IL LIBRO RITROVATO - Aprile 1945: le ultime ore del duce. Sullo sfondo un intrico di vicende misteriose:
l'oro rubato  e il carteggio con il premier inglese, che il dittatore affermava di avere con sé nella fuga



 

 


MUSSOLINI FUCILATO...
 
(ma da chi?)
E PER CHURCHILL
E' SUBITO INCUBO

 

INTRODUZIONE - "Ombre sul lago". Omicidi, un cadavere murato, agguati, contese feroci, sparizioni senza ritorno, caccia all'uomo, agenti segreti, un colossale grisbì che appare e scompare, donne più o meno fatali, amori e morte. Sembra lo schema di un classico giallo. Non lo è. Situazioni e personaggi appartengono alla realtà, sono vissuti e vivono nella storia. In una tranche di storia che comincia a Giulino di Mezzegra, un paese sul lago di Como, dove Benito Mussolini viene giustiziato per ordine del Comitato di liberazione nazionale. E' il 28 aprile 1945. La raffica che abbatte l'ex dittatore chiude l'ultimo atto di una tragedia lunga cinque anni ma apre un giallo storico intricato, cento volte risolto e cento volte rimesso in discussione. Da quel giorno gli studiosi si sono trovati alle prese con tre pesanti interrogativi: chi ha veramente fucilato il duce? chi ha fatto sparire l' "oro di Dongo", quel tesoro scovato nelle auto di Mussolini e soci al momento della cattura? dov'è finito il compromettente carteggio con il premier inglese Winston Churchill, carteggio personalmente conservato fino all'ultimo dal capo del fascismo?

In cinquant'anni le verità apparse nei libri o nelle riviste sono state molte ma poco convincenti: nessuna prova indiscutibile, soltanto una congerie di elucubrazioni spesso suggestive. Con "Ombre sul lago" Giorgio Cavalleri gioca la carta della sua verità. Cucendo una grossa mole di documenti e testimonianze ha costruito un libro di impatto: non ci sentiamo di dire che la sua verità sia quella assoluta ma va ammesso che Cavalleri è riuscito ad essere più convincente di altri. Il lavoro ha un altro merito: pur essendo un testo rigoroso dal punto di vista storico è scritto in chiave narrativa, perciò di lettura chiara... e questo mette alla portata dei lettori non specialisti, ma interessati al tema, una vicenda finora nebulosa e trattata in modo disorganico. ("Ombre sul lago" di Giorgio Cavalleri, - Ed. PIEMME, 1995) 

di FRANCO GIANOLA

Mussolini in fuga con il malloppo. La storia del dittatore finisce con una sequenza da cronaca nera lungo la strada che porta al confine svizzero. Il duce è inquattato in un camion della Flak, la contraerea tedesca, in mezzo a una colonna di disperati (duecento soldati germanici, quasi tutti i membri del governo della repubblica sociale italiana, burocrati ministeriali, gruppi di famiglia con donne e bambini) diretti verso una speranza che non c'è. Il cavalier Benito ha accanto a sé una grossa borsa che sorveglia con nervosa attenzione: è gonfia di documenti politici alla dinamite. A bordo degli altri mezzi, autocarri e macchine civili, bagagli di vario tipo nei quali è nascosto, in ordine sparso, quello che passerà alla storia come l' "oro di Dongo": è costituito da un'incredibile quantità di gioielli, valute pregiate, metalli preziosi.

Dopo il blocco della colonna e la cattura i Mussolini, lo Stato Maggiore della 52a Brigata Garibaldi fa l'inventario ufficiale del tesoro caduto nelle sue mani. Il verbale, ricorda Cavalleri, viene sottoscritto da Pier Bellini delle Stelle (Pedro), Michele Moretti (Pietro) e Luigi Canali (Neri). Il valore supera abbondantemente il miliardo. Sul tavolo del Municipio di Dongo vengono registrati 1.045.880.000 di lire, 169.000 franchi svizzeri, 2.700 sterline di carta, 63.00 dollari, 4.043 monete d'oro, circa 103 chili d'oro, pezzi di argenteria varia, stock di collane, braccialetti e pellicce di lusso, due damigiane di fedi d'oro ("dono" degli italiani alla patria per sostenere la guerra coloniale del 1935) sequestrate poco tempo prima dagli stessi fascisti nella sede di Como. Un bottino che, rapportato ai valori odierni, si aggira fra i cinque e i seicento miliardi di lire. Detratte le parti che nel caos del momento sono state in precedenza "intascate dalle popolazioni rivierasche dell'Alto Lario", annota Cavalleri. Il quale ricorda anche i cento milioni passati nelle mani del comando generale del Corpo volontari della libertà e i quattrocento incamerati dai rappresentanti del Comando Alleato. Che succede poi? Sulla base della documentazione raccolta, l'autore di "Ombre sul lago" scrive che "qualche tempo dopo, al tesoriere del PCI, Alfredo Bonelli, nel quartiere generale di via Filodrammatici (ndr: a Milano) venne affidato da Pietro Secchia il compito di incamerare i proventi del bottino di guerra... L'oro venne venduto e con il ricavato si poté dar corso alle transazioni che il Partito a Milano aveva avviato per realizzare una base finanziaria che avrebbe poi consentito di trasferire le strutture centrali del PCI a Roma.

Alfredo Bonelli ha poi raccontato che, a causa della continua svalutazione della lira, la direzione comunista aveva deciso di investire provvisoriamente il denaro nell'acquisto di immobili, successivamente venduti allorché le strutture centrali del partito vennero appunto trasferite a Roma. L'oro e i denari, ha precisato ancora Bonelli, a Roma servirono a costruire la sede di via delle Botteghe Oscure, ad acquistare la tipografia dell'Unità e un edificio in via Pavia, destinato ad ospitare i funzionari che venivano da fuori". Va ricordato che la vicenda dell'oro di Dongo finì in tribunale e vi rimase per molto tempo. Fu una lunga battaglia. Vinse la politica. 
(C'era il postino di Dongo che sapeva dov'era finito il tesoro, Ma fece una brutta fine. Finì nel lago. Ndr.).

CARTEGGIO MUSSOLINI-CHURCHILL
 CACCIA GROSSA
 "Attenzione a quella borsa, ci sono documenti di grandissima importanza storica". Su un tavolo del municipio di Dongo si stanno affastellando i bagagli dei gerarchi fascisti arrestati da circa un'ora. Di quella borsa, e di un'altra sequestrata al suo aiutante, Mussolini si preoccupa moltissimo: dentro ci sono carte che possono essere usate come arma di trattativa, se scampa alla fucilazione, o come vendetta postuma. Bill, il vice-commissario della 52a Brigata Garibaldi presente all'operazione, s'incuriosisce e spulcia fra i fascicoli. In uno, intitolato "Varie" c'è una poesia del duce dedicata a Claretta Petacci: "Come una nuvola /così io vorrei un mattino / svegliarmi improvviso / sentirmi leggero / perdute le scorie / della materialità / sentirmi vicino / agli esseri cari / liberato lo spirito / ai lidi immortali". Ma c'è anche qualcosa di esplosivo: un carteggio fra Winston Churchill e Mussolini. Un "tesoro politico" che viene affidato alla filiale della Cassa di risparmio di Domaso il 27 aprile 1945. Il giorno dopo inizia già la battaglia per la conquista delle "carte che scottano". Quell'epistolario fa impazzire tutti, Churchill in particolar modo. 

La sua importanza deriva anche dal fatto che contiene diverse lettere del premier, molto imbarazzanti perchè mettono a rischio i rapporti con la Francia, la Grecia e la Jugoslavia : prima del conflitto, mettendo nero su bianco, "Winnie" aveva infatti promesso a Mussolini, per convincerlo a schierarsi con gli alleati contro Hitler, l'intera Dalmazia, il possesso definitivo delle isole greche del Dodeccaneso, di tutte le colonie, della Tunisia e di Nizza (tutti territori che non erano inglesi !). 
A Como calano agenti segreti inglesi e americani. Così Bill e Pedro decidono di trasferire i documenti dalla Cassa di risparmio al parroco di Gera Lario affinché li nasconda in chiesa. Non basta. Questi fascicoli sono armi importanti e lì punta anche la politica. Ma nella notte gli incartamenti vengono sottratti per breve tempo e fotografati nella Fototecnica Ballarate. Presenti all'operazione diversi dirigenti partigiani e Dante Gorreri, segretario della federazione comunista di Como. Ma gli originali del carteggio sono tornati tutti al loro posto o no? E' il buio. 

Accade infatti uno strano episodio che segue una "vacanza" di Churchill sul lago. Il premier, arriva il 1° settembre 1945, contatta diverse persone e riparte il 15 settembre. Soddisfatto. Cosa avvenne quel giorno? Risponde Cavalleri: "Due esponenti del servizio segreto inglese... s'incontrarono nel pomeriggio, alla periferia di Como, con un individuo... Gli esponenti del Field security service ottennero finalmente quanto da tempo cercavano con insistenza. Il loro interlocutore era lo spregiudicato e ambiguo segretario federale del Pci comasco, Dante Gorreri (Guglielmo), definito 'il padrone' dai suoi stessi compagni di partito. Egli aveva con sé un pacchetto nel quale si trovavano gli originali di 62 (sessantadue!) lettere che... Churchill aveva inviato a Mussolini. 
Gli ufficiali inglesi ne entrarono in possesso in cambio di 2 milioni e 500.000 lire". L'operazione venne fatta dietro ordine del Pci. 

Dov'è ora quel che resta dei documenti di Mussolini? Alla domanda di Cavalleri risponde un partigiano che ha voluto mantenere l'anonimato: "... decisi di metterli in una cassetta zincata che sigillai io stesso e che trovai il modo di introdurre nella tomba di una famiglia amica. Circa un anno dopo decidemmo di trovare un nuovo nascondiglio. Così...il 24 giugno 1946 ci ritrovammo in una decina di persone... e consegnammo la cassetta a un sacerdote fidato, che la sistemò in un luogo sicuro, dove si trova ancora oggi. Fra i presenti alla riunione c'era anche l'ingegner Enrico Mattei, presidente dei partigiani di ispirazione cristiana. Di comune accordo decidemmo che soltanto nel 1995, chi di noi si fosse trovato ancora in vita, avrebbe dato l'autorizzazione all'apertura della cassetta...".

CONDANNA A MORTE DI UN AMORE - Fra le "Ombre sul lago" una più cupa delle altre, una love story a tinte fosche travolta dallo scontro fra l'idealismo di un comandante partigiano e la feroce-ottusa ortodossia dell'apparato comunista. In scena anche la corruzione, l'invidia e la gelosia. Una storia d'amore che si chiude con nove omicidi politicamente premeditati. Protagonisti dell'episodio ricordato da Giorgio Cavalleri: Luigi Canali, nome di battaglia Capitano Neri, trentatrè anni, proveniente da una famiglia comunista di Como, reduce dal fronte russo dove ha combattuto nell'Armir come capitano del Genio; lei è Giuseppina Tuissi, staffetta partigiana, pseudonimo Gianna, operaia di ventun'anni, milanese. 
Poco dopo l'armistizio dell'otto settembre, Neri entra nella resistenza, costituisce la 52a Brigata Garibaldi e nella zona del Lariano organizza la rete delle sezioni comuniste che si stende fra Dongo, Domaso, Gravedona, Lenno, Sala Comacina e Lezzeno. Si occupa anche del rifornimento d'armi ai partigiani. Un comandante abile e intelligente. Ma la personalità politica di Neri suscita sospetti, non è in sintonia con la prassi stalinista del suo partito: "... Luigi Canali era il tipo dell'idealista puro - scrive Giorgio Cavalleri - Per lui il comunismo costituiva... la sintesi politica e umana di tutte le sue aspirazioni: libertà per gli individui, giustizia sociale, elevazione delle classi popolari, onestà... In nome di tale visione, quindi, egli si riteneva autorizzato a lottare, anche nelle sue stesse file, affinché prevalessero e trionfassero i valori dei quali si sentiva depositario e portatore." 

Nel settembre del 1944 Neri viene affiancato da Giuseppina Tuissi, che il comando partigiano di Milano trasferisce nel Comasco per sottrarla ai fascisti che, dopo averla individuata, le danno la caccia. Gianna è una ragazza "alta, slanciata, molto graziosa e con gli occhi azzurri". La stretta collaborazione porta verso una inevitabile e appassionata relazione. Si sussurra di gelosie e invidie di alcuni compagni che la ragazza ha in precedenza respinto. Nel gennaio del 1945 "Neri" e "Gianna" vengono arrestati. Torturati, rifiutano di dare indicazioni sull'organizzazione partigiana: questo comportamento verrà confermato in seguito anche dai militi repubblichini presenti agli interrogatori. Tuttavia, quando Neri e Gianna evadono, da Milano parte una strana voce: hanno tradito. La sentenza di morte viene emessa da un improvvisato tribunale presieduto da Amerigo Clocchiatti, un antifascista di vecchia data che negli anni Trenta ha fatto l'università di partito a Mosca. A Como nessuno crede al tradimento, tanto che Canali riprende il suo posto nella 52a Brigata. 

Ma a liberazione avvenuta ha un violento scontro con Dante Gorreri, il segretario "padrone" della federazione comunista comasca: Neri è indignato all'idea che l'oro di Dongo, tesoro di Stato, venga incamerato dal Pci. Il 6 maggio confida alla madre di essere disgustato, deciso a lasciare la politica ma non prima di aver portato a termine una "operazione di importanza fondamentale". Il giorno dopo viene rapito e fucilato. Il corpo è introvabile. Qualcuno dice sia stato murato in un pilastro. Gianna tenta di indagare: la uccidono a revolverate e la buttano nel lago. Ammazzano anche suo padre, deciso a vendicarla. La tragedia si chiude con la "liquidazione" di un giornalista, di tre amiche e due amici di Gianna.

CINQUE PALLOTTOLE PER IL DUCE. 
CHI SPARO'? 

Chi giustiziò Mussolini? Una domanda alla quale finora sono state date risposte troppo diverse per essere credibili. Prima di leggere la risposta data da Cavalleri in "Ombre sul lago", ci sembra interessante dare il risultato di una rapida ma indicativa ricerca fatta su alcuni testi. Ecco le altre risposte "storiche". Racconta Walter Audisio, il famoso colonnello Valerio, comandante partigiano comunista: "Guardava con occhi sbarrati il mitra che puntavo su di lui... su quel corpo scaricai i cinque colpi. La Petacci, fuori di sé, stordita, si mosse confusamente; fu colpita e cadde di quarto a terra. Mussolini respirava ancora e gli diressi, sempre con il Mab, un ultimo colpo al cuore. Erano le sedici e trenta del 28 aprile 1945". ("In nome del popolo italiano", Teti, 1973). Mussolini e la Petacci "cadranno... dinanzi al plotone di esecuzione comandato da Walter Audisio inviato da Milano con l'ordine del Cvl e del Cln per eseguire la sentenza di morte" (Roberto Battaglia, "Storia della Resistenza italiana", Einaudi, 1964). 

"Valerio, d'accordo con i membri del tribunale di guerra Guido, Moretti, capitano Neri e Bill, decise di recarsi a Bonzanigo, accompagnato da Guido e Michele Moretti per dare esecuzione alla sentenza di morte pronunciata nei confronti di Mussolini" (Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza, La Pietra, 1971). Sotto altra voce, nella stessa enciclopedia, c'è il racconto del generale Raffaele Cadorna, comandante del Corpo volontari della libertà: "Gli esecutori furono designati... erano Walter Audisio, nome di battaglia 'colonnello Valerio', e Aldo Lampredi, nome di battaglia 'Guido'. Io personalmente vidi Audisio e Lampredi partire in missione".

Come si vede, a parte la versione di Audisio, che si attiene alla sceneggiatura prescritta dal partito comunista, l'identità del "giustiziere" resta ignota e sul nome e il numero dei comprimari c'è una certa confusione. Con la ricerca di Giorgio Cavalleri, che ha analizzato tutti in testi e i documenti reperibili, la scena di quel nebuloso ventotto aprile sembra diventare più chiara. 

Chi c'era innanzitutto? "Chi compila queste note ritiene... che la vicenda umana di Benito Mussolini e Claretta Petacci si sia conclusa... alla presenza di Walter Audisio, Aldo Lampredi (Guido), di Michele Moretti (Pietro). E, forse, anche se con sicurezza probabilmente non lo sapremo mai, di Luigi Canali, il capitano Neri". 

E chi ha sparato? La risposta è, nelle pagine di "Ombre sul lago", in una lunga intervista a Michele Moretti, commissario politico della 52a Brigata Garibaldi. Chiede, fra l'altro, Cavalleri: "Perché tutti i partigiani con i quali ho parlato mi hanno detto che per loro, fino ai primi giorni del giugno 1945, era scontato fossi stato tu (ndr: le armi di Audisio e di Lampredi si sarebbero inceppate)?. E' stato successivamente, un paio di anni dopo, quando sei tornato dalla Iugoslavia, dove ti eri nascosto per non essere trascinato nella questione dell'oro di Dongo, che era pronta e 'confezionata' la verità 'ufficiale', secondo la quale l'esecutore era stato Valerio". La risposta è sibillina, tuttavia... "E se anche fossi stato io, per te cambierebbe qualcosa?" 

Si ringrazia
per l'articolo
Franco Gianola
direttore di
Storia in Net

 

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