LA PRIMA GUERRA MONDIALE
DAI BOLLETTINI UFFICIALI

1918

FARE O NON FARE L'OFFENSIVA?
LA STRATEGIA ITALIANA

LE OPERAZIONI DAL LUGLIO IN POI - IL PENSIERO DEL COMANDO SUPREMO
SUL COLPO DECISIVO DA DARE AL NEMICO.
IL PIANO STRATEGICO .
LO SCHIERAMENTO DELL'ESERCITO ITALIANO E QUELLO DEL NEMICO.


Arrivano gli Americani (10 agosto 1918)

In una precedente puntata, avevano lasciato nei primi giorni di luglio l'esercito italiano sulla sponda destra del Piave, dopo avere sorprendentemente ricacciati sull'altra sponda gli austro-ungarici. Partiti il 15 giugno con tante speranze di superarlo per invadere la Pianura Padana, sul Piave erano stati inchiodati, e dopo aver subito la controffensiva italiana, questa volta in grave crisi di sfiducia non erano più gli italiani ma gli austriaci. Per le perdite e per il grande fallimento.

Il 7 luglio il Comando Supremo, nella sua relazione sulla battaglia del Piave scrive che furono :
"messi fuori combattimento 250 mila nemici e furono fatti prigionieri 524 ufficiali e 23.931 uomini di truppa."


Notizie sicure sulle perdite italiane non ne abbiamo. Ma alcuni fonti indicano 8.000 morti, 29.000 feriti, con un totale di 90.000 fuori combattimento. Ma sappiamo che alla fine del 1918, i morti e i feriti ammontavano a circa 143.000 (e in ottobre-novembre non ci furono grosse battaglie, tutto si concluse in una manciata di giorni).
Gli Austriaci sempre nella battaglia del Piave, subirono invece circa 11.600 morti e 81.000 feriti e come già detto sopra circa 25.000 prigionieri.

LE VARIE ATTIVITA' DA LUGLIO A OTTOBRE

Dopo questa battaglia del Piave, si riprese la solita guerra, fatta di bombardamenti, di azioni di pattuglie, di audaci colpi di mano, di assalti alle reciproche posizioni. Nel pomeriggio del 12 luglio il nemico con grossi nuclei muoventi a ventaglio iniziò l'assalto del Cornone, ma fu prevenuto dal presidio italiano che con impeto lo attaccò alla baionetta e lo mise in fuga, inseguendolo fino alle trincee di partenza. Nuovi tentativi contro il Cornone furono fatti il 13 e il 14, ma furono anche questi respinti.
L'11 ci furono felici colpi di mano in Conca Laghi e in Val d'Assa, il 14 a nord del Valbella e il 15 nella regione settentrionale del Grappa. Altri colpi di mano furono eseguiti il 14 dai Francesi nelle trincee nemiche di Bertigo e Zocchi e dagli Inglesi il 15 a sud-est di Asiago. Il 16 la linea avanzata a sud di Col Tasson fu invano assalita. Eguale sorte subì un attacco alle posizioni italiane di Col Caprile sferrato il 18.

Nella regione dell'Adamello, il 19 luglio, gli alpini, preceduti dagli arditi delle "fiamme verdi" assalirono e strapparono al nemico il Monte Stabel (quota 2368) e rioccuparono completamente il Corno di Cavento, infliggendo all'avversario numerose perdite. Il 20, riusciti colpi di mano britannici a sud-ovest di Asiago e Italiani sull'Asolone.
Attacchi nemici furono tentati il 23 luglio contro il Monte Corno, il 25 sul Caberlaba e sull'Asolone e il 29 contro il Cornone, ma fallirono tutti.

Sul Cornone diceva il Bollettino: "...le nostre fanterie, con deciso contrattacco, dopo vivace lotta a corpo a corpo, respinsero nettamente l'avversario, che fu costretto a ripiegare perdendo mitragliatrici, lanciafiamme e lasciando alcuni prigionieri nelle nostre mani".

ARRIVANO GLI AMERICANI !!!

Verso la fine di luglio truppe americane della forza di un reggimento, tra cui vi erano molti oriundi italiani, giungevano in Italia e il generale Diaz, il 10 di agosto, dava loro il saluto e partecipava all'esercito l'annunzio del loro arrivo col seguente ordine del giorno:
"Partecipo all'Esercito l'arrivo di truppe americane in Italia. La grande Nazione che è scesa in campo nel nome dell'umanità e del diritto e che in pochi mesi, impresa unica nella storia, ha creato e trasportato attraverso l'Oceano un esercito imponente per numero e per forza, porta oggi le sue truppe anche sul nostro fronte, quale solenne e fiera sanzione della fraterna solidarietà che ha già in altri campi affermata.
Il mare, più che dividere ha unito le due nazioni. L'Italia per anni ed anni ha mandato in America milioni dei suoi figli, lavoratori esemplari per alacrità, tenacia e sobrietà, che hanno appreso per diretta esperienza quanto valgano la potenza e la volontà degli Americani e la loro indomabile fede nei diritti degli uomini liberi. Molti di questi lavoratori sono fra voi, soldati, accorsi alla voce della grande nostra Patria in guerra, e tutti voi sapete delle glorie che il giovane esercito degli Stati Uniti ha saputo acquistare sui campi di Francia.
Queste forti truppe oggi vengono a combattere accanto a noi, ed a vostro, nome io porgo loro il saluto augurale di fede, di fraterna unione d'armi e di comuni successi. Con loro e con gli Alleati tutti percorreremo con ardore la via che la causa della civiltà ci ha segnata ed insieme raggiungeremo la meta comune, la vittoria che consenta la serena esplicazione del lavoro degli uomini civili ed il progresso delle libere Nazioni".

Pur senza grandi fatti d'armi, intensa fu l'attività delle opposte truppe sul fronte nel mese d'agosto. Il 3 agosto, a sud di Nago, il XXIX Reparto d'Assalto, riconfermando la sua fama di valore, strappò di sorpresa al nemico la quota 703 di Dosso Alto, dove il 15 giugno l'avversario, dopo violenta preparazione di artiglieria, era riuscito a mettere piede e mantenersi a costo di gravi perdite. Riusciti colpi di mano con cattura di armi, materiali e prigionieri furono eseguiti nella notte del 3 dai Francesi nelle linee di Zocchi e dagli Inglesi in Goiga, forti attacchi austriaci al Monte Corno e al Cornone il 4 e a Col del Rosso l'8 furono sanguinosamente respinti. Irruzioni ardite e fruttuose furono fatte l'8 e il 10 nelle Giudicarie e oltre il Valbella dagli Italiani; dagli Inglesi nella notte sul 9 tra Lanone ed Asiago e dai Francesi la mattina del 10 sul Sisemol. Nella Valle Zebrù, il 12, fu annientato un posto nemico a 2682 metri e, nella notte sul 13, furono respinti attacchi alle nostre posizioni sul Pajerioch (3434 m.) e sul Kònigspitze (3859 m.); nella zona del Tonale-Cevedale altri reparti occuparono il Monte Mantello (3537 m.), la Punta di San Matteo (3684 m.) e il costone a sud-est della Cima Zigolon (2468 m.).
Il 14 agosto, sul Piave, un reparto di bersaglieri occupò di sorpresa un isolotto a sud-ovest delle Grave di Papadopoli, che invano il nemico, con attacchi in forze tentò di riprendersi la notte del 15, la mattina del 17 e il 18.

All'alba del 19 cos' riportava il bollettino:
"dopo violenti tiri d'artiglieria e bombarde, numerose forze nemiche attaccarono da ovest e da nord le posizioni del Cornone, sulle pendici del Sasso Rosso. Il presidio italiano arrestò il nemico impegnandolo in un'accanita lotta a corpo a corpo. Rincalzi prontamente accorsi lo contrattaccarono, respingendolo con gravi perdite e catturando molti prigionieri".

Il 22 agosto, in Val Brenta fu occupato Rivalta poi Sasso Stefani; il 26, a sud-ovest di Asiago gli Inglesi eseguirono una brillante irruzione nelle trincee nemiche riportandone numerosi prigionieri; il 28, in Val Concei, il nemico, che assaliva le posizioni italiane, fu respinto poi contrattaccato con gravi.
Il mese di agosto si chiuse fra un'intensa attività di pattuglie e di piccoli reparti nella Valle di Zebrù, in Vallarsa, a Col del Rosso, sul Grappa, a Monte Majo, allo Stelvio, al Tonale, sulla Zugna Torta, sul Monfenera e sugli isolotti del Piave.
In settembre e in ottobre continuarono le irruzioni e gli arditi colpi di mano sullo Stelvio, sul Tonale, in Val Concei, nella regione del Grappa, in Conca Laghi, sul Monfenera, sul Sisemol, in. Val d'Astico, in Val Frenzela, in Val Lagarina, nella Conca di Alano, in Val Daone, a ovest di Mori, alla foce del Piave.

Il 3 settembre il nemico attaccò in forze le posizioni a sud di Monte Mantello, ma fu respinto con gravi perdite; il 6 tentò per tre volte l'attacco delle linee del Solarolo, ma anche qui fu respinto; parimenti respinto da reparti di arditi fu un attacco austriaco a Monte Corno. Una brillante irruzione la conclusero le truppe britanniche, il 10, sull'altopiano d'Asiago e quel giorno stesso gli italiani s'impadronirono delle posizioni nemiche nella zona dell'Asolone difendendole poi contro gli energici ritorni offensivi. In Val Brenta,

"all'alba del 14 settembre -riportava il bollettino- nuclei di fanti e di arditi, dopo breve efficacissima preparazione di artiglieria e con la cooperazione di velivoli abbassatisi a bombardare e a mitragliare da bassa quota, assalirono lo sbarramento nemico della Grottella, a sud di Corte. Superate le aspre difficoltà del terreno, vinta in accanita lotta la resistenza del presidio, le nostre truppe s'impadronirono di tutto il sistema difensivo avversario".

A nord del Grappa, in Val di Seren, il 16, con ardite irruzioni furono migliorate le linee e catturati numerosi prigionieri e molte mitragliatrici. I vantaggi conseguiti furono mantenuti nonostante i violenti contrattacchi che il nemico effettuò il 16, il 17 e il 19.
Il 21, truppe cecoslovacche respinsero due forti colonne -nemiche che assalivano la quota 703 di Dosso Alto. Brillanti colpi di mano furono eseguiti il 22 dai Francesi ad est del Sisemol, dagli Inglesi a nord di Asiago e dagli italiani a Cima Tre Pezzi.
Notevole fu l'attività italiana e degli alleati su tutto il fronte nei primi ventiquattro giorni d'ottobre, durante i quali, in varie brillanti operazioni, furono catturate al nemico alcune migliaia di prigionieri, molte mitragliatrici ed altre armi e ne furono costantemente respinti tutti gli attacchi.

Al pari dell'esercito furono dal luglio all'ottobre molto attive la Marina e l'Aviazione. La notte del 17 luglio due dirigibili della Marina bombardarono le opere militari di Pola e navi da guerra che si trovavano nel suo porto; all'alba del 17 aeroplani, e idrovolanti lanciarono numerose bombe sulle stazioni dei sommergibili e sugli idroscali di Pola e sugli hangars e sulle sistemazioni antiaeree di Lagosta; il 18 una squadriglia di idrovolanti bombardò le opere militari di Antivari e altri apparecchi abbatterono due velivoli nemici nel cielo d'Ancona; il 21 furono bombardati i porti di Cattaro e di Antivari; il 23 - mentre aeroplani austriaci lanciavano bombe su Ravenna - apparecchi italiani bombardarono la base di Durazzo e il 26 l'idroscalo di Lagosta.
Quello stesso giorno il nemico portò a termine, ma senza recar danni, un'incursione sulla costa adriatica da Porto Corsini a Rimini.
Il 30 una squadriglia di idrovolanti italiana bombardò per due ore le opere militari di Pola; il 31, il 10 e 2 di agosto altre squadriglie danneggiarono le opere militari e l'ancoraggio di Durazzo e il 7 lanciarono molti chilogrammi di esplosivo su Pola, su Cattaro e ancora su Durazzo.

L'11 agosto due idrovolanti austriaci che gettarono bombe su Bari furono catturati; il 13 nostri idrovolanti operarono sulle retrovie nemiche, oltre il basso Piave. Il 15 e il 16 furono bombardate Parenzo, Pola, San Giovanni di Medua, Durazzo. Il 18 un sommergibile italiano silurò presso l'isola di Pago un piroscafo austriaco. Il 21, il 22 e il 23 furono di nuovo colpite Pola, Cattaro e Durazzo; il 24 e il 29 ancora Pola e i porti nemici della costa albanese; la notte del l° settembre fu la volta di Primolano e ancora di Pola; il 2 fu bombardato un campo di aviazione a est della Livenza; il 4 e il 5, accampamenti nemici oltre il Piave e nei pressi di Dulcigno; il 7 un campo aviatorio presso Belluno e le stazioni ferroviario di Villacco e di Lienz; il 14 e il 16 campi di aviazione dell'Alto Adige e gl'impianti militari di Pola; il 17 campi d'aviazione e impianti militari di Valsugana e tra Piave e Tagliamento; le notti dal 21 e sul 27 Durazzo che il 2 ottobre fu a lungo bombardata da idrovolanti e navi italiane e alleate; il 4, il 5 e il 6 ottobre, stazioni, baraccamenti ed hangars; il 7, opere militari a Primolano e a Fucino; il 9 e il 10, campi d'aviazione, truppe in marcia e impianti ferroviari; il 12 i cantieri navali di Muggia; il 23 opere militari sull'altopiano d'Asiago e l'arsenale di Pola; il 24 ottobre baraccamenti nella zona di Fonzaso e grossi depositi presso la stazione di Sacile.

Dal l° di luglio al 24 ottobre, in combattimenti aerei o per opera delle batterie, furono abbattuti 240 apparecchi nemici. Il nemico, al solito, non risparmiò le città italiane. La notte sul 21 agosto gettò bombe su Castellazzo, Roncade e Venezia, che fu bombardata ancora il 23, il 27 e il 28; la notte sul 22 su Porto Corsini e Fiumi Uniti (Ravenna) causando molte vittime; il 23, il 24 e il 25 su Treviso; il 25 su Padova uccidendo 139 persone e ferendone 110; il 27 su Otranto; il 6 settembre su Clusone; le notti del 21 e del 22 su Valona e Venezia; il 23, il 24, il 25 e 26 settembre e il 3 ottobre su Treviso.

In risposta e come ammonimento alla barbarie nemica, una nostra squadriglia di otto apparecchi, la "Serenissima", comandata da GABRIELE D'ANNUNZIO e pilotata da NATALE PALLI, da ANTONIO LOCATELLI, PIERO MASSONI, ALDO FINZI, LUDOVICO CENSI, GIORDANO GRANZAROLO, GIUSEPPE SARTI e da GINO ALLEGRI che il poeta chiamava "Fra Ginepro", il 9 agosto volò su Vienna, percorrendo 1000 chilometri, di cui 800 in territorio nemico, è tornò alla base passando su Wiener-Neustadt Graz, Lubiana e Trieste, rimanendo in aria sette ore.
Potevano essere gettate sulla capitale austriaca delle bombe furono invece lanciati dei manifesti in cui erano esposti gli scopi dell'Intesa e s'inneggiava all'Italia.

Durante queste attività, in cielo, in mare e in terra, fin da luglio, ma poi l'idea prese corpo l'11 settembre, al Comando Supremo si progettava di creare una testa di ponte al di là del Piave, dal Monte Cesen a Susegana (TV), da cui lanciare "poi" nella primavera del 1919 un grande offensiva generale.
Le misure di prudenza adottate, furono suggerite in particolare da NITTI, il quale temeva che un'azione troppo energica indebolisse l'esercito.
Mentre altri ministri, come BISSOLATI e SONNINO, al contrario ritenevano indispensabile avviare in breve tempo - ancora entro l'anno e nonostante l'approssimarsi della cattiva stagione- un'offensiva di grande dimensione per piegare definitivamente l'Austria. Del resto la sconfitta degli Imperi Centrali sugli altri fronti il 6-7 ottobre sembrava imminente, visto che LUDENDORFF chiedeva al Kaiser allibito l'apertura immediata dei negoziati di pace, prima che la situazione si deteriorasse ulteriormente. Di conseguenza pure gli Austriaci -perse ogni speranza di essere aiutati dai tedeschi- iniziavano in quei due giorni approcci con il presidente degli Stati Uniti WILSON.

L'Italia a fine settembre inizio ottobre, scelta in gran segreto la soluzione "immediata", pochi giorni dopo, il 12 ottobre il Comando Supremo forniva le istruzioni necessarie a tutti i reparti e il giorno 24 ottobre iniziava l'ultima battaglia contro l'Austria. La cronaca dettagliata di questa grande offensiva la narreremo nel successivo capitolo e nei seguenti.

Riteniamo qui invece più interessante riportare in anticipo - e integralmente- ciò che scrisse poi il Comando Supremo nella sua relazione sulla battaglia di Vittorio Veneto.

Dopo aver fatto il punto sulla situazione e il riassunto delle attività nei precedenti due-tre mesi, espose con questa relazione le strategie e le motivazione che portarono alla progettata immediata offensiva ancora entro l'anno 1918.
Nella relazione non si accenna alle forti pressioni che l'Italia fece nei confronti dei suoi alleati. FOCH che aveva preso in mano la situazione in occidente persisteva nelle proprie sollecitazioni dell'offensiva. DIAZ era ben disposto ma soltanto nel caso in cui fosse stata inviato sul fronte italiano parte dei contingenti americani che da giugno alla media di 300.000 al mese sbarcavano in Francia. DIAZ insisteva in modo da compensare l'inferiorità numerica dei Grigioverdi. Ma FOCH non contento di avere ricevuto (nel momento critico) una divisione Italiana in Francia (la IIa guidata da Albricci), il Generalissimo francese monopolizzava il contributo degli Stati Uniti ad esclusivo vantaggio della Repubblica ed opponeva decisi rifiuti ad ogni legittima richiesta, mentre nello stesso tempo insisteva con Diaz per la grande offensiva in Italia.
DIAZ però non poteva pensare ad un'azione grandiosa con obiettivi lontani; al massimo poteva fare una serie di operazioni di portata locale. E per conseguire cosa? solo una vittorian parziale. Il fronte italiano era troppo vasto, fra l'Adige e il Piave ci si teneva aggrappati disperatamente al baluardo alpino. Ma sarebbe bastato poco per far ruzzolare al piano gli alpini e i fanti. Nè del resto proprio in questo settore -con i formidabili ostacoli naturali - si poteva sperare di fare una grande offensiva e superare questi baluardi. Mentre al piano, se anche fortunatamente si mettevano gli austriaci in crisi, c'era la possibilità che i tedeschi vittoriosi in Francia, si sarebbero riversati in Italia a dare man forte ai loro alleati. In questo caso di "Caporetto" l'Italia ne avrebbe subite due: una al piano e una ai monti. Cioè un disastro.

La situazione si sbloccò quando i Francesi alla fine di luglio con la controffensiva, misero in crisi i tedeschi. Gli Alleati ridotte a malpartito le armate di Lundendorff (a Hinderbug, il 2 settembre) Diaz fu sicuro di trovarsi di fronte soltanto la Monarchia danubiana, che nonostante nutrisse ancora delle illusioni, come esercito era ridotto piuttosto male; molte carenze (viveri, vestitiario, animali, carburanti, aerei e materiale vario) e il morale basso per la fallita travolgente offensiva che doveva durare dieci giorni e ne erano passati già cento, stavano da qualche tempo esasperando il malcontento, eccitavano alla indisciplina e ai disordini interni.
Gli eventi dunque maturarono, e Diaz agì. I suoi peggiori critici, lo accusarono di aver troppo ritardato l'attacco (24 ottobre). Certo, anticipata sia pure di un solo mese, la battaglia di Vittorio Veneto avrebbe conseguito, forse, un risultato (politico) favorevole molto diverso, ma forse anche meno favorevole se non ci fossero state tutte le circostanza a favore per "osare".
Ad una più attenta analisi, si è indotti a ritenere che Diaz si sia risolto ad agire quando non era troppo presto e prima che fosse troppo tardi. Nel primo caso se Lundendorff giungeva a Parigi, in un lampo sarebbe sceso a travolgere l'Italia. Nel secondo caso, se la Germania sconfitta a Hinderbug otteneva subito la pace, l'Austria gli sarebbe andata dietro; e questo mentre l'Italia era ancora arroccata sul Piave. Cioè a Versailles sarebbe andata peggio di come è poi andata.

IL PENSIERO
DEL COMANDO SUPREMO SUL COLPO DECISIVO DA DARE AL NEMICO

(Relazione integrale)

"La convinzione che lo scioglimento più rapido del conflitto mondiale si sarebbe ottenuto con il mettere fuori causa l'esercito austriaco, in modo da isolare militarmente la Germania e costringerla alla resa, aveva sempre costituito il fulcro del pensiero del Comando Supremo e ne aveva ispirato l'opera fin dallo scorso inverno, cioè anche quando, ricostituita a prezzo di sforzi, che parvero sovrumani, la compagine dell'esercito, poteva sembrare che il problema più grave, se non l'unico, fosse quello di assicurare l'integrità tuttora minacciata del nuovo fronte tra l'Astico e il mare.
E mentre a garantire l'inviolabilità del fronte si provvedeva moltiplicando e rafforzando le difese, attuando uno schieramento delle forze che consentisse di fronteggiare ogni prevedibile attacco, gli animi, gli studi e le attività erano rivolti alla preparazione morale e materiale di un potente organismo offensivo; gigantesca molla pronta a scattare non appena fosse scoccata la sua ora.

"Il concetto del Comando Supremo di risolvere la guerra battendo l'Austria era fondato sul principio di concentrare gli sforzi contro il nemico più debole. Ma, se dei due principali avversari dell'Intesa l'Austria poteva in tesi relativa considerarsi come il meno forte, il suo esercito si presentava tuttavia, in principio di primavera del 1918, in piena efficienza numerica, appoggiato a posizioni solidissime per natura e per arte, e sopratutto ben saldo, come rimase fino all'ultimo, nella sua compagine morale, negli armamenti e nelle risorse.

"Attaccare il nemico a fondo per metterlo fuori causa non era dunque ancora possibile, se non mediante un ulteriore concorso di forze e di artiglierie alleate che ci assicurasse la superiorità materiale necessaria al duplice scopo di potere spingere l'azione fino in fondo e di non rimanere, ad azione compiuta, con forze logore, su posizioni non preparate, esposti ad un potente ritorno offensivo che l'Austria potesse tentare con rinforzi germanici, tenuto conto delle forze tedesche disponibili sul fronte occidentale. E poiché, per esigenze in più vasto campo, su di un ulteriore concorso alleato non era possibile contare, perché anzi a fine marzo, in seguito agli avvenimenti alla fronte occidentale, le forze alleate in Italia subivano una sensibile diminuzione, il nostro progetto offensivo dovette forzatamente limitarsi ad un'azione di minor raggio, per la quale bastassero le forze presenti in Italia ed i cui risultati pur calcolati secondo le ipotesi meno rosee rappresentassero tuttavia una tappa sicura verso la grande offensiva, da prepararsi e maturarsi in segreto, con tutte le forze della mente e dell'anima, nell'attesa dell'ora suprema.

"Fu prescelto come settore per quest'azione l'altopiano d'Asiago, e ciò nell'intento d'acquistar spazio in una delle direzioni più vitali per il nemico, di liberarsi dalla minaccia che là incombeva per la scarsa profondità delle nostre posizioni montane, e di raggiungere così un fronte che fosse più forte e adatto a servire di base per un nuovo sforzo, ed anche più ristretta, così da permetterci di ottenere economia di forze e di accrescere la riserva necessaria per le operazioni finali. L'offensiva preparata d'accordo con gli Alleati, fu pronta a sferrarsi verso la fine di maggio, ma non poté essere sviluppata. Giungevano già dalla metà di maggio sicure notizie che gli Austriaci si disponevano a compiere un poderoso, disperato sforzo contro di noi. Veniva anche sicuramente indicato il settore d'attacco, fra Astico e mare. Il Comando si trovò di fronte al dilemma: attaccare per prevenire il nemico o attendere l'urto per rintuzzarlo?

"La prima soluzione appariva la più seducente. Ma, ponderandola, risultava anche la meno opportuna e conveniente. Il nemico era già superiore in forze; nuove divisioni gli erano ancora sopravvenute, così da raggiungere un totale di circa 60, presto aumentate in seguito a 65, di contro a 56 nostre ed alleate; inoltre era pronto con tutte le energie tese per uno sforzo di intendimento decisivo. Il nostro attacco, sebbene fosse di riuscita certa, ci avrebbe però costretti a sguarnire tratti delicati del fronte, lasciandoli esposti all'offesa nemica; e la vittoria sull'altopiano non ci avrebbe salvati, data la superiorità delle forze avversarie, dallo sfondamento del fronte in direzioni pericolose. Né dagli Alleati, già fortemente provati nelle azioni del marzo ed ora nuovamente provati a fine maggio, era possibile attendere rinforzi. Anche perché già ai primi di giugno l'imminente attacco austriaco appariva, secondo notizie pienamente attendibili, strategicamente collegato con un nuovo poderoso sforzo che i Tedeschi si apprestavano a ripetere sulla fronte occidentale per spezzare, prima che le forze americane fossero efficienti e speculando sull'effetto morale di una nostra sconfitta ritenuta certa, la barriera che i nostri valorosi alleati erano riusciti ad opporre alle loro due precedenti disperate offensive.

"Convenne dunque attendere l'attacco. La nostra azione fu sospesa, e parte delle forze e delle artiglierie che vi erano destinate furono spostate a rinforzo dei settori meno muniti. Nello spazio di otto giorni il nostro impianto offensivo si trovò trasformato in potente organismo difensivo e controffensivo, con forti riserve per la manovra. Ma la nostra difesa strategica fu nel campo tattico, attacco violento, fulmineo, ostinato, incessante; attacco che prevenne la preparazione di fuoco di artiglieria del nemico mediante una poderosa contropreparazione destinata a recidere i nervi allo sforzo avversario prima ancora che si sviluppasse e fu proseguito poi senza tregua; fu urto contro urto. Le truppe, lungamente preparate ad offendere, si difesero attaccando. L'offensiva austriaca si sferrò il 15 giugno: dove sfondò, come sul Montello e sul basso Piave, il nemico si trovò, immediatamente, nel giorno stesso, attanagliato da cento contrattacchi, preso alla gola, costretto a retrocedere, a ripassare in disordine il Piave.

" L'effetto di questa nostra poderosa reazione fu tale che i rapporti austriaci ufficiali affermarono essersi l'attacco incontrato con l'offensiva italiana in corso di sviluppo. Il nemico che si era ritenuto certo d'invadere la pianura veneta, che aveva tutto preparato per prenderne le belle città e per giungere al Po, a Milano, retrocedette sconfitto, disfatto, senza speranza di rinvicita. Così ebbero principio sul Piave le nuove sorti della guerra del mondo.

"Al principio di luglio le condizioni del nemico ricacciato e demoralizzato erano tali che la guerra sarebbe stata probabilmente decisa se dalla difesa vittoriosa avessimo potuto passare immediatamente all'offesa. Il Comando Supremo considerò questa possibilità. Ma lo sforzo sostenuto, se non era valso ad infliggere al nemico perdite valutate ad oltre 200 mila uomini, aveva però imposto anche a noi un logoramento notevole. Il Comando Supremo aveva fatto il più accorto impiego delle riserve, così da disporre, a battaglia finita, ancora di sei divisioni non impiegate; ma di queste la cecoslovacca non era ancora pienamente organizzata, e due italiane erano giunte da altri settori, appena ritirate dalla linea, e perciò non riposate. Inoltre a mezzi logistici, già scarsi, che grazie a miracoli di oculatezza e di previdenza erano bastati ad alimentare la difesa ed a consentire il difficile e delicatissimo giuoco di riserve che ci aveva dato la vittoria, avevano però subito un forte logoramento ed anche per questo erano insufficienti per altre nuove operazioni di vasto raggio. E nemmeno mezzi di alcun genere potevamo attendere dagli Alleati, che avevano ingentissime forze da fronteggiare. Non si poté quindi sfruttare con un'immediata offensiva il successo conseguito nella battaglia difensiva; il programma d'azione, pur sempre aggressivo, si limitò ad operazioni locali per riprendere, come fu fatto, i pochi tratti di terreno che nella zona montana erano rimasti al nemico; riuscimmo però anche, in una brillante avanzata in un terreno tenacemente difeso ed irto di insidie, a liberare la zona tra Sila e Piave Nuovo.

" Per l'attuazione di un più vasto disegno operativo diretto a preparare la risoluzione della guerra bisognava dunque addivenire ad una nuova preparazione di uomini e di mezzi. E questa fu intrapresa senza indugio. Il rifacimento delle unità logore era già stata iniziato mentre ancora durava il ripiegamento nemico oltre il Piave. Per riordinare ed accrescere i mezzi logistici, ripristinare il munizionamento, aumentare al massimo i mezzi di offesa, fu fatto appello a tutte le energie dell'Esercito e del Paese, che corrispose mirabilmente, in una nobile gara di sforzi per il raggiungimento dello scopo supremo. Frattanto alla nostra vittoria sul Piave seguiva la brillante controffensiva francese di metà luglio; sulla Marna, come già sul Piave, si apriva una nuova fase della lotta; crollavano per la Germania le ultime speranze di vittoria. La situazione che nasceva da questi avvenimenti era piena di promesse, ma gravi di incognite specialmente per il fronte italiano. Il rivolgimento prodottosi sulle sorti della guerra ne faceva sperare ravvicinata la soluzione; ma per raggiungerla occorreva prepararsi saldamente ed a fondo, colpire a tempo e giusto, evitare ogni mossa falsa che, in quel momento in cui l'equilibrio delle opposte forze appariva raggiunto e prossimo ad essere da noi superato, avrebbe potuto compromettere, e chi sa per quanto tempo, il risultato finale.

"Complesso e delicatissimo fu pertanto il compito da assolvere. Soltanto sul Piave e sulla Marna, perduta la speranza di ottenere sulla fronte occidentale quella rapida soluzione che gli era necessaria, poteva ora il nemico tentare un ultimo sforzo concentrando tutti i suoi mezzi contro l'Esercito dell'Intesa numericamente meno forte, cioè contro di noi. La possibilità di un rapido concentramento di forze tedesche sul nostro fronte, favorito dalla rete ferroviaria capace di rendimento quasi doppio di quello congiungente gli scacchieri occidentali ed italiano, i gravi e decisivi risultati che potevano derivarne, rendeva questa ipotesi logica, verosimile e pericolosa. Ad avvalorare questa ipotesi giungevano informazioni dalle quali risultava che il nemico orientava appunto in tal senso la sua preparazione. Il Comando Supremo doveva dunque, pur preparandosi ad offendere, non perdere mai di vista la necessità della difesa. Il programma, offensivo considerato in sé doveva proporsi di portare allo sforzo complessivo degli Alleati il più efficace concorso secondo due diverse soluzioni possibili: attacco a fondo, con tutte le forze, buttando nella bilancia fino all'ultimo uomo, nel caso che si delineasse sui fronti dell'Intesa la possibilità di superare veramente l'equilibrio delle forze e raggiungere di un sol colpo la decisione: oppure attacco di preparazione quale prima fase di uno sforzo più complesso nel caso che il nemico, sebbene già battuto, riuscisse a ristabilire un solido fronte difensiva in tutti gli scacchieri.

"Ora questa situazione delicata promettente e grave nello stesso tempo, ci coglieva in crisi di complementi. La battaglia di giugno ci era costata circa 90 mila uomini; e con ciò la miglior parte delle nostre riserve di uomini era stata assorbita. La classe del 1900 era in corso d'istruzione, ma il Comando Supremo aveva già fermamente deciso di risparmiare questa classe almeno fino alla primavera del 1919 per inviarla nel solo caso che la guerra dovesse prolungarsi per un altro anno; ciò che in quel momento non si poteva escludere. Rimaneva perciò in fatto di complementi poco più dello stretto necessario per supplire allo normali perdite delle unità mobilitate durante il secondo semestre del 1918. Ciò non sorprende se si pensa all'enorme sforzo già da noi sopportato, alle nuove unità man mano ricostituite durante i mesi di rifacimento dell'esercito dopo l'ottobre 1917, all'entità dei nostri contingenti in Albania (circa 100.000), in Macedonia (35.000), del nostro II Corpo in Francia (42.000), ed allo rimanenza pure in Francia, per lavoro sulle retrovie di quell'esercito alleato, di circa 70.000 lavoratori militari italiani, senza contare gli altri contingenti delle Colonie, in Russia e perfino in Palestina.

"Fu questa, nel momento forse decisivo delle sorti della guerra, una gravissima preoccupazione del Comando Supremo, e ciò proprio quando sarebbe stato necessario avere la più larga disponibilità di uomini e di mezzi per poter agire senza ritardo, nel modo e nella misura che la situazione poteva da un momento all'altro rendere necessario. Per accrescere le riserve di complementi si rese disponibile nell'Esercito e nel Paese il maggior numero di uomini atti a combattere e sino allora impiegati in altri servizi; e si provvide rapidamente a completarne l'istruzione. I prescelti accorsero volenterosi ed Esercito e Paese gareggiarono di abnegazione e spirito di sacrificio per sopperire con minor numero ed esigenze, la cui misura nella prossimità di un'azione decisiva, anziché ridursi, si veniva moltiplicando così nel campo della produzione bellica come in quello della preparazione immediata.

"Contemporaneamente a questi provvedimenti organici, il Comando Supremo riprendeva fin dai primi di luglio la preparazione dell'attacco sull'Altipiano di Asiago. Però il disegno offensivo, grazie alla maggiore disponibilità di mezzi, specie di artiglieria, ottenuta frattanto dalla produzione nazionale, fu integrato con un progetto di attacco sussidiario da sviluppare alla regione del Pasubio, per tendere alla conquista del Col Santo e puntare verso l'altopiano di Folgaria che difende l'arteria della Valsugana. Ma parallelamente a tale progetto di operazioni, di raggio limitato concordato con gli Alleati, altro e più vasto disegno si veniva silenziosamente maturando nell'intorno del Comando, affidato allo studio di pochi uomini, custodito nel segreto più rigoroso.

" Era questo il disegno tenuto pronto per il caso che un deciso mutamento nella situazione generale rendesse possibile e logico di tutto osare per risolvere con uno sforzo decisivo la guerra, lanciando, in un supremo impeto, tutte le nostre forze in una direzione vitale per l'avversario, fosse pure a costo delle perdite più gravi, ma in modo da spezzare il fronte e travolgerlo in una rotta definitiva. In tal caso la preparazione, che sempre si sarebbe effettivamente compiuta sull'altopiano d'Asiago e in regione Pasubio, avrebbe servito con una forza più evidente ad incatenare l'attenzione del nemico e le masse delle sue forze da un settore diverso da quello prescelto, mentre truppa, artiglieria e servizi si sarebbero con la massima celerità concentrati nel nuovo settore d'attacco, realizzando così un fattore del successo, la sorpresa.
"Nel frattempo, truppe e comandi si venivano febbrilmente addestrando e preparando per essere pronti a passare al momento voluto dalla guerra di trincea alla guerra di movimento. Mentre, attraverso le più gravi difficoltà si predisponeva felicemente l'attuazione dei provvedimenti logistici più complessi affinché nessuna imprevista esigenza potesse coglierci impreparati; le unità erano alacremente allenate a lunghe marce, al passaggio di corsi d'acqua, al diverso impiego delle artiglierie ed a tutti gli sforzi della guerra manovrata. Preparazione questa che risultò grandemente facilitata dalla scioltezza conferita alla compagine organica dell'esercito durante i mesi del suo riordinamento, dalla inscindibilità strettamente osservata dall'unita divisione e dalla possibilità di periodici cambi della divisione in linea ottenuta grazie al razionale schieramento adottato.

" Ma durante l'intero mese di agosto la situazione militare generale, sebbene in continuo miglioramento, non si delineò in modo da presentare e far prevedere prossimo un mutamento decisivo, quale ora indispensabile perché l'Italia potesse finalmente giocare tutto per tutto. Proseguirono dunque senza interruzioni i preparativi per l'attacco sull'altipiano d'Asiago e sul Pasubio. Anche per questa preparazione, che, sebbene di raggio relativamente limitato, impegnava tuttavia metà dell'esercito, occorreva però assicurarsi di tutte le probabilità di successo con la più scrupolosa preparazione e con la scelta del momento. Si trattava di attaccare un nemico ancora superiore in forze, saldissimo, in posizioni fortissime.

"Dopo la nostra brillante vittoria sul Piave, che la mancanza di forze e di mezzi non ci aveva consentito di sfruttare, l'esercito austriaco, sotto la guida e con il concorso degli alleati germanici, si era riavuto dalla demoralizzazione ed aveva riparato al suo disordine. La pronta riorganizzazione nei comandi, il sollecito riordinamento delle forze, ottenuto con la costituzione e con il rifacimento delle unità leggere e mediante una rigorosa selezione degli elementi meno solidi; la più sollecita cura del benessere delle truppe combattenti, raggiunta imponendo i più duri sacrifici alle popolazioni dell'interno; tutto ciò aveva ridato ordine e forza all'esercito nemico. Cosicché, se nell'interno della Monarchia le lotte delle nazionalità producevano i loro effetti disgregatori, la compagine morale e materiale dell'avversario rimaneva però intatta o quasi; e accaniti sopratutto, si dimostravano, e tali si dimostrarono poi anche durante la battaglia di Vittorio Veneto, ungheresi, croati, sloveni, quegli elementi appunto sui quali sembrava dovessero avere maggior presa i dissidi di nazionalità. Ciò ribadiva il convincimento che nessun importante effetto poteva aspettarsi da tale azione disgregatrice se non dopo un decisivo scacco militare inflitto al nemico. Dell'immutato spirito combattivo delle truppe avversarie si ebbero la sensazione e la misura in piccole azioni parziali sviluppate qua e là sul fronte delle truppe nostre ed alleate, e specialmente in un attacco da noi tentato nella regione del Tonale il 13 agosto, attacco che incontrò la più accanita resistenza e una sapiente e perfezionata organizzazione del tiro d'artiglieria avversario.

" Così essendo, data la nostra inferiorità numerica e la deficienza dei complementi e l'impossibilità di provvedere con le nostre sole riserve, la scelta del momento per l'attacco sull'altopiano diveniva compito assai delicato. Bisognava quindi seguire la situazione vigili ed agire senza esitazione al primo accenno di mutamento propizio. Mai il Comando Supremo si sarebbe indotto ad uno sterile sacrificio di uomini mentre si teneva in grado di tutto osare non appena la situazione lo rendesse utile o necessario.
I preparativi per l'azione progettata furono spinti in modo da essere pronti per la metà di settembre. Ma gravi avvenimenti si svolgevano. A metà settembre, infatti, iniziava sul fronte balcanica il vittorioso attacco dell'esercito alleato d'Oriente, ivi compresa la nostra 35a divisione, e fin dai primi giorni si ebbe la precisa sensazione del successo. Inopinatamente la fronte bulgara crollava cadendo a pezzo a pezzo sotto la pressione delle truppe alleate. Sebbene superiori per numero di combattenti, sebbene favoriti da posizioni munitissime rivelatesi per lungo tempo quasi inattaccabili, le truppe bulgare cedevano. Una vasta breccia stava per aprirsi sul fianco dell'impero austro-ungarico; per chiuderla il nemico avrebbe dovuto distrarre forze dal nostro fronte e rinunciare alla soverchiante superiorità numerica fino allora conservata. Ciò poteva forse creare la situazione sperata, da tanto tempo augurata, che ci consentisse di lanciare all'attacco tutte le nostre forze, nella direzione più rischiosa ma decisiva per risolvere finalmente la prova ! Situazione questa che, beninteso, non poteva maturare in un sol giorno. Bisognava seguire ogni mossa del nemico con occhio ancor più attento, sentirne il polso, ora per ora, per poter passare all'attuazione del progettato più vasto disegno di manovra nel preciso momento voluto.

" Tutti i particolari del progetto operativo segretamente maturato erano stati intanto segretamente definiti: il 25 settembre, quattro giorni prima della conclusione dell'armistizio bulgaro, venivano dati ordini per il rapido concentramento delle forze, delle artiglierie e dei mezzi tecnici nel settore d'attacco prescelto, non più sull'altopiano, ma in corrispondenza del Medio Piave; Vittorio Veneto doveva esser la prima tappa dell'avanzata in cui avremmo gettato tutte le nostre anime per strappare meritatamente la vittoria".

…così continua la relazione ….

IL PIANO STRATEGICO
SCHIERAMENTO DELL' ESERCITO ITALIANO E QUELLO NEMICO

"Concetto fondamentale dell'azione ideata dal Comando Supremo era di separare con deciso sfondamento la massa austriaca del Trentino da quella del Piave, indi con azione avvolgente produrre la caduta dell'intero fronte montana, ciò che, di riflesso, avrebbe determinato anche il completo cedimento della fronte nemica del piano. Per attuare questo concetto si tenne conto che delle due armate austriache (6a e 5a) schierate fra il Grappa e il mare, quella più settentrionale, la 6a, aveva la propria linea di rifornimento svolgentesi nell'ultimo tratto sul fianco sinistro, cioè nella situazione strategica più pericolosa. Fronte di questa armata: dalla conca di Alano (destra Piave) al Ponte della Priula, linea di rifornimento Vittorio -Conegliano-Sacile. Raggiungere Vittorio significava dunque recidere questa arteria vitale, impedire ogni rifornimento di viveri e munizioni, e perciò ridurre la 6a armata austriaca a nostra completa discrezione. Per rendere possibile la puntata su Vittorio si decise di rompere il fronte nemico nel punto tatticamente più debole, cioè alla giunzione tra le due armate austriache del Piave. Raggiunto Vittorio, il Comando Supremo si proponeva di concentrare il massimo sforzo verso l'alto, nel duplice intento:
1° di puntare con azione avvolgente su Feltre e cioè sul tergo del Grappa in modo da far cadere per manovra la difesa di questo imponente baluardo, col concorso dell'azione frontale delle truppe ivi schierate;
2° di raggiungere la convalle Bellunese per puntare di qui per le vie del Cadore e dell'Agordino, mentre le truppe avanzanti su Feltre e quelle scendenti sul Grappa avrebbero puntato per la via di Val Cismon e della Valsugana, portando così una decisa irreparabile minaccia a tutto lo schieramento austriaco della fronte tridentina.

"La riuscita di questa vasta manovra era fondata essenzialmente sulla sorpresa e sulla rapidità dell'azione. Per ottenere la necessaria e decisa rapidità di sfondamento il Comando Supremo sapeva di poter contare non solo sull'accurato addestramento delle truppe compiuto di lunga mano e sulla perfetta preparazione, ma anche e sopratutto sulla convinzione, trasfusa nei capi e nei gregari, che lo sfondamento risoluto della fronte nemica ci avrebbe dato la vittoria definitiva. Quanto alla sorpresa, questa ci era assicurata dal carattere stesso della manovra che intendevamo svolgere, la quale si scostava, nel concetto, nelle forme e nei modi, da tutte quelle fino allora eseguite nella guerra; cosicché, pur ammettendo che al nemico, per i molti sintomi che difficilmente sfuggono, non sarebbe mancata la sensazione dell'attacco imminente, però la direzione e gli obiettivi del nostro sforzo principale non potevano essere da lui intuiti; ciò che gli avrebbe reso impossibile di parare adeguatamente ed in tempo, e lo avrebbe costretto, quando avessimo portato vittoriosamente il primo urto e sfondata la sua fronte, a subire interamente la nostra volontà.

"D'altro lato, pur nutrendo assoluta fiducia nel successo completo e definitivo, il Comando Supremo non aveva trascurato di attuare le previdenze rese necessarie dalla considerazione che il passaggio di un fiume a regime torrentizio durante la stagione delle piogge, è soggetto ad imprevisti che le più accurate osservazioni e le più accurate cautele non riescono ad escludere; mentre la presenza del fiume è di per sé elemento che può, col favore di circostanze anche di minor conto, valorizzare talvolta in modo imprevisto la resistenza del difensore. Tutto ciò fu previsto, da un lato moltiplicando i punti di passaggio e dall'altro regolando l'azione in modo da poter graduare il passaggio delle truppe; mentre la costruzione di teleferiche attraverso il fiume predisposta in tutti i particolari e la preponderante massa delle artiglierie operanti sulla riva destra dovevano assicurare, anche nel caso peggiore e non probabile, il sicuro mantenimento di grosse teste di ponte sulla riva sinistra evitandosi nel modo più sicuro di dover ripassare il fiume disastrosamente, come gli Austriaci nel giugno.

"Fu inoltre disposto che le truppe ricevessero tre giornate di viveri e che cinque giornate di viveri di riserva e di cartucce per fucile fossero accumulate in prossimità dei passaggi e delle teleferiche per essere trasportate al di là del fiume subito dopo le truppe. Per conferire elasticità all'azione ed assicurare a ciascuno degli atti fondamentali della manovra, unità di direzione e di impulso, fu anche stabilito di rendere maggiormente articolato lo schieramento fra Brenta e mare (armate IV, VIII e III) inserendovi due nuove armate, la XII e la X.

"La XII Armata, inserita fra IV e VIII, tra il Monte Tomba e Pederobba, avrebbe avuto per compito le puntate su Feltre per il rovesciamento del Grappa, operando a cavallo del Piave dopo espugnate le difese della conca di Alano e le alture di Valdobbiadene; la X, fra VIII e III, doveva passare il Piave in corrispondenza delle Grave di Papadopoli e puntare alla Livenza, costituendo il fianco difensivo a copertura e protezione della manovra principale dell'VIII Armata in direzione di Vittorio, e attirando su di sé le riserve nemiche raccolte nelle parti più basse della pianura. L'effettiva costituzione di queste due armate, non richiedendo per altro lunghe predisposizioni logistiche a causa della funzione puramente tattica delle armate medesime, venne per ragioni di segretezza differita quanto più possibile; i preavvisi ai comandi destinati furono dati per la X Armata il giorno 6 ottobre e per la XII il giorno 11; la costituzione delle due armate fu attuata il 14 ottobre.

"Il comando della X armata fu affidato al generale conte CAVAN, comandante le forze britanniche in Italia; quello della XII al generale GRAZIANI, comandante delle forze francesi nel nostro fronte. Gli ordini per concentrare forze e mezzi necessari per l'azione emanati il giorno 25 ebbero inizio di esecuzione il 26. Nello spazio di 15 giorni, fra il 26 settembre e il 10 ottobre, circa 800 pezzi di medio e grosso calibro, altri 800 di piccolo calibro, più 500 bombarde si trasferirono sul nuovo fronte, in piccola parte dalla riserva generale, ma per la parte maggiore da lontane ed elevate posizioni di montagna, scelsero le loro posizioni, vi si installarono, prepararono i loro tiri, e con le artiglierie si concentrarono anche nello stesso periodo 2 milioni e 400.00 colpi; tutto ciò sotto una pioggia torrenziale e continua, in difficili condizioni sanitarie delle truppe; e ben 21 divisioni si concentrarono in pari tempo, per la maggior parte con marce a piedi e di notte, sul nuovo fronte, provenendo da dislocazioni arretrate o da altri settori. Sull'altopiano, per non fornire all'avversario indizi che avrebbero potuto riuscirgli preziosi, si dispose perché, pur sottraendo forze ed artiglieri, lo schieramento delle unità sulla prima linea, cioè a contatto col nemico, rimanesse costantemente immutato ed attivo.

"Tutti i movimenti dovevano, secondo gli ordini, essere ultimati per il 10 ottobre; e tali movimenti complessi, eseguiti quasi esclusivamente di notte e resi difficili dal maltempo, furono esattamente compiuti grazie alle più oculate previdenze ed alla cooperazione di tutti i comandi e delle Intendenze. Compiutasi così ordinatamente e rapidamente la preparazione, l'azione avrebbe potuto iniziarsi, come si voleva, il giorno 15. Ma la pioggia nuovamente sopravvenuta e la piena del Piave imposero un ritardo; il giorno 18 essendo peggiorate ancora le condizioni atmosferiche, si ebbe la certezza che il ritardo si sarebbe prolungato forzatamente per almeno una settimana, mentre dalla situazione militare generale, pienamente delineatasi nella prima quindicina di ottobre, appariva ormai evidente che il nostro sforzo, se bene condotto, avrebbe portato alla decisione della guerra. Bisognava veramente, e si poteva, giocare tutto per tutto. Ogni altro settore poteva e doveva ormai essere sguarnito al massimo per tutto destinare a quello d'attacco. Con un supremo sforzo potevano ancora essere resi disponibili altri 400 pezzi; e poiché lo schieramento d'artiglieria sulla fronte del Piave appariva sufficiente per ottenere lo sfondamento decisivo, il Comando Supremo stabiliva dì rinvigorire con questi nuovi mezzi l'azione delle truppe schierate fra Brenta e Piave, secondo un progetto che il comando della IV Armata aveva studiato fin dall'agosto e in relazione al quale si erano fatte sin d'allora predisporre le postazioni delle artiglierie di rinforzo occorrenti. Cosi la IV Armata, che avrebbe dovuto semplicemente cooperare all'azione principale svolta dall'VIII Armata e dalla XII, ricevette il compito di operare essa pure a fondo ed in modo da precedere l'attacco principale e prepararlo col richiamare in quella direzione le riserve nemiche dislocate nel solco Arton-Feltro e mirando a raggiungere, come obiettivo finale, il solco medesimo, ciò che avrebbe grandemente facilitato il raggiungimento degli obiettivi fissati.

" I 400 pezzi resi disponibili furono tra il 19 e il 23 ottobre celerissimamente trasportati sulla fronte del Grappa da settori lontani, persino dalle Giudicarie; giunsero, si appostarono, aggiustarono i loro tiri, e insieme furono concentrate le munizioni d'artiglieria necessarie. Alla sera del 28 l'attacco era pronto a sferrarsi a fondo anche sulla fronte del Grappa.
"Di un altro aspetto della nostra preparazione importa far cenno perché si possa comprendere il valore dello sforzo compiuto. Il nostro progetto d'attacco contemplava in primo tempo il passaggio del Piave, corso d'acqua importante, impetuoso e rapido, soggetto, specialmente nell'autunno, e piene che vietano qualsiasi gettata di ponti. La scelta del momento per effettuare il passaggio non poteva dunque essere lasciata al caso. Essa fu basata sullo studio accurato del regime del fiume durante una lunga serie di anni e sopra osservazioni dirette, minute e prolungate, circa l'andamento e le mutazioni dei filoni, la velocità della corrente, i punti di meno difficile per il passaggio.

"Per effettuare il passaggio si provvide all'allestimento e alla raccolta dell'ingente materiale necessario. Ingente sopratutto perché l'impeto della corrente e la facilità per il nemico di distruggere con artiglierie e con bombe d'aeroplani i ponti gettati, imponeva di avere pronte cospicue riserve per le inevitabili continue sostituzioni. Una parte di questo materiale era stato approntato da tempo, nuove compagnie pontieri erano state organizzate e un'aliquota di esse trasformate dal traino animale e quello meccanico per ottenere maggiore rapidità di spostamenti; a preparazione compiuta grazie agli sforzi delle officine militari e private si ebbero pronti oltre 20 equipaggi da ponte regolamentari, ben 450 metri di passerella tubolare di tipo speciale su barche appositamente costruite, più materiale regolamentare (barconi, impalcate) per 4500 metri di ponte. Furono inoltre costruite o requisite nella laguna e nei fiumi e canali dall'alta Italia centinaia di barche e di barchette, si provvide alle ancore per migliaia di galleggianti, calcolando che la violenza della corrente avrebbe richiesto l'impiego di due ancore anziché di una per ogni barca da ponte o da passerella. Né basta; già nei giorni della preparazione si organizzò quanto occorreva per il sollecito ripristino dei ponti stabili sul Piave e su altri corsi d'acqua nei territori da liberare, concentrando nella regione di Treviso e di Mestre oltre 20.000 metri cubi di legname da ponte che furono sollecitamente lavorati e preparati sul posto, ferramenta ed accessori. Tutto nel prodigioso sforzo che ci apprestavamo a compiere doveva essere previsto nei particolari più minuti, tutto doveva essere ed era pronto per sfruttare interamente la vittoria nelle sue conseguenze più grandiose e più lontane.

"Il nemico manteneva il fronte dallo Stelvio al mare con 63 divisioni e mezza, delle quali dall'inizio della battaglia 39 e mezza erano in prima linea, 13 e mezza in seconda e 10 e mezza in riserva. Nel settore da noi scelto per l'attacco, dal Brenta al Ponte di Piave, erano schierate 23 divisioni nemiche (18 in prima, 5 in seconda); e precisamente 8 divisioni in prima linea e 3 in seconda dal Brenta a Pederobba, 7 in prima e 2 in seconda da Pederobba ai Ponti della Priula, 3 in, prima linea dai Ponti della Priula a Ponte di Piave. Nelle retrovie nemiche erano disponibili 10 divisioni e mezza di riserve fatte avvicinare al fronte in previsione del nostro attacco, di cui qualche indizio era all'ultimo inevitabilmente pervenuto al nemico, e facilmente spostabili dall'uno all'altro settore grazie alla via d'arroccamento Trento-Feltre-Belluno. Complessivamente il Comando Austro-Ungarico poteva opporre direttamente e immediatamente alla nostra offensiva una massa di 33 divisioni e mezza senza indebolire alcun settore del fronte, consumando nei settori non attaccati un complesso di 30 divisioni e mezza.

"Altre Divisioni eccellenti, in prevalenza costituite di elementi tedeschi e magiari, guarnivano i capisaldi, i pilastri della fronte d'attacco; tali erano la 40a divisione Honved (Col Caprile), la 42a Honved (Prassolin), la 13a Schutzen e la 17a (Solarolo), la 50a (Spinoncia), la 20a Honved e la 31a (stretta di Quero), la 41a e la 31° Honved (alture di Susegana) la 29a e la 7a (regione delle Grave), la 64a e la 70a Honved (a nord di Ponte di Piave). La sistemazione difensiva nemica era formidabile: a linee successive nella regione del Grappa dov'era favorita anche da posizioni dominanti; a fasce di combattimento secondo il sistema detto della difesa elastica lungo il Piave. Tali fasce di combattimento, formate da centri di resistenza disseminati secondo le accidentalità del terreno e in modo da appoggiarsi a vicenda, si raggruppavano in due posizioni successive: la prima profonda circa 2 km a partire dalla sponda sinistra del Piave, coperta da trinceramenti avanzati sulla Grave di Papadopoli, aveva il nome di Kaiserstellung (posizione dell'Imperatore); la seconda, situata a circa 3 km. più indietro, si chiamava Konigstellung (posizione del Re).

"Mitragliatrici, cannoncini da trincea, bombarde in grandissima quantità costituivano insieme con gli altri mezzi di offesa del fante - il fucile e le bombe a mano- l'armamento e la difesa immediata delle opere nemiche. Potenti masse di artiglieria, in totale oltre 2000 pezzi, pronti ad eseguire fuochi preparati e controllati di sbarramento, d'interdizione, di controbatteria, erano addensate ai fianchi e dietro i singoli settori della difesa, così da sviluppare azioni di massima efficacia sia frontalmente, sia d'infilata. Tre distinte masse d'artiglieria difendevano la regione a nord del Grappa, in complesso 1200 pezzi; la prima massa portata sul margine orientale dell'Altopiano di Asiago, ad occidente del Brenta, comprendeva oltre 400 pezzi; la seconda, distribuita a cavallo della Val di Seren, contava circa 600 bocche da fuoco; la terza, ad oriente del Piave, nella zona Segusino-Valdobbiadene, noverava circa 200 pezzi. A queste tre masse noi contrapponevamo complessivamente circa 1800 pezzi, di cui circa 500 sul margine orientale dell'altopiano di Asiago, circa 860 nella zona del Grappa e 500 nella regione Monfenera-Pederobba. Di fronte al nostro settore Pederobba-Palazzon erano raggruppati in tre distinti ammassamenti circa 500 pezzi; il primo sulle colline tra Valdobbiadene Colbertaldo, il secondo nella piana di Sernaglia, il terzo nella zona Collalto-Susegana-S. Lucia di Piave-Mandre.

"A queste artiglierie erano contrapposte una nostra massa di circa 450 pezzi nella zona di Cornuda e 1700 pezzi nella zona Montello-Palazzon, contro la fronte principale di sfondamento. Finalmente circa 350 bocche da fuoco potevano essere impiegate sulla fronte alle Grave di Papadopoli, dove erano schierati circa 600 pezzi italiani. Complessivamente da parte nostra oltre 4750 pezzi di artiglieria d'ogni calibro, ivi comprese circa 600 grosse bombarde, potevano concentrare il loro tiro distruttore sulla fronte d'attacco. Vennero accumulati presso la fronte, per l'azione, 5.700.000 colpi (8 giornate di fuoco). La fronte era da noi tenuta complessivamente con 51 divisioni di fanteria italiana, 3 britanniche, 2 francesi, 1 cecoslovacca e il 322° reggimento di fanteria americano.

"La massa destinata a rompere il fronte nemico nella fase iniziale della lotta e a sfruttare il successo fu composta di 22 divisioni di fanteria di prima linea, delle quali due britanniche e una francese; Armate: IV (tenente generale GIARDINO), XII (generale GRAZIANI), VIII (tenente generale CAVIGLIA), X (generale Conte di CAVAN); 19 divisioni italiane (15 di fanteria e 4 di cavalleria) e la divisione cecoslovacca erano tenute in seconda linea quale riserva o potenti masse di manovra; queste divisioni costituenti la IX Armata (tenente generale MORRONE) ed il Corpo di Cavalleria (S. A. il CONTE di TORINO) erano alle dirette dipendenze del Comando Supremo.
Conscio della gravità e della grandiosità dello sforzo che stava per richiedere all'esercito, il Comando Supremo, dopo avere atteso con fermezza il momento propizio, si apprestava ormai a lanciare tutte le sue truppe nella lotta, di cui intravedeva i risultati decisivi per l'Italia e per la causa comune degli Alleati ! E la manovra, lungamente meditata, maturata, voluta, doveva, come avvenne, svilupparsi esattamente secondo il disegno prefissato, colpire l'avversario di sorpresa nella direzione più vitale e produrre, senza più rimedio, il crollo dell'intero suo fronte".

Questa fu la relazione sulla carta, a vittoria ottenuta; mentre ora noi, tornando indietro, andiamo direttamente sui campi di battaglia...


.... all'inizio della "grande offensiva" - sul Grappa


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