
Il
certificato fu rilasciato per partecipare al concorso
per essere ammessa come insegnante nelle scuole fasciste

in
divisa di fascista partecipa alla riunione del regime
Questa
relazione con "il migliore" oltre che suscitare scalpore
nello stesso partito ("ma cosa c'era bisogno del more
uxorio, poteva -in silenzio- farsela amante e morta lì
"), fece enorme scalpore nelle stesse donne di sinistra,
figuriamoci in quelle bigotte cattoliche!!
Dal
Vaticano Pio XII che considerava il comunismo una minaccia per
tutto il mondo cattolico, li bollò subito "ecco
i senza Dio", " ecco i nemici della Chiesa",
"ecco i nemici della famiglia".
LUI
PER NON PERDERE VOTI RISPOSE CON IL
FAMOSO MANIFESTO CHE ABBIAMO GIA' VISTO
"IL PCI NON E' ATEO"
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I FASCISTI ROSSI
“FASCISTI
ROSSI”
E “NAZIONAL-COMUNISTI”:
È
utile soffermarsi sui fatti che Paolo Buchignani ha portato a
conoscenza del più ampio pubblico con il testo “Fascisti
rossi – Da Salò al PCI, la storia sconosciuta di
una migrazione politica – 1943-1953”( Milano, Mondadori
1998), e in tre saggi apparsi sui numeri 1 e 3 del 1998 e sul
4 del 1999 della rivista “nuova Storia Contemporanea”
(Roma, Luni Editrice).
In
questi testi è documentata la vicenda dei cosiddetti “fascisti
rossi” e dei loro rapporti politici con il Partito Comunista
Italiano nell’immediato secondo dopoguerra.
La
“storia ufficiale” del PCI – e della CGIL, per
quanto ad essa compete – ha steso un discreto velo di silenzio
sui passaggi storici che qui richiamiamo. Il che ci obbliga a
soffermarci sui fatti, non sufficientemente noti nella loro esatta
portata finanche a moltissimi compagni. Ciò non toglie
che la nota che segue non è semplicemente una (utilissima)
ricognizione di carattere storiografico, perché invece
vuole essere ed è uno strumento di battaglia politica che
guarda con attenzione al passato perché è direttamente
rivolta al presente e al futuro.
Antefatto
Si
facilita l’inquadramento storico-politico della questione
richiamando un antefatto decisivo, citato velocemente da Buchignani
e oggetto di approfondimento specifico nel libro di Pietro Neglie
“Fratelli in camicia nera – Comunisti e fascisti dal
corporativismo alla CGIL (1928-1948)” ( Bologna, Il Mulino
1996).
Il
lavoro di Neglie illustra gli sviluppi che ebbero origine dalla
cosiddetta “direttiva entrista” – approvata
dal VI Congresso della Terza Internazionale del luglio-settembre
del 1928 – contenente l’indicazione per i comunisti
italiani di penetrare nelle organizzazioni di massa del fascismo
(con essenziale riferimento al sindacato).
Il
VI Congresso dell’Internazionale Comunista è notoriamente
caratterizzato dalla linea che, in quella fase, individuava come
compito prioritario quello di combattere come nemico principale
la socialdemocrazia; mentre l’indicazione di infiltrare
le organizzazioni fasciste appariva piuttosto come un corollario
secondario rivolto agli italiani.
Se,
però, la cosiddetta “teoria del socialfascismo”
ebbe vita breve, prima di venire rigirata in pochi anni nell’opposta
indicazione del popolar-frontismo senza limiti, l’indicazione
di penetrare le organizzazioni fasciste conobbe invece un seguito
durevole e significativo.
Ciò
in quanto la sua concreta applicazione, di lì a breve e
come conseguenza del generale corso degenerativo del movimento
comunista internazionale, venne a manifestarsi con modalità
e contenuti che contraddicono ogni reale politica comunista che
in determinate fasi sia tenuta ad agire nell’ambito di organizzazioni
di massa reazionarie.
Sicché
si deve dire, con riferimento al “dialogo”
tra “fascisti rossi” e PCI poi concretizzatosi
nell’immediato dopoguerra, che sono stati per primi i “comunisti”
del PCd’I di Togliatti a rivolgersi ai “fratelli
in camicia nera”.
Stiamo parlando, beninteso, del PCd’I che sin dal congresso
di Lione del gennaio del 1926, con il supporto autorevole dei
deliberati dell’Internazionale in via di avanzante stalinizzazione,
aveva messo fuori gioco la corrente di sinistra di Amadeo Bordiga,
largamente maggioritaria nel partito sin dal congresso di fondazione
di Livorno nel 1921.
Dunque
parliamo di un PCd’I in via di mutazione del DNA delle origini
e di involuzione verso quel “partito nuovo” che negli
anni successivi avrebbe modificato sostanzialmente e apertamente
il proprio programma (tra l’altro italianizzando in modo
significativo il nome e introducendo il tricolore nel simbolo:
il nome originario di Partito Comunista d’ Italia –
Sezione della Internazionale Comunista fu trasformato in quello
di Partito Comunista Italiano
dopo il giugno del 1943, quando Stalin e compagnia approvarono
lo scioglimento dell’Internazionale Comunista su richiesta
e come omaggio e pegno di fedeltà ai neo-alleati governi
statunitense e inglese).
Sul
n. 8 dell’agosto 1936 di “Lo Stato Operaio”(rivista
teorica del PCd’I) venne così pubblicato, in uno
slancio di “entrismo”, un manifesto-appello “agli
italiani”, dal titolo “Per
la salvezza dell’Italia, riconciliazione del popolo italiano!”,
firmato da tutti i principali dirigenti comunisti, con Togliatti
primo firmatario.
Ne
riportiamo di seguito i passaggi salienti:
“Noi
comunisti facciamo nostro il programma fascista del 1919, che
è un programma di pace, di libertà, di difesa degli
interessi dei lavoratori, e vi diciamo: lottiamo uniti per la
realizzazione di questo programma...
Fascisti
della vecchia guardia! Giovani fascisti! Noi proclamiamo che siamo
disposti a combattere insieme a voi ed a tutto il popolo italiano
per la realizzazione del programma fascista del 1919, e per ogni
rivendicazione che esprima un interesse immediato, particolare
o generale, dei lavoratori e del popolo italiano.
Siamo
disposti a lottare con chiunque voglia davvero battersi contro
il pugno di parassiti che dissangua ed opprime la Nazione e contro
quei gerarchi che li servono... Solo la unione fraterna del popolo
italiano, raggiunta attraverso la riconciliazione tra fascisti
e non fascisti, potrà abbattere la potenza dei pescicani
nel nostro paese e potrà strappare le promesse che per
molti anni sono state fatte alle masse popolari e che non sono
state mantenute.
Sono
questi grandi magnati del capitale che impediscono l’unione
del nostro popolo, mettendo fascisti e antifascisti gli uni contro
gli altri, per sfruttarci tutti con maggiore libertà.”
Al
riguardo osserviamo che in questo appello la penetrazione nelle
organizzazioni di massa del fascismo viene tradotta in solenne
accettazione del suo programma politico e che ciò avviene
in un contesto di ragionamento in cui gli interessi dei lavoratori
da difendere vengono associati a quelli della nazione (con la
n maiuscola) da liberare.
Vediamo
ancora che i secondi inevitabilmente fanno del tutto premio sui
primi, soprattutto se a tal fine i “comunisti” si
dicono disposti non solo a “riconciliarsi” ma a lottare
“con chiunque”.
Altri – allora e, chissà!, forse ancor oggi –
potranno apprezzare la “penetrante saggezza tattica”
di questo appello.
Noi
vi vediamo invece il ribaltamento di una prospettiva e la confusione
di ogni limite di demarcazione tra programmi nati per contrapporsi
e combattersi, se i “comunisti” possono far proprio
quello fascista del 1919!
Vi
vediamo che nel nuovo programma dei “comunisti” è
spuntata, alla data del 1936 e per l’Italia che –
con la sanguinosa occupazione dell’ Etiopia – veleggia
verso “l’Impero”, la questione della nazione
da liberare da “parassiti e pescicani che la dissanguano
e opprimono” (svilimento dei contenuti della reale e unica
oppressione di classe con un linguaggio che ne sposta il merito
sul tema della nazione e ciò in assenza di riferimenti
a eventuali minacce straniere cui reagire – che, pur ci
fossero, beninteso, non sposterebbero di un grammo il nostro asse
comunista –).
Vi
leggiamo che a tal fine viene dichiarata, accettata, offerta la
disponibilità per ogni frontismo politico (dunque non mero
e necessario entrismo dei comunisti nell’organizzazione
sindacale fascista) e per qualsivoglia alleanza interclassista
(“con chiunque!”).
Indubbiamente
in questo appello c’è la difficoltà del PCd’I
ad organizzare la propria azione politica in Italia, la ridottissima
agibilità in tal senso e – proprio al massimo di
ogni plausibile benevola considerazione...– la tenacia a
non voler abbandonare il campo.
Ciò,
però, non spiega e non giustifica l’evidente snaturamento
di una prospettiva e di un programma che non sono più comunisti,
se ci si rivolge ai fascisti, vecchi e giovani, in nome della
nazione da salvare.
Una
politica che, su queste basi, non ha (non ha più) un programma
comunista proprio cui riferirsi, perché inalbera in modo
penoso e ridicolo il programma fascista!
Invece l’insoddisfazione dei giovani che nelle organizzazioni
del regime si mostravano sensibili ai temi sociali e ai proclami
pseudo-rivoluzionari agitati dal fascismo – insoddisfazione
che il vertice togliattiano del futuro PCI puntava ad intercettare,
con mille ossequi ed attenzioni a non criticare troppo o a non
criticare affatto direttamente il fascismo – avrebbero avuto
bisogno di tutt’altro programma e del corrispondente linguaggio,
posto che quelle inquietudini affondavano le radici in una fase
storica di profonda crisi del capitalismo tuttora irrisolta, e
soprattutto resa cupa alla data del 1936 dalla sconfitta –
peraltro recente e dunque non ancora a quella data definitiva
– della rivoluzione proletaria che aveva tentanto di uscirne
a sinistra, con il conseguente incubarsi, in difetto del rilancio
della prospettiva internazionalista di classe, di altre paurose
guerre fratricide all’orizzonte".
Sennonché
il PCd’I di Togliatti a quella data aveva già archiviato
il programma e il linguaggio del comunismo e, alla vigilia della
nuova immane guerra imperialista (di cui erano visibilissimi i
prodromi nella guerra di Spagna esplosa proprio nell’estate
del 1936), non si sognava minimamente di rilanciare la battaglia
internazionalista di classe e di riorientare la barra in quella
direzione.
In difetto di ciò l’appello “agli italiani”
ad altro non poteva preludere che al lugubre richiamo a serrare
i ranghi del “fronte patriottico” per il futuro intruppamento
nazionale al carro della propria borghesia nella nuova carneficina
imperialista, essendo circoscritto il merito della “battaglia
politica” alla scelta della composizione del fronte borghese
nazionale e della coalizione imperialista cui volersi e doversi
unire.
Peraltro,
secondo il copione ridicolo della continua auto-smentita di se
stessi (già andato in scena sulla “teoria del socialfascismo”
ed espressione anch’esso dell’avvilente smarrirsi
dei confini tra comunismo e ideologia borghese, questa volta sul
piano del metodo), i dirigenti “comunisti” mitigarono
di lì a pochi mesi la formula della “riconciliazione
nazionale” lanciata con tanta enfasi nell’agosto del
1936 e, dietro sollecitazione di Mosca, ne “corressero gli
eccessi” in funzione della necessità di rinsaldare,
ora, un “fronte comune antifascista”.
Nondimeno
possiamo concordare con Neglie nel ritenere – per quanto
ci riguarda a vergogna indelebile di quel vertice– che “le
conseguenze di questa fase si coglieranno compiutamente in seguito...
che allora il PCd’I costruì il primo abbozzo di una
identità nazionalpopolare che recupererà poi nel
periodo della Resistenza, e che, già prima di esso, il
partito bolscevico aveva costruito in seguito all’aggressione
nazista” (Neglie, op. cit. pag. 32).
In
un articolo successivo sempre de “Lo Stato Operaio”
di quel 1936 a firma Grieco si diceva che “popolo e nazione”
sono “termini propri della rivoluzione proletaria, la quale
vince solo in quanto popolare e nazionale”(se ne veda il
riferimento a pag. 32 op. cit.).
Mentre
nel rapporto redatto da Gennari sulla discussione del comitato
centrale di quel periodo (vedi pag. 34 op. cit.) si legge ancora
che il PCd’I “rappresenta la continuità delle
migliori e più pure tradizioni italiane” e che “noi
facciamo nostro il programma del ’19, che è un programma
di democrazia” (vedremo in seguito quando e come sarà
ripresa la formula per noi significativa della “riconciliazione
– con il fascismo, n.n.– sul piano della democrazia”).
Dunque
si può concordare con Neglie (salva la decisiva precisazione
che faremo in seguito) nel ritenere che l’appello “ai
fratelli in camicia nera” segnasse in qualche modo “la
trasformazione del partito comunista... al punto che ci sembra
difficile dire che quando questa linea sarà abbandonata,
il partito ritroverà realmente intatta la proprio fisionomia
rivoluzionaria...
Non
è solo il richiamo all’unità con i fascisti
in buona fede sotto la bandiera del Fronte popolare a determinare
questa metamorfosi; a
ciò va aggiunta la riscoperta dei valori nazionali attraverso
il richiamo all’Italia risorgimentale garibaldina...”
(pag. 33 op. cit.).
Concludendo,
la “direttiva entrista” del 1928 e l’ “appello
ai fratelli in camicia nera” del 1936 sono il
prodromo del dialogo tra “comunisti” e fascisti “di
sinistra” che conobbe fiorente sviluppo nel mutato scenario
del dopoguerra, e sin da allora ne segnano il terreno d’intesa
nella comune professione dell’amor di patria, consono ai
fascisti e di indelebile vergogna per pretesi “comunisti”.
Negli
ultimi anni della seconda guerra e del fascismo il PCI riprese,
dando seguito su queste corde, l’azione di propaganda rivolta
in particolare ai giovani fascisti o comunque influenzati dal
fascismo.
Fino
alla liberazione ciò venne fatto attraverso “Radio
Milano Libera” e quindi su “Rinascita” e su
“L’Alba”(giornale dei prigionieri di guerra
italiani nell’Unione Sovietica), e l’iniziativa di
dialogo vide sempre impegnato direttamente il vertice del partito
e in particolare Togliatti.
Ciò
che accadde nel dopoguerra è una seconda puntata, che,
se si avvalse dell’azione già promossa dal partito
di Togliatti durante il ventennio, si svolse, però, ormai
a parti invertite: nel dopoguerra furono i fascisti “di
sinistra” a rivolgersi al PCI (“...
eravamo noi che ne avevamo bisogno”: così
in una testimonianza dello stesso Ruinas, che ora conosceremo
attraverso la presentazione di Buchignani) e a voler penetrare
l’organizzazione di massa del proletariato che andava (ri)costituendosi
sotto le insegne di quel partito.
*
* *
Fin
qui l' "antefatto"... ma la ricca documentazione continua
e potete conoscerla direttamente dalla fonte originale oppure
dalla copia che ci siamo presi la libertà di riprodurre
qui, per puro scongiuro rispetto alla censura e alla temporaneità
di internet.
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"Togliatti
Guardasigilli"
- Di Arturo Peregalli e Mirella Mingardo - COLIBRI
Edizioni.
Documenti con la D Maiuscola.
AI
PRIMI PRESIDENTI ED AI PROCURATORI GENERALI DELLE CORTI DI APPELLO:
CIRCOLARE
n. 3179 (versione completa)
Roma 29 Aprile 1946
Oggetto:
Procedimenti penali per reati collettivi.
Non
sarà sfuggito all’attenzione delle Signorie Loro
Illustrissime che, specie in questi ultimi tempi, si sono verificate
in molte province del Regno manifestazioni di protesta da parte
di reduci e di disoccupati, culminate in gravissimi episodi di
devastazione e di saccheggio a danno di Uffici pubblici e di depositi
alimentari, nonché di violenze contro pubblici funzionari
ed impiegati ritenuti, a torto, responsabili dell'attuale stato
di disagio in cui versa l'intero Paese.
Tali
manifestazioni che di regola, nelle intenzioni dei partecipanti,
dovrebbero concretarsi in una forma moderata e ragionevole di
protesta collettiva, tollerabile in regime democratico, degenerano
purtroppo, sovente, nel vandalismo e nella violenza sovvertitrice,
e ciò per l'opera nefasta di elementi provocatori e di
delinquenti comuni che, mescolandosi ai dimostranti, li istigano
alla distruzione, al saccheggio ed alla ribellione ai pubblici
poteri, conseguendo in tal modo i loro criminosi intenti.
Il
Ministero dell’Interno ha testé reso noto di aver
impartito severe istruzioni ai Prefetti affinché disordini
del genere siano energicamente repressi dalle forze di Polizia,
che dovranno non solo procedere all'immediato arresto ed alla
conseguente denuncia all'autorità giudiziaria degli autori
dei saccheggi, delle devastazioni e degli incendi, ma altresì
svolgere accurate indagini dirette ad assicurare alla Giustizia
i suddetti agenti provocatori e volgari delinquenti sui quali,
per l'opera di sobillazione svolta, ricadono, evidentemente, le
maggiori responsabilità.
Pertanto
questo Ministero, pienamente convinto dell’assoluta necessità
che una energica azione intrapresa dalla polizia per il mantenimento
dell’ordine pubblico debba essere validamente affiancata
ed appoggiata dall'autorità giudiziaria, si rivolge alle
signorie Loro invitandole a voler impartire ai dipendenti uffici
le opportune direttive affinché contro le persone denunciate
si proceda con la massima sollecitudine e con estremo rigore.
Le
istruttorie ed i relativi giudizi dovranno essere esplicati con
assoluta urgenza, onde assicurare una pronta ed esemplare repressione;
a tal uopo, ove il personale giudiziario destinato alla trattazione
degli affari penali non sia ritenuto sufficiente a corrispondere
a queste esigenze contingenti, si dovrà provvedere ad integrarlo
con magistrati addetti al ramo civile, anche in pregiudizio della
attività giurisdizionale civile e, se ciò non bastasse,
i capi degli uffici giudiziari potranno segnalare la deficienza
di personale a questo Ministero per gli opportuni provvedimenti.
Si
raccomanda infine di procedere, in tutti i casi in cui la legge
lo consenta, con istruzione sommaria o a giudizio per direttissima
e di trasmettere gli atti all'autorità giudiziaria militare
qualora ricorrano le condizioni previste nell’articolo 5
del Decreto legge 10 maggio 1944, n° 234.Si resta in attesa
di urgente assicurazione.
Il
Ministro di Grazia e Giustizia
Palmiro TOGLIATTI
da
http://www.geocities.ws/tensbook/antifascisti%20in%20camicia%20nera.html
........................
Ruolo
e funzione che ebbe Togliatti in quanto Ministro degli interni
(e della "Giustizia") coi Governi Bonomi e De Gasperi
e NON solo nella OSCURA e triste fase della "Costituente"...
ma anche ben Prima: quando dalle colonne di "Lo Stato Operaio"
(n. 8 ) nell'agosto del 1936 fu diffuso un documento sotto "mandamento"
di Palmiro Togliatti firmato da ben 62 dirigenti politici tra
cui lo stesso Palmiro Togliatti, Edoardo D’Onofrio, Ruggiero
Grieco, Celeste Negarville, si faceva appello ai camerati fascisti
in nome di una futura e secolare Tradizione. (dell'Inciucio?).

Palmiro Togliatti, Edoardo D’Onofrio, Ruggiero Grieco, Celeste
Negarville