-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

44. GUERRA CIVILE - LA DINASTIA DEI FLAVI


Galba ----- Ottone ----- Vitellio ----- Vespasiano

Con spirito divinatorio Tacito nell'introduzione al suo grandiosa affresco dell'anno 69 d.C. che vide succedersi quattro imperatori osserva che la catastrofe di Nerone rivelò «il segreto dell'imperio»: la possibilità di arrivare alla somma potestà anche fuori di Roma; in altri termini venne ancora una volta alla luce con spaventosa chiarezza l'origine militare del principato e si presentò il pericolo di un futuro dispotismo militare.
Per primo fu acclamato imperatore a Roma dai pretoriani GALBA, il governatore della Spagna, ma poco dopo costoro, non avendo egli soddisfatto le loro speranze, lo abbatterono e innalzarono al trono OTTONE (sul principio del 69 d.C.), mentre da parte loro le legioni germaniche ancora una volta ribelli contrapponevano all'imperatore nominato dai pretoriani un altro imperatore nella persona di VITELLIO, al quale Ottone fu sopraffatto nel corso dello stesso anno. Al senato altro non rimase che confermare i Cesari nell'ordine con cui vennero imposti dai soldati. La stessa origine ebbe l'imperatore successivo, Flavio VESPASIANO. Egli fu innalzato alla dignità imperiale in opposizione a Vitellio dalle legioni d'Oriente e con l'aiuto delle legioni del Danubio rimase vincitore anche in Occidente (fine del 69).
Anche in questi inconsueti pronunciamenti militari preannunciano quel che sarà l'avvenire dell'impero, che l'indebolimento del potere dello Stato conseguente alla guerra civile provocò subito dei movimenti fra i barbari ai confini, ad es. dei Sarmati e Geti sul Danubio e dei Germani sul Reno, e persino insurrezioni nell'interno dell'impero stesso.

Particolarmente pericolosa divenne l'insurrezione dei barbari del basso Reno capitanati da Giulio Civile e di una serie di popolazioni galliche, per il fatto che vi si associarono non solo popoli germanici nemici dei Romani come Frisi, Catti e Brutteri, ma persino corpi di truppe romane in rivolta. Cosicchè i Druidi poterono proclamare un nuovo impero gallico, l'imperium Galliarum!
A loro parve infatti che gli stessi dei avessero dato ai popoli dimoranti a nord delle Alpi il segnale che era giunto il momento di abbattere il dominio mondiale dei Romani, quando videro nella lotta tra Vitelliani e seguaci di Vespasiano andare in fiamme il tempio di Giove Capitolino (dicembre 69) ; in fiamme quello stesso Campidoglio che era uscito a suo tempo immune dalla conquista gallica! Soltanto la rapida vittoria di Vespasiano impedì un'ulteriore espansione di questa insurrezione nazionale e ripristinò la tran
quillità nell'impero, pace che fu più tardi meglio assicurata dalla stesso Vespasiano con l'incorporazione all'impero e la colonizzazione del paese situato tra il Reno ed il Danubio, i così detti agri decumates, e coi campi trincerati legionari di Strasburgo, Vindobona e Carnuntum (sul confine danubiano).
Anche in Oriente, che da tempo era stato agitato da lotte religiose e di razza, si poté soltanto ora ristabilire la tranquillità. L'odio contro l'oppressiva dominazione romana ed il fanatismo della popolazione giudaica ortodossa, reso più insofferente da promesse messianiche e da numerosi profeti, avevano suscitato in Siria ed in Palestina una formidabile agitazione, che si manifestava con sempre più frequenti esplosioni e da ultimo pose capo ad una aperta rivolta, allorché nell'anno 66 Nerone ordinò di mettere a contributo il tesoro del tempio di Gerusalemme, nell'esigere il pagamento delle imposte.
La strage compiuta a tradimento di truppe romane, le persecuzioni orrende dei Giudei nelle città della Siria e dell'Egitto, specialmente ad Alessandria, le terribili rappresaglie dei Giudei contro i pagani, e finalmente il sanguinoso regime di terrore instaurato dagli Zeloti a Gerusalemme, tutto ciò fece sì che per necessità la lotta contro gli Ebrei assumessi il carattere di una ostinata e lunga guerra di distruzione, la cui durata fu protratta anche di più per la circostanza che le lotte per la successione al trono dei Cesari costrinsero il capo degli eserciti romani, Vespasiano, a rinunziare all'assedio di Gerusalemme e per circa un anno a continuare la guerra. Solo nell'anno 70 il figlio di Vespasiano, Tito, riuscì a prendere Gerusalemme, difesa fino all'estremo dagli Ebrei con l'eroismo della disperazione.
Il tempio di Jeova andò in preda alle fiamme. La città venne quasi completamente distrutta e gli abitanti o uccisi o venduti come schiavi. Finalmente fu imposta ai Giudei di tutto l'impero, invece della contribuzione al tempio, una tassa personale annua a favore del tempio di Giove capitolino. L'arco più tardi eretto in Roma in onore di Tito con le sue raffigurazioni di sacri arredi e dì scene guerresche proclamò al mondo che la profezia allora largamente diffusa in Oriente del dominio mondiale riservato nell'avvenire a Giuda si era rivelata di fronte alla potenza dell'impero altrettanto illusoria quanto le profezie dei Druidi.

Non desta pertanto meraviglia che il regno di Vespasiano sia stato celebrato come una vera e propria restaurazione. E tale fu esso anche sotto altri riguardi; da un lato per la capitale a ragione della avvenuta riedificazione del tempio capitolino e di altri splendidi edifici, come il Colosseo o anfiteatro Flavio, il tempio della Pace, ecc., e dall'altro in certo senso pure per la vita interna dello Stato in ' grazia della redazione concordata fra senato e principe di una specie di carta costituzionale, la « lex de imperio Vespasiani », la quale sotto forma di senatoconsulto stabiliva dettagliatamente i diritti spettanti all'imperatore e cercava quindi di creare anche una certa garanzia contro l'abuso della potestà imperiale. La tavola di bronzo sulla quale era incisa questa legge ebbe la singolare sorte che l'« ultimo tribuno » dei Romani, Cola da Rienzi, ne dedusse le libertà inalienabili del popolo romano!
Vero é peraltro che chi mai poteva illudersi di porre con i paragrafi di una legge dei limiti insormontabili ad una potestà per sua intima natura tendente ad affermarsi come potere assoluto ?
Benché Vespasiano si sia studiato di osservare esteriormente la costituzione e di rispettare i diritti del senato, pure, sia la persistenza di una certa opposizione anche nell'ambiente degli intellettuali, opposizione che provocò l'espulsione dei professori di filosofia, specialmente degli Stoici, e la condanna del capo dell'opposizione in senato, Elvidio Prisco, genero di Trasea Peto, sia più di un atto di ingerenza imperiale nell'amministrazione della giustizia, dimostrarono che anche questo notevole tentativo di una limitazione costituzionale del principato non era riuscito ad ottenere la piena realizzazione dell'ideale dello stato concepito da Augusto.

Tito - Domiziano
Tutto dipese pertanto dalla personalità del monarca; e già nei riguardi di Tito (79-81 d.C.) incontriamo nella letteratura dei dubbi se, qualora avesse regnato più a lungo, avrebbe corrisposto pienamente alle speranze suscitate dai popolari inizi del suo governo. La splendida liberalità ch'egli sfoggiò ad es. in occasione della distruzione di Pompei, Ercolano e Stabia per l'eruzione del Vesuvio dell'anno 79, in occasione di un fiero incendio scoppiato in Roma (80), con l'erezione delle sue grandiose terme ed in molti altri modi, non può assicurarci che egli, che celebrava l'adulazione come la «voluttà del genere umano» non avrebbe per avventura regnando più a lungo deviato per calcare le orme di Nerone.
E pur vero che quello rispetto a lui rimase allo stata di mera possibilità, divenne anche troppo presto una dolorosa realtà per opera di sua fratello Domiziano (81-96). Certo non é conforme ad un equo giudizio storico che, in contrapposto alla figura luminosa di Tito, la storiografia aristocratizzante e le satire di Giovenale ci dipingano Domiziano come un mostro perfetto; opinione che ritorna anche in Tacito ed in parte in Svetonio. Giacché nei riguardi amministrativi il suo principato é certo uno dei migliori. Egli in questa materia prese a modello Tiberio, e Tiberio ricorda la sua accurata amministrazione finanziaria, la sollecitudine per una buona giustizia, il rigido controllo dell'opera dei funzionari e dei governatori provinciali. Se ciò malgrado Domiziano é una delle figure più tenebrose della serie dei Cesari, ciò deriva per l'appunto dal fatto che anch'egli fu preso dalla malattia mentale specifica dei Cesari, la mania dell'onnipotenza. Questo sentimento della propria onnipotenza si rivela in lui già nei procedimenti eccessivi adottati per realizzare la vasta politica di riforme ch'egli volle attuare nei campi più svariati della vita intellettuale, religiosa, sociale ed economica, come ad es. quando allo scopo di proteggere la coltivazione granaria e per ragioni di polizia sanitaria vietò qualsiasi trasformazione di culture a grano in piantagioni a vite e si propose addirittura di distruggere nelle province i vigneti già esistenti!
Per quanto in molti provvedimenti fosse animato da buone intenzioni, come ad es. nel campo della polizia dei costumi, della religione e del culto, ecc., pure la smania di procedere dappertutto inesorabilmente con misure di polizia e con aspre pene indusse ognuno a un un senso di intollerabile oppressione, tanto più che a questo esercizio inasprito della funzione di polizia si unì ben presto un indirizzo apertamente autocratico di sistema di governo.
Quell'assolutismo, che negli altri Cesari si esplicò piuttosto in via di semplice fatto nel loro modo d'agire, Domiziano cerca di rivestirlo anche di una sanzione formale e di diritto pubblico.
Egli mirò sistematicamente a distruggere il principio costituzionale che il senato ed il principe si trovavano a parità di diritti. Quindi nell'anno 84 sì fece conferire la potestà censoria che ridusse completamente nelle sue mani la composizione del senato e degradò quest'ultimo al livello d'un consiglio di Stato nominato dalla corona. E ciò per sempre, poiché se gli imperatori successivi si mostrarono più concilianti verso il senato in quanto rinunziarono formalmente alla censura, pure non si lasciarono più sfuggire il diritto conferito a Domiziano, vale a dire per l'appunto la facoltà sostanziale, quella di nominare i senatori.
Dopo questa degradazione del senato, anche il principio che esso era sottratto alla giurisdizione imperiale non poté più reggere. Se l'opposizione senatoria partiva dalla teoria che il principe non poteva logicamente avere il diritto di vita e di morte su persone che erano suoi colleghi, non é meno vero però che questa teoria non corrispondeva più alla nuova situazione giuridica. E Domiziano infatti stette saldo al suo diritto di esercitare l'ius gladii rispetto a tutti.
Ora è più che evidente quanto una siffatta condizione di cose non potesse a meno d'influire sullo spirito delle discussioni e delle deliberazioni del senato. Esse divennero una pura e semplice formalità, così drasticamente dipinta da Plinio il Giovane nelle sue lettere e nel panegirico di Traiano.
Anche nelle forme esteriori emerge chiara la trasformazione del principato in tirannide, Una concezione dello Stato come quella di Domiziano era incompatibile con l'idea che l'imperatore non fosse altro che il principe, il primo cittadino dello Stato. Egli voleva essere il padrone dello Stato. E benché non abbia osato tuttavia assumere il nome e il titolo di assoluto signore, pure si fece chiamare «padrone e dio» dai funzionari di corte e designare come tale negli editti dei funzionari imperiali, fraseologia questa che poi naturalmente l'adulazione scimiottò senz'altro in prosa ed in poesia, ad es. nelle iscrizioni, e del pari imitò il personale di servizio e la cancelleria.
Tuttavia neppure ora mancò la reazione. L'opposizione aristocratico-repubblicana, che malgrado tutti i gravi colpi ricevuti non era affatto spenta e in parte era alimentata dagli ideali filosofici della Stoa, levò ancora una volta il capo. Le stesse ripetute espulsioni di filosofi dimostrano quanto dovesse esser viva la corrente d'opposizione nell'ambiente dell'aristocrazia intellettuale. Si aggiunsero le continue cospirazioni nell'esercito ed una sollevazione provocata dal governatore della Germania inferiore, Saturnino, che poteva tanto più divenire pericolosa per l'imperatore, in quanto le vittorie di Agricola in Britannia e gli efficaci provvedimenti da Domiziano adottati per allargare ed assicurare i confini del Reno, nella regione del Tauno e del basso Meno, dove fu allora costruita la Saalburg ed il « limes » da Rheinbrohl sino all'Odenwald, furono gravemente oscurati da una serie di insuccessi patiti sul Danubio contro i Daci (guidati da Decebalo), contro i Suevi (Marcomanni) e contro i Sarmati (Jazigi).
Domiziano tuttavia riuscì per il momento ad avere ragione di tutti i tentativi avversari, ma ne subì un contraccolpo permanente. Essi gli lasciarono cioè nell'animo un senso continuo di inquietudine e di timore che il crescente numero di inquisizioni penali e di sentenze di morte non fece che aggravare.

Il terrore che l'aperto assolutismo aveva seminato fra i sudditi ricadde su lui in proporzioni aumentate. Si aggiunga che egli, l'autocrate, nel cui petto si trovavano in lotta continua il sentimento della propria onnipotenza e la paura, di fronte all'inimicizia dell'aristocrazia, si lasciò trascinare sulla china pericolosa della demagogia.
Per assicurarsi la fedeltà della soldatesca concesse alle legioni ed ai pretoriani un notevole aumento di paga, e si studiò di mantenersi favorevoli gli umori delle masse della capitale con elargizioni, feste e costruzioni costose. Le spese poi di questo sistema di governo furono fatte ricadere sull'odiata aristocrazia col mezzo di esecuzioni capitali ingiuste seguite dall'incameramento dei loro beni con le confische.
Così l'autocrazia degenerò in vero e proprio regime del terrore, che generò persino in quelli che circondavano più da vicino l'imperatore, anzi persino nei membri della famiglia imperiale, un senso di costante preoccupazione per la propria vita, che non poteva a meno di metter capo necessariamente ad una catastrofe.
Nell'anno 96 Domiziano cadde sotto i colpi di una congiura dei prefetti del pretorio e dei loro cortigiani. Il senato dannò solennemente la memoria dell'ucciso, fece abbattere le sue statue e dichiarò nulli gli atti da lui compiuti.

A questo punto fu incoraggiata la reazione
ma di questo parleremo appunto nel successivo capitolo


NERVA, TRAIANO, ADRIANO E GLI ANTONINI > >

PAGINA INIZIO - PAGINA INDICE