LETTERATURA

IL VERISMO



DI GIOVANNI VERGA

(di G. Pellegrino )

vedi anche - GIOVANNI VERGA -
NOTE BIOGRAFCHE e la LOTTA PER L'ESISTENZA >>>
Le tesi naturalistiche francesi furono conosciute in Italia specialmente a opera di Luigi Capuana che fu in un certo senso il mediatore tra quella cultura e la nostra.
E per l’incontro di esse con quella diffusa aspirazione al vero si costituì in Italia una vera e propria scuola cioè un gruppo di scrittori che fecero propria la poetica naturalistica adattandola alla situazione e alla cultura italiana, ognuno secondo i propri bisogni.

Il maggiore degli scrittori veristi una delle figure più alte di questa età fu il catanese GIOVANNI VERGA nato nel 1840 trascorse i propri anni in Sicilia scrivendo già giovanissimo per i giornali e componendo romanzi storici come i "carbonari della montagna Amore e patria"

L’attività letteraria del Verga dopo le prime opere giovanili e senza rilievo si suole dividere in due fasi nella prima delle quali egli studiò l’alta società e gli ambienti artistici.
In tutti questi romanzi vi era una vivace volontà autobiografica nel senso che il Verga mirava a effondere stati d’animo e sentimenti che erano anche i suoi e a vivere nei suoi libri avventure non vissute effettivamente ma sognate.

Ma vi era anche la volontà di compiere un’analisi della società contemporanea specie di quella elevata mettendone a nudo le magagne sentimentali e le menzogne convenzionali per scoprire e denunciare l’immoralità non tanto dei singoli quanto della società nel suo complesso.
Da ciò le storie di quei primi romanzi come ad esempio la dama che si uccide per amore, la fanciulla monacata a forza che muore di disperazione e il pittore sconfitto nelle sue aspirazioni ambiziose e nella sua passione per una giovane ballerina.

Nel 1874 la serie di romanzi a cui si è accennato fu interrotta da una novella diversa per argomento e per stile, Nedda.
Verga vi raccoglie la storia di amore e di miseria di una povera raccoglitrice di ulive.
Anche in Nedda vi è un moto polemico contro la società che permette miserie e tragedie come quelle sofferte dall’umile protagonista ma la polemica è questa volta assai più concreta fondata sullo studio di una precisa situazione sociale.

Inoltre il mondo che Verga rappresenta non è più quello della brillante alta società milanese o fiorentina ma quella umile e chiuso di un borgo in Sicilia.

Nel 1874 Nedda fu un episodio isolato nel senso che dopo di esso Verga continuò a scrivere i suoi romanzi mondani ma quell’episodio fermentò dentro di lui dopo qualche anno e lì iniziò una fase nuova della sua arte.
Egli compose così in poco più di dodici anni due raccolte di novelle (Vita dei campi e Novelle rusticane) e progettò un ciclo di 5 romanzi intitolati i Vinti e ne scrisse i primi due ovvero i Malavoglia e Mastro don Gesualdo.

Queste opere hanno tutte come sfondo quella Sicilia intorno a Catania che il Verga conosceva e alla quale era legato sentimentalmente.
Hanno come protagonisti uomini delle classi subalterne quali contadini pastori artigiani arricchiti o no .
Anche se compaiono in tali opere persone appartenenti ai ceti elevati sono nobili di paese infinitamente lontani dal sentire e dal gusto dei personaggi di Verga di una volta.

Dunque temi ambienti E personaggi sono del tutto nuovi e rivelano una maniera diversa di concepire l’arte e la vita.
Secondo la poetica del naturalismo e del verismo Verga intendeva studiare la società italiana in particolare siciliana nei suoi vari strati sociali a cominciare dai più bassi.
Per questo oltre alle due raccolte di novelle egli concepì un ciclo avente come titolo complessivo i Vinti e articolato in cinque romanzi i quali dovevano rappresentare i Vinti nella lotta per il progresso in cinque fasi diverse.

La posizione ideologica del Verga è stata espressa da lui con estrema chiarezza in una novella di Vita dei campi intitolata Fantasticheria nel quale egli immagina di recarsi ad Acitrezza in compagnia di una signora del gran mondo.
Ella appena arrivata si mostra entusiasta di quella vita semplice ma già il giorno dopo non ne può più e non capisce come altri possano vivere lì tutta la vita.

Verga polemizzando con quella frivola superficialità esprime la sua adesione morale al coraggio virile con cui gli umili affrontano la vita.
La sua opera è dunque una rivalutazione quasi una scoperta della serietà morale delle plebi di quel quarto stato proletario cui finora non era andata al massimo che un inerte età intrisa di paternalismo, portata a colorire di tinte idilliache la vita dei campi e delle officine.

In Verga invece niente scene idilliache niente paternalismo offensivo niente ottimismo facile ma una tragedia un mondo subalterno visto nella sua autonomia costituito da uomini con cui trattare da uomo a uomo.
Questo spiega perché Verga e solo Verga abbia dato all’Italia dopo l’epopea del terzo stato del Manzoni l’epopea del quarto stato realizzando quella letteratura popolare e realistica che per tanti decenni era stata auspicata e tentata inutilmente.

La visione di Verga è pessimistica e tragica perché egli non crede più come il Manzoni nella Provvidenza e Dio è completamente assente dai suoi libri.
Pertanto su quel mondo di lavoro di lotte di passioni non è mai presente una promessa sicura di giustizia.
Verga come non crede in una forza provvidenziale non crede nemmeno in un avvenire migliore conquistato qui sulla terra con le forze degli uomini.

Verga non è un socialista che crede in un trionfo finale del quarto stato ottenuto attraverso l’unione e la lotta.
A verga interessano solo i Vinti ovvero quelli che cadono lungo la strada ed egli è consapevole di essere solo il poeta di chi resta ai margini della strada mentre la marea del progresso procede oltre.
Ma chi sono i Vinti in ultima analisi per Verga ? Erano tutti quelli che vedevano sconfitte e deluse le loro aspirazioni.

La concezione della vita propria di Verga poggiava su un compromesso difficile destinato a rompersi presto.
Gli elementi positivi erano molti soprattutto il superamento del paternalismo ambiguo che aveva caratterizzato la letteratura sociale dei moderati ma anche la scoperta dell’umanità e della dignità delle plebi.

Molto importanti in Verga anche l’analisi del risvolto negativo del progresso tanto mitizzato dai contemporanei nonché la polemica contro i miti sentimentali e intellettuali della società borghese.
Tuttavia il Verga non sapeva ne poteva immaginare una società diversa e perciò egli guardava al presente al futuro con un pessimismo amaro che doveva indurlo alla denuncia amara e sfiduciata di ogni tentativo di lotta.
Nell'arte questa ideologia ebbe sbocchi di volta in volta diversi tali che possono ordinarsi in una specie di parabola.

Nelle opere del grande decennio l’adesione morale ai protagonisti dà alle pagine un tono quasi epico.
Ma già in Mastro don Gesualdo il pessimismo è più cupo e intorno al protagonista si agita una folla di piccoli uomini tutti presi dalla ‘passione economica.

Gi altri tre romanzi della raccolta dei Vinti non furono scritti perché ormai il pessimismo di Verga era diventato troppo rigido per dar luogo a un romanzo.

Detto ciò riteniamo concluso il nostro discorso intorno al Verga.
Prof. Giovanni Pellegrino

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