IL TESORO SABAUDO?
FINÌ DAL RIGATTIERE

Si è parlato tanto, dei documenti, del tesoro sabaudo (CHE SU 366 CASSE STAVANO PER PRENDERE IL VOLO)
e della famosa collezione di monete di Re Vittorio Emanuele III. Anche sui libri storici, di versioni ne ho lette di tutti i colori. Anche un lettore leggendo alcune pagine di "Cronologia", dove accenno ai vagoni spediti da Roma per mettere in salvo il tesoro Sabaudo, mi ha scritto, dicendomi che sono un "credulone", un "fazioso", che ho preso per oro colato quello che è invece una notizia "bufala" messa in giro dai comunisti per screditare ulteriormente i Savoia,
e che "il tesoro che i sabaudi volevano salvare non è mai esistito".


LO SMENTISCO SUBITO! IL CREDULONE SARA' SEMMAI LUI !!

Invece dei libri (spesso sono proprio questi faziosi),
io ho invece l'abitudine per documentarmi di andarmi a leggere i giornali dell'epoca,
che possiedo a tonnellate; e ogni tanto faccio delle scoperte interessanti.
Questa è una di quelle, soprattutto per darmi una risposta a tanti interrogativi.
Questo non significa parteggiare né per una fazione né per l'altra, ma significa solo voler capire.

Dai giornali dell'epoca: FEBBRAIO 1950
Il resoconto fu poi fatto dal settimanale
OGGI, del 6-9 febbraio 1950, dal cronista E. Roda


"In questi giorni (febbraio 1950) alle assise di Milano, si è aperto il processo per i beni Sabaudi, 363 casse su 12 camion, che nel settembre del '43 prima che il Re fuggisse da Roma. Stavano prendendo il volo verso la Svizzera. Furono intecettati dai tedeschi e tutti sequestrati.

Poi a fine guerra a Milano si fece un processo. Significa che la notizia non è una "bufala", ma ha dei inequivocabili riscontri processuali, anche se.... piuttosto singolari.

Così il resoconto del settimanale OGGI.....

"Il principale imputato in questo processo è l'avvocato STEINER. Allora, all'inizio del '44, era stato nominato commissario per la confisca dei beni mobili della casa reale. Cioè del "Tesoro".
Gli altri imputati sono invece vari antiquari di Milano, e vari ricettatori privati.

IL SACCHEGGIO

"E' questo un processo in cui i protagonisti non sono solo gli uomini, ma anche gli oggetti, alcuni preziosissimi come la famosa collezione di monete, documenti della dinastia che in parte erano preziosi documenti della storia d'Italia, poi quadri, gioielli, monili vari, ecc. mentre altri ancora puramente di valore affettivi, come il velo da sposa di Maria José, un cilindro del Conte di Torino, i pizzi della regina Margherita, i nastri funebri di Umberto I ucciso a Monza, il velo di battesimo di Emanuele Filiberto, ecc.
Tutti questi "oggetti" sono passati nelle mani di Steiner, che li ha in parte venduti, e quelli che erano in oro in parte fusi, in parte con accanimento dispersi, venduti ai rigattiri, (ma anche regalati), e in parte salvati ma non si sa da chi.
L 'accusa di peculato che gli viene fatta al processo a Steiner, non sembra però che fu la più appropriata.

"Steiner è piacentino, ex deputato fascista, grande invalido di guerra membro del direttorio del P.N.F durante il ventennio, ha un occhio di vetro, un frammento metallico nel polmone, un apparecchio all'inguine, per cui la sua figura ha una rigidità che lo isola se così si può dire, da chi lo circonda. Steiner scrisse un giorno (inizio 1945) una lettera al sovrintendente delle gallerie di Milano, il quale si lagnava di quella vendita pressoché indiscriminata del patrimonio artistico dei Savoia: "Tutto ormai... investe un campo politico di assai più vasta portata e non conta la sorte di un vasetto o d' una statuina più o meno artistica".

"Il sottosegretario alla presidenza del consiglio, BARRACU, che lo aveva chiamato a quel posto, lo sosteneva con l'appoggio della sua autorità di allora. Steiner vedeva, nei suggerimenti e nelle rimostranze del sovrintendente, un atto di sabotaggio alla repubblica di Salò, una manifestazione di solidarietà verso la casa reale, un tentativo di salvare quel patrimonio per restituirlo al re quando fosse tornato. E si difende ancora oggi dicendo che gli ordini, persino nelle questioni di dettaglio, venivano impartiti dallo stesso Mussolini. E se Steiner eseguiva quegli ordini, era tuttavia certo che in cuor suo li approvava.


Partiamo dall'inizio della storia,
che venne poi fuori al processo di Milano

 

In quel settembre del 1943, i tedeschi del generale Tensfeld ritirandosi dall'Italia meridionale in quella settentrionale, aveva intercettato la colonna di camion e aveva messo le mani su questo tesoro sabaudo che stava per essere messo in salvo dal Re in svizzera. Erano 363 casse, circa 300 quintali di "tesoro".
Casse, che contenevano un po' di tutto, gioielli, oggetti preziosi, dipinti, importanti documenti, ricordi di famiglia e anche la famosa collezione di monete; il tutto - dopo il fermo - era stato trasportato in Alta Italia dentro una villa. Ma più tardi il comando germanico in ritirata nel '45, lasciò il bottino al prefetto di Cuneo; ma non proprio tutto. Metà del tesoro era già sparito.

"Infatti, prima di questa riconsegna, quasi tutte le casse erano state manomesse, specie quelle che contenevano le monete che poi presero il "volo", inoltre le casse non erano tutte. Questo perchè dopo averle inventariate, una parte delle 363 casse (circa 200) erano state lasciate in custodia al prefetto della città, una ventina inviate a Racconigi, le rimanenti (le migliori come contenuto - 135 casse - 170 quintali) furono poi trasportate a Monza e quindi affidate allo STEINER, nominato commissario di quei beni.

"Steiner aveva provveduto a far murare nel sotterraneo del municipio le casse contenenti la preziosa raccolta numismatica del re, e Barracu aveva ordinato che il resto fosse distribuito ai profughi che si trovavano nella zona. Era un gesto demagogico di cui non tardò a pentirsi. Sicché Steiner fu incaricato di inventariare quelle centotrentacinque casse e diede anche poi dei compiti precisi:
a) dell'argenteria e degli oggetti d'oro d'uso comune si facessero lingotti;
b) degli oggetti di qualche pregio artistico si sentisse il parere di un competente prima di destinarli in dono ai musei e alle gallerie d'arte,
c) il resto di venderli ai privati o a commercianti ricavandoci denari.

"Il primo compito per l'avv. Steiner era certamente il più piacevole: provava un'idiosincrasia così morbosa di fronte agli stemmi reali impressi sui calici e sul vasellame di metallo nobile che, ordinando la fusione che avrebbe dovuto livellare quello stemma, gli sembrava di distruggere un po' con le sue mani la monarchia che odiava.

"Per il secondo compito (la stima degli altri oggetti - dove c'era un po' di tutto: dai dipinti alle fotografie, dai bronzi agli ori, dalle pellicce ai gioielli di famiglia, dai soprammobili ai documenti vari), Steiner si era affidato al professor Giorgio Nicodemi, lasciandosi guidare, nella sua scelta, anche questa volta da ragioni politiche: il professor Nicodemi era direttore del museo civico di Milano e Steiner lo aveva preferito al sovrintendente alle gallerie, gerarchicamente più elevato in grado, ma lo riteneva, a ragione o a torto, non un fedele del regime.

"Per il terzo compito, è certo che, quando gli antiquari cominciarono ad accorrere a Monza, Steiner non dovette dispiacere che quell'intimità dei Savoia venisse così brutalmente esposta all'indiscrezione di gente avida ma anche curiosa. Al professor Nicodemi aveva raccomandato di mantenersi "a un livello piuttosto basso di stima", dicendo che egli voleva vendere i beni dei Savoia "a prezzo di commercio e non d'affezione".

"Strano uomo questo Steiner, e pieno di contraddizioni: nei confronti dei beni immobili non aveva esercitato alcuna pressione, mentre permetteva che tutto il personale dell'ex casa regnante rimanesse al proprio posto. Un testimone ricorda persino una sua visita alla duchessa Anna d'Aosta. Invece, nella villa reale di Monza, sembrava preso dalla fretta di disperdere il più presto possibile tutti quegli oggetti che si trovavano sotto il suo controllo.

"Gli acquirenti appartenevano alle più svariate categorie, e qualcuno non sapeva neppure che si trattasse di beni della casa reale, come quel tale ingegnere che, ritornato dalla prigionia, aveva acquistato alcune preziose suppellettili solo perché aveva saputo che alla villa reale a Monza c'era una vendita di "robe usate".

"Al contrario, chi lo sapeva benissimo era la gente del mestiere: antiquari, rigattieri, commercianti di armi antiche, galleristi, collezionisti. Costoro sapevano bene, conoscendo la psicologia del pubblico, che un quadro, una semplice statuetta di bisquit, o un uccello di madreperla dissaldato dal piedestallo, potevano trovare "l'amatore", che li avrebbe pagati dieci volte il loro valore. Erano sentimenti che Steiner non capiva e di cui non poteva neppure dubitare; infatti, nella sua faziosità, gli pareva che quegli oggetti, perché appartenuti ai Savoia, avrebbero dovuto essere considerati dai buoni italiani come lui una "merce del diavolo".

"Un grosso dispiacere l'aveva avuto, per esempio, quando fu costretto a regalare alcuni oggetti, un binocolo al generale Tensfeld; a Barracu un vecchio fucile da caccia, mentre gli arnesi da pesca di Vittorio Emanuele III, erano stati offerti - mentre era a Salò - a Mussolini, il quale -saputo da dove veniva quel bottino- richiese poi insistentemente una cassa di DOCUMENTI che RIGUARDAVANO LA DINASTIA SABAUDA e che sembra lo interessassero molto.
"Non sappiamo se poi gli fu consegnata. Ma sappiamo che quando fu fucilato, Mussolini aveva con sè dei documenti piuttosto compromettenti nei riguardi di Umberto II; ma cos'altro ancora? Mistero!

"Intanto a Milano si era sparsa la voce di queste vendite in cui gli antiquari agivano per conto di terze persone che non amavano far sapere il loro nome. Alcuni - una minoranza però - comperavano con l'intenzione di restituire, il giorno che fossero ritornati i Savoia, ciò che avevano acquistato, magari in cambio di una onorificenza o di un riconoscimento nobiliare. Un industriale di Milano, amico personale dei Savoia, riuscì a recuperare parecchi pezzi di valore. Al Conte di Torino poté restituire alcuni storici oggetti suggerendogli di donarli al Museo della Scala. Ma le sue difficili condizioni finanziarie costrinsero il Conte a rivenderle a un antiquario.

"Il valore degli oggetti posti in vendita, venne talvolta volutamente stravolto: il dipinto "Novembre" di Fontanesi, ad esempio, uno dei famosi quadri saccheggiati al castello di Racconigi, era stato venduto per 30.000 lire a un antiquario il quale aveva trovato subito modo di rivenderlo, si disse, per 1.000.000 di lire. Fra le cose più importanti si accennava a due grandi vasi di Sassonia, a cinque grossi gatti di preziosa ceramica con gli occhi di cristallo, cinesi, con cappello di foglie e testine dondolanti, pappagalli e falconi di Cina, miniature, giade, avori e cammei. Queste rivelazioni erano state fatte da un confidente alla sovrintendenza che avevano messo in allarme gli ambienti artistici di Milano. (o forse si scatenarono invidie fra gerarchi vedendo che Steiner vendeva e incassava denari).

BARRACU-NON POTE' RISPONDERE

"Gli oggetti veramente preziosi che rimasero, per quello che si è potuto in questo processo sapere non erano molto numerosi; anzitutto due vasi di Sassonia che furono stimati dal Nicodemi per 16.000 lire e venduti il giorno successivo per 30.000, mentre la perizia gli ha attribuito un valore di un 1.200.000 lire. Di questi vasi detti "Unicum", alti un metro e trentasei, esistono al mondo soltanto quattro esemplari; sono di porcellana finissima a forma cilindrica, in cui si alternano i colori rosso, oro e verde pisello. Sul piatto della base spicca la sigla A. R. Augustus Rex; appartenevano a Federico Augusto, elettore palatino di Sassonia e furono donati alla repubblica di Venezia verso il 1730. I due vasi poi recuperati, per il momento hanno una funzione decorativa e sono lì sul banco della Corte, uno a destra e uno a sinistra del presidente Marantonio).

"C'era poi una collezione di trecento stampe, un baule di pizzi appartenenti alla regina Margherita, e otto rarissime statuine cinesi di giada, del valore di un milione ciascuna. Queste ultime, acquistate da un privato, per poche lire furono poi donate al museo civico.

"Intorno allo Steiner si erano stretti tre antiquari di Milano, Giovanni Giorgetti, Giovanni, Balzani e Osvaldo Vitali. Balzani acquistò, oltre ai vasi di Sassonia, la collezione di stampe in blocco per 1.200.000 lire: vendute poi a diversi acquirenti, in seguito furono recuperate solo in parte. Giorgetti ebbe per 200.000 lire i pizzi della regina Margherita che rivendette poi a una sua cognata, e il valore storico e sentimentale di questi esemplari impedisce di indicarne il valore con una cifra.

"Nel febbraio del 1945 i tedeschi con un colpo di forza, ordinarono a Steiner di smussare la collezione numismatica (indubbiamente quella in metallo nobile) e l'avevano poi trasportata a Bolzano, celandola nell'edificio occupato dal quartier generale. Steiner si sentì allora un po' meno amico dei tedeschi e, col precipitare della situazione, incominciò a diffidare anche del suo superiore diretto.


"Barracu infatti, gli aveva ordinato (attenzione a quest'ordine!) di tenere a portata di mano la cosa più importante, la valigia contenente l'oro e i gioielli dei Savoia, perché, qualora si fosse dovuto ripiegare dall'Italia settentrionale, cioè fuggire da Milano, il governo repubblichino si sarebbe trasferito in Valtellina. Questa volta Steiner non obbedì. Il 4 aprile ( il 5 mattina iniziava in Italia l'offensiva alleata), accompagnato dalla sua segretaria andò a depositare in banca i valori che gli erano stati affidati. Cosa e quanto esattamente non si sa. Solo Steiner e Barracuda sapevano, e quest'ultimo precipitando la situazione, aveva altro da pensare, stava cercando di salvare la pelle.

"Intanto l'intendenza delle Gallerie aveva protestato presso il ministero dell'educazione e l'avvocatura di Stato (ancora repubblichino) giudicando illegali quelle alienazioni dello Stainer: era così sorto un conflitto all'interno stesso delle amministrazioni dello Stato. Mentre l'autorità giudiziaria ordinava presso i tre principali ricettatori il sequestro di quello che rimaneva presso di loro, ma Steiner si difendeva, richiamandosi alle disposizioni di Barracu.

"Il prefetto di Milano ordinò un'inchiesta, e l'avv. Michele Terzaghi, che ne era stato incaricato, dopo aver sentito le parti, restituì l'incartamento al prefetto con questa annotazione: "Non ritengo che un incaricato del prefetto mi autorizzi a inquisire anche sul sottosegretario alla presidenza: perciò il dilemma è questo: se Barracu confermerà quanto Steiner asserisce, l'inchiesta può considerarsi chiusa; se non lo confermerà, io proporrò il commissario alla confisca dei beni ex reali per la restituzione".

"Questa nota fu fatta il 22 aprile, e Barracu non ebbe tempo di confermare un bel nulla, era già in fuga, e cinque giorni dopo veniva catturato e fucilato dai partigiani insieme a Mussolini a Dongo.
L'inchiesta prefettizia andò in stallo, e solo all'inizio del 1950 si volle riaprire la questione in tribunale.

"Nel frattempo nel breve periodo della luogotenenza, Umberto trattò direttamente, attraverso gli antiquari, il recupero di una parte di quello che era stato venduto. Così egli dovette ricomprare ciò che era suo.

"Si verificarono allora degli episodi grotteschi: venivano restituiti oggetti di nessun valore, che non avevano mai appartenuto ai Savoia, ma che erano stati venduti per tali da antiquari disonesti. Si era cioè giunti al punto di aver messo in circolazione a prezzi "d'affezione" vasi di semplice terracotta a cui la mano inesperta di un dilettante aveva dipinto il nodo azzurro dei Savoia. Qualcuno insomma con questo sistema aveva clonato e moltiplicato gli oggetti.

"In totale, dall'aprile del '45 al marzo 1946 la polizia, per opera soprattutto del professor Giomo, ex partigiano e attuale segretario del partito liberale di Milano, che si trasformò in tenace detective, riuscì a rendere al Quirinale molti oggetti dispersi. Oltre ai vasi di Sassonia vennero anche recuperati, pressoché nella loro totalità, i pizzi della regina Margherita, i quali vennero sequestrati in seguito all'arresto del Giorgetti, avvenuto in una sua villa di Bellagio, dove lui si era rifugiato con gli oggetti acquistati allo Steiner.

"Purtroppo a causa delle precedenti manomissioni effettuate dai tedeschi durante il trasporto del tesoro, fu impossibile valutare con precisione il valore e la quantità di oggetti, nè i danni arrecati dall'amministratore dei beni, e Steiner, nel vendere quelli avuti in consegna. Le indagini fatte sul suo conto non hanno però portato ad alcuna conclusione che possa lasciar credere che Steiner abbia approfittato personalmentre della posizione di cui godeva. Se ha agito ha agito da idealista e con una buona dose di superficialità.

"Steiner, ora in questo processo, come gli altri imputati, si trova a piede libero, e attualmente è impiegato in un negozio di tessuti in corso Garibaldi.
Lui come principale imputato, ha detto al presidente: "L'onesta amministrazione è sempre tale in qualsiasi regime. Il 25 aprile potevo scappare. Non l'ho fatto ..".

"Gli antiquari a loro volta per discolparsi hanno detto "A quei tempi succedevano strane cose. Era la rivoluzione, si vendeva, si comperava. I calici d'argento con lo stemma reale venivano distribuiti ai poveri sulla piazza di Como, gratis. Noi invece, si pagava".
Queste parole non suscitano proteste di sorta perché l'aula è deserta. La parte civile è rappresentata dall'erario, che per ovvie ragioni si trova in una posizione delicata: ed infatti il presidente Marantonio, non si mostra eccessivamente severo.

"L'attuale processo, del resto, sembra più un atto d'accusa verso il passato che una resa dei conti chiesta agli individui, la cui condanna o la cui assoluzione ha un'importanza relativa.

"La vendita, per poche lire, di quelle cose "affettive", rivestono - al di là delle conclusioni del processo- un valore puramente simbolico.

"Purtroppo c'era anche una parte della Storia d'Italia che è finita dal rigattiere".

Non sappiamo cosa, perché mancano circa 70 quintali di oggetti, soprattutto documenti, ivi comprese le famose monete d'oro, che come abbiamo detto in altre pagine, queste furono allora (anno 1950) valutate in circa 2 miliardi di lire, che corrispondono a circa 70-100 miliardi di lire di oggi anni Duemila.

"Ma oltre questo, a Milano, il giorno della "Liberazione", accadde di tutto. Ma non se ne é mai parlato. Sarebbe una offesa ai "resistenti".
"Del resto era passata come "giusta condanna" e finito lo "scenario naturale di una spettacolare bellezza" l'aver appeso a Piazzale Loreto Mussolini & C. Figuriamoci il resto.
Molti commercianti di ogni genere, di passata fede fascista, con l'aria che tirava, - per vendette, per rancori, o per odio al fascismo - ebbero appena in tempo nei giorni e settimane successive di non finire pure loro appesi.
"I loro negozi i "resistenti" non "resistettero" di saccheggiarli. E anche questa mercanzia finì o nelle case dei ladri o dai disonesti rigattieri (di qualcuno si seppe anche i nomi, ma poi erano così tanti, che si depennò tutto).


"Un antiquario per 30.000 lire acquistò un oggetto e aveva trovato subito modo di rivenderlo per 1.000.000 di lire.
Un altro per 16.000 lire il giorno successivo lo vendette per 30.000, mentre la perizia del tribunale gli attribuì un valore di un 1.200.000 lire.
Ci furono migliaia di inquisiti e tutti potevano fare denunzie. Ma poi.......

"Niente paura!! Finì tutto in "tarallucci e vino". Venne "l'amnistia Togliatti" per tutti i reati..... "politici". (!!!)
Inoltre erano troppi, di vario genere, da una parte come dall'altra.
Ne beneficiarono migliaia di fascisti e collaborazionisti, ma anche alcuni partigiani autori di efferati eccidi.


"I processi - del resto - sarebbero stati contro l'intera nazione. Togliatti insomma malgrado tanti difetti sembra che abbia emanato un atto di carattere morale. Anche se non certo gradito a tanti parenti delle vittime da una parte come dall'altra.

"Non sappiamo però fino a che punto fu questa una sua iniziativa. Ma sappiamo che gli anglo-americani, in Italia non volevano infierire sugli ex fascisti. Come in Germania, che con i nazisti usarono il guanto di velluto e solo perché volevano allontanare il comunismo dall'Europa".

Dai giornali dell'epoca: FEBBRAIO 1950
Il resoconto fu poi fatto dal settimanale
OGGI, del 6-9 febbraio 1950, dal cronista E. Roda

 

 

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