i colori classici : il gotico, il vaporoso, l'indefinito, il sentimentale liquefecero le immagini, riempirono di ombre e di visioni le fantasie. Ne uscì nuovo contenuto e nuova forma. Il papato divenne centro di questo antico poema ringiovanito, il cui storico era Carlo Troya e l'artista Luigi Tosti Bonifacio ottavo e Gregorio settimo ebbero ragione contro Dante e Federico secondo.
Cronisti e trovatori furono disseppelliti; l' Europa ricostruiva pietosamente le sue memorie, e vi si internava, vi s'immedesimava, ricreava quelle immagini e quei sentimenti. Ciascun popolo si riannodava alle sue tradizioni, vi cercava i titoli della sua esistenza e del suo posto nel mondo, la legittimità delle sue aspirazioni. Alle antichità greche e romane successero le antichità nazionali, penetrate e collegate da uno spirito superiore e unificatore, dallo spirito cattolico. Si svegliava l'immaginazione, animata dall'orgoglio nazionale e da un entusiasmo religioso spinto sino al misticismo; e dal lungo torpore usciva più vivace il senso metafisico e il senso poetico. Risorge l'alta filosofia e l'alta poesia. Lirica e musica, poemi filosofici e storici sono le voci di questo ricorso.

Ma il romanticismo come il classicismo erano forme sotto alle quali si manifestava lo spirito moderno. Foscolo e Parini nel loro classicismo erano moderni, e moderni erano nel loro romanticismo Manzoni e Pellico. Invano cerchi il candore e la semplicità dello spirito religioso: è un passato rifatto e trasformato da immaginazione moderna, nella quale ha lasciato le sue vestigia il secolo decimottavo. Non ci sono più le passioni ardenti e astiose di quel secolo, ma ci sono le sue idee : la tolleranza, la libertà, la fraternità umana, consacrata da una religione di pace e di amore, purificata e restituita nella sua verginità, nella purezza delle sue origini e de' suoi motivi. Una reazione così fatta già non è più reazione : è conciliazione, è la Rivoluzione stessa vinta, che non minaccia più, e lascia il sarcasmo, l'ironia, l'ingiuria, e, trasformatasi in apostolato evangelico, prende abito umile e supplichevole dirimpetto agli oppressori, e fa suo il pergamo, fa suo Dio e Cristo, e la Bibbia diviene l' « ultima parola di un credente ». Lo spirito non rimane nelle vette del soprannaturale e nelle generalità del dogma. Oramai, conscio di sè, plasma il divino a sua immagine, lo colloca e lo accompagna nella storia. La «divina commedia» è capovolta: non è l'umano che si divinizza, è il divino che si umanizza. Il divino rinasce, ma senti che già prima è nato Bruno, Campanella e Vico.

La stella di Monti scintillava ancora, cinta di astri minori; Foscolo solitario meditava le Grazie, Romagnosi tramandava alla nuova generazione il pensiero del gran secolo vinto. E proprio nel 1815, tra il rumore de' grandi avvenimenti, usciva in luce un libriccino intitolato Inni, al quale nessuno badò. Foscolo chiudeva il suo secolo con i Carmi; Manzoni apriva il suo con gli Inni.
Il Natale, la Passione, la Risurrezione, la Pentecoste erano le prime voci del secolo decimonono. Natali, Marie e Gesù ce n'erano infiniti nella vecchia letteratura, materia insipida di canzoni e sonetti, tutti dimenticati. Mancata era l'ispirazione, da cui uscirono gl'inni de' santi padri e i canti religiosi di Dante e del Petrarca e i quadri e le statue e i templi de' nostri antichi artisti. Su quella sacra materia era passato il Seicento e l'Arcadia, fino a che disparve sotto il riso motteggiatore del secolo decimottavo. Ora la poesia faceva anche lei il suo « concordato ». Ricompariva quella vecchia materia, ringiovanita da una nuova ispirazione.

Ben presto il movimento teologico diviene prettamente filosofico. Dio è l'assoluto, l'idea: Cristo è l'idea in quanto è realizzata, l'idea naturalizzata; lo Spirito è l'idea riflessa e consapevole, il Verbo; la Trinità teologica diviene la base di una trinità filosofica. Il Dio teologico è l'essere nel suo immediato, il nulla, un Dio astratto e formale, vuoto di contenuto. Dio nella sua verità è lo spirito che riconosce se stesso nella natura. Logica, natura, spirito, sono i tre momenti della sua esistenza, la sua storia : una storia dove niente è incomprensibile e arbitrario, tutto è ragionevole e fatale. Ciò che è stato doveva essere. La schiavitù, la guerra, la conquista, le rivoluzioni, i colpi di Stato non sono fatti arbitrari : sono fenomeni necessari dello spirito nella sua esplicazione. Lo spirito ha le sue leggi, come la natura; la storia del mondo è la sua storia, è logica viva, e si può determinare a priori. Religione, arte, filosofia, diritto, sono manifestazioni dello spirito, momenti della sua esplicazione. Niente si ripete, niente muore: tutto si trasforma in un progresso assiduo, che è lo spiritualizzarsi dell'idea, una coscienza sempre più chiara di sè, una, maggiore realtà.

In queste idee, codificate da Hegel, ricordi Machiavelli, Bruno, Campanella, soprattutto Vico. Ma è un Vico a priori. Quelle leggi, che egli traeva dai fatti sociali, ora si cercano a priori nella natura stessa dello spirito. Nasce un'appendice della Scienza nuova, nella sua metafisica sotto nome di « logica »; compaiono vere teogonie o epopee filosofiche, con le loro ramificazioni. Hai la filosofia delle religioni, la storia della filosofia, la filosofia dell'arte, la filosofia del diritto, la filosofia della storia, illuminata dall'astro maggiore, la logica o, come dice Vico, la « metafisica ». Tutto il contenuto scientifico è rinnovato. E non solo nell'ordine morale, ma nell'ordine fisico. Hai una filosofia della natura come una filosofia dello spirito. Anzi non sono che una sola e medesima filosofia, momenti dell'idea nella sua manifestazione.

Il misticismo, fondato sull' imperscrutabile arbitrio di Dio e alimentato dal sentimento, dà luogo a questo idealismo panteistico. Il sistema piace alla colta borghesia, perchè da una parte, rigettando il misticismo, prende un aspetto laicale e scientifico, e dall'altra, rigettando il materialismo, condanna i moti rivoluzionari come esplosioni plebee di forze brute.
Piace il concetto di un progresso inoppugnabile, fondato sullo sviluppo pacifico della coltura : alla parola « rivoluzione » succede la parola « evoluzione ». Non si dice più « libertà », si dice « civiltà », «progresso», «coltura ». Sembra trovato oramai il punto, ove s'accordano autorità e libertà, Stato e individuo, religione e filosofia, passato e avvenire. Anche le idee fanno la loro pace, come le nazioni. E il sistema diviene ufficiale sotto nome di «eclettism». La Rivoluzione getta via il suo abito rosso, e si fa cristiana e moderata, sotto il vessillo tricolore; vagheggiando, come ultimo punto di fermata, le forme costituzionali, e tenendo a pari distanza i clericali col loro, misticismo e i rivoluzionari col loro materialismo.

Queste idee facevano il giro di Europa e divennero il «credo» delle classi colte. La parte liberale si costituì come un centro tra una dritta clericale e una sinistra rivoluzionaria, che essa chiamava i «partiti estremi». Luigi Filippo realizzò questo ideale della borghesia, e l'eclettismo lo consacrò. Sembrò dopo lunga gestazione creato il mondo. Il problema era sciolto, il bandolo era trovato. Dio si poteva riposare.

Chiusa oramai era la porta alla reazione e alla rivoluzione. Regnava il progresso pacifico e legale, governava la borghesia sotto nome di « partito liberale-moderato ». Teneva in scacco la dritta, perchè, se combatteva i gesuiti e gli oltramontani, onorava il cristianesimo, divenuto nel nuovo sistema l'idea riflessa e consapevole, lo spirito che riconosce se stesso. Non credeva al soprannaturale, ma lo spiegava e lo rispettava; non credeva a un Cristo divino, ma alzava alle stelle il Cristo umano; e della religione parlava con unzione, e con riverenza dei ministri di Dio. Così tirava dalla sua i cristiani liberali e patrioti e non urtava le plebi. E teneva a un tempo in
scacco la sinistra rivoluzionaria, perchè, se respingeva i suoi metodi, se condannava le sue impazienze e le sue violenze, accettava in astratto le sue idee, confidando più nell'opera lenta, ma sicura, dell'istruzione e dell'educazione che nella forza brutale.
Per queste vie la Rivoluzione, sotto aspetto di conciliazione,
si rendeva accettabile ai più e si rimetteva in cammino.

IL SECOLO DELLA STORIA E IL RITORNO DI VICO
Tra queste idee si formò la nuova critica letteraria. Rimasta fra le vuote forme rettoriche empirica e tradizionale, anch'ella gridò « libertà » nel secolo scorso, e, perduto il rispetto alle regole e all'autorità, acquistò una certa indipendenza di giudizio, illuminata nei migliori dal buon senso e dal buon gusto. L'attenzione dall'esterno meccanismo si volse alla forza produttiva, cercando i motivi e il significato della composizione nelle qualità dello scrittore : l'arte ebbe il suo « cogito » e trovò la sua formula nel motto : « Lo stile è l'uomo ». Ma era una critica d'impressioni più che di giudizi, di osservazioni più che di principi. Con la nuova filosofia, il bello prese posto accanto al vero e al buono, acquistò una base scientifica nella logica, divenne una manifestazione dell'idea, come la religione, il diritto, la storia, avemmo una filosofia dell'arte, l'estetica. Stabilito un corso ideale dell'umanità, l'arte entrò nel sistema allo stesso modo che tutte le altre manifestazioni dello spirito, e prese dalla qualità dell'idea la sua essenza e il suo carattere. Materia principale della critica fu l'idea col suo contenuto le qualità formali ebbero il secondo luogo. Avemmo l'idea «orientale», l'idea pagan» o classic», l'idea «cristian» o «romantica» nella religione, nella filosofia, nello Stato, nell'arte, in tutte le forme dell'attività sociale : uno sviluppo storico a priori, secondo la logica o le leggi dello spirito.

La filosofia dell'idea divenne un antecedente obbligato di ogni trattato di estetica, come di ogni ramo dello scibile; e il problema fondamentale dell'arte fu cercare l'idea in ogni lavoro dell'immaginazione e misurarlo secondo quella. Rivenne su il concetto cristiano-platonico dell'arte, espresso da Dante, restaurato dal Tasso. La poesia fu il vero «sotto il velo della favola ascoso», o il vero «condito, in molli versi». Divenuta la favola un velo dell'idea, ritornavano in onore le forme mitiche e allegoriche, e le concezioni artistiche si trasformavano in costruzioni ideali : la Divina commedia, materia d'infiniti commenti filosofici, aveva il suo riscontro nel Faust. Venne di moda un certo filosofismo nell'arte anche presso i migliori, anche presso Schiller. E non solo la filosofia, ma anche la storia divenne il frontespizio obbligato della critica, trattandosi di coglier l'idea non nella sua astrattezza, ma nel suo contenuto, nelle sue apparizioni storiche. Sorsero investigazioni accuratissime sulle idee, sulle istituzioni, su' costumi, sulle tendenze dei secoli a cui si riferivano le opere d'arte, sulla formazione successiva della materia artistica ; al motto antico: « Lo stile è l'uomo » successe quest'altro: « La letteratura e l'espressione della società ». Ne usci un doppio impulso : sintetico e analitico.

Posto che la storia, non sia una successione empirica e arbitraria di fatti, ma la manifestazione progressiva e razionale dell'idea, una dialettica vivente, gli spiriti si affrettarono alla sintesi e costruirono vere epopee storiche secondo una logica preordinata. La storia dei mondo fu rifatta, la via aperta da Vico fu corsa e ricorsa dal genio metafisico, e in tutte le direzioni : religioni, arti, filosofie, istituzioni politiche, leggi : la vita intellettuale, morale e materiale de' popoli. Questo fu il momento epico di tutte le scienze, nessuna potè sottrarsi al bagliore dell'idea; il mondo naturale fu costruito allo stesso modo , che il mondo morale. Ma queste sintesi frettolose, queste soluzioni spesso arrischiate de' problemi più delicati, urtavano alcune volte con i dati positivi della storia e delle singole scienze, ed erano troppo visibili le lacune, i raccozzamenti disparati, le interpretazioni forzate, gli artifici involontari. Accanto a quelle vaste costruzioni ideali sorse la paziente analisi il metodo di Vico parve più lungo e più arduo, ma più sicuro; e si ricominciò il lavoro a posteriori, ingolfandosi lo spirito nelle più minuti ricerche in tutti i rami dello scibile.

Il movimento di erudizione e d' investigazione, interrotto in Italia dalla invasione delle teorie cartesiane e da' sistemi assoluti del secolo decimottavo, tutti di un pezzo, tutti ragionamento, con superbo disdegno di citazioni, di esempi, di ogni autorità dottrinale; quasi avanzo della scolastica, ora ripigliava con maggior forza in tutta la colta Europa, massime in Germania : ritornavano i Galilei, i Muratori e i Vico, si sviluppava lo spirito di osservazione e il senso storico, si ingrandiva il campo delle scienze, e dal gran tronco del sapere uscivano nuovi rami, soprattutto nelle scienze naturali, nelle scienze sociali e nelle discipline filologiche. La materia della coltura, stata prima poco più che greco-romana, guadagnò di estensione e di profondità. Abbracciò l'Oriente, il Medioevo, il Rinascimento. È con tale attività di ricerca e di scoperta, che lo scibili ne fu rinnovato.
Stavano dunque di fronte due tendenze: l'una ideale, l'altra storica. Gli uni procedevano per via di categorie e di costruzioni; gli altri per via di osservazioni e d'induzioni. E spesso s'incontravano. La scuola ontologica teneva molto conto de' fatti, e proclamava che il vero ideale è storia, è l'idea realizzata. Non rimaneva perciò al di sopra della storia, nel regno de' principi assoluti e immobili; anzi la sua metafisica non è altro che un progressivo divenire, la storia. Parimenti la scuola storica era tutt'altro che empirica, ed usciva dalla cerchia de' fatti, ed aveva anch'essa i suoi preconcetti e le sue congetture. La più audaci speculazione si maritava con la più paziente investigazione. Le due forze unite, ora parallele, ora in urto, ora di conserva, posero in moto tutte le facoltà dello spirito, e produssero miracoli nelle teorie e nelle applicazioni.

Al secolo dei lumi succedette il secolo del progresso. Il genio di Vico fu il genio del secolo. E accanto a lui risorsero con fama europea Bruno e Campanella. Il secolo riverì ne' tre grandi italiani i suoi padri, il suo presentimento. E la Scienza nuova fu la sua Bibbia, la sua leva intellettuale e morale. In quella trovavano condensate tutte le forze del secolo : la speculazione, l'immaginazione, l'erudizione. Di là partiva quell'alta imparzialità di filosofo e di storico, quella giustizia distributiva ne' giudizi, che fu la virtù del secolo. Passato e presente si riconciliarono, pigliando ciascuno il suo posto nel corso fatale della storia. E contro al fato non val collera, non giova dar di cozzo. Il dommatismo con la sua infallibilità e lo scetticismo con la sua ironia cedettero il posto alla critica, quella vista superiore dello spirito consapevole, che riconosce se stesso nel mondo e non si adira contro se stesso.

L'INFLUENZA DELLA NUOVA CULTURA SULL'ARTE

La letteratura non poteva sottrarsi a questo movimento. Filosofia e storia diventano l'antecedente della
critica letteraria. L'opera d'arte non è considerata più come il prodotto arbitrario e sub-oggettivo dell'ingegno nell'immutabilità delle regole e degli esempi, ma come un prodotto più o meno inconscio dello spirito del mondo in un dato momento della sua esistenza. L'ingegno è l'espressione condensata e sublimata delle forze collettive, il cui complesso costituisce l'individualità di una società o di un secolo. L'idea gli è data con esso il contenuto; la trova intorno a sè, nella società dove è nato, dove ha ricevuto la sua istruzione e la sua educazione. Vive della vita comune contemporanea, salvo che di quella è in lui più sviluppata l'intelligenza e il sentimento. La sua forza è di unirvisi in spirito, e questa unione spirituale dello scrittore e della sua materia è lo stile.,La materia o il contenuto non gli può dunque essere indifferente; anzi è qui che deve cercare le sue ispirazioni e le sue regole. Mutato il punto di vista, mutati i criteri.

La letteratura del Rinascimento fu condannata come classica e convenzionale, e l'uso della mitologia fu messo in ridicolo. Quegl'ideali tutti di un pezzo, ch'erano decorati col nome di « classici », furono giudicati una contraffazione dell'ideale, l'idea nella sua vuota astrazione, non nelle sue condizioni storiche, non nella varietà della sua esistenza. Cadde la rettorica con le sue vuote forme, cadde la poetica con le sue regole meccaniche e arbitrarie, rivenne su il vecchio motto di Goldoni : « Ritrarre dal vero, non guastar la natura ». Il più vivo sentimento dell'ideale si accompagnò con la più paziente sollecitudine della verità storica. L'epopea desse il luogo al romanzo, la tragedia al dramma. E nella lirica brillarono in nuovi metri le ballate, le romanze, le fantasie e gl'inni. La naturalezza, la semplicità, la forza, la profondità, l'affetto furono qualità stimate assai più che ogni dignità ed eleganza, come quelle che sono intimamente connesse col contenuto. Dante, Shakespeare, Calderon, Ariosto, reputati i più lontani dal classicismo, divennero gli astri maggiori. Omero e la Bibbia, i poemi primitivi e spontanei, teologici o nazionali, furono i prediletti. E spesso il rozzo cronista fu preferito all'elegante storico, e il canto popolare alla poesia solenne. Il contenuto nella sua nativa integrità valse più che ogni artificiosa trasformazione di tempi posteriori. Furono banditi dalla storia tutti gli elementi fantastici e poetici, tutte quelle pompe fittizie, che l'imitazione classica vi aveva introdotto. E la poesia si accostò alla prosa, imitò il linguaggio parlato e le forme popolari.

LE CONTESE FRA CLASSICI E ROMANTICI
Tutto questo fu detto « romanticismo », « letteratura dei popoli moderni ». La nuova parola fede fortuna. La reazione ci vedeva un ritorno del medio evo e delle idee religiose, una condanna dell'aborrito Rinascimento, soprattutto del più aborrito secolo decimottavo. I liberali, non potendo pigliarsela con i governi, se la pigliavano con Aristotile e con i classici e con la mitologia : piaceva essere almeno in letteratura rivoluzionario e ribelle alle regole. Il sistema era così vasto e vi si mescolavano idee e tendenze così diverse, che ciascuno poteva vederlo con la sua lente e pigliarvi ciò che gli era più comodo. I governi lasciavano fare, contenti che le guerricciuole letterarie distraessero le menti dalla cosa pubblica. In Italia ricomparivano i soliti fenomeni della servitù : battaglie in favore e contro la Crusca, questioni di lingua, diverbi letterari, che finivano talora in denunzie politiche. La Proposta e il Sermone all'Antonietta Costa erano i grandi avvenimenti che succedevano alla battaglia de Waterloo. L'Italia risuonò di « puristi » e « lassisti », di « classici» e « romantici ». Il giornalismo, mancata la materia politica, vi cercò il suo alimento.

II centro più vivace di quei moti letterari era sempre Milano, dove erano più vicini e più potenti gl'impulsi francesi e germanici. Là s'inaugurava nel Caffè il secolo decimottavo. E là s'inaugurava ora nel Conciliatore il secolo decimonono. Manzoni ricordava Beccaria, e i Verri e i Baretti del nuovo secolo si chiamavano Silvio Pellico, Giovanni Berchet e gli ospiti di casa Manzoni, Tommaso Grossi e Massimo d'Azeglio, divenuto sposo di Giulia Manzoni e anello fra la Lombardia e il Piemonte, dove sorgevano nello stesso giro d'idee Cesare Balbo e Vincenzo Gioberti. La vecchia generazione s'intrecciava con la nuova. Vivevano ancora, memorie del regno d'Italia, Foscolo, Monti, Giovanni e Ippolito Pindemonte, Pietro Giordani. Dirimpetto a Melchiorre Gioia vedevi Sismondi, italiano di mente e di cuore; e mentre il vecchio Romagnosi scriveva la Scienza della costituzione, il giovane Antonio Rosmini pubblicava il trattato Della origine delle idee. Spuntavano Camillo Ugoni, Felice Bellotti, Andrea Maffei, il traduttore de Klopstok e di Schiller. Dirimpetto ai poeti vedevi i critici, dilettanti pure di poesia, Giovanni Torti, Ermes Visconti, Giovanni. de Cristoforis, Samuele Biava. Nelle stesse file militavano Carlo Porta, Niccolò Tommaseo, i fratelli Cesare e Ignazio Cantù, e Maroncelli, e Confalonieri, e altri minori.

Cosa volevano i romantici, che levavano così alto la voce nel Conciliatore ? Parlavano con audacia giovanile della vecchia generazione, s'inchinavano appena al gran padre Alighieri, vantavano gli scrittori stranieri soprattutto inglesi e tedeschi, non volevano mitologia, si beffavano delle tre unità, e delle regole si curavano poco, e non curvavano il capo che innanzi alla ragione. Era il razionalismo o il libero pensiero applicato alla letteratura da uomini che in religione predicavano fede e autorità. I classici, al contrario, miscredenti e scettici nelle cose della religione, erano qualificati superstiziosi in fatto di letteratura. Nè pareva ragionevole che Aristotile, detronizzato in filosofia, dovesse in letteratura rimanere sul suo trono. La lotta fu viva tra il Conciliatore e la Biblioteca italiana, a cui teneva bordone la Gazzetta di Milano, Vi si mescolavano ingenui e furfanti, scrittori coscienziosi e mestieranti.

E dopo molto contendere, fra tante esagerazioni di offese e di difese, si venne in tale confusione di giudizi, che oggi stesso non si sa cosa era il romanticismo e in che si distingueva sostanzialmente dal classicismo. Molti sostenevano che il Monti era un ingegno romantico sotto apparenze classiche, e, altri che Manzoni con pretensioni romantiche era in verità un classico. Si cominciò a vedere chiaro quando fu posta da parte la parola «romanticismo », materia del litigio, e si badò alla qualità della merce e non al suo nome. Al romanticismo, d'importazione tedesca, si sostituì a poco a poco un altro nome « letteratura nazionale e moderna ». E su questo convennero tutti, romantici e classici. Il romanticismo rimase in Italia legato con le idee della prima origine germanica, diffusa dagli Schlegel e da' Tieck, in quella forma esagerata che prese in Francia, capo Victor Hugo. Respingevano il paganesimo, e riabilitavano il Medioevo. Rifiutavano la mitologia classica, e preconizzavano una mitologia nordica. Volevano la libertà dell'arte, e negavano la libertà di coscienza. Rigettavano il plastico e il semplice dell'ideale classico, e vi sostituivano il gotico, il fantastico, l'indefinito e il lugubre. Surrogavano il fittizio e il convenzionale dell'imitazione classica con imitazioni fittizie e convenzionali de peggior gusto. E, per fastidio del bello classico, idolatrivano il brutto.

Una superstizione cacciava l'altra. Ciò che era legittimo e naturale in Shakespeare e in Calderon, diveniva strino, grossolano, artificiale in tanta distanza dei tempi, in tanta differenza di concepire e di sentire. Il romanticismo, in questa sua esagerazione tedesca e francese, non attecchì in Italia e giunse appena a scalfire la superficie. I pochi tentativi non valsero che a meglio accentuare li ripugnanza del genio italiano, E i romantici furono lieti quando poterono gettar via quel nome d'imprestito, fonte de tanti equivoci e litigi, e prendere un nome accettato da tutti. Anche in Germania il romanticismo fu presto attirato nelle alte regioni della filosofia, e, spogliatosi quelle forme fantastiche e quel contenuto reazionario, riuscì sotto nome di « letteratura moderna » nell'eclettismo, nella conciliazione di tutti gli elementi e di tutte le forme sotto i principi superiori dell'estetica o della filosofia dell'arte.

IL ROMANTICISMO TEDESCO E IL ROMANTICISMO ITALIANO

Pigliando il romanticismo in quel suo primo stadio, quando si affermava come distinto, anzi in contraddizione col secolo scorso, e muoveva guerra ad Alfieri e proclamava una nuova riforma letteraria, il suo torto fu di non accorgersi che esso era in sostanza non la contraddizione, ma la conseguenza di quel secolo appunto contro il quale armeggiava. In Germania l'idea romantica sorse in opposizione all'imitazione francese, cosa alla moda sotto il gran Federico. Era una esagerazione, ma in quell'esagerazione si costituivano le prime basi di una letteratura nazionale, dalla quale uscivano Schiller e Goethe. E fu lavoro del secolo decimottavo.

Schiller fu contemporaneo di Alfieri. Quando l'idea romantica s'affacciò in Italia, già in Germania era scaduta, trasformatasi in un concetto dell'arte filosofico e universale. Goethe era già alla sua terza maniera, a quel suo spiritualismo panteistico che produceva il Faust. Il romanticismo veniva dunque in Italia troppo tardi, come fu poi dell'eghelismo. Parve a noi un progresso ciò che in Germania la coltura aveva già oltrepassato e assorbito. La riforma letteraria in Italia, tanto strombazzata, non cominciava, ma continuava. Essa era cominciata nel secolo scorso. Era appunto la nuova letteratura, inaugurata da Goldoni e Parini, al tempo stesso che in Germania si gettavano le fondamenta della coltura tedesca. La differenza era questa : che la Germania reagiva contro l'imitazione francese e acquistava coscienza della sua autonomia intellettuale; dove l'Italia, associandosi alla coltura europea, reagiva contro la sua solitudine e la sua stagnazione intellettuale.

L'Italia entrava nel grembo della coltura europea, e ne prendeva il suo posto, cacciando via da sè una parte di sè, il seicentismo, l'Arcadia e l'accademia : la Germania al contrario iniziava la sua riforma intellettuale, rimuovendo da sè la coltura francese e riannodandosi alle sue tradizioni. L'influenza francese non fu che una breve deviazione nel movimento di continuità della vita tedesca: movimento fortificato nella lotta d'indipendenza, e che portò quel popolo nel secolo decimonono ad una chiara coscienza della sua autonomia nazionale e della sua superiorità intellettuale. Perciò la riforma tedesca procedette armonica e pacata con passaggi chiari, con progresso rapido, con intima consonanza in tutti i rami dello scibile, non ricevendo ma dando l'impulso alla coltura europea. Esclusiva ed esagerata nel principio sotto nome di « romanticismo », la sua coltura in breve tempo abbracciò tutti gli orizzonti e conciliò tutti gli elementi della storia in una vasta unità, della quale rimane monumento colossale la Divina commedia della coltura moderna, il Faust. Qui tutte le religioni e tutte le colture, tutti gli elementi e tutte le forme si dànno la mano e si riconoscono partecipi col redivivo Pane sottoposte alle stesse leggi, spirito o natura, espressioni di una sola idea, già inconsapevoli e nemiche, ora unificate dall'occhio ironico della coscienza. Indi quella suprema indifferenza verso le forme, che fu detto lo « scetticismo » di Goethe, ed era la serenità olimpica di una intelligenza superiore, la tolleranza di tutte le differenze, riconciliate e armonizzate nel mondo superiore della filosofia e dell'arte. Così il misticismo romantico si trasformava nell'idealismo panteistico, l'idea cristiana nell'idea filosofica, il Cristo del Vangelo nel Cristo di Strauss, la teologia si inabissava nella filosofia, il domma e il dubbio si fondevano nella critica; e il famoso « cogito » trovava il suo punto di arrivo e di fermata nella coscienza di sè, come spirito del mondo morale e naturale : punto d'arrivo divenuto stagnante nel superficiale eclettismo francese.

Quando Manzoni, tutto ancora pieno di Alfieri, fu a Parigi, ebbe le sue prime impressioni da quei circoli letterari che facevano opposizione all'Impero, e dove abitava lo spirito di Chàteaubriand e madama di Staèl. Di là gli venne un riflesso della Germania, e si diede alla storia di quella letteratura. Strinse relazioni con uomini illustri delle due grandi nazioni : Cousin lo chiamava il suo « amico », Fauriel e Goethe mettevano su il giovine poeta. Il suo orizzonte si allargò, vide nuovi mondi, e reagì contro la sua educazione letteraria, contro le sue adorazioni giovanili, contro Alfieri e Monti.

A Milano, caduto il regno d'Italia, le nuove idee raccolsero intorno a sè i giovani, e Manzoni divenne il capo della scuola romantica. Così, mentre la Germania, percorso il ciclo filosofico e ideale della sua coltura, si travagliava intorno all'applicazione in tutte le sue scienze sociali o naturali, in Italia si disputava ancora de' principi. Naturalmente, nè Manzoni nè altri poteva assimilarsi tutto il movimento germanico, lavoro di un secolo, e non lo vedevano che nella sua parte iniziale e superficiale. Ammiravano Schiller, Goethe, Herder, Kant, Fichte, Schelling, ma conoscevano assai meglio í nostri filosofi e letterati, e di quelli veniva loro come un'eco, spesso per studi e giudizi di seconda mano, spesso attraverso scrittori francesi. Rimasero essi dunque nella loro spontaneità, ponendo le questioni come le se le ponevano in Italia, con argomenti e metodi propri; e ne uscì un romanticismo locale, puro di stravaganze ed esagerazioni forestiere, accomodato allo stato della coltura, timido nelle innovazioni, e tenuto in freno dalle tradizioni letterarie e dal carattere nazionale.

Un romanticismo così fatto non era che lo sviluppo della nuova letteratura sorta col Parini, e rimaneva nelle sue forme e ne' suoi colori prettamente italiano.
In effetti, i punti sostanziale di questo romanticismo concordano col movimento iniziato nel secolo scorso, e non è maraviglia che la lotta, continuata con tanto furore e con tanta confusione, finì nella piena indifferenza del popolo italiano, che riconosceva se stesso nelle due schiere. Volevano i romantici che l'Italia lasciasse i temi Classici? E già n'era venuto il fastidio, e avevi l'Ossian, il Saul, la Ricciarda, il Bardo della selva nera. Volevano che i personaggi fossero presi dal vero e che le forme fossero semplice e naturale? Ed ecco là Goldoni, che predicava il medesimo. Spregiavano la vuota forma? E sotto questa bandiera avevano militato Parini, Alfieri e Foscolo; e appunto la risurrezione del contenuto, la ristorazione della coscienza era il carattere della nuova letteratura. Cosa erano le tre unità e la mitologia, pomo della discordia, se non questioni accessorie nella stessa famiglia? Fino un concetto del mondo meno assoluto e rigido, umano e anche religioso, intravedevi ne' Sepolcri di Foscolo e d'Ippolito Pendemonte.

Dunque la scuola, romantica, se per il suo nome, per le sue relazioni, per i suoi studi e per le sue impressioni si legava a tradizioni tedesche e a mode francesi, rimase nel fondo scuola italiana per il suo accento, le sue aspirazioni, le sue forme, i suoi motivi; anzi fu la stessa scuola dei secolo andato, che, dopo le grandi illusioni e i grandi disinganni, ritornava ai suoi principi, alla naturalezza di Goldoni e alla temperanza di Parini. Erano di quella scuola più i romantici, i quali avevano aria di combatterla, che i classici, suoi eredi di nome, ma eredi degeneri, dopo i quali la sua vitalità si mostrava esaurita nella pomposa vacuità di Monti e nel purismo rettorico di Pietro Giordani. La scuola andava visibilmente declinando sotto il regno d'Italia e, non avendo più novità di contenuto, si girava in se stessa, divenuta sotto nome di « purismo » un gioco di frasi, intenta alla purità del Trecento e all'eleganza del Cinquecento. Ritornavano in voga i grammatici, i linguisti e i retori ; ripullulava sotto altro nome l'Arcadia, l'accademia.

Così fu possibile la Storia americana di Carlo Botta, uscita a Parigi quando appunto uscirono gli Inni; e fu tal cosa, che gli stessi accademici della Crusca si sentirono oltrepassati e domandavano che lingua era quella. Furono i romantici che, insorgendo contro la scuola, la rinsanguarono, e in aria di nemici furono i suoi veri eredi. Essi le apersero nuovo contenuto e nuovo ideale, le spogliarono la sua vernice classica e mitologica, l'accostarono a forme semplici, naturali, popolari, sincere, libere da ogni involucro artificiale
e convenzionale, dalle esagerazioni rettoriche e accademiche, dalle vecchie abitudini letterarie non ancor dome, i cui vedi le orme anche tra gli sdegni di Alfieri e di Foscolo. Come, sotto forma di reazione, essi erano la stessa Rivoluzione, che, moderandosi e disciplinandosi, ripigliava le sue forze, tirando anche Dio al progresso e alla democrazia; così, sotto forma di opposizione, essi erano la nuova letteratura di Goldoni e di Parini, che si spogliava gli ultimi avanzi del vecchio, acquistava una coscienza più chiara delle sue tendenze e, lasciando gl'ideali rigidi e assoluti, prendeva terra, si accostava al reale.

L'ESIGENZA REALISTICA DEL ROMANTICISMO ITALIANO

Questo sentimento più vivo del reale era anche penetrato nel popolo italiano. Non era più il popolo accademico, che batteva le mani in teatro alla Virginia e all'Aristodemo e applaudiva all'Italia nei sonetti e nelle canzoni. Vide la libertà sotto tutte le sue forme, nelle sue illusioni, nelle sue promesse, ne' suoi disinganni, nelle sue esagerazioni. Il regno d'Italia, la spedizione di Murat, le promesse degli alleati, la lotta d'indipendenza della Spagna e della Germania, l'insorgere della Grecia e del Belgio aguzzavano il sentimento nazionale l'unità d'Italia non era più un tema rettorico, era uno scopo serio, a cui si drizzavano le menti e le volontà. I più arditi e impazienti cospiravano nelle società segrete, contro le quali si ordinavano anche segretamente i sanfedisti. Fatto vecchio era questo. Ma il fatto nuovo era che nella grande maggioranza della gente istruita si andava formando una coscienza politica, il senso del limite e del possibile : la rettorica e la declamazione non aveva più presa sugli animi. La grandezza degli ostacoli rendeva modesti i desideri, e tirava gli spiriti dalle astrazioni alla misura dello scopo e alla convenienza de' mezzi. La libertà trovava il suo limite nelle forme costituzionali, e il sentimento nazionale nel concetto di una maggiore indipendenza verso gli stranieri.

Una nuova parola venne su: non si disse più « rivoluzione », si disse « progresso ». E fu il maestoso cammino dell'idea nello spazio e nel tempo verso un miglioramento indefinito della specie, morale e naturale. Il progresso divenne la fede, la religione del secolo. Ed aveva il suo lasciapassare, perchè cacciava quella maledetta parola che era la « rivoluzione », e significava la naturale evoluzione della storia, e condannava le violente mutazioni. Il progresso raccomandava pazienza ai popoli, dimostrava compatibile ogni miglioramento con ogni forma di governo e si accordava con la filosofia cristiana, che predicava fiducia in Dio, preghiera e rassegnazione. Oltre a ciò, « libertà », « rivoluzione » indicavano scopi immediati e non tollerabili ai governi; dove « progresso », nel suo senso vago, abbracciava ogni miglioramento, e dava agio ai principi di acquistarsi lode a buon mercato, promuovendo, non fosse altro, miglioramenti speciali che parevano innocui, com'erano le strade ferrate, l'illuminazione a gas, i telegrafi, la libertà del commercio, gli asili d'infanzia, i congressi scientifici, i comizi agrari.

A poco a poco i liberali tornarono là ond'erano partiti, e, non potendo vincere i governi, li lusingarono, sperarono riforme di prìncipi, anche del papa : rifacevano i tempi di Tanucci, di Leopoldo, di Giuseppe, e rifacevano anche un po' quell'Arcadia. Certo, una teoria del progresso, che se ne rimetteva a Dio e all'Idea, doveva condurre a un fatalismo musulmano, e, rendendo i popoli troppo facilmente appagabili, poteva sfibrare i caratteri, trasformare il liberalismo in una nuova Arcadia, come temeva Giuseppe Mazzini, che vi contrapponeva la Giovine Italia. Pure i moti repressi del Ventuno e dei Trentuno, i vari tentativi mazziniani mal riusciti, la politica del « non intervento » delle nazioni liberali, la potenza reputata insuperabile dell'Austria, la forza e la severità de' governi, le fila spesso riannodate e spesso rotte disponevano gli animi ad uno studio più attento de' mezzi, li piegavano a' compromessi, fortificavano il senso politico, rendevano impopolare la dottrina del «tutto o niente».

Lo stesso Mazzini, ch'era all'avanguardia, aveva nel suo linguaggio e nelle sue formule quell'accento di misticismo e di vaporoso idealismo che era penetrato nella filosofia e nelle lettere e che lo chiariva uomo del secolo, si mostrava anche lui disposto a tener conto delle condizioni reali della pubblica opinione e a sacrificarvi una parte del suo ideale. Così, rammorbidite le passioni, confidenti nel progresso naturale delle cose e persuasi che anche sotto i cattivi governi si può promuovere la coltura e la pubblica educazione, i più smisero l'azione politica diretta e si diedero agli studi : fiorirono le scienze, si sviluppò il senso artistico e il genio della musica e del canto; la Taglioni e la Mahbran, la Rachel e la Ristori, Rossini e Bellini, le dispute scientifiche e letterarie, i romanzi francesi e -italiani occupavano nella vita quel posto che la politica lasciava vuoto. In breve spazio uscivano in luce il Carmagnola, l'Adelchi e i Promessi Sposi; la Pia del Sestini; la Fuggitiva, l'Ildegonda, i Crociati e il Marco Visconti del Grossi; la Francesca da Rimini del Pellico; la Margherita Pusterla del Cantù- l'Ettore Fieramosca e, più tardi il Niccolò de' Lapi di Massimo d'Azeglio. Ultime venivano, con più solenne impressione, le Mie prigioni. Ciclo letterario che fu detto « romantico » : un romanticismo italiano, che faceva vibrare le corde più soavi dell'uomo e del patriota, con quella misura, con quell'ideale internato nella storia, con quella storia fremente d'intenzioni patriottiche, con quella intimità malinconica di sentimento, con quella finezza di analisi nella maggiore semplicità de' motivi, che rivelava uno spirito venuto a maturità e ne' suoi ideali studioso del reale.

Fonti, citazioni, e testi
DE SANCTIS - Storia della Letteratura Italiana
DE SANCTIS - Antologia critica sugli Scrittori Italiani

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