LA PRIMA GUERRA MONDIALE
DAI BOLLETTINI UFFICIALI

1916

PRIMO INVERNO IN GUERRA, L'ORGANIZZAZIONE, LE EPICHE LOTTE

L'ORGANIZZAZIONE DELLA CAMPAGNA INVERNALE - LE TRINCEE E I BARACCAMENTI; LA LOTTA CONTRO IL FREDDO; IL NUTRIMENTO DEL SOLDATO; I SERVIZI SANITARI; COMUNICAZIONI E TRASPORTI; LA DISCIPLINA - LE OPERAZIONI DI GUERRA DAL PRIMO GENNAIO ALLA METÀ DEL MAGGIO 1916 SUL FRONTE GIULIA: OFFENSIVA AUSTRIACA SU OSLAVIA; LA BRIGATA "REGINA" A SAN MARTINO DEL CARSO; LA LOTTA A SANTA MARIA DI TOLMINO; LA LOTTA PRESSO GORIZIA; LA BRIGATA "ACQUI" A SELZ E LA BRIGATA "GRANATIERI" A SAN FLORIANO - LA CONQUISTA DEL MONTE KUKLA - LE OPERAZIONI DI GUERRA SUL FRONTE TRENTINO E IN CARNIA NEI PRIMI QUATTRO MESI E MEZZO DEL 1916 - L' AVANZATA NELLE ZONE DEL MONTE SPERONE, DEL MONTE COLLO E DELLA TOFANA; AZIONI SUL PAL PICCOLO, SUL PAL GRANDE E NELLA ZONA DEL CRISTALLO; LA LOTTA SULL'ADAMELLO E A SANT'OSVALDO; LA MINA DEL COL DI LANA
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"oltre che audace, era inconcepibile, eppure ...un gruppetto di alpini scalarono e issarono sulla vetta della Cima Granda
un cannone; e un colossale faro destinato a illuminare d'improvviso
l'attacco austriaco notturno al fronte delle Tre Cime..."
(A. Berti). Per gli austriaci fatale quel "cannone che sparava dalle stelle"
(qui le postazioni degli austriaci nelle gallerie poste sopra l'attuale Rif. Locatelli")

L'EROE DEL GIORNO FU L'AUSTRIACO
"SEPP INNERKOFLER" CHE RICORDIAMA
O QUII > > > > > >

In una galleria delle Tofane, un anonimo italiano scrisse:
"Tutti avevano la faccia del Cristo, nella livida aureola dell'elmetto.
Tutti portavano l'insegna del supplizio nella croce della baionetta
E nelle tasche il pane dell'Ultima Cena, e nella gola il pianto dell'ultimo addio"
.


L'ORGANIZZAZIONE DELLA CAMPAGNA INVERNALE
LA LOTTA CONTRO IL FREDDO
LA FERREA DISCIPLINA

Con il fallimento della quarta offensiva italiana sull'Isonzo, erano terminate le favorevoli prospettive dei mesi precedenti; ed erano - a fine dicembre del 1915- rimaste inchiodati sul loro posto, nel rigido inverno (quello del '15 e del '16, furono i più rigidi degli ultimi 60 anni) tutti quei soldati che avevano conquistato importanti posizioni nei punti più strategici del confine; la maggior parte erano questi punti posti alle alte quote; dal gruppo Adamello-Presanella, al Cevedale, dal Cristallo alle Tofane.
Aveva ragione LORD ASQUITH nel dire che nessun altro fronte era più difficile di quello Italiano; e pur visitandolo in alcuni punti - forse non aveva visto nulla di ciò che era in realtà il fronte italiano.
Chi qui scrive ha ripercorso quasi l'intero scenario su quelle vette dove si sono svolte queste battaglie titaniche. Grotte, camminamenti, baracche, sono ancora lì, nelle alte quote a testimoniare - senza tanta retorica- gli eroismi di alcuni uomini che in quei luoghi non hanno trascorso il breve tempo di una splendida domenicale ascensione, ma quasi tre anni, e in condizioni continuamente critiche, insidiosi più dei nemici, quali la protezione dal freddo, l'alimentazione, il morale. Molti, anzi moltissimi, nei prati verdi delle valli odelle pianure non tornarono mai più. Alcuni sono ancora lì, sepolti in quei ghiacciai.

Uno dei problemi più difficili che si presentavano al generale Cadorna era quello di mantenere, fra i rigori dell'inverno, ad altitudini elevatissime centinaia di migliaia di soldati. Il comando affrontò e risolse felicemente il problema e in un rapporto ufficiale, pubblicato dall'Agenzia Stefani il 28 febbraio e che noi ora riproduciamo integralmente come documento di alta importanza, descrisse le difficoltà della preparazione che dovette affrontare e superare.
Cadorna -è stato detto e diremo anche noi più avanti- era un uomo spigoloso, di una tenacia però incredibile, anche se a questa univa una dura se non brutale concezione della disciplina - non operando certo per rendere meno sanguinosi gli enormi sacrifici cui furono posti i soldati italiani- si trovò a risolvere dei problemi logistici inauditi e che forse -diamo anche lui qualche merito- nessun altro generale in circolazione in Italia ma anche all'estero, contemporaneo o anche del passato, avrebbe potuto trovare - con i carenti mezzi a disposizione- soluzioni migliori. Nessun scenario in Europa aveva le caratteristiche - così aspre, irte di ostacoli, come l'acrocoro dolomitico con le sue guglie, o l'acrocoro del Cevedale con le sue ventidue cime che si elevano oltre i 3000 metri spuntando fuori dai ghiacciai eterni. Nessuno a memoria d'uomo aveva mai combattuto a quelle altitudini. Ogni cima divenne il simbolo di una guerra particolare dove la lotta non infuriava solo tra uomini e materiali bellici, bensì tra uomini e la natura ostile. Una prova di sopravvivenza cui si sottoposero non dei provetti alpinisti, ma notevoli masse di soldati, ed alcuni in vita loro non avevano mai visto un ambiente simile.

L'alpinismo, le arrampicate dolomitiche, a quei tempi era ancora uno sport riservato ai grandi alpinisti inglesi; ma nel 1915, anonimi Alpini, fecero impallidire quelle audaci imprese fin dal primo giorno del conflitto. Basterebbe ricordare qui - ed era il primo giorno di guerra- la stupefacente impresa sulla Grande di Lavaredo:
Alle ore 8 e un quarto del 24 maggio i primi colpi austriaci (shrapnel) furono sparati su Forcella Col di Mezzo uccidendo due alpini, e durante tutto il giorno fu continuato il bombardamento di Misurina. Il 25 maggio dalla forcella Lavaredo, con cinque colpi fu colpito e incendiato il Rifugio Tre Cime.
Fu una battaglia di "giganti", perché dall'altra parte sulla cima del Paternò, non erano meno audaci gli austriaci; a scalarlo, a dirigere il tiro e a compiere anche lui imprese sovrumane, c'era SEPP INNERKOFLER (mitico alpinista austriaco, la guida più nota e più ricercata del tempo, custode del Rifugio). Quella notte del 25, in piedi sulla cima del Paternò, con le braccia incrociate fissò a lungo le fiamme che avvolgevano il "suo" rifugio colpito dal cannone italiano, e mordendo la pipa, si accovacciò, aprì sulle ginocchia il taccuino, e scrisse "Al quinto colpo la mia casa si incendia. Mentre scrivo qui sul Paternò, brucia il rifugio giù in fondo, e il rogo tra i monti fa un'impressione imponente. Laggiù il fuoco, mentre quassù battiamo i denti dal gelo". All'alba aggiunge stoicamente: "Adesso, sia lode a Dio, c'é il sole, e tutto questo mi pare più interessante che pauroso e terribile". (Sepp Innerkofler, Taccuini di guerra, manoscritto). Innerkofler si immolò proprio sulla cima del Paternò il successivo 4 luglio 1915, in quello che fu chiamato il "duello delle aquile" - Piero De Luca, un anonimo alpino non avendo altro che un masso, dall'alto, usando questo, stroncò la vita al leggendario Sepp Innerkofler.
Dagli Alpini italiani fu compiuta un' impresa straordinaria, che apparve perfino inconcepibile: l'ascensione e il trasporto fin sulla vetta della Cima Granda (la cima di mezzo delle tre) di un cannone e un colossale faro, destinato a illuminare d'improvviso l'attacco austriaco notturno al fronte delle Tre Cime (per chi conosce la zona, quel grandioso anfiteatro posto davanti alle Tre Cime, con al margine opposto l'attuale Rifugio Locatelli). Fu chiamato quello il cannone "che sparava dalle stelle".

Il rapporto ufficiale, pubblicato dall'Agenzia Stefani il 28 febbraio 1916

"Dare a molte centinaia di migliaia di uomini il mezzo di svernare in condizioni di piena efficienza bellica e di perfetta salute, anche in zone montuose che spesso sorpassano i 2000 metri di altitudine e talvolta raggiungono e superano i 3000, senza che un solo palmo del terreno conquistato dovesse essere ceduto al nemico, è stata un'opera grandiosa, che il Paese deve considerare con legittimo orgoglio.

"Le trincee e i baraccamenti"

Prima cura dei comandi fu quella di rendere non soltanto salde ed imprendibili, ma anche protette dalle intemperie le linee di difesa lungo tutto l'estesissimo fronte, in modo che potessero fornire un sufficiente riparo alle truppe destinate, per turno, ad occuparle. Le pareti dei trinceramenti vennero a tale scopo ricoperte di stuoie, il fondo lastricato o provvisto di tavolato. Lungo le trincee, mediante escavazioni in roccia o con coperture e blindature varie; furono inoltre ricavati ricoveri speciali per gli uomini non impegnati nel servizio di vigilanza. Anche per le vedette e gli osservatori, spinti oltre le linee di difesa, furono allestiti appositi piccoli ripari con sacchi a terra o in legname, protetti da ostacoli naturali.
Nelle posizioni arretrate, per le truppe in riserva o a riposo, si cercò innanzi tutto di trarre il maggior profitto dagli accantonamenti, senza disturbo delle popolazioni. Le risorse disponibili non erano molte, sia per la povertà degli abitati, propria delle regioni montuose, sia per la sistematica distruzione fattane dagli Austriaci col bombardare i villaggi a portata di cannone. Tuttavia, mediante un disciplinato lavoro di ricostruzione e di risanamento, fu possibile alloggiare non poca parte delle truppe in caseggiati. Ma il mezzo principale di ricovero fu costituito dai baraccamenti, che sorsero a diecine di migliaia; d'ogni tipo, d'ogni dimensione e forma, in mattoni, in blocchi di cemento, in legno, a doppia parete nelle zone più rigide. In questi ricoveri le truppe hanno potuto trovare sano e comodo alloggio ed efficace difesa dal freddo e dall'umidità.

A dare idea dell'ingente movimento di materiale e della somma d'energie richieste dalla costruzione dei baraccamenti, si può ricordare che per un solo corpo d'armata, dislocato in zona montuosa, furono inviate 300.000 tavole, di cui un buon terzo dovette essere trasportato dai muli e negli ultimi tratti a spalla d'uomo, in zone aperte e talvolta violentemente battute dall'artiglieria nemica. Per la produzione di murali e tavole e dei mattoni e blocchi di cemento necessari, si dovettero impiantare apposite segherie idrauliche, fornaci e fabbriche di materiali cementizi. Là dove il terreno non consentì il collocamento di baracche, o queste non convenivano per ragioni militari, furono scavate gallerie in roccia o si utilizzarono caverne naturali, adattandole a ricoveri. Nell'interno degli alloggiamenti la truppa riposa su pagliericci, appoggiati a tavolati rialzati da terra, o disposti in più ordini, a cuccette di tipo marinaro. Talune unità sono provviste di speciali lettini di ferro, a due posti sovrapposti. Le maggiori cure si hanno per l'igiene e la pulizia degli alloggiamenti, che sono periodicamente disinfettati con lavaggi antisettici e con lunghe distribuzioni di polvere insetticida. Ovunque, accanto ai villaggi di baracche, dove è stato possibile, sono stati impiantate docce ad acqua calda e stufe sterilizzanti, ove i reparti si recano a turno per la pulizia personale e per la disinfezione del vestiario. Presso i bagni funzionano anche lavanderie con mezzi per la sterilizzazione.

"La lotta contro il freddo"
Larghissima, adeguata ai bisogni, fu la distribuzione degli indumenti invernali: camice di flanella, mutande, calze, cravatte e guanti di lana, cappucci, fasce molletières. A seconda delle altitudini, alle quali i reparti stazionano, furono distribuiti cappotti invernali o con pelliccia o interamente foderati di pelliccia, pettorali doppi, cappucci con pellicce, sacchi a pelo. Furono aumentate, a seconda delle necessità, le quote di coperte. L'abbondanza delle distribuzioni, risulta evidente quando si afferma che ad un solo corpo d'armata, dislocato in zona montuosa furono date circa 280.000 coperte ed un numero corrispondente di mutande e camicie di lana o cotone felpato, calze di lana, 80.000 cappotti invernali, 60.000 pettorali in pellicce, 10.000 sacchi a pelo. Concorse in ciò largamente l'aiuto del Paese: da ogni parte d'Italia, con generosa gara, benemeriti Comitati ed Associazioni, con l'appoggio attivo, costante e disinteressato della stampa diedero opera efficace alla raccolta d'ingenti mezzi di protezione dal freddo ed al loro invio fino alle prime linee.
Molti ingegnosi accorgimenti furono escogitati per combattere i due grandi nemici: freddo ed umidità. Le baracche, i ricoveri, perfino le trincee furono provviste di stufe d'ogni tipo e forma; alle truppe furono dati scaldapiedi e scaldamani d'ogni specie. In qualche zona più elevata, perché le vedette potessero preservare le mani dal freddo furono con materiali di ripiego costruiti recipienti per acqua calda, che le vedette mettono poi in tasca. Ad evitare congelazioni agli arti inferiori, si pensò anche di riscaldare mattoni, che, avvolti poi in panni di lana, si applicano alle estremità di chi, dopo il servizio di vedetta, torna ai baraccamenti. Particolare attenzione fu rivolta alle calzature: e il numero dei congelamenti agli arti, ora ridotto quasi a nulla, dimostra che il problema poté essere assai bene risolto. Si distribuirono stivaletti da montagna, zoccoli di legno di vario tipo, per servire da sovrascarpa o per sostituire le scarpe stesse, spesso bagnate, nei momenti di riposo; tele speciali impermeabili, da sovrapporre alle calze di lana, per impedire il passaggio dell'umidità; grassi per ungere le pelli; scarpe con suola impermeabile mediante fodera interna ricavata dalla vescica dei bovini ecc.

"Il nutrimento del soldato"
Cure speciali furono dedicate all'alimentazione del soldato al fine di renderla varia, abbondante e adatta alle eccezionali condizioni climatiche di gran parte del nostro teatro d'operazioni. Con l'aumento di alcuni dei generi componenti la razione e con l'introduzione di altri si assicurò al soldato un minimo giornaliero di circa 3900 calorie. Per le truppe sottoposte a lavoro intenso in montagna, tale minimo fu portato a 4700 calorie, aumentando il pane e il vino ed aggiungendo moderate distribuzioni di rhum o marsala. All'inizio della guerra la panificazione era in gran parte fatta mediante i pur ottimi forni da campo: a questi si sostituirono gradatamente quelli in muratura, che forniscono pane più eccellente e sano. Soprattutto si cercò di assicurare la soldato il giornaliero ristoro del vitto caldo, non lasciando intentato alcun espediente per riuscirvi: da un largo impianto delle ottime casse di cottura di termos agli scaldaranci in carta e in cera o alcool solidificato ai fornelli a grasso di bue, che in primissima linea servono assai bene a cuocere le vivande e a mantenerle calde. Per garantire in ogni eventualità il vettovagliamento delle truppe dislocate in zone montuose assai elevate furono costituiti, in località opportune, vicine alle truppe, forni avanzati, magazzini di viveri e di generi di conforto, depositi di legna e di carbone. In tal modo, anche in caso di temporanea interruzione delle strade, le truppe sono in grado di provvedere al proprio sostentamento. Un problema importantissimo, strettamente connesso all'igiene dell'alimentazione, fu quello di assicurare l'acqua potabile nell'ingente quantità necessaria alle truppe. In previsione che, nelle zone più elevate, potesse mancare per il gelo delle sorgenti, furono installati potabilizzatori e distribuiti alle truppe filtri tipo "Borkfeld". Là dove l'acqua mancava del tutto, come sul Carso (poi pure sul Pasubio) si provvide con appositi impianti al sollevamento meccanico e al trasporto da lontane sorgenti fino alle linee più avanzate, o dalle valli fino alle alte quote, risparmiando così il lento e faticoso servizio di salmerie e di portatori.

"I servizi sanitari"
Le condizioni di salute delle truppe, particolarmente minacciate durante l'inverno, richiamarono le maggiori possibili cure ed ogni interessamento. Furono rigorosamente applicate le misure igieniche e profilattiche destinate a prevenire malattie infettive e contagiose. Fu provveduto per la regolare pulizia e disinfezione delle trincee e dei ricoveri. Nei limiti concessi dalla scarsa umanità dell'avversario, si curò anche la disinfezione dei campi di battaglia, raccogliendo gli oggetti abbandonati ed inumando i cadaveri, generalmente in cimiteri reggimentali. L'organizzazione sanitaria può ritenersi oggi perfetta e completa: dai posti di medicazione, ravvicinati il più possibile alle trincee avanzate, per assicurare il pronto soccorso ai feriti, fino agli ospedali di riserva, il servizio funziona con abbondanza di mezzi e con razionalità d'indirizzo. Numerose ambulanze su automobili provvedono al rapido trasporto degli infermi e dei feriti dalle linee di combattimento agli ospedali, e da essi alle stazioni ferroviarie. Né mancano i reparti speciali per ciascuna branca della medicina: oftalmici, dermosifilopatici, psiconeurosici, odontoiatrici, ecc., diretti da specialisti delle materie. Infine furono istituite case di riposo per trattenervi i convalescenti, prima del loro ritorno ai corpi o per curare i militari esauriti dai disagi della guerra e dalle fatiche dell'inverno. Con la salute fisica si curò pure quell'intellettuale e morale delle truppe. In talune regioni montuose, per ottima iniziativa di comandi in sott'ordine, a rendere meno monotona la vita invernale furono istituiti piccoli locali per riunioni con bibliotechine formate con il concorso di benemerite associazioni. L'interessamento per le truppe fu anche esercitato nei rispetti del servizio postale curando - finché possibile - che la corrispondenza fosse trasmessa, in arrivo o in partenza, fino alle trincee.

"Comunicazioni e trasporti"
La stagione invernale imponeva speciali provvedimenti per assicurare rapide e costanti comunicazioni tra le retrovie e le truppe anche più avanzate. Ciò si ottenne dedicando speciale attività ed energia alla buona manutenzione della rete stradale. Di massima, ogni comando d'unità provvede a mantenere praticabili le strade che conducono al fronte occupato dai reparti da esso dipendenti. Lo sgombero della neve è fatto con speciale servizio di spartineve e con personale, a preferenza, di milizia territoriale. Il lavoro per la manutenzione e il miglioramento stradale dura ininterrotto, al fine di conservare aperte le comunicazioni, nonostante qualsiasi avversa condizione atmosferica. Per diminuire gli ingombri sulla rete stradale, insufficiente ai bisogni di un grande esercito cumulati con quelli ordinari della popolazione, furono aperte nuove vie, specialmente in montagna, e costruiti nuovi ponti. Ampio sviluppo fu dato alle linee teleferiche, preziose per assicurare i rifornimenti alle truppe nelle zone più elevate. Furono prese efficaci disposizioni per combattere le piene dei fiumi e gli allagamenti così frequenti nella zona del basso Isonzo. Una completa rete telegrafica, telefonica ed ottica assicura un costante collegamento con i comandi e le truppe più avanzate, affinché nessun riparto, per quanto piccolo, rischia di rimanere isolato.
Per facilitare il movimento dei trasporti, veramente grandioso, fu dato il più largo sviluppo ai mezzi di trazione, a cominciare dal raddoppiamento dei binari sulle linee ferroviarie più affollate, alla costruzione di nuovi tronchi di ferrovie a scartamento ridotto, allo sviluppo del servizio automobilistico, all'aumento del carreggio e delle salmerie, alla costituzione di trasporti a slitte e, dove neanche queste possono giungere, con portatori. Presso qualche grande unità, più esposta alle offese aeree, furono formati drappelli di pompieri con militari più pratici dello speciale servizio e forniti dei mezzi per lo spegnimento degli incendi, in parte acquistati, in parte ceduti con alto senso di patriottismo dalle città di Torino, Milano e Ravenna.

"Disciplina e fede nella vittoria"
Grazie a questo insieme di provvedimenti, le truppe passano l'inverno, pur su zone montuose a rigida temperatura e in pianure note per l'abbondante umidità, in ottime condizioni igieniche, in piena efficienza bellica e con il morale elevato. Con instancabile attività, attendono alla propria istruzione tattica, al rafforzamento del fronte di difesa e ad altri utili lavori, mantenendo sempre alto lo spirito offensivo ed inalterato il tradizionale buon umore. L'affetto che il Paese dimostra ai soldati con ogni mezzo, e sopra tutto largheggiando in doni, la cura costante degli ufficiali per le proprie truppe e la vita d'abnegazione e di pericolo che essi condividono ovunque e sempre con i loro soldati e di cui questi sono i testimoni oculari d'ogni giorno, hanno costituito il miglior vincolo gerarchico. Grazie ad esso, la disciplina è ottima e ovunque regnano buona volontà ed elevato sentimento militare. Il periodo invernale non costituisce perciò una sosta nella guerra, ma un'alacre preparazione a maggiori operazioni offensive, grazie la quale si mantiene saldo il morale delle truppe, se ne sviluppano le virtù guerriere e l'ostinata volontà di superare a costo ogni sacrificio, ogni privazione, le resistenze opposte dal nemico, e la fiducia completa della vittoria finale".

NOTA DOLENTE: - Nella vastità dei suoi acrocori montagnosi, uno d'importanza strategica della posizione, ed ultimo ostacolo per gli austriaci prima della pianura veneta era il massiccio che sorge tra il confine settentrionale del territorio Vicentino ed il Trentino, cioè il Pasubio: vette a picco sulla Vallarsa e sulle valli Posina e Terragnolo. Già all'inizio della guerra fu suggerito di attrezzare il massiccio per accogliere forti contingenti di truppe e provvedere alla sua difesa. Il consiglio non venne del tutto applicato con diligenza dai comandi italiani. Loro guardavano sempre al Carso. L'inferno poi scatenato dagli austriaci nel maggio del 1916 (la Strafexpedition, di cui parleremo non nel prossimo ma nel successivo capitolo), dimostrò quanto improvvida fosse stata quella decisione e quanto sarebbe potuto costare l'abbandono del Pasubio in mano avversaria. Per fortuna, grazie ad un pugno di valorosi soldati italiani (i rinforzi arriveranno dopo a battaglia già finita), questi eroi difesero "con i denti" quelle posizioni che gli avevano affidate (Col Santo 2112 m, Cima Palon 2232 m., il Passo del Pian delle Fugazze, Monte Corno - qui furono poi catturati dagli austriaci e condannati a morte come traditori i due trentini Fabio Filzi e Cesare Battisti).

A fine 1915, l'eroismo e la neve placarono la furia sulle alte vette del Pasubio, e gli italiani organizzarono questa linea in modo da trascorrere il rigido inverno. Nacque così la necessità di creare a queste quote una notevole mole di servizi logistici. Mancando allora le tecnologie moderne, la potenza creativa e l'ingegnosità degli italiani in un ambiente così ostile (non attrezzato perchè non rientrava nei piani) fu encomiabile; come degno di lode fu l'adattamento dei soldati, prima dormendo nella neve dura (*) e nelle caverne, poi nelle numerose gallerie scavate nella montagna, e più tardi nei nascosti baraccamenti, fecero sorgere sul massiccio del Pasubio vere e proprie piccole città, con ospedali, infermerie, generatori d'energia elettrica, stazioni di pompaggio per l'acqua (del tutto assente), teleferiche con il fondovalle, ecc ecc. e perfino l'"osteria" (primo "posto di ristoro" in alta quota).

Una descrizione in maniera esemplare del modo di vivere in questo ostile ambiente, è quella di MICHELE CAMPANA, nel suo "Un anno sul Pasubio" recentemente ristampato (e numerose citazioni in "La Grande Guerra sul Pasubio", di Enrico Acerbi, 1994).
(*) "…La neve così tagliata, all'azione delle correnti fredde, diveniva dura come il marmo…Gli uomini dormivano nella neve, come conservati nel refrigerante. Ai lati di queste gallerie aprivano dei covi quadrati, della grandezza di una coperta da campo. Un posto per quattro uomini. Stendevano i teli da tenda sulla neve e vi si mettevano a dormire sopra, avendo cura di otturare bene le aperture con stracci e teli. Il calore dei quattro corpi riscaldava il rifugio ed impediva il congelamento. Poi vennero le gallerie nella roccia, numerose che diventarono alla fine un labirinto dentro un alveare umano; e nell'entrarci, essendo basse, bisognava incedere un po' curvi…la luce del sole non vi filtrava, di aperture a mo' di finestre non ce n'erano, prima per non svelare agli austriaci la linea dei corridoi, poi per non far soffiare la tormenta dai pertugi…Sembravano gli occupanti tutti carbonai; avevano tutti le facce nere dal fumo delle torce, che quel poco d'acqua che gocciolava con lo scioglimento delle nevi, non giovava a ripulire. Sicché dopo una quindicina di giorni, non eravamo più una moltitudine di bianchi, bensì un formicaio di negri…".

Queste gallerie costarono un'immane fatica per garantire i rifornimenti. Interminabili serpentine di soldati portatori si inerpicavano sulle pendici (ancora senza strade) procedendo a zig zag, sempre temendo la "morte bianca", le valanghe e le slavine; e centinaia di soldati vi trovarono la morte sepolti da cumuli di neve o roccia e furono ritrovati solo dopo il disgelo, e alcuni anche dopo anni dalla fine della guerra.
Grazie e questi "muli e talpe umane", il Pasubio fu invaso da una moltitudine di postazioni.
Compresa infine negli alti comandi l'importanza di questa zona strategica, con il disgelo, persi i primi ripari e le prime gallerie scavate nella neve o nel terreno, migliaia di soldati iniziarono a scavare nella roccia per ricavare gallerie, camminamenti, ripari, più solidi e sicuri per riparare uomini, armi e esplosivi.
Così narra ancora Michele Campana: " Una media di 1500 mine al giorno piegò, plasmò quasi la roccia ai bisogni dell'uomo. Fu tagliata per un 500 Km in larghe strade camionabili e mulattiere. Fu violata nelle sue viscere verginali con centinaia e centinaia di caverne. Si calcola che ben 10 km di gallerie dentro la roccia offrono sicurezza ai difensori del Pasubio ed alle loro armi. Fu tagliata in una cinquantina di chilometri di camminamenti e di trincee, profonde un paio di metri, strette pareti di sasso vivo, comunicanti fra loro in una fitta rete che sembra un labirinto inestricabile. Trincee e camminamenti sono stati armati di telai in legno…per forare la roccia centinaia di martelli perforatori frullano giorno e notte….".

Gli austriaci alla parte opposta della montagna, spesso divisi da pochi metri, facevano altrettanto. E sia gli uni sia gli altri provvedevano ad intasare delle camere di scoppio e riempite di gelatina, servivano per distruggere le gallerie avversarie. E purtroppo molte di queste saltarono in aria, con i monti che si sollevavano in aria e ricadevano su se stessi, seppellendo nelle loro visceri cose e molti uomini a centinaia.

Molti soldati italiani per difendere il Pasubio, sacrificarono la vita; soprattutto quelli della brigata "Liguria"; e il mito che (unico tra i generali italiani) legò il proprio nome ad un importante "settore" di guerra,"Monte Pasubio", fu il leggendario generale ACHILLE PAPA, un comandante molto abile, oltre che essere dotato di grandi doti umane. A suo nome è dedicato l'attuale Rifugio a Porte Pasubio, a 1928 metri. - Immortalato pure DAMAGGIO, un fino allora oscuro sottufficiale siciliano che ingegnosamente riattando alcune mitragliatrici respinse eroicamente il nemico sulla strategica "Selletta" di cima Palon, e che oggi porta il suo nome.

LE OPERAZIONI DI GUERRA SUL FRONTE GIULIA
L' OFFENSIVA AUSTRIACA SU OSLAVIA


Durante l'inverno, la guerra non ebbe sosta su nessuno dei fronti italiani. Più vivace che altrove si svolse sul fronte Giulia, dove il Comando Supremo andava preparando per la prossima primavera, un'azione a fondo contro Gorizia. Nella notte di Capodanno, attacchi austriaci sulle pendici del monte Rombon non ebbero fortuna; il 2 gennaio un attacco nemico contro le posizioni italiane del San Michele fu respinto con gravi perdite, ed eguale sorte ebbe un altro attacco sferrato il 4 contro le stesse posizioni; invece il 3, nel settore di Monfalcone, un reparto italiano con un rapido balzo occupò una nuova posizione, rafforzandosi poi su questa. Il 5 ripetuti tentativi del nemico di avvicinarsi alle linee italiane furono prontamente respinti nella conca di Tolmino, e il 13 altri attacchi cacciati nel settore dell'Iavorcek e a San Martino del Carso.

Il bollettino del 15 gennaio informava che "...il 14 l'artiglieria austriaca aveva svolta una grande attività sull'Isonzo, con carattere di particolare violenza sulle alture e nord-ovest di Gorizia. Qui il fuoco delle artiglierie nemiche, efficacemente controbbattute dalle nostre, si era prolungato fino a tarda sera, specialmente contro le posizioni di Oslavia".
A questo intenso cannoneggiamento - scriveva il bollettino del 16 - seguì nella notte "....un attacco nemico con forze ingenti contro le nostre posizione nel settore fra il torrente Peumica ed Oslavia. Respinto una prima volta, l'avversario rinnovò con maggiori forze l'attacco, riuscendo a penetrare in alcune nostre trincee nel tratto tra la quota 188 ed Oslavia. Nella mattinata però le nostre truppe, con un violento contrattacco ricacciarono il nemico oltre Oslavia e rioccuparono saldamente le trincee ad est del villaggio".

Questa controffensiva italiana sulle alture a nord-ovest di Gorizia durò due giorni 16 e 17, incontrando ostinata resistenza; ciononostante però anche le trincee a nord di Oslavia, perdute nella notte del 15, furono riprese e la linea primitiva poté essere completamente ristabilita. In queste giornate si distinsero le brigate "Novara" (153° e 154°) e "Campania" (135° e 136°).
Nel settore di Tolmino la notte del 18 gennaio, un reparto nemico tentò invano l'attacco di un trinceramento italiano sull'altura di Santa Maria. Nella stessa notte, nella zona tra la quota 188 e Oslavia, nuclei nemici assalirono alcune posizioni italiane, ma furono prontamente respinte.
Piccole azioni di fanteria nella zona di Plezzo, sullo Sterne e sul Carso, terminarono, il 21, con successo per gli italiani. Attacchi avversari, sferrati nella zona di Tolmino, il 22 a Santa Maria e il 24 a Santa Lucia, furono anche questi respinti.
Sulle alture a nord-ovest di Gorizia, la sera del 24 gennaio, "ingenti forze nemiche, favorite da fitta nebbia, attaccarono le posizioni attorno a Oslavia. Di fronte alla superiorità delle forze dell'avversario, alcuni nostri reparti di prima linea, per non rimanere sopraffatti, ripiegarono lungo un breve tratto del fronte sui trinceramenti di seconda linea. Contro questi, per la salda resistenza, e i violenti contrattacchi dei rincalzi italiani, si infransero i successivi insistenti assalti dell'avversario, che ebbe a incontrare nuove gravissime perdite".

Sul Carso, nella giornata del 26, "...un nostro reparto con una rapida avanzata di sorpresa guadagnò terreno verso la chiesa di San Martino, che poté poi prontamente rafforzare e mantenere. Nell'alto Isonzo, la sera del 27, dopo violenta preparazione delle artiglierie, il nemico in forze tentò di scacciarci dalle nostre posizioni minacciose sul Piccolo Iavorcek. Respinto una prima volta, rinnovò con truppe fresche un secondo e poi un terzo attacco, ma fu sempre respinto con gravi predite ed infine messo in fuga.
Sulle alture ad ovest di Gorizia le truppe italiane rioccuparono una parte del terreno abbandonato nella notte del 25 e vi si stabilirono saldamente".

Le azioni del febbraio, sul fronte Giulia, non furono meno vivaci di quelle del mese precedente. Attacchi nemici respinti, il 1°, nella conca di Plezzo, irruzione di un reparto italiano in un trinceramento nemico a San Martino del Carso il 2, fallito attacco austriaco a Santa Maria di Tolmino, all'alba del 4, e sulle alture del Podgora la sera successiva.
Il 12, con un attacco di sorpresa, il nemico in forze riuscì a penetrare in un trinceramento italiano della conca di Plezzo, ma due altri attacchi sferrati il 15 e il 16 sul Rombon furono respinti. Azioni, favorevoli, di pattuglie italiane si ebbero il 14 sul Podgora e il 16 sul Sabotino. Una felice irruzione di truppe nelle posizioni nemiche ad est di Vermegliano produsse, il 17, notevoli danni all'avversario.

Così il bollettino del 24 febbraio: "Nella zona del Monte Nero, il mattino del 22 febbraio, dopo intenso fuoco di artiglieria e lancio di bombe, l'avversario irrompeva in forze contro le posizioni del Mrzli. Respinto lungo quasi tutto il fronte; riusciva a penetrare in un breve tratto della nostra linea, verso l'ala destra. Un immediato e vigoroso contrattacco, sostenuto dall'artiglieria, lo scacciava poi totalmente dalla trincea occupata". "Sulle alture a nord-ovest di Gorizia, la notte sul 23, nuclei nemici, avvicinatisi alle nostre linee del settore di Peuma, vi iniziarono lancio di bombe a gas asfissianti. Il fuoco dei nostri tiratori e pochi colpi aggiustati di una batteria furono sufficienti a respingere l'aggressione". "Sull'altura di Santa Maria di Tolmino, la notte sul 24, durante una bufera di neve, nostri nuclei avanzati scoprirono un reparto nemico, che, in vesti bianche, tentava di avvicinarsi alle nostre posizioni. L'avversario fu respinto e lasciò molti cadaveri sul terreno".

Nei giorni seguenti l'attività delle fanterie non venne meno: si ebbero scontri, il 25 nella zona del Rombon e sulle pendici del Peuma e la conquista di un trinceramento nemico sulle falde settentrionali del monte San Michele; il 26 piccole azioni sul Monte Nero e sul Carso; tentativi nemici di attacco presso Lucinico e ad est di Vermegliano; il 27 audaci ricognizioni di pattuglie italiane verso le linee avversarie del Mrzli, il 29; progressi nel settore di Zagora, l'8 marzo, nonostante le intemperie, violenti assalti alle posizioni nemiche del basso Isonzo, l'11

Il 12 marzo, "…dopo un'adeguata preparazione di fuoco, nonostante le difficoltà del terreno reso impraticabile dalle intemperie, nel Carso reparti di fanteria irruppero in più tratti contro le posizioni nemiche, appoggiati da mitragliatrici e da arditi drappelli lanciabombe, e ampliarono la distruzione nelle difese nemiche verso la chiesa di San Martino"; il 13 MARZO, nonostante la pioggia e la nebbia "con alto spirito offensivo le fanterie rinnovarono felici attacchi alle posizioni nemiche, specialmente alle falde del Sabotino, tra San Michele e San Martino del Carso, a est di Monfalcone. I maggiori risultati si ottennero nella zona di San Martino, dove le valorose fanterie della brigata "Regina", dopo una violenta e rapida preparazione delle artiglierie, presero d'assalto alla baionetta una forte facendone prigionieri i difensori. Alla loro sinistra altri reparti irruppero sulle linee nemiche nei pressi della chiesa di San Martino devastandole. A sud-est di San Martino fu conquistato un caposaldo della difesa nemica, detto il Dente del Groviglio".

Sempre il 12 marzo, nuovi attacchi di fanteria, ma furono compiuti progressi nella zona del Rombon e presso Lucinico. A sud-ovest d San Martino del Carso, il nemico, sostenuto da violento fuoco di artiglieria, attaccò tutte le posizioni conquistate dagli italiani il giorno prima, ma fu respinto con gravi perdite; tuttavia il concentramento di fuoco di artiglierie nemiche di ogni calibro, consigliò di sgombrare nelle notte la ridotta, che però fu tenuta sotto il fuoco d'interdizione dei pezzi.
Sul Carso "nella notte del 15, dopo un violento fuoco di artiglieria e di fucileria, l'avversario pronunciò due impetuosi attacchi giungendo sino al margine delle nuove trincee italiane; fu ogni volta energicamente respinto e lasciò il terreno ricoperto di cadaveri. Al mattino l'artiglieria rinnovò l'azione, persistendovi con crescente violenza fino a notte; ma la saldezza delle fanterie italiane e il costante ed efficace appoggio delle artiglierie permisero di mantenere le contrastate posizioni. Lungo il restante fronte continuarono gli attacchi di reparti italiani che con lancio di bombe sconvolsero in più punti le difese dell'avversario, infliggendogli perdite e provocando violenti esplosioni".

Il 16 marzo continuò l'attività della fanteria italiana, un drappello della quale irruppe in una trincea nemica ad est di Peteano; ma il 18 il nemico, attaccando con grande violenza le posizioni italiane di Santa Maria di Tolmino, riuscì a stabilirsi con qualche elemento più avanzato nelle nostre difese.

L'offensiva Italiana, voluta dal Comando Francese per evitare che truppe ed artiglierie austriache fossero mandate in sostegno dei Tedeschi a Verdun, continuò ancora violenta. Nella notte sul 19 e nel giorno successivo "...le nostre truppe ripresero al nemico parte delle trincee occupate sull'altura di Santa Maria e respinsero nuovi suoi attacchi contro le nostre posizioni a sud di Cigini e verso Selo. Arrestato così di netto ogni progresso dell'avversario, portammo indietro di circa 500 metri parte della nostra occupazione avanzata in corrispondenza dell'altura di Santa Maria, al fine di sottrarci all'azione d'infilata di nuove batterie nemiche. L'operazione si svolse ordinata e con calma nonostante la pressione dell'avversario".

"Attacchi nemici, sferrati il 19 marzo, sulle posizioni italiane di cresta del Sabotino, s'infransero contro un'efficace resistenza, ma riuscirono parzialmente nella conca di Plezzo dove il nemico riuscì il 20 marzo, a penetrare in qualche settore avanzato, da dove però fu prontamente respinto. Alle falde di Santa Maria di Tolmino gli Austriaci iniziarono, nella notte sul 21, un attacco, che fiaccato dal nostro fuoco, si risolse in semplici avanzate di pattuglie che furono poi facilmente respinte. E così pure sull'altura di Ravuilaz, nella conca di Plezzo e sul Mrzli.
Lotta aspra ed accanita, durata circa 40 ore, si combattè sulle alture a nord-ovest di Gorizia e terminò la mattina del 28 marzo… "Dopo un'intensa concentrazione di fuoco d'artiglieria sui nostri trinceramenti del Grafenberg, già danneggiati dalle precedenti intemperie, la sera del 26 l'avversario sferrava con ingenti forze un violento attacco. L'ostinata resistenza dei nostri trattenne alle ali le irrompenti masse nemiche, mentre al centro, dopo un furioso corpo a corpo, un battaglione ripiegava per circa 400 metri, trascinando con sé una trentina di prigionieri. Ieri (27) seguì per l'intera giornata il fuoco d'interdizione delle opposte artiglierie sulla contrastata posizione. La sera le nostre fanterie iniziarono il contrattacco e con reiterati sanguinosi sforzi, mirabilmente assecondate dall'artiglieria, si impadronirono dei perduti trinceramenti; mentre sul Carso il nemico tentava inutili attacchi che provocavano, tra Vermegliano e Monfalcone, nostri impetuosi e proficui contrattacchi".

Sulle alture a nord-ovest di Gorizia, dopo un intenso cannoneggiamento, la notte del 30 marzo, "…il nemico che aveva raccolto ingenti riserve, sferrò un nuovo violento attacco. Questo, iniziato all'estremità settentrionale delle alture di Podgora, si estendeva in breve a tutta la fronte fino al Sabotino. Particolarmente accanita fu la lotta nel settore a cavallo del torrente Peumica. Più volte respinto, l'avversario rinnovava ogni volta con truppe fresche i suoi vani e sanguinosi sforzi. Fu infine contrattaccato, sbaragliato, messo in fuga".

Ad est di Selz, in combattimenti accaniti durati tre giorni si distinse per slancio e tenacia la brigata "Acqui" (17° e 18°), comandata dall'eroico generale PAOLINI.
"Il giorno 27 marzo -riportava il bollettino- con un vigoroso sbalzo offensivo, prendeva d'assalto un tratto di circa 150 metri di un esteso e fortemente munito trinceramento nemico. Respinti con violenti contrattacchi dell'avversario, le valorose truppe, risolute ad espugnare ad ogni costo l'intero. trinceramento, vi riuscirono nel pomeriggio del 29, facendo numerosi prigionieri e un ricco bottino d'armi".

Numerosi contrattacchi nemici, sferrati quel giorno, la notte sul 31 e la notte del 1° aprile, furono respinti e nel pomeriggio dello stesso giorno i fanti dell'"Acqui" con un risoluto sbalzo ampliarono le occupazioni conquistando un altro trinceramento.

Lo stesso 29 marzo diede prova di grande tenacia la brigata "Granatieri", interinalmente comandata dal colonnello MALATESTA, la quale trattenne un furioso attacco sferrato dal nemico contro le già sconquassate trincee di San Floriano.

Nei primi giorni d'aprile, gli Austriaci, tentarono diversi attacchi in vari punti del fronte Giulia, ma nessuno ebbe esito felice: il 3 furono respinti sul Mrzli, il 4 ad est di Podsabotino, il 5 sul San Michele, la notte del 6 ad est di Selz, il 7 sul Vodil, la notte del 9 ancora sul Mrzli, la notte del 12 nella conca di Plezzo e sul Iavorcek, nella notte del 13 ancora nella conca di Plezzo e sul Mrzli, la notte del 14 di nuovo sull'Iavorcek.

Sul Carso, il 15 marzo, ardite irruzioni delle fanterie italiane ad est di Selz e nella zona di Monfalcone procurarono nuove posizioni avanzate; nella zona del Monte Nero, la notte del 20 furono respinti drappelli nemici che tentavano di lanciare bombe contro le linee italiane, e sullo Sleme. Nella zona ad est di Seltz, nel pomeriggio del 22 aprile riportava il bollettino: "… le nostre fanterie, con il consueto ed efficace appoggio delle artiglierie e vincendo l'ostinata resistenza nemica, presero d'assalto un forte trinceramento lungo 350 metri. L'avversario, ricevuti rinforzi, sferrò nella stessa notte due violenti contrattacchi riuscendo la seconda volta a penetrare in parte nel trinceramento perso. Fu subito respinto con un furioso corpo a corpo che gli costò gravissime perdite".
Altri due furiosi attacchi austriaci allo stesso trinceramento, sferrati il 23, il 25 e il 26 non ebbero migliore risultato. Anche nella notte sul 27, "…dopo molte ore d'intenso bombardamento, lanciò quattro successivi violenti attacchi contro le nostre posizioni. Le dense colonne di fanteria falciate dai nostri tiri furono ributtate ogni volta in grande disordine".

Nella conca di Plezzo, "…un reparto nemico riuscì, il 27 marzo ad irrompere di sorpresa in un posto italiano avanzato nelle falde del monte Kukla. Accorsi i rincalzi, fu prontamente contrattaccato e respinto. Sull'Iavorcek tentativi di attacco, più volte rinnovati contro le posizioni italiane, fallirono con sensibili perdite per il nemico. Questi attaccò ancora, nei giorni seguenti, qua e là le nostre posizioni, il 28 aprile a Ravnilaz, nella conca di Plezzo, la notte sul 30 nelle pendici settentrionali del San Michele, il 1° maggio, nella Conca di Plezzo, al Podgora e a Selz, il 5 e il 7 sul monte Kukla, il 12 ancora nella conca di Plezzo; ma ovunque fu respinto. Brillamenti di mine nemiche e nostre avvennero l'8 e il 9 maggio presso la chiesa di San Martino del Carso, e nella conca di Plezzo, il 10 maggio, i nostri alpini, coadiuvati dai bersaglieri, con vigoroso attacco presero d'assalto una forte e munita linea di trinceramenti sulla vetta del monte Kukla e sulle pendici meridionali del monte Rombon".


LE OPERAZIONI DI GUERRA SUL FRONTE DEL TRENTINO E IN CARNIA
AVANZATA NELLE ZONE DEL MONTE SPERONE, DEL MONTE COLLO E DELLA TOFANA; AZIONI SUL PAL PICCOLO, SUL PAL GRANDE E NELLA ZONA DEL CRISTALLO
LA LOTTA SULL'ADAMELLO E A SANT'OSVALDO
LA MINA DEL COL DI LANA

 

Sul fronte Trentino e in Carnia, la lotta nell'inverno, a partire dallo stesso Capodanno 1916, e nei primi due mesi della primavera, fu a volte non meno intenso che sul fronte Giulia. "…Attacchi nemici presso Mori e sul Col di Lana il 1° di gennaio furono respinti; il 2 nella zona del Lagazuoi gli Austriaci fecero brillare una mina; il 3 i nostri occuparono posizioni più elevate, nella zona di Riva, lungo le ripide balze che da Biacesa salgono alla Rocchetta e due trinceramenti sulle pendici di monte Sperone; il 5 nostre pattuglie avanzarono sulle pendici che dall'Astico salgono verso Luserna e cadde nelle nostre mani la posizione di San Giovanni, a metà strada tra la cima di Monte Sperone e lo stradone di Val di Ledro, il 7 ci furono azioni a noi favorevoli di piccoli reparti verso Monte Croce Carnico".

"La sera dell'8 gennaio fu respinto un attacco nemico alle nostre posizioni del Monte Sief; sorte eguale ebbe la sera del 10 un attacco austriaco alle nostre posizioni di Castel Dante; fra il Sarca e l'Adige; il 13, furono dai nostri occupate le posizioni allo sbocco di Valle Cresta, donde il 14 fu respinto un attacco nemico sostenuto da intenso fuoco d'artiglieria.
Una brillante azione, la notte del 16, fu compiuta da alcuni arditi nuclei di nostri sciatori, i quali, varcando a 3000 metri tra ghiacci e nevi il Passo della Sforzellina, alla sorgente del Noce, si calarono nell'alta Valle del Monte dove distrussero due fortini.
"Il 17 gennaio le nostre truppe riuscirono ad ampliare la nostra linea di occupazione sulle alture a nord di Mori; il 20, nella zona della Tofana, reparti nemici, dopo vivo combattimento si ritirarono con gravi perdite e il 22 attacchi austriaci sulle pendici del Nozzolo, in Val Giudicarie, e a Nord di Mori, furono respinti.

"Nonostante gli scacchi subiti in Valle Lagarina, il nemico si ostinava a tentare assalti alle nostre posizioni presso Mori, ma non ebbe fortuna né la notte del 24 né il giorno successivo il 30 e il 31 gennaio; anzi il 1° febbraio un nostro reparto, uscito dalle posizioni tante volte attaccate, assalì e disperse il nemico a nord-ovest di Mori. Scontri, a noi favorevoli, si ebbero quello stesso giorno in Valsugana e la sera forti nuclei avversari "incamiciati" furono contrattaccati e respinti lungo la linea Cima Norre-Millegrobe.
Un violento attacco contro le nostre posizioni sul Col di Lana sferrò il nemico la notte del 2 febbraio, ma fu respinto con gravi perdite; perdite non indifferenti subì il nemico, il 3, nella zona della Tofana, il 4 tra Roncegno e Torcegno, il 7 in Val Lagarina, il 9 nell'alto Boite, il 10 nell'alto Chiarzo, l'11 a nord di Mori e in Val Terragnolo.

Il bollettino del 22 febbraio riportava un'importante vittoria delle nostre armi
"In Val Sugana, con metodica azione offensiva le nostre truppe hanno conquistato la zona montuosa del Collo, fra i torrenti Largonza e Ceggio. L'attacco fu iniziato all'alba del giorno 9 con una fitta nebbia e su alti strati di neve. Reparti di fanteria, alpini e volontari esploratori raggiunsero la vetta del Collo e le contigue alture scacciandone nuclei nemici che le occupavano. Dalle posizioni di Fravort, Monte Cola e Sopra Conelle le artiglierie nemiche aprirono un violento fuoco, ma furono efficacemente ribattute dalle nostre. Successivi contrattacchi dell'avversario, appoggiati dal fuoco delle artiglierie, furono respinti. Nella notte sul 19, con nuovo sbalzo, le nostre truppe estesero ancora l'occupazione ad ovest verso la Sella di Monte Cola. Le nuove posizioni, ormai saldamente rafforzate, proteggono la Conca di Borgo e i presidi di Torcegno, Ronchi e Roncegno, da noi occupati".

"La neve che cadeva abbondante, la temperatura rigidissima, le tormente, le valanghe accrescevano ogni giorno più le difficoltà che incontravano le truppe italiane, eppure esse non davano tregua al nemico; le artiglierie ne battevano incessantemente le difese e fulminavano i baraccamenti e le colonne in marcia, le fanterie eseguivano arditi colpi di mano, respingevano attacchi nemici o, come avvenne l'ultimo giorno di febbraio, ad ovest della Marmolada, estendevano e consolidavano le conquiste.

"Gli Austriaci, perdurando nelle regioni montuose il maltempo (fu uno degli anni più rigidi e inclementi degli ultimi sessant'anni) , cercavano di intensificare a svantaggio degli italiani i dannosi effetti, provocando con granate ad alto esplosivo la caduta di valanghe verso le posizioni; ma nonostante l'inclemenza della stagione, le piogge a dirotto, gli allagamenti, la neve, che sorpassava in alcune località i dieci metri, e le insidie del nemico, le truppe italiane, animate ed instancabili, perseveravano nella audace loro attività compiendo nella prima decade di marzo, felici operazioni offensive nei pressi di Castel Dante, di Citerna, di Luserna, sul costone di Vezzena e a Marter; e spingendo in profondità la linea nell'aspra zona, fra la prima e la seconda Tofana".

Spigolando a caso fra i bollettini si può costatare quanta era l'attività dei reparti italiani di quei giorni; erano azioni incessanti in ogni settore.
Il bollettino del 17 marzo riportava: "Nella notte sul 16, nuclei di fanteria nemica, con l'appoggio delle artiglierie, tentavano di attaccare le nostre posizioni a sud-est di Rovereto e in Val Sugana. Furono respinti dal fuoco di nostri tiratori e da quello delle artiglierie. Nella zona della Tofana (Boite), in condizioni atmosferiche avverse, fu occupata la posizione di Forcella Fontana Negra, tra la prima e la seconda vetta del massiccio, a 2588 metri d'altitudine.
Un tentativo d'aggiramento del nemico fu purtroppo subito respinto. In valle del Fella tiri efficaci delle nostre artiglierie obbligarono al silenzio pezzi nemici in prossimità del forte Hensel".

Il Bollettino del 19 marzo: "Lungo la frontiera del Trentino-Alto Adige, nella giornata del 17, azioni intermittenti delle artiglierie; quella nemica bombardò le nostre posizioni di monte Collo (Valsugana) da noi sempre saldamente tenute. In valle del Fella, i nostri sciatori eseguirono ardite incursioni oltre il torrente Pontebbana e su Leopoldskirchen. Nella notte sul 18, un nostro reparto da montagna, con l'appoggio delle artiglierie, conquistò la posizione di Gelbe Wand, a nord-est del Jof di Montasio (alto Dogna), cacciandone l'avversario e prendendogli alcuni prigionieri. Rinforzi nemici accorrenti per Valle Seisera furono tenuti lontani da tiri efficaci di nostre batterie".

"Contro le posizioni italiane di Monte Collo il nemico tentò, il 18 marzo, attacchi che furono prontamente respinti; il 19, lungo il fronte di Rovereto, gli Austriaci insisterono in azioni dimostrative con grande sperpero di tiri d'artiglieria e piccole avanzate di fanteria, cercando facili successi contro qualche posizione italiana più avanzata ed interna alle linee di resistenza, ma queste azioni furono poi ovunque abbandonate. Combattimenti di fanteria, con esito favorevole alle truppe italiane, si svolsero il 20 marzo, a sud-est di Rovereto.

"Nella notte del 21, reparti di fanti nemici tentarono piccole azioni di sorpresa contro le posizioni italiane allo sbocco del Ribor (Valle Daone) e di Valle Gresta (Rio CamerasAdige), a nord-est di Piazza (Valle Terragnolo), ma furono respinte. Nella notte del 22, nuclei nemici appoggiati dalle artiglierie, attaccarono più volte le posizioni della Valsugana, ma anche questi furono respinti con gravi perdite oltre che lasciare nelle mani italiane prigionieri, armi e munizioni.
In Val Cordevole, il 23 marzo, imperversando una forte tormenta, le truppe italiane estesero fino al rio Pestort il possesso del contrafforte a nord-est del Sasso di Mezzodì, occupando anche le località Vallazze e Ruaz in fondo valle.

"Una violenta azione offensiva austriaca, terminata però con una vittoria italiana, avvenne il 26 e 27 marzo nella zona del Pal Piccolo. Qui, la mattina del 26, dopo intensa preparazione di fuoco, il nemico attaccò in forze le posizioni e riuscì ad occupare una trincea. Il giorno stesso, un violento contrattacco italiano, effettuato lungo tutta la linea da Monte Croce a Pal Grande, fece cadere in possesso i forti trinceramenti nemici alla Selletta Freikofel e al Passo del Cavallo.
Sul Pal Piccolo il combattimento durò accanito per trenta ore: dopo sei furiosi assalti, la mattina del 27, le truppe italiane riconquistarono alla baionetta la trincea perduta.
Attacchi nemici per riprendersi la Selletta Freikofel e il Passo del Cavallo furono, il 28, respinti; altri attacchi respinti il 29 in Valsugana, ad est di Tesobbe, e sulle pendici di monte Melino; il 31 a nord di Nago e nelle vicinanze di Mori e di Rovereto. Nella zona del Cristallo, la notte del 1° aprile un riparto italiano, con un ardito movimento aggirante su aspri sentieri, riuscì a portarsi a tergo delle posizioni nemiche su Rauchkoff e con brillante attacco conquistò tre "blockhaus". In Val Cismon, sempre il 1° aprile, alcuni avamposti italiani attaccarono con fortuna un reparto nemico; nella notte del 2, fu respinto, in valle di San Pellegrino, un attacco austriaco contro la posizione di Costabella e sempre il 2, nella zona del Cristallo, le fanterie vollero ampliare recenti occupazioni conquistando la "Quota 1979"; da qui nella notte del 3 e del 4, furono ricacciati due attacchi nemici per riconquistarla.

"Nella giornata del 5, con azioni di sorpresa e per attacchi di viva forza furono conquistate al nemico una posizione fortificata a nord-ovest di Pracul (Val Daone), la località di Plaz sul Chiese ed un'altura fortemente munita tra il ponte di Plubega e Cima Palone.
Reparti nemici furono battuti e respinti il 6 sulle pendici orientali di monte Broi e il 7 sul Pal Grande".

Settore del Garda - In Val di Ledro -informava il bollettino del 13 aprile - "…con metodiche operazioni offensive, migliorammo la nostra occupazione sulle alture a settentrione del Rio Ponale, tra Valle di Concei e il Garda. Col consueto appoggio delle artiglierie, le nostre fanterie presero d'assalto una forte linea di trinceramenti e alcune ridotte lungo le falde meridionali di Monte Parì e di Cima d'Oro e sulle rocce di monte Sperone. I presidi nemici, dopo aver subito gravi perdite, favoriti dal terreno, riuscirono a ritirarsi".
"…Nella notte dell'11-12 aprile, il nemico con un improvviso e violento attacco riuscì a irrompere in una parte delle trincee da noi conquistate sul Monte Sperone. La sera del 12, dopo intensa preparazione delle artiglierie, le nostre truppe contrattaccarono riuscendo, dopo accanita lotta, a riconquistare le posizioni ed a compiere nuovi progressi sulle balze dello stesso Monte Sperone".

L'EPOPEA VISSUTA SULL'ADAMELLO

Proseguiva il bollettino sulle operazioni a nord ovest della Valle del Sarca (Pinzolo).
"Nella zona dell'Adamello, imperversando una forte tormenta, alcuni arditi nostri reparti di alpini attaccarono, il giorno 11, le posizioni nemiche sulla cresta rocciosa di Lobbia Alta e Dosson di Val Genova emergente dai ghiacci ad oltre 3300 metri di altitudine.
Alla sera del 12 le posizioni erano completamente occupate e subito rafforzate dai nostri".

NOTA: In quella grande spianata del ghiacciaio (lunga e larga quattro chilometri, che sembra un lago ghiacciato) nella tormenta molti persero l'orientamento. E se è già un'impresa attraversarlo con il ghiacciaio nudo sotto i piedi, diventa drammatico farlo con la neve; oltre che per la fatica nell'avanzare, i disseminati crepacci diventano un'insidia mortale se coperti dai ponti di neve fresca; basta un nulla per rompersi e precipitare senza scampo dentro uno di questi crepacci.
A molti alpini accadde questo: e alcuni di loro, rispuntarono fuori imprigionati nelle verde-azzurre seraccate che -giunte al limite del Dosson- precipitano nell'alta Val di Genova. Negli anni Sessanta queste seraccate restituirono i corpi di quattro sfortunati alpini immolatisi nel 1916.

"Lo stesso giorno 12 le nostre truppe espugnarono con brillante attacco la posizione di S. Osvaldo (m. 1451), ad ovest del torrente Larganza, presso Roncegno.
"Il 15 furono respinti attacchi nemici alle nostre posizioni di Soglio d'Aspio e di Millegrobe e il 16 un violento attacco alle nostre linee dal torrentè targanza a Monte Collo. Nuovi trinceramenti nemici furono, nella giornata del 16, conquistati e rafforzati sulle falde di Monte Sperone. In Valsugana il nemico attaccò con circa 14 battaglioni le nostre posizioni avanzate fra la testata del torrente Maggio e Monte Collo, ma fu vigorosamente contrattaccato e respinto e lasciò nelle nostre mani numerosi prigionieri.
Avendo lo stesso giorno 16, molte batterie nemiche concentrato un violento fuoco sulla nostra posizione di S. Osvaldo, per evitare inutili perdite le nostre truppe si ritrassero da quel punto di circa 500 metri, fino alla località di Volto. Contro queste nuove linee il nemico sferrò, il 17, tre attacchi, ma fu ogni volta respinto con gravi perdite. Quel medesimo giorno i nostri alpini occuparono e rafforzarono il Passo di Monte Fumo a 3402 metri di altitudine".

Una delle più brillanti azioni dell'aprile del 1916 fu costituita dal "brillamento" della "mina del Col di Lana". Ideatore audace fu don GELASIO CAETANI, tenente dell'8° compagnia del l° reggimento zappatori, il quale ebbe come collaboratori coraggiosi e infaticabili il tenente BRUNO BONFIOLI, il sottotenente RODOLFO GRIMALDI e il tenente MAGGIO. Quasi tre mesi occorsero per scavare la mina, perforando la roccia; avendo cura, prima, di nascondere il lavoro al nemico, cercando, poi, di prevenire gli Austriaci, che avevano cominciato a scavare delle contromine.
La sera del 15 aprile iniziò il caricamento della mina, per la quale furono necessari oltre cento quintali di gelatina esplosiva; poi fu intasata.
Venticinque soldati di fanteria, offertisi volontariamente, si appostarono all'imbocco della galleria per lanciarsi all'assalto della posizione nemica subito dopo l'esplosione. Questa doveva avvenire nella notte del 18, alle ore 11.

"Verso le 10 -così scriveva il CAETANI al padre - sono entrato in galleria per eseguire gli ultimi collegamenti ed ho voluto stendere ed allacciare tutti i circuiti elettrici io stesso, con le mie mani, perché un solo errore avrebbe potuto far fallire l'impresa. Sono salito per il pozzo inclinato, che conduce all'intasamento ben puntellato dal sergente PIETROSANTI con un numero grandissimo di travetti e murali. Seduto là in mezzo a questa foresta di puntelli, mi sono messo a riallacciare i numerosi fili di circuiti detonanti con quelli esplosivi. Lavoravo al lume di una candela che avevo appesa ad un murale; ero solo, ed il silenzio era sepolcrale. L'unico rumore che potevo sentire era il tonfo regolare di una paramina del nemico che lì, a soli pochi metri dall'intasamento, dall'altra parte batteva la roccia con cadenza regolare; cessava per un poco e poi ricominciava. Quando ebbi riallacciato tutti i fili ed isolati i giunti, rimasi per un poco ad ascoltare quello sconosciuto che stava lavorando quasi vicino a me, obbediente al proprio sacro dovere. Guardai verso di lui e mi parve quasi di vederlo attraverso la roccia che ci separava: purtroppo dietro a lui, curvo sul suo ferro, stava silenziosa la Morte con la mano alzata che gli toccava quasi la spalla. Ebbi per quello sconosciuto un senso di rispettò e di ammirazione e borbottai: "lotta a coltello!". Poi alzai le spalle e scesi in galleria. L'opera era pronta .... Alle ore 23.30 precise ricevetti dal maggiore MEZZETTI l'ordine scritto:

"La S. V. farà saltare la mina alle ore 23.35". Furono cinque minuti che mi parvero cinque ore. Giunto al minuto fatidico chiesi: "Tutti pronti?" , "Pronti!" risposero tutti con perfetta calma. Uno, due, tre! Un attimo di silenzio, una sorda detonazione, un fremito percosse il suolo e la montagna e poi giù una grandinata, anzi un diluvio di terra e di sassi. Per un istante mi tremò il cuore: credevo che eravamo tutti sepolti; invece l'entrata della galleria non si era otturata che per un terzo. In quel medesimo istante tutte le batterie nostre, piazzate in semicerchio intorno a noi, aprirono un fuoco accelerato sulla punta destra di Cima Lana. Era un frastuono incredibile. Uscii per primo dalla galleria. Il cielo era chiaro e la luna in pieno. Uno spettacolo indimenticabile. Dai fianchi dei monti che ci circondavano le vampe di fuoco luccicavano da ogni parte".
"Subito i fanti si lanciarono all'assalto. Il nemico, però, atterrito dal terribile effetto della mina che aveva prodotto un baratro profondo una quindicina di metri e un diametro di una cinquantina, nel quale avevano trovato morte un centinaio di Austriaci, non fece molta resistenza e così caddero nelle nostre mani 164 Kaiserjager fra cui nove ufficiali, due cannoni e molte mitragliatrici".

Nell'ultima decade di aprile e nella prima di maggio, le operazioni di guerra sul fronte trentino-carnico aumentarono d'intensità. Mentre nell'alto Cordevole, oltre Cima Lana, l'avanzata italiana continuava; il 21, in Valsugana, il nemico attaccava in forze le linee italiane ad ovest del torrente Larganza, ma era contrattaccato e respinto e lasciava sul terreno numerosi morti.
Nella zona del Tonale, la notte sul 22, gli Austriaci tentavano tre successivi attacchi alle difese italiane, ma furono tutte e tre le volte respinti con numerose perdite.
Il 23 maggio, il nemico tornava ad attaccare la cresta del Col di Lana, ma i suoi sforzi riuscivano infruttuosi; gli italiani invece, alla testata del Sesten, completavano l'occupazione del Passo della Sentinella e il 25 respingevano un altro attacco al Col di Lana.
Piccoli attacchi al Monte Collo, facilmente respinti, furono effettuati il 29 aprile. Quello stesso giorno, nella zona dell'Adamello, "nostri reparti di montagna, superate le vedette della Lobbia e di Fumo e l'aspro burrone dell'alto Chiese, assalirono l'erta cresta rocciosa del Crozzon di Fargorida, al passo di Cavento. Dopo due giorni di accanita lotta sui ghiacciai i bravi e audaci Alpini presero d'assalto le posizioni del Crozzon di Fargorida (3082 m.), del Crozzon di Lares (3354 m.), dei passi di Lares (3255 m.) e di Cavento (3195 m.) ".
Nella zona del Tonale, il 2 maggio, piccoli attacchi nemici contro le difese del passo e la posizione di Castellaccio furono dalle truppe italiane prontamente respinti, ed egualmente ributtati furono altri attacchi tentati il medesimo giorno contro le posizioni sulla Marmolada, sulle Tofane e nell'alto Boite.

Sull'Adamello, il giorno 3 maggio, "…due colonne nemiche attaccando contemporaneamente il Crozzon di Fargorida a nord, il Crozzon di Lares e il Passo di Cavento a sud. Furono lasciate avvicinare fino a cento metri, indi investite dalle mitragliatrici e dalla fucileria, furono respinte con ingenti perdite".

Il 5 maggio, sulle pendici del Mozzolo (Giudicarie), sull'alto Astico e sulla Marmolada avvennero scontri favorevoli ai reparti italiani. Altri scontri in Val di Visdende il 6 e al Passo di Falzarego il 7 lo stesso esito sfortunato per il nemico. L'8, un reparto italiano, nella zona delle Tofane, occupò a nord-est della terza vetta un'importante posizione a 2835 metri; e il 12 maggio riuscirono vittoriosi da scontri avvenuti alla confluenza dei due Leno e presso Bisele in Valle Torra.
Un bollettino del 15 maggio, comunicava così gli ultimi progressi italiani anteriori alla grande offensiva austriaca nel Trentino (la Strafexpedition" di cui parleremo non nel prossimo ma nel successivo capitolo):

"Nella zona dell'Adamello i nostri alpini completarono il possesso della cresta occidentale delle vedrette di Fargorida e di Lares, occupandone il tratto fra il Crozzon di Fargorida e il Crozzon di Lares. Fu anche conquistata l'antistante posizione del Crozzon del Diavolo a 3015 metri di altitudine.
In valle di Ledro sono segnalati nuovi progressi della nostra avanzata sul Monte Sperone. Dopo intenso fuoco di artiglieria contro tutte le nostre posizioni della Valle di Concei, il nemico tentò un attacco contro Cima delle Coste, a nord di Lenzumo, ma fu prontamente ricacciato ...".

Queste erano le operazioni terrestri dal 1° gennaio fino a maggio del 1916.
Ma proprio a partire dal giorno di Capodanno 1916, era iniziata in entrambi i due fronti la "guerra aerea", e purtroppo erano pure iniziati i bombardamenti di molte città italiane.


di questa prima "guerra aerea" del terrore,
e del bilanco dei primi cinque mesi di guerra del 1916

parleremo nel prossimo capitolo

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