LA PRIMA GUERRA MONDIALE
DAI BOLLETTINI UFFICIALI

1917

INFUOCATO CLIMA POLITICO ED ERA LA VIGILIA DI CAPORETTO

CRITICHE ALLA POLITICA INTERNA DEL MINISTERO BOSELLI - AGGREGAZIONE DEL COMMISSARIATO DEGLI APPROVVIGIONAMENTI E CONSUMI AL MINISTERO DELL'INTERNO - LA CIRCOLARE DI COSTANTINO LAZZARI AI SINDACI - I DECRETI SACCHI - APATIA DEL PAESE - UN NUOVO GRUPPO PARLAMENTARE - RIAPERTURA AUTUNNALE DELLA CAMERA - IL PROFETICO NITTI

 

CRITICHE ALLA POLITICA INTERNA

Se nel Paese e nei campi di battaglia, dopo l'offensiva della Bainsizza (senza risultati decisivi ma con 165.000 fra uomini morti e feriti) vi era una grave crisi di sfiducia, nella politica interna gli scarsi risultati e l'elevato numero di vittime, provocarono forti contrasti, alimentati dalla propaganda delle forze pacifiste e neutraliste.
Tutto questo mentre austriaci e tedeschi, fra agosto e settembre, stavano mettendo a punto un grande piano offensivo proprio nel settore dell'alto Isonzo.

CADORNA il 18 settembre, informato dei vasti movimenti di truppe effettuati dagli austro-tedeschi, e prevedendo un grande attacco del nemico, ordina alle due armate (la II comandata da CAPELLO, e la III dal DUCA D'AOSTA, che avevano condotto l' 11a battaglia dell'Isonzo) di sospendere ogni iniziativa offensiva e di concentrare gli sforzi nell'organizzazione della "difesa ad oltranza".

Un ordine che ai due generali della II e III Armata, non fu per niente gradito, preferendo rispondere a una grande offensiva strategica, una corrispondente grande controffensiva strategica.
(Questi contrasti con Cadorna li leggeremo nel capitolo "l'Esercito Italiano alla vigilia di Caporetto")

Viene dunque esclusa la seconda "grande controffensiva", concertata con gli alleati dell'Intesa, alla Conferenza interalleata di Parigi del 25 luglio.
Del resto nelle condizioni in cui era l'esercito dopo la deludente prima controffensiva, e dopo tutte le gravi perdite, iniziare ad elaborare un piano d'attacco nelle successive settimane era perfino inconcepibile. Questo lo dirà poi a sua difesa Cadorna; mentre alcuni politici (appoggiati da diversi giornali - come vedremo più avanti), l'offensiva la volevano, e accusavano il governo d'essere debole contro i pacifisti e i disfattisti, soprattutto contro i socialisti da alcune settimane sotto l'esaltante influsso degli avvenimenti russi.

La politica interna del ministero BOSELLI ebbe critici ed oppositori fin dal costituirsi del Gabinetto, ma fu in questa estate 1917, dopo i moti di Torino (del 22-27 agosto) che le critiche si fecero più vive.

Il 30 agosto, il Comitato d'azione interna, riunitosi a Milano sotto la presidenza dell'avv. ELISEO PORRO, votava all'unanimità il seguente ordine del giorno:

"Il Comitato d'azione di Milano, richiamandosi alle sue origini e costatando come il fallimento della politica del Ministero degli Interni contro di cui nel maggio scorso si sollevò la coscienza del Paese, non poteva manifestarsi né più clamorosamente né più dolorosamente come gli ultimi avvenimenti hanno dimostrato; di fronte alla prova che la debolezza e l'arrendevolezza del Governo è accompagnata dalla maggiore e sempre più audace attività criminosa dei disfattisti - delibera di iniziare un'intensa e risolutiva agitazione estendendola a tutta Italia, per scuotere l'opinione pubblica e raccogliere tutte le forze sane del Paese, organizzarle, spingerle e deciderle ad imporre una politica di guerra che sia di garanzia nei combattenti e di sicurezza per il paese, inspirata alle supreme necessità della vittoria e libera da tutte le esigenze e le influenze di un parlamentarismo.
Invita tutte le associazioni interventiste d'Italia a coordinare la loro azione ai fini precisi sopra indicati; dichiara di non concedere più nessuna tregua a blande promesse ed a soluzioni incomplete, di separare le sue responsabilità da quelle degli uomini rappresentativi dell'interventismo che non ispirassero la loro condotta ai fini della salvezza della Nazione. Fa appello a tutti gli Italiani perché diano la loro opera per l'organizzazione di resistenza e di difesa interna contro i disfattisti".

E già giravano immagini di GIOLITTI legato con le mani dietro, seduto su una sedia davanti ad un plotone d'esecuzione.

A quest'ordine del giorno faceva eco, alcuni giorni dopo (4 settembre) un articolo del "Corriere della Sera":
"Abbiamo visto, per aver lasciato liberamente seminare i seminatori di perfidia pseudo-costituzionali, pseudo-monarchici, pseudo-patrioti, e i seminatori di violenza, francamente auspicanti un risultato catastrofico della guerra, che cosa s'è raccolto a Torino. Torino è stata il laboratorio di questa costosa esperienza. Ivi il neutralismo bifido ha lavorato ed è stato lasciato lavorare con assiduità infaticabile e con petulante ardimento".

"Qualche settimana dopo che da Cuneo l'on. Giolitti aveva posto alla borghesia, italiana il dilemma - o il mio ritorno al potere o la rivoluzione per opera di quei sovversivi che la mia stampa accarezza tutti i giorni - una momentanea mancanza di farina dava pretesto agli allievi di questa duplice "scuola" per tentare disordini. Così i nemici potevano credere che nella capitale del Piemonte, che tutto volle osare e tutto volle sopportare per la fortuna della nazione italiana, un giorno senza pane, inasprisse gli animi e creasse una disperazione impetuosa, mentre a Vienna si soffrono con più forte rassegnazione da lungo tempo ben altre privazioni e stenti indicibili. Il risultato è veramente confortante: l'on. Orlando può essere soddisfatto della prova, dopo aver traslocato il prefetto Verdinois. E può, fra due altri traslochi di prefetti, ripetere domani le constatazioni e riassaporare i frutti della sua politica illimitatamente tollerante. Quei suoi autorevolissimi colleghi di governo, che consentirono nei suoi principi e le confortarono con la loro risoluta approvazione a perseverare, devono domandarsi se sia ritornata la buona occasione per insistere nei consensi e nei conforti.

"Siamo al momento più grave, del nostro destino nazionale, siamo al momento in cui i nemici, disperati di vincere, ma ancora convinti della nostra inferiorità morale, vogliono disonorarci con le sconfitte interne mentre al fronte l'esercito d'Italia avanza vittorioso. Ogni tanto la parola pace è picchiata contro la nostra resistenza per sentire se nel metallo sono avvenute delle fessure; ogni tanto, di là dai campi di battaglia dove il sole illumina una più nobile Italia, il nemico guarda se almeno si lavora per lui presso gli strati popolari viventi di puri istinti e presso quella parte della borghesia che può ancora ricordarsi d'essere stata neutralista sotto Macchio e Bulow.
È tempo di volere e di patire più fortemente; è tempo dunque di ricevere dall'alto non frasi di cerimonie commemorative di languide stagioni, ma esempi d'intransigente disciplina accettata e imposta".

Né era soltanto il "Corriere della Sera" che levava la voce contro il Ministro degli Interni, ma il "Secolo, la Tribuna, il Popolo d'Italia, la Perseveranza, il Giornale d'Italia. Quest'ultimo ammoniva l'on. Orlando affinché intonasse "la sua pratica di governo ad un maggiore senso dell'ora grave che corre, delle insidie che minacciano lo Stato, e della necessità di preservare nell'interno del Paese le energie dell'Italia in armi contro il secolare nemico".
"L'on. Orlando
- aggiungeva il giornale romano - ha certamente avvertito che in questi ultimi tempi si è venuta creando una situazione alquanto diversa da quella che lui sperava di ottenere dai suoi metodi di governo blandi ed accomodanti. Sotto l'influsso degli avvenimenti russi, i nostri socialisti ufficiali, lasciando ad alcuni dei loro capi parlamentari la libertà di pronunciare frasi quasi italiane e di coltivare i contatti con il Governo - salvo a sconfessarli più o meno tiepidamente - lavorano per rivoltare le masse contro gli ordini costituiti, chiamandoli questi ultimi responsabili della continuazione della guerra".

Ma specialmente dagli uomini politici si criticava l'opera dell'on. ORLANDO, specie da quei massonici e democratici che si adopravano per far sostituire CADORNA con CAPELLO e di far mettere come ministro degli Interni l'on. BISSOLATI.
Il 7 settembre, infatti, si riunivano a Roma i dirigenti dei partiti radicale, socialista riformista e democratico-costituzionale, cui avevano aderito gruppi liberali, dichiararono di aver costatato
"per prove lunghe ad effetti dolorosi che l'indirizzo di politica interna dell'on. Orlando non rispondeva alle necessità e ai fini della guerra" e chiesero che a quel posto fosse messo un "uomo pari per animo e per volontà alle vicende che l'Italia attraversava".

Era alla crisi che si voleva giungere e sulla necessità di una crisi extraparlamentare insisteva l'Idea Nazionale. Ma alla crisi non si giunse. Nei due consigli ministeriali del 12 e 13 settembre l'on. Orlando riuscì a stornare dal suo capo la tempesta; dovette però sacrificare due dei principali suoi collaboratori, invisi ai nazionalisti e ai riformisti: CAMILLO CORRADINI, suo capo di Gabinetto e il comm. VIGLIANI, direttore generale della Pubblica Sicurezza, che fu sostituito dal comm. GIUSEPPE SORGE, ex-prefetto di Venezia.


AGGREGAZIONE DEL COMMISSARIATO DEGLI APPROVVIGIONAMENTI
E CONSUMI AL MINISTERO DELL'INTERNO


Nel Consiglio dei Ministri si trattò anche del nuovo ordinamento dato al Commissariato degli approvvigionamenti e consumi. L'on. Orlando dichiarò di accettare l'onere che gli derivava dal nuovo ufficio, poiché già il Consiglio dei Ministri aveva manifestato unanimemente l'avviso che gli approvvigionamenti e i consumi dovessero avere la loro sede al Ministero dell'Interno. Aggiunse tuttavia che egli intendeva avere, con la responsabilità diretta, anche un'effettiva direzione dei due più importanti servizi, lieto se l'attuale Commissario generale, on. CANEPA, rimanesse al suo posto. Il Consiglio si rimise all'onorevole Orlando per quanto riguardava la sistemazione del Commissariato dovesse esso rimanere così com'era o costituire un secondo Sottosegretariato di Stato degli Interni.

Ma l'on. CANEPA non volle rimanere al suo posto e presentò le sue dimissioni. Il Commissariato dei consumi fu aggregato al Ministero degli Interni e a dirigerlo fu mandato, con il titolo di sottosegretario, il generale VITTORIO ALFIERI, già sottosegretario alle Armi e Munizioni. Il sottosegretariato delle Armi fu affidato all'on. BIGNAMI.


LA CIRCOLARE DI COSTANTINO LAZZARI AI SINDACI


Poiché lo avevano accusato di debolezza, l'on. ORLANDO volle stringere i freni: sciolse consigli comunali, destituì i sindaci disfattisti, fece procedere a perquisizioni, ad arresti, a processi. Il 16 settembre, il giornale interventista "Fronte interno" aveva pubblicato, commentandola aspramente, una circolare del segretario del Partito Ufficiale Socialista, COSTANTINO LAZZARI, diretta ai sindaci dei comuni socialisti per chiedere il loro parere sui mezzi da usarsi per costringere il Governo ad affrettare la pace. I mezzi; secondo il Lazzari, potevano essere due: provocare la destituzione in massa dei Consigli comunali mediante una generale ed uguale mobilitazione politica; rassegnare senza discussione ed eccezioni le dimissioni dei sindaci e dei Consigli, dietro una parola d'ordine.
"Un partito come il nostro - veniva detto nella circolare - deve tener fede con onore e fermezza alla parola data. I Comuni sono, senza fallo, un mezzo politico potentissimo per la diretta influenza che hanno sulle popolazioni; ebbene, quelli da noi conquistati devono servire, con un concorde e solidale atto di protesta e di resistenza, a far trionfare la nostra tesi "prima dell'inverno la pace".
Il Governò denunciò LAZZARI al procuratore del Re; ma l'autorità giudiziaria dichiarò non esservi luogo a procedere perché le leggi non prevedevano quel reato. Allora, proposto dal guardasigilli Sacchi, fu emanato (4 ottobre) il seguente decreto luogotenenziale.

I DECRETI SACCHI - APATIA DEL PAESE

"Chiunque con qualsiasi mezzo commette o istiga a commettere un fatto che può deprimere lo spirito pubblico o altrimenti diminuire la resistenza del Paese o recar pregiudizio agli interessi connessi con la guerra e con la situazione interna o internazionale dello Stato, quando tale atto non costituisca altro reato previsto ed espresso dalla legge, sarà punito con la reclusione fino a cinque anni e con la multa sino a lire cinquemila; nei casi di maggiore gravità la reclusione potrà estendersi fino a dieci anni e la multa fino a lire diecimila. Non è mai applicabile la sospensione condizionale prevista dagli articoli 423 e 424 del Codice di Procedura Penale".

Secondo un altro decreto (8 ottobre) i sindaci, gli assessori, e i consiglieri comunali, i quali senza legittimi motivi o con dolose omissioni, durante la guerra, rendessero necessario lo scioglimento dei Consigli, erano tenuti responsabili in solido e in proprio delle spese sostenute dai Comuni per la straordinaria gestione, senza pregiudizio d'altre eventuali responsabilità sia di natura penale che patrimoniale.
Altri decreti luogotenenziali furono emessi in quei giorni con i quali venivano dichiarati in stato di guerra i territori di Torino, Alessandria, Genova, che con Piacenza furono messi sotto il comando del generale RAGNI. Anche i territori di Messina e di Reggio Calabria, dove l'agitazione causata dalla penuria dei viveri e dai non ancora riparati danni del terremoto non era poca, furono dichiarati in stato di guerra.

Le fucilate dal Carso, si spostavano ora nelle città della penisola; e come vedremo più avanti, anche in Parlamento non si scherzava su chi mirare.

La "reazione del Governo", com'era chiamato il nuovo indirizzo di politica interna dai socialisti, fu ovviamente fiancheggiata dagli interventisti, che intensificarono la propaganda di guerra allo scopo di infondere nelle masse la necessità dei sacrifici, della resistenza e della disciplina.
Ma l'opera degli interventisti non riuscì a rialzare molto il morale del Paese, scosso dal disagio alimentare e dall'alto costo della vita, impressionato dalla lunghezza e dai lutti della guerra in modo tale da non gioire nemmeno più per alcune vittorie dell'esercito, avvelenato dal disfattismo e spossato dalle fatiche e dagli stenti.
"Lutti, aggravi, restrizioni, pericoli si susseguivano e sovrapponevano. Col richiamo dei riformati per statura dal 1876 al 1888 (luglio), con la diminuzione delle imperfezioni d'inabilità e col richiamo dei riformati dal 1874 al 1896 (agosto), tutti gli appena validi prestavano servizio militare.
Per lo scarseggiare della carta, i giornali dovettero subire il controllo governativo, ridurre i formati e il numero delle pagine e delle edizioni (agosto). Dal 10 ottobre fu proibito la circolazione delle automobili private.
"Triste effetto produsse il ritiro delle monete d'argento, sostituite da buoni di cassa di una e due lire (5 ottobre). L'11 ottobre fu obbligatorio il "razionamento" del grano, farina di grano e pane; e, anche del granturco, farina di granturco, riso, segale e orzo nei comuni in cui costituivano l'alimento principale; proibita la vendita dei biscotti.

"Proseguivano intanto gli attentati agli stabilimenti e ai depositi militari dell'interno. Il 27 agosto scoppiarono tre depositi di munizioni a Sant'Osvaldo, presso Udine, lesionando duecento case e radendone al suolo ottanta. Le continue brillanti azioni del naviglio da guerra, che affondava una diecina fra siluranti e sommergibili e catturava torpediniere, e gli aeroplani e idrovolanti, che abbattevano velivoli nemici e sorvolavano Trieste, Pola, Cattaro, Durazzo, non compensavano nell'animo degli Italiani gli affondamenti di navi mercantili e i danni a persone e cose, causati dai bombardamenti nelle città: il 2 e 29 settembre a Palmanova, il 4 e 9 a Venezia, il 23 a Grado, il 27 a Brindisi, il 29 a Ferrara; il 3 ottobre a Moggio Udinese e il 25 a Udine (Gori)".


UN NUOVO GRUPPO PARLAMENTARE


Se il Paese, sfiduciato, non nascondeva la sua apatia, molta attività invece svolgevano i partiti politici. Il 7 ottobre gli onorevoli Angioli, Valsano, Barbera, Bertini, Brezzi, Bruno, Buccelli, Buonvino, Cassin, Ciancio, Cocco-Ortu, Congiu, Delle Piane, Di Stefano, Faelli, Fornari, Gerini, Giordano, Giuliani, Lavizza, Libertini Gesualdo, Materi, Micheli, Montresor, Patrizi, Pellegrino, Pennisi, Pizzini, Rossi Eugenio, Sanjust, Sanarelli, Sandrino, Sipari, Soleri, Speranza, Taverna, Toscanelli, Tovini Valenzani, Vanditi, Vignolo, un misto di neutralisti, pacifisti, germanofili, giolittiani, cattolici:
"convinti che nel momento attuale e per i rapporti internazionali e per i problemi annonari connessi alla difesa nazionale, debba il Governo essere sorretto dalla costante e stretta collaborazione del Parlamento, custode delle garanzie liberali e interprete della volontà sovrana del popolo per le fortune della patria; che solo al Parlamento spettano i giudizi e le indicazioni per determinare, e risolvere le crisi ministeriali; che il controllo parlamentare più severo deve essere esercitato anche su tutti gli affari e sulle erogazioni d'ogni genere derivanti dallo stato di guerra per garantire il paese che non si sperperi il frutto dei suoi sacrifici"
…invitavano con un manifesto ad una riunione per il giorno 16 quei colleghi che acconsentivano il principio fondamentale sopra esposto.

Alcuni giornali, quelli cattolici e la Stampa elogiavano questo gruppo di deputati, altri lo dicevano portavoce di GIOLITTI. Uno dei firmatari, l'on. FAELLI, dichiarò:
"Il nuovo gruppo intende costituire un'alleanza straordinaria, che, forse, potrà continuare fino a che dureranno i pericoli che l'hanno determinata, e cioè gli assalti furibondi di tanta parte della stampa contro il Parlamento e contro la legislatura, che è pure la primogenita del suffragio universale. La riunione di questi deputati dovrà perciò praticamente difendere l'istituto parlamentare e le garanzie liberali contro tendenze che sembrano voler sostituire sempre più ai governi parlamentari i governi dittatoriali".

Lo stesso 7 ottobre il gruppo parlamentare repubblicano lanciava al Paese un appello, in cui, rilevando come le insidiose recenti dichiarazioni degli Imperi Centrali celassero "una trasparente volontà di perpetuare l'aggressione sotto la cinica maschera del pacifismo" riaffermava le ragioni fondamentali della condotta politica del partito, ispirata essenzialmente agli interessi dell'umanità, e, specificato l'atteggiamento dei repubblicani in considerazione del problema della pace, deprecava ogni tentativo mirante "a far deviare il corso trionfale dell'Italia nella sua ultima guerra d'indipendenza".

Intanto anche i ministri si davano da fare e facevano sentire la loro voce che incitava alla resistenza.
Il nuovo gruppo parlamentare, che il 16 ottobre raggiunse il numero di 95 aderenti, riunitosi il 17, deliberò:

"1° Di vigilare e adoperarsi perché la legge dei poteri straordinari fosse attuata con un'interpretazione che limitasse i decreti-legge alle provvidenze richieste dalle improrogabili necessità della guerra conciliabili con le regolari funzioni delle istituzioni parlamentari, garanzia delle franchigie liberali e dei diritti politici ed economici dei cittadini.
2° Di non consentire che brevi esercizi provvisori durante la guerra e ciò per la continuità della stretta collaborazione del Parlamento.
3° Di vigilare ed esigere che il Governo concludesse senza rinuncia i doveri della potestà civile per la tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza interna dello Stato, di cui è e deve rimanere il solo responsabile col sindacato del Parlamento.
4° Di esercitare un controllo effettivo con commissioni speciali parlamentari, con il concorso del Governo sulle misure per gli approvvigionamenti, sui servizi e sui mezzi destinati a provvedere alle necessità economiche della popolazione civile e ai bisogni dell'esercito.
5° Di riconoscere l'opportunità di un'inchiesta specifica sulla stampa.
6° Di nominare un Comitato permanente per ulteriori convocazioni per la condotta durante le sedute e nelle successive vacanze e per ogni eventualità".


RIAPERTURA AUTUNNALE DELLA CAMERA


Il 16 ottobre -dopo la pausa estiva- si riaprì la Camera. Il presidente MARCORA, fra vivissimi applausi, invitò i deputati a mandare un saluto ai combattenti dell'esercito e della Marina e a rivolgere un sentimento di rimpianto ai Caduti e alle loro famiglie. Comunicò di aver inviato in nome della Camera al Comando Supremo le felicitazioni per i successi riportati dal Kuck al Vodico, al Montesanto e alla Bainsizza e lesse la risposta del generale Cadorna; quindi prendendo lo spunto da una frase del generalissimo, in cui era detto che l'esercito combatteva con valore e ferma volontà di vincere, affermò che l'Italia avrebbe vinto se l'esercito e la Marina avessero saputo superare ogni difficoltà nell'offesa e nella difesa e che il popolo avesse saputo affrontare ogni sacrificio, la pace sarebbe stata nella vittoria, non la pace tedesca del ritorno allo stato quo ante, ma la pace che soltanto dalla vittoria poteva sorgere.
- aggiunse l'on. Marcora - il giammai che si è pronunziato a Berlino contro la nobile Francia e si disse ripetuto a Vienna contro di noi, ci turbi; il giammai è un avverbio che eccede la regola del tempo, governatrice della vita del mondo politico e sociale, e il popolo italiano ha già, in altre occasioni, riconosciuto rappresentare soltanto l'incoscienza e la petulanza di chi lo pronunciò".

L'on. BOSELLI affermò:
"…essere la politica del Governo sempre quella dell'intervento a fianco degli alleati per le rivendicazioni nazionali e per il trionfo della giustizia e della civiltà; che bisogna star vigili contro le illusioni che si volevano far sorgere col pretesto di avvicinare la pace"; poi esaltò il valore dei combattenti, i quali fra le tante vittorie n'avevano riportata una grandissima elevando la coscienza nazionale e cementando l'unità della Patria; affermò che strenua doveva essere la resistenza del Paese e chiamò tradimento verso i Caduti e i combattenti ogni atto che lasciava deprimer il senso della guerra nel Paese; e chiese con una calda perorazione, che gli valse applausi vivi e prolungati: "Dalle trincee, dalle vette signoreggiate, dalle terre contrastate viene il grido della vittoria e della concordia. Più che mai in questo momento - e per la resistenza interna su cui si deve basare il nostro Paese e per le eventualità delle condizioni politiche che si possono avverare nel mondo - più che mai è necessario che la concordia sia piena e intera nel nostro Paese. Questa concordia io la invoco, più che in nome del Governo in nome dell'Italia; ma se io posso invocarla, solo il Parlamento può volerla, può deciderla, può serbarla. Non vi è nei Paesi liberi nelle libere istituzioni altra autorità suprema che possa originare, sostenere, informare il Governo, tranne l'autorità e il volere del Parlamento. Il Paese guarda al Parlamento per sentire da voi la parola che gli segni la via della concordia. Segnatela voi questa via, ed una volta ancora i nostri nemici imparino che l'Italia risorta è un'Italia invincibile".

Dopo le dichiarazioni del Presidente del Consiglio si ebbe un voto politico su un ordine del giorno pregiudiziale presentato, per i socialisti ufficiali, dell'on. MODIGLIANI dopo una critica all'operato del Ministero sulla questione degli approvvigionamenti, sul trapasso delle funzioni del Commissariato dal Ministero dell'Agricoltura a quello dell'Interno, sui motivi che avevano indotto il Governo a comprendere nella zona di guerra Alessandria, Genova e Torino, rivendicando alla Camera il diritto di discutere e decidere su questi avvenimenti. L'ordine del giorno - apparentemente su una questione di procedura, ma in realtà su una sostanziale questione politica - così formulato: "La Camera passa a discutere la soluzione della crisi", fu respinto con 228 voti contro 51 e 15 astenuti.

Il 18 ottobre, discutendosi l'esercizio provvisorio, si parlò dei fatti di Torino. L'on. GIULIO CASALINI, deputato socialista di quella città, mosse aspre critiche al Governo che
"non aveva saputo trovar parole buone per calmare gli animi esasperati dalla mancanza di pane e aveva ordinato una repressione eccessiva e crudele".
L'on. BISSOLATI, interrompendo l'onorevole GROSSO-CAMPANA, fra gli strepiti dei socialisti e dei giolittiani e gli applausi della Destra, accusò i promotori della rivolta torinese di "aver pensato soltanto a salvare la pelle".

Il Modigliani gridò a Bissolati: "Dovreste fare arrestare tutti!" e BISSOLATI, applauditissimo, rispose:
"Per la difesa del Paese io sarei pronto a far fuoco su tutti voi !"
.

CASALINI smentì che i moti torinesi fossero il prodotto di un'intesa, fra socialisti e giolittiani e a proposito di Giolitti deplorò che il Governo permettesse che circolassero cartoline in cui il deputato di Dronero era raffigurato con le mani dietro la schiena, a cavalcioni di una sedia, nell'atto di esser fucilato. L'on. ORLANDO rispose di non essere complice di questa tolleranza della censura, ma l'on. MAZZONI gridò:
"Queste cartoline circolano e sono il simbolo delle fucilate alla folla inerme !"

e il MODIGLIANI aggiunse:
"Sono le fucilate che ci ha or ora promesse Bissolati !".
Allora l'on. Orlando dichiarò:
"L'ipotesi per cui Bissolati parlava di fucilate l'adotto anch'io"
.

Il 19 l'on. BENTINI, socialista, svolse una mozione del suo gruppo intorno al finanziamento della stampa italiana fatto in parte da persone ed enti stranieri; rievocò quindi le scenate del giorno prima e deplorò che BISSOLATI avesse lanciato gravi e gratuite accuse contro i socialisti:
"Tu
- disse - ieri ci hai chiamati maschere; ma noi siamo adesso quelli che eravamo vent'anni fa. Puoi tu dire lo stesso? Lo spirito di ribellione che oggi ci anima è lo spirito che animava te Bissolati, vittima con noi nel 1898 dei reazionari; è quel fremito che costringeva te a gridare da questi banchi, con tutta la forza dei tuoi polmoni di alpino: Abbasso il re !".

Nella seduta del 20 ottobre, l'on. CANEPA pronunciò una difesa della sua opera, affermando di aver fatto, pure attraverso le difficoltà e gli inevitabili errori, il suo dovere. Riguardo ai fatti di Torino disse esser falso che la città nel mese di agosto avesse avuto meno grano che nei mesi precedenti e doversi la prima spinta a quei moti attribuirsi non alla mancanza di frumento ma ai molini fermi e alla farina imboscata.
"La causa
- aggiunse - fu politica .... La vera causa va ricercata nella volontà di far terminare comunque la guerra. Come se l'esempio della Russia non avesse dimostrato a sufficienza che, con i tumulti, con i disordini e con l'indisciplina, si ottiene il contrario di quello che si vuole, e cioè la pace".

Nella stessa seduta ci fu un abile (e profetico) discorso dell'on. NITTI. S'inchinò davanti al venerando BOSELLI, ma rimproverò il Ministero di non osservare quella disciplina che pur esigeva dalla Nazione, di ridurre il Parlamento a registratore degli esercizi provvisori e di nascondere al Paese la verità intorno alla politica e alla guerra. Esaltò i benefici della pace, ma affermò che i primi anni del dopoguerra sarebbero stati tristissimi; disse che la guerra era inevitabile e opportuna e che il popolo la sopportava con eroica costanza, ma volle fare rilevare che la guerra era stata promossa da una minoranza, la quale non si assimilò come avrebbe dovuto alla maggioranza del parlamento e del Paese. Era mancato insomma lo spirito conciliativo, il che aveva impedito di creare l'unità della Nazione nell'interesse della guerra.
Ai rivoluzionari NITTI rivolse parole ammonitrici (e profetiche):

"Il popolo - disse - che tante magnifiche prove ha dato, con animo più sereno saprà affrontare fino alla fine tutti i dolori e i disagi della guerra, specie quando saprà che la rivoluzione non è assolutamente possibile, perché nessuna distruzione di vite umane sarebbe più terribile di quella che si avrebbe dalla fame derivante da una rivoluzione. Chi osa predicare la rivoluzione o è un folle o un criminale. Se mi fosse permesso l'avverbio direi che la rivoluzione in Italia non è tecnicamente possibile. È stata possibile in Russia, ma, la Russia è un paese molto diverso dal nostro. E d'altra parte la reazione è impossibile. Il ritenerla possibile è da folle: in fondo non ci crede nessuno. La guerra in Europa è sorta come un grande movimento reazionario, ma finisce come un grande movimento democratico e di libertà. Procuriamo di non metterci contro questa fiumana di uomini che, a guerra finita, tornerà dalla trincea, cerchiamo invece di arginarla".

Nella seduta del 23, l'on. ORLANDO riscosse applausi generali con un discorso intorno alla politica interna di guerra, nel quale difese punto per punto la sua opera di ministro dell'Interno;
"Il mio criterio politico si riassume in questa formula, assai semplice e che io non ho alcuna ragione di cambiare: mantenere nello Stato tutta quella forza e quella autorità che gli occorre per combattere una guerra da cui dipende l'esistenza stessa della Patria, che è questione di vita o di morte: e nello stesso tempo conservare integre tutte le nostre libertà, conquistate dai nostri padri e mantenute da noi".

Nella seduta del 24 ottobre, dopo aver votato la camera l'inchiesta sulla stampa proposta dai socialisti, parlarono il ministro del Tesoro, on. CARCANO, e il ministro della Giustizia, on. SACCHI, il quale, tra le interruzioni del gruppo socialista, difese e confermò la necessità del decreto contro i sabotatori della guerra.
Quindi pronunciò un discorso il ministro della guerra, ten. generale GIARDINO, il quale, fra l'altro, accennò all'offensiva che il nemico preparava:

"Voi avete letto sui giornali che si parla di un'offensiva del nemico, alla quale parteciperebbero anche i tedeschi. Certo è che essi sono nel Tirolo, e probabilmente anche sull'Isonzo. Un prussiano, nei giorni scorsi è stato pescato cadavere nella corrente di questo fiume. Il nemico sa della nostra preparazione, ma è attento a vedere le scissioni eventuali del fronte per piantare la spada e far saltare il blocco. Un altro indizio della rinnovata attività del nemico è nel fatto che sono stati chiamati a nuova visita tutti i riformati dal 1867 in su, compresi quelli che con le precedenti revisioni erano stati scartati per assoluta inabilità. Ciò prova evidentemente che si vogliono rendere disponibili elementi più idonei che ora si trovano nelle retrovie, per ingrossare il fronte.
Venga pure l'attacco; noi non lo temiamo (!).
Lungi dal diminuire l'efficienza dell'esercito, noi dobbiamo tener presenti tutte le eventualità. Sopra ogni altra cosa dovranno prevalere i bisogni della guerra. Dopo due anni di eroismi, di lutti e di sacrifici, al nostro Paese incombe un'altra somma di sacrifici, perché il sangue dei nostri morti non sia sprecato. Il nostro popolo ha un diritto di fronte a tanti doveri: sapere che, accada quello che vuole in Russia, in questo o nell'altro la Patria è inviolabile".

A distanza di poche ore fu sferrato l'attacco austro-tedesco che il nostro ministro della Guerra dichiarava di non temere. Stava suonando l'ora fatale di Caporetto.

…Vedremo ora come si era militarmente preparata l'"Italia guerriera" in questi stessi giorni di forti polemiche politiche…vedremo l'attacco austro-tedesco...

e i tanti malintesi che ci furono tra i generali

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