-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

IL NUOVO PREDOMINIO E LA NASCITA DEI RANCORI


230. 39) - TERMINA L'ERA DI BISMARCK - LE CONSEGUENZE


Il primo (Bismarck) fondò l'impero, il secondo (Guglielmo II) lo portò al disastro.

Da come abbiamo visto nelle precedenti pagine, indubbiamente la condizione della Germania, era peggiorata dal momento che essa conquistò le sue colonie. L'alleanza con la Russia era finita; le relazioni con la Francia e con l'Inghilterra eran diventate più tese; e anche se la Triplice si manteneva, pure c'erano nei Regni alleati delle forti correnti, le quali erano contrarie a prolungarla.
Gli irredentisti in Italia, la cui meta principale era la conquista del Tirolo meridionale e di Trieste, vedevano nell'Austria il nemico naturale. Il movimento radicale giovane ceco combatteva il germanesimo con il maggiore accanimento, e scorgeva nello Zar russo il naturale protettore di tutti gli Slavi.

Certo questo cambiamento non era stato causato per colpa del Governo tedesco; e noi abbiamo visto che Bismarck faceva quant'era possibile per mantenere, anche in mezzo a condizioni mutate, la pace, e per salvaguardare gl'interessi della Germania.
Ma quanto più la Germania si riduceva a contare solo su sé stessa, tanto più gravi divenivano le esigenze, che dovevano imporsi alle sue forze difensive e con ciò anche alla borsa dei contribuenti.
Così la posizione di Bismarck all'interno non poteva rimanere intatta. Fin dalla crisi del 1878 egli non disponeva più di una salda maggioranza nella Dieta imperiale.
All'inizio aveva, come sappiamo, tentato di andare d'accordo con il Centro; ma questo partito, nonostante la benevolenza del Governo nelle questioni ecclesiastiche, non era stato possibile accattivarselo né per le esigenze militari, né per una sana trasformazione del sistema finanziario imperiale.

Anche nella lotta, che diveniva sempre più acuta, del Governo prussiano contro le tendenze polacche nelle province orientali non bisognava calcolare sull'aiuto del Centro. Le elezioni del 1887 dettero ai conservatori e ai nazionali liberali la maggioranza; e il cancelliere cercò di appoggiarsi con opportunismo su ambedue questi partiti. Il cosiddetto "cartello" doveva permettergli una politica coerente; ma conservatori e nazionali liberali non erano per nulla concordi su problemi importanti, soprattutto su quelli riguardanti la cultura, e gli elementi di estrema destra fra i conservatori erano fin dall'inizio mal disposti verso il "cartello".

La salda base del grande cancelliere era in questa difficile situazione l'illimitata fiducia, che egli godeva presso Guglielmo I. La morte del venerato, canuto Sovrano (9 marzo 1888), che aveva, in rara freschezza fisica e spirituale, raggiunto il suo 91mo anno di vita, suscitò nell'intera Germania profondo cordoglio.
Ricordiamo qui che Guglielmo, della dinastia Hohenzollen, era nato a Berlino nel 1797; nel 1861 era diventato re di Prussia. L'anno dopo aveva affidato la cancelleria a von Bismarck, e proprio per merito del "cancelliere di ferro", il 18 gennaio 1871 - a Versailles dopo la clamorosa vittoria sulla Francia - potè essere proclamato imperatore di Germania.

A tutti i Tedeschi il venerando, schietto e disinteressato vegliardo era apparso come il naturale rappresentante della nuova unità tedesca; e il funerale a Berlino si trasformò in un grandioso omaggio di tutti i principi tedeschi e di tutti i popoli.

Con la scomparsa di Guglielmo sembrò chiudersi un'epoca e incominciarne una nuova. Molti aspettavano dal nuovo Imperatore Federico III (1830-1888), che da principe ereditario aveva sempre simpatizzato verso le opinioni liberali, un completo mutamento di sistema e l'immediato congedo di Bismarck.
Ma l'Imperatore Federico era, quando salì al trono, un uomo già mortalmente malato, cui, secondo la previsione dei medici, erano riservate solo poche settimane di vita

Ed é anche dubbio, se egli avrebbe soddisfatto le speranze riposte in lui dai liberali, quando egli fosse stato sano. Poiché Guglielmo era penetrato della grandezza e importanza della posizione dell'Imperatore molto più che suo padre. In ogni modo durante il suo breve regno lasciò in ufficio il Bismarck e gli dette tutta la sua piena fiducia. Ciò apparve soprattutto, quando l'Imperatrice, rispondendo al desiderio della figliola, voleva spuntarla nella questione del matrimonio di lei con il già principe Alessandro di Bulgaria.
Bismarck, che temeva ne sarebbe derivato un peggioramento dei rapporti con la Russia, indusse l'Imperatore a protestare risolutamente contro questo progetto.

In generale il breve regno di un Sovrano gravemente malato non era adatto a provocare mutazioni importanti nella politica estera o in quella interna. Solo la morte dell'Imperatore (14 giugno 1888) e la salita sul trono di Guglielmo II presentò di nuovo il problema, se il Governo dovesse proseguire nella maniera attuale.

L'Imperatore Guglielmo II aveva allora appena 30 anni , e come principe, aveva colto ogni occasione per esprimere apertamente la sua ammirazione per Bismarck. Quando il capo dei conservatori estremi, il predicatore di corte Stocker, nell'autunno del 1888, dette la parola d'ordine che bisognava informare il giovane Imperatore che il Bismarck l'avrebbe guidato nella politica interna su una via falsa, Guglielmo II gli mostrò apertamente il suo disgusto.
Ma un po' per volta i rapporti personali fra l'Imperatore e il Bismarck si vennero raffreddando. L'Imperatore Guglielmo II era una natura passionale e impulsiva e un Sovrano pieno d'idee proprie e di un rigido sentimento del suo ufficio, il quale si sentiva personalmente responsabile di tutto ciò che avveniva sotto il suo governo.
Egli credeva di poter rispondere di questa sua responsabilità soltanto se la politica nelle sue linee generali concordava veramente con le sue opinioni personali. Ormai però appariva sempre più chiaro che il suo pensiero era del tutto diverso da quello di Bismarck. Ambedue erano separati da quasi due generazioni per una differenza d'età di 44 anni; erano cresciuti fra impressioni del tutto diverse, e fra il predominio di correnti politiche del tutto diverse.

L'Imperatore, senza dubbio, molto più del Bismarck sentiva il movimento sociale; come pure, senza dubbio, gli stavano più a cuore i fini di una grande politica coloniale e mondiale che non al cancelliere. Il punto di vista fondamentale di quest'ultimo fu sempre quello di affermare la potenza europea dell'Impero, che riposava sull'esercito, non sulla flotta; gli alleati naturali dell'Impero rimasero per lui sempre Austria e Russia, e fu una delle sue tendenze principali il conservare la pace fra questi due Stati.
L'Imperatore invece tendeva a procedere d'accordo con l'Inghilterra, anzi vedeva negl'Inglesi una nazione apparentata con i Tedeschi e legata loro da eguali ideali.

Già nell'autunno 1889, in occasione di una visita in Inghilterra, aveva, dopo uno sguardo retrospettivo a gesta comuni, brindato ad una futura fratellanza d'armi fra Tedeschi e Britanni. Questa, secondo la concezione del Bismarck, era una politica sentimentale, che non muoveva dagli interessi della Germania, ma da premesse generali, che a lui non sembravano giuste.
Il cancelliere aveva diretto da una generazione la politica dell'Impero tedesco quasi esclusivamente dal suo punto di vista. Per quanto il vecchio Imperatore fosse solito in questioni, che lo riguardavano personalmente, di far prevalere la sua opinione, tuttavia il pensiero di separarsi dal suo grande consigliere era, negli ultimi decenni, del tutto estraneo al suo orizzonte mentale, e se Bismarck poneva la questione di gabinetto, l'Imperatore cedeva, anche se qualche volta a malincuore.

Il nuovo Sovrano, invece pieno di voglia di fare e di energia, non poteva, senz'altro, adattarsi a rapporti simili. Si può ben comprendere che a lui sembrava un'effettiva abdicazione, il dover lasciare nei problemi più importanti la decisione ad un altro uomo, per quanto così benemerito e sperimentato.
Ma anche Bismarck non poteva all'improvviso rinunziare volontariamente alla sua abituale autorità. Egli si sentiva così strettamente legato con l'opera sua, l'unità e la potenza della Germania, e scorgeva nelle idee e nelle tendenze dell'Imperatore così gravi pericoli per la sua creazione, che avrebbe considerato una diserzione andarsene volontariamente e lasciar libero il campo a queste altre idee.

Un contrasto, come a poco a poco qui si formò, non poteva in uno Stato monarchico finire, se non con la ritirata del ministro. Infatti sembra che l'Imperatore fosse già risoluto fino dall'autunno del 1889 a provocare le dimissioni di Bismarck; però procedendo con la maggiore cautela per riguardo ai singolari servizi del cancelliere, alla sua grande popolarità e all'efficacia, che il suo nome esercitava tuttavia anche all'estero, per potere in seguito servirsi ancora in casi, in cui sembrasse desiderabile, del suo consiglio e della sua esperienza.
Soltanto che ottenere una simile soluzione sarebbe stato certo in ogni circostanza arduo, dato il carattere di Bismarck e la profondità dei contrasti; con l'andamento, che presero le cose, fu assolutamente impossibile.

Al principio del 1890 si accumularono le divergenze di opinioni. Nel gennaio si doveva decidere alla Dieta dell'Impero la questione, se si avesse a prolungare la legge contro i socialisti. I conservatori erano risolutamente favorevoli al prolungamento; i nazionali liberali però intendevano di acconsentire al rinnovamento soltanto, se fossero state attenuate certe durezze della legge, e limitati i pieni poteri del Governo per confinamenti ed arresti. Il Bismarck non credeva di poter rinunziare a questi strumenti di polizia; quindi non volle concedere attenuazioni della legge.
La conseguenza fu che tutta la legge andò a picco, e contemporaneamente il famoso "cartello" si sciolse. Poiché i conservatori votarono contro la legge attenuata, mentre i nazionali liberali mandarono a monte il primitivo progetto governativo, la legge contro i socialisti dovette perciò decadere con il 30 settembre 1890.

Questo risultato non corrispose ai desideri dell'Imperatore, il quali, per quanto ne sappiamo, era stato favorevole al prolungamento della legge, anche in forma mitigata. A ciò si aggiunse una più grave divergenza sul concreto sviluppo delle leggi operaie.
Bismarck considerava finita la legislazione sociale con il compimento dell'assicurazione dell'invalidità, malattie e vecchiaia; ma l'Imperatore intendeva vi si aggiungesse una legislazione d'ampio respiro protettiva dei lavoratori.
Le idee dell'Imperatore sono espresse in un ordine al ministro prussiano del commercio, nel quale chiedeva una revisione dell'ordinamento professionale, un regolamento della durata e delle condizioni del lavoro, conformi alle esigenze della salute e della moralità; e voleva fosse concesso agli operai il diritto di sostenere i loro interessi di fronte ai datori di lavoro e al Governo, mediante propri rappresentanti.
Le industrie statali, soprattutto le miniere, dovevano, sotto questo rispetto, essere come un modello; gli stabilimenti privati minerari esser posti sotto la vigilanza statale.

Bismarck non controfirmò quest'ordine. Egli aveva sempre contrastato e combattuto l'ingerenza dello Stato nelle singole industrie, e contro il desiderio dell'Imperatore obiettò che la capacità della concorrenza delle industrie tedesche sul mercato mondiale ne avrebbe sofferto, se si addossassero ancora maggiori carichi agli imprenditorí. A lui riuscì di convincere all'inizio l'Imperatore a convocare una conferenza internazionale, che dovesse deliberare provvedimenti comuni a tutti gli Stati in quel senso; da una procedimento eguale di tutti sarebbero stati annullati i dubbi che Bismarck aveva sollevati rispetto alla capacità della concorrenza delle industrie tedesche.
Egli calcolava che così l'attuazione dei desideri imperiali avrebbe potuto differirsi chissà quando. Verosimilmente quest'intenzione di rimandare la cosa indefinitamente, deve, essere apparsa all'Imperatore se non subito, tuttavia molto presto.

Insomma la situazione era assai tesa, quando il 20 febbraio 1890 sopraggiunsero le nuove elezioni per la Dieta imperiale. I partiti del cartello conservarono solo 133 seggi, di modo che nella nuova Dieta essi non possedevano più la maggioranza. La base della politica bismarckiana era così spostata, e, se si doveva trovare una maggioranza, non gli rimaneva che intendersi con il Centro.
Ma a un accordo con questo partito cattolico suscitava avversione all'Imperatore, come protestante convinto. Il cancelliere non lo ignorava questo, e si dichiarò pronto verso gli ultimi giorni di febbraio a ritirarsi dal suo officio, se l'Imperatore lo desiderava; però osservò che un improvviso ritiro avrebbe suscitato uno spiacevole rumore, e che forse sarebbe stato meglio, se il compito di venire a capo dei nuovi progetti militari fosse rimasto a lui.

Se Bismarck pensasse sul serio - quando il tentativo non fosse riuscito, e lo scioglimento della Dieta imperiale non portasse a nessun altro assetto dei partiti, - di modificare con un colpo di Stato la costituzione dell'Impero e di abolire il suffragio universale, resta solo una ipotesi per l'incompiutezza delle fonti, che fino ad oggi si possiedono.

Negli stessi giorni del dopo elezioni, da varie parti fu consigliato all'Imperatore di licenziare subito il Bismarck per semplificare così la situazione ed evitare un conflitto con la maggioranza della Dieta imperiale; sembra che soprattutto il granduca del Baden si sia adoperato a questo fine; ma anche alcuni ministri lavorarono contro il cancelliere. Bismarck, che se n'accorse, volle usare dei suoi diritti di presidente del consiglio dei ministri prussiano e vietare a questi ministri il loro rapporto personale all'Imperatore senza la propria presenza.

Così il sentimento (autocratico) monarchico dell'Imperatore fu eccitato oltre misura, poiché tale atteggiamento gli sembrò un ingiustificato tentativo del Bismarck d'impedirgli di ricorrere a qualsiasi altro consigliere. Guglielmo chiese che Bismarck gli presentasse lo schema di una disposizione, con cui si sarebbe dovuto regolare in maniera nuova la posizione del presidenti del consiglio di fronte ai singoli ministri, togliendo a lui le facoltà, che fino allora aveva.


Il suo umore sdegnoso fu espresso nel discorso, ch'egli tenne il 5 marzo nella dieta provinciale del Brandeburgo, culminante nella frasi che egli "avrebbe schiacciato chiunque gli ponesse ostacoli sulla sua strada".

Pochi giorni dopo l'Imperatore venne a sapere che Bismarck era entrato in trattative personali con Windthorst, il capo del Centro. Il Windthorst avrebbe posto come condizione per l'appoggio del Centro una attenuazione della legge contro i gesuiti e un completo abbandono delle scuole elementari alla vigilanza ecclesiastica; e fu assicurato che Bismarck si sarebbe dichiarato pronto a riflettere su queste proposte.

L'Imperatore richiamò Bismarck, poiché non riteneva lecito che il cancelliere trattasse una così importante cambiamento della politica interna con un capo-partito prima d'essersi assicurato del suo consenso. Bismarck sostenne con la maggiore energia il suo diritto d'intavolare simili trattative.
A tutto ciò si aggiunse che Bismarck non aveva riferito all'Imperatore notizie della Russia, che annunziavano ammassamenti di truppe alla frontiera russa occidentale, evidentemente perché temeva dalla eccitabilità dell'Imperatore l'ordine immediato di provvedimenti contrari e un peggioramento dei rapporti con la Russia.
Ma l'Imperatore ebbe questa notizia per mezzo del suo gabinetto militare, ed espresse al cancelliere il suo dispiacere che per così lungo tempo non ne fosse stato informato; Guglielmo volle che ne fosse immediatamente avvertita l'Austria e fosse disdetta la sua visita alla corte russa, già annunziata.

Bismarck dichiarò che a lui doveva essere riservato il decidere quali informazioni degli agenti diplomatici avesse a riferire all'Imperatore. Questo fatto sembra desse il colpo di grazia per la decisione dell'Imperatore.
La mattina del 17 marzo egli inviò l'aiutante generale von Hahnke da Bismarck e gli fece porre il dilemma o di presentare immediatamente l'ordine di gabinetto, preteso già dall'Imperatore, sulla posizione mutata del presidente del consiglio dei ministri o di dare le sue dimissioni.
Bismarck chiese un breve periodo per riflettere; alcuni ministri cercarono di far opera di conciliazione, ma invano; e quando fu trascorso quel periodo, Bismarck presentò, dopo una ripetuta esortazione, le sue dimissioni (18 marzo 1890). Le quali furono subito accettate dall'Imperatore; e il cancelliere fu, con la nomina a duca di Lauenburg, congedato dagli uffici che aveva fino allora occupato.

Alla maggior parte del popolo tedesco questo evento giunse del tutto inaspettato, poiché naturalmente dei precedenti contrasti sopra accennati solo un numero ristretto di persone aveva avuto conoscenza. In generale l'opinione pubblica inclinò verso Bismarck.
Non si comprese come l'Imperatore avesse potuto separarsi da un uomo, il cui solo nome per la considerazione della Germania nel mondo valeva più che l'esercito e la flotta.
Grandi ovazioni furono fatte a Bismarck dalla popolazione di Berlino; e l'indignazione dei circoli di corte per questa condotta della popolazione contribuì certo al fatto che Bismarck venne costretto in maniera quasi brutale a sgombrare la sua abitazione in così breve spazio di tempo che gli fu appena possibile di impacchettare ordinatamente gli oggetti ammassativi nel lungo periodo del suo ministero.

Il conflitto fra l'Imperatore e il Cancelliere non poteva finire, se non con il ritiro di Bismarck; ma che il congedo avvenisse così improvviso e accompagnato da tanto brutali circostanze non era necessario, e portò nei rapporti dell'Imperatore con il vecchio cancelliere e anche con il popolo tedesco, per molto tempo, a una grande amarezza. Il
Bismarck si ritirò a Friedrichsruh, risoluto é vero a non tornare al potere in nessuna occasione, ma non rinunciava a contrastare, influendo sulla stampa o sul parlamento, il proseguimento di una politica, che riteneva perniciosa.
Gli articoli che, ispirati da lui, comparivano di tanto in tanto sulle «Hamburger Nachrichten», e i discorsi - che occasionalmente lui faceva alle varie deputazioni che si recavano a visitarlo - con le pungenti critiche suscitavano sempre l'ira del nuovo Sovrano.

Questo astio ebbe la sua più indegna espressione in occasione del viaggio, che Bismarck fece a Vienna nel giugno 1892 per assistere alle nozze di suo figlio; a Berlino fu incaricato l'ambasciatore tedesco a Vienna di badare che il canuto statista fosse completamente ignorato da tutto il mondo ufficiale. Risaputasi la cosa, il popolo tedesco si affrettò a mostrare dappertutto al principe, nel suo viaggio di ritorno, con i più splendidi omaggi come disapprovasse una così simile mancanza di tatto.

Solo una grave malattia di Bismarck portò l'anno dopo, nel 1893, a un'esteriore riconciliazione fra lui e l'Imperatore. Tuttavia questo fatto non modificò per nulla gli umori del Bismarck di fronte al «nuovo regime».
Il vecchio gigante se ne stava pieno d'astio nella solitudine della sua foresta sassone; e poiché non poteva più operare, cercò di esporre ai contemporanei e ai posteri ciò che aveva fatto e voluto, in un grande monumento letterario. I suoi «Pensieri e Ricordi» che, in quanto concernono il periodo anteriore al suo congedo, furono pubblicati subito dopo la sua morte, rap
presentano il suo testamento politico.

I capitoli storici non sono nei particolari sicuri e rivelano i difetti di tutte le «memorie» scritte sulle tracce di ricordi assai remoti; ma, in complesso, l'opera ci dà la più grandiosa e veritiera immagine dello statista Bismarck. Come era stato sempre nella sua condotta, egli é anche quale scrittore unilaterale e privo di scrupoli; e come dalle sue azioni anche dalle pagine della sua opera spira un alito di potente passione politica, attenuata dalla più alta intelligenza pratica. Questa opera forma la degna conclusione della sua vita.

Quando egli morì, (8 anni dopo l'uscita di scena), il 28 luglio 1898, una profonda tristezza colpì tutta la Germania; poiché ognuno sente che il nuovo Impero non possiede nessun statista, neppure lontanamente paragonabile al grande morto.
Ma egli stesso, anche nelle sue ultime disposizioni, espresse il suo astio contro il nuovo regime con l'iscrizione tombale, che si scelse: «Un fedele servitore tedesco dell'Imperatore Guglielmo I».

 

Ma torniamo ora indietro, all' "uscita di scena" del "cancelliere di ferro".
A successore di Bismarck fu dall'Imperatore Guglielmo II, prescelto il generale LEO von CAPRIVI (nell'immagine qui a sx) , che si era segnalato molto sul campo di battaglia come nell'organizzazione della marina; ma nella vita politica non si era fino allora distinto in nessun modo.
Egli ricoprì per quattro anni il più elevato ufficio dell'Impero tedesco. Caprivi era un rispettabilissimo personaggio, un uomo valente nella sua carica, ma nella politica soltanto lo strumento esecutivo degli ordini dell'Imperatore; Guglielmo II assunse la vera e propria direzione volendo affermare la sua vanitosa volontà personale, deciso a governare da solo.

La prima questione di Caprivi fu come potersi assicurare una maggioranza nella Dieta imperiale. Il tentativo di Bismarck di formarla con i conservatori e con il centro fu abbandonato; e il Caprivi cercò di mettere insieme i liberali, che stavano più a sinistra con i vecchi partiti del cartello per formare una maggioranza.
La cosa riuscì temporaneamente, anche se fra grandi difficoltà, poiché i progressisti sotto la guida di Eugenio Richter rimasero sempre diffidenti verso il Governo; solo a poco a poco Caprivi si conquistò anche fra loro una certa fiducia.

Conforme al desiderio dell'Imperatore, fu subito presa in considerazione la formazione della legislazione protettrice degli operai; in seguito furono istituiti tribunali professionali, che risultavano composti di rappresentanti elettivi degli operai e dei datori di lavoro sotto la presidenza di un soggetto imparziale e dovevano essere chiamati come tribunale conciliatore nelle difficoltà fra operai e imprenditori.
Queste leggi non urtarono in nessuna seria resistenza. Fu più difficile spuntarla con i provvedimenti economici che il nuovo Governo credette necessari. Il passaggio della maggior parte dei popoli civili a dazi protettivi elevati rese difficoltoso all'industria tedesca lo smercio dei propri prodotti su i mercati stranieri, a cui essa nella sempre crescente produzione normalmente si dirigeva.

Per ciò il Caprivi decise di allontanarsi dal sistema fino allora seguito e di concludere trattati commerciali con i paesi limitrofi più importanti; egli pensava di garantire all'industria con trattati il più possibile di lunga durata una certa sicurezza di smercio.
Nella maggior parte dei casi bisognò compensare la fissazione di dazi più bassi per gli articoli dell'industria tedesca con l'abbassamento dei dazi tedeschi sui prodotti stranieri, specie sulle granaglie. Contro questi provvedimenti si scagliavano i grandi proprietari terrieri tedeschi, che avevano la loro rappresentanza nei partiti conservatori della Dieta imperiale; essi volevano, - quantunque i cattivi raccolti del 1890 e del 1891 avessero portato un forte aumento del prezzo dei cereali e del pane - mantenere il vecchio dazio sui cereali di 5 marchi per ogni 100 chili; ma il Caprivi riuscì ad ottenere l'appoggio degli altri partiti per le sue idee.

Prima di tutto giunse ad un'intesa con l'Austria-Ungheria. Nel dicembre 1891 erano pronti i così detti trattati commerciali dell'Europa centrale; nel febbraio 1892 entravano in vigore. Ambedue gli Stati si accordavano insieme su una tariffa, valevole fine al 21 maggio 1903, con l'Italia, con la Svizzera e con la Bulgaria.
Questi trattati crearono una zona commerciale media europea, che all'esterno era circondata da una cintura protettiva daziaria, mentre nell'interno di quella non potevano porsi dazi troppo alti.
Negli anni successisi Serbia e Romania vi accedettero; e così fu creato un territorio economico discretamente vasto e oltremodo produttivo. Specialmente si sentiva danneggiata la Russia; poiché per essa rimanevano in vigore nella misura anteriore i dazi sui cereali. Essa fece il tentativo di strappare una modifica
elevando i dazi doganali sulle merci tedesche importate; e il dazio di guerra, così istituito, fra l'impero tedesco e la Russia durò fino alla primavera del 1894.

A lotte parlamentari più aspre portò la richiesta di un ulteriore rafforzamento dell'esercito nell'estate del 1893; la cifra dei militari sotto le armi doveva essere fissata per cinque anni nella misura di 557.000 uomini. Poiché il centro e i progressisti non volevano votare per questa cifra, se non col patto che fosse fissato solo annualmente il numero dei militari sotto le armi, la Dieta dell'Impero fu sciolta.
Il Governo offrì come compenso per la maggiore imposizione finanziaria del popolo la diminuzione della durata dei servizio militare da tre a due anni, che prima era stata per motivi tecnici dichiarata inammissibile, ma che ora doveva introdursi per esperimento, poiché solo a questo modo si sperava di poter ottenere una maggioranza favorevole all'intero progetto.

Nelle nuove elezioni del '94, i partiti del cartello guadagnarono 18 voti, il centro perdette 10 seggi, e i progressisti 32. Quest'ultimo partito si spezzò in due nuovi gruppi: l'unione progressista sotto il Rickert e il partito popolare progressista sotto Eugenio Richter.
Con una maggioranza di 16 voti finalmente fu approvato il progetto sull'esercito. Gli sforzi per conseguire con la nuova maggioranza una riforma dell'ordinamento delle imposte dell'Impero ebbero sotto Caprivi un esito favorevole; l'imposta sulle borse, che fu introdotta per impulso dei conservatori, produsse solo meschini risultati.

Ma il fenomeno di gran lunga più importante dell'éra Caprivi si nota non già nell'Impero, ma invece nella Prussia: dove si cercò di eliminare il tradizionale predominio dell'elemento conservatore ortodosso e di elaborare le istituzioni del paese sulle basi della legislazione Stein-Hardenberg. Già l'assunzione nel ministero prussiano di due personaggi essenzialmente liberali annunziava il nuovo orientamento: cioè del ministro delle finanze Miquel e del ministro dei culti von Goszler.

Ancora nell'autunno del 1890 il Governo si era presentato alla Dieta prussiana con una serie di progetti di legge, connessi fra loro. Il riordinamento delle imposte doveva fondare le finanze della Prussia sostanzialmente sull'imposta sulla rendita, e con l'obbligo di denunziare il proprio reddito e con una più forte partecipazione delle grandi rendite operare una distribuzione il più possibile esatta delle tasse.
L'ordinamento dei Comuni doveva poi nelle province orientali attuare l'autonomia amministrativa, anche se risparmiava il più possibile i tradizionali diritti padronali.
Infine la legge sull'istruzione popolare doveva porre le scuole sotto l'esclusiva vigilanza dello Stato e migliorare le condizioni materiali degli insegnanti. Tutti i provvedimenti progettati significavano un forte avvicinamento al sistema, abbandonato dal Bismarck fin dal 1878.

Ora l'intera politica del Governo tanto nell'Impero, quanto in Prussia suscitò l'opposizione dei conservatori in maniera sempre maggiore. Il Caprivi era costretto a cercare l'appoggio dei partiti medi liberali e occasionalmente addirittura dei democratici sociali, e sempre più alto si levava dall'ala destra il rimprovero che una simile politica violava tutte la tradizioni della monarchia prussiana; si tentava dal punto di vista cristiano di influire sull'Imperatore stesso, rappresentandogli soprattutto il danno all'influsso ecclesiastico sulle scuole come un atto empio.
In realtà il progetto sulle scuole elementari, presentato dal Goszler (ministro dei culti), fu seppellito nella Dieta prussiana da una maggioranza conservatrice-clericale. In conseguenza di ciò il ministro dei culti si dimise, e i conservatori ottennero che nella persona del barone von Zedlitz fosse posto alla testa di questo importante ministero (dei culti) un uomo spiritualmente loro affine.

Invece la riforma tributaria e l'ordinamento comunale furono alla fine approvati con alcune attenuazioni. La maggioranza conservatrice-clericale cercò di regolare la questione scolastica secondo le proprie idee. Il ministro von Zedlitz presentò una nuova legge scolastica nel 1892; nella quale era stabilito che anche i figli dei dissidenti fossero chiamati all'istruzione religiosa nella scuola elementare, e che un commissario ecclesiastico dovesse attestare la capacità all'insegnamento religioso di ogni maestro, approvato dallo Stato.
Poiché nelle scuole, che avevano solo un maestro, questi non poteva impartire, in generale, l'insegnamento, se non possedeva la capacità di insegnare la religione, così di fatto la decisione sulla nomina o meno di un maestro stava nelle mani dei commissari ecclesiastici.

Inoltre era concesso alla autorità ecclesiastica anche il diritto, in qualunque momento, di poter proporre al preside governativo la soppressione dell'insegnamento religioso, appena l'attività di un maestro le sembrasse sospetta. Se così formalmente era mantenuta anche l'ispezione governativa sulle scuole, essa era però sostituita di fatto da una rigida sorveglianza ecclesiastica. Il permesso inoltre, conservato nella legge, di istituire scuole private avrebbe dato alla Chiesa cattolica e a suoi ordini la possibilità di, ovviamente, fondare scuole rigidamente confessionali.

Quantunque il progetto offrisse ai maestri un notevole miglioramento dei loro stipendi, il corpo insegnante tedesco si sollevò contro di esso, come tutti gli elementi liberali di Prussia; e scoppiò una poderosa agitazione. Alla testa della quale si misero le facoltà teologiche protestanti.

Nella Camera dei deputati lo Zedlitz ed il Caprivi stesso litigarono nella maniera più violenta con i liberali, sui quali, fino allora il cancelliere si era pure appoggiato; egli arrivò ad asserire che qui si trattava di una battaglia fra cristianesimo e ateismo (protestanti ateisti??).
Ma, siccome i conservatori e i clericali possedevano l'indiscussa maggioranza, la legge sarebbe stata, senza alcun dubbio, approvata, se il Governo l'avesse mantenuta.
Ma ora per la forte agitazione del paese non solo l'Imperatore stesso era diventato dubbioso, ma anche due dei ministri prussiani, il Miquel e lo Herrfurth, sollevarono la più risoluta opposizione alla legge.
Così l'Imperatore decise d'intervenire personalmente e di ordinare si ritirasse il progetto di legge prima della votazione decisiva. Lo Zedlitz e il Caprivi dettero per ciò le dimissioni; furono accettate quelle del primo; mentre Caprivi fu pregato, per desiderio particolare dell'Imperatore, di conservare l'ufficio di Cancelliere imperiale; fu però esonerato dalla presidenza del ministero prussiano e sostituito con il conte Botho Eulenburg.

Già in occasione di questa lotta il Governo si era trovato sostanzialmente in una situazione simile, come prima del congedo di Bismarck. Il Caprivi si era voluto, tale e quale come da ultimo Bismarck, appoggiare su una maggioranza conservativa-clericale, l'Imperatore l'aveva di nuovo impedito con la sua personale ingerenza; ancora una volta riuscì, quantunque a stento, a ricostituire il cartello.
Intanto diventava sempre più forte la ripugnanza fra i conservatori a procedere di conserva con i liberali; gli agrari fra loro si raccolsero nel 1893 in una speciale unione, la «federazione degli agricoltori», il cui esplicito intento, con discorsi, scritti e agitazioni elettorali, era di contribuire alla vittoria di un orientamento rigidamente agrario e feudale. Né con la fondazione di camere agrarie, né con altri così detti piccoli mezzi il Governo riuscì a rabbonire gli agrari. Poiché non poteva soddisfare la loro speciale richiesta, cioè l'avocazione allo Stato di tutto quanto il traffico granario, gli attacchi dei conservatori contro il cancelliere e il Governo si fecero sempre più astiosi.

Finalmente fu fatale a Caprivi che in un'importante questione si scostò dall'Imperatore. Questi si era, per l'aumento dei voti social-democratici nelle elezioni alla Dieta dell'Impero, convinto essere necessaria una nuova legge contro la sovversione dell'ordine sociale e statale, quindi un rinnovamento della legge antisocialista, non più in vigore da quattro anni.
Il Caprivi non riteneva possibile l'approvazione di una legge eccezionale alla Dieta dell'Impero, e voleva solo un inasprimento degli articoli generici del codice penale contro l'eccitamento politico e sociale.
Il conte Eulenburg dichiarò tutto questo insufficiente e prospettò all'Imperatore che con lo scioglimento della Dieta dell'Impero si poteva ottenere il pieno rinnovamento della legge antisocialista.

Nella stampa ufficiosa si sollevò una acuta battaglia fra i seguaci del Caprivi e dell'Eulenburg, che fu combattuta non sempre urbanamente; e alla fine ambedue chiesero, per provocare una decisione (o io o lui!) il loro congedo.

L'Imperatore si trovò, per la terza volta, dinanzi alla vecchia questione, se egli intendeva di appoggiarsi su una maggioranza conservatrice-clericale, poiché solo con una simile maggioranza sarebbe stata possibile l'attuazione del disegno di Eulenburg.
Anche adesso non vi si poté spingere; quindi stette dalla parte di Caprivi, e accettò le dimissioni di Eulenburg. Ma quello che poi accadde non é stato mai del tutto chiarito.
Sembra tuttavia che le troppe impetuose grida di vittoria della stampa, soggetta all'influsso del Caprivi, abbiano offeso personalmente l'Imperatore e portato ad un violento colloquio fra lui e il cancelliere. La conseguenza fu questa, che anche Caprivi rinnovò le sue dimissioni, che ovviamente furono subito accettate (26 ottobre 1894).

A suo successore venne nominato il principe Clodoveo di Hohenlohe-Schillingsfurst, un vecchio benemerito signore, il quale come campione della tendenza nazionale nel Mezzogiorno della Germania prima del 1870, come inviato a Parigi e luogotenente della Alsazia-Lorena aveva già reso buoni servigi all'Impero; ma però era troppo vecchio e troppo poco indipendente per poter svolgere una propria iniziativa come cancelliere dell'Impero. Egli, nella primavera del 1895, presentò i progetti antisovversivi sostanzialmente nella redazione, che aveva loro data il Caprivi, ma non poté ottenere l'approvazione nella Dieta dell'Impero; poiché il Centro (clericale che più clericale di così non poteva essere) pretese come prezzo del voto l'aggiunta di un articolo, per cui "qualsiasi oltraggio pubblico a Dio, al cristianesimo, alla Chiesa cristiana, alle sue dottrine o usanze dovesse punirsi con la prigione fino a tre anni".

L'accoglimento di questo paragrafo avrebbe colpito con una pena ogni manifestazione un po' libera di opinioni religiose, e fu per ciò respinto dal Governo e dagli altri partiti; e così il Centro votò contro anche gli altri progetti, i quali naufragarono.
L'influsso del Centro cresceva in generale di continuo: il che apparve soprattutto, quando nella primavera del 1895 Bismarck celebro il suo 80° compleanno. Sebbene fra il vecchio Cancelliere e l'Imperatore si fosse giunti a un'esteriore conciliazione, e sebbene il popolo tedesco facesse pervenire al fondatore della sua unità continuamente i segni più vivi della sua gratitudine, in quel giorno la Dieta dell'Impero rigettò la "proposta di congratularsi ufficialmente con lui".

Il Centro, i progressisti e i democratici sociali si trovarono concordi in questa decisione. La conseguenza fu questa, che la presidenza si dimise, e solo due seguaci del Centro e un progressista accettarono la presidenza; a questo punto anche esteriormente era evidente il predominio parlamentare del Centro.
Così, nonostante tutti i destreggiamenti, il nuovo regime si era incagliato nello scoglio, davanti al quale si era trovato Bismarck al momento del suo congedo. Non era riuscito a creare una maggioranza che rendesse possibile un Governo senza il Centro; e la caratteristica del successivo decennio fu il crescente influsso del Centro in tutte le questioni dell'Impero.


Anche nelle relazioni internazionali della Germania si manifestarono le conseguenze del congedo del Bismarck. La politica dell'Imperatore mirava apertamente, pur conservando buoni rapporti con la Russia, a compiere un forte avvicinamento all'Inghilterra. Il primo risultato visibile di questa politica fu il trattato con l'Inghilterra del 1° luglio 1890.
Sansibai, Uganda e Witu furono abbandonati all'Inghilterra; perciò la Germania ottenne la sovranità sulla costa posta davanti al suo territorio dell'Africa orientale e il riconoscimento delle sue pretese di dominio fino ai laghi dell'Africa centrale. Inoltre fu concesso alla Germania un angusto territorio dalla sua colonia dell'Africa occidentale fino al corso superiore dello Zambesi, il così detto « angolo di Caprivi »; e finalmente ottenne l'isola di Helgoland.

Forse questo trattato fu all'inizio giudicato troppo duramente dalla stampa tedesca. Ma é sempre un fatto innegabile che la Germania abbandonò l'emporio commerciale più importante dell'Africa orientale, che era proprio nelle sue mani, e sacrificò agli Inglesi il Sultano di Witu, il quale voleva assolutamente rimanere sotto il protettorato tedesco.
L'acquisto di Helgoland era tuttavia tale da fare una buona impressione sull'animo del popolo tedesco, ma produsse poco profitto pratico.
L'unico vantaggio reale, che conseguì la Germania, fu il riconoscimento che il suo territorio dell'Africa orientale giungeva fino ai laghi. Così il disegno del Rhodes di formare un territorio contiguo inglese dal Capo al Cairo era sbarrato. Il trattato del 1890 rappresentò il prezzo che la Germania ebbe a pagare per l'amicizia inglese; e non fu certo basso.
Ma l'Imperatore fu, per quanto sappiamo, contento dell'avviamento a una alleanza, che corrispondeva ai suoi sentimenti. Egli cercò di collegare sempre più strettamente con l'Inghilterra la Triplice, rinnovata nel 1891. Regolarmente negli anni successivi viaggiò per un lungo periodo in Inghilterra per far visita alla sua nonna, e per rafforzare i legami fra i due paesi. Nei discorsi, che tenne in queste occasioni, insistette con particolare energia sulla parentela etnica fra Inglesi e Tedeschi e si espresse ripetutamente per un saldo accordo nelle questioni internazionali.

Ma nella stessa misura, simile all'intimità fra Inghilterra e Triplice, sbocciò anche l'amicizia fra Russia e Francia. Fino allora lo Zar si era sempre scandalizzato della forma di governo repubblicana e dell'avvicendamento dei partiti a Parigi. La stretta colleganza economica, quale si era formata per i tanti prestiti francesi fatti alla Russia, aveva poi incominciato a far vacillare questa ripugnanza. L'avvicinamento della Germania all'Inghilterra e lo scoppio della già ricordata guerra doganale fra Russia e Germania dettero l'ultimo colpo in favore d'un completo cambiamento nella condotta dell'Imperatore Alessandro.

Il primo visibile segno di questa amicizia fu la visita che una flotta francese sotto l'ammiraglio Gervais fece nel 1891 a Kronstadt; essa fu solennemente salutata dallo Zar. L'autocrate addirittura ascoltò in piedi la marsigliese, l'inno simbolo della Rivoluzione. Lo Zar e il presidente Carnot scambiandosi messaggi telegraficamente si espressero le reciproche simpatie di ambedue i paesi e i popoli. Quando il Gervais fece poi una visita anche a Mosca, un Generale russo gli disse in un discorso in pubblico che la Russia era pronta a prendere le armi, qualora lo facesse la Francia.

Due anni dopo una squadra russa restituì la visita a Tolone; e anche allora i due paesi si scambiarono entusiastici telegrammi. Nel 1895 il ministro francese Ribot chiamò in un discorso lo Zar l' "alleato" della Francia. Parole simili si udirono nei discorsi, che si tennero in occasione della visita di Nicola II a Parigi nel 1896 e della restituzione della visita per parte del Faure in Russia nel 1897.
Fu coniata perfino una medaglia d'oro ricordo:

Da tutto questo esteriore feeling, bisogna ben concludere che esisteva anche un qualche obbligo scritto di ambedue le Potenze l'una verso l'altra. Secondo le assicurazioni della Russia il contenuto di queste stipulazioni era in ogni caso puramente difensivo; ambedue gli Stati volevano assistersi, se fossero stati assaliti, ma non già, se uno di essi iniziasse la guerra.
Sarebbe stato assolutamente anche contro gl'interessi della Russia di mettersi, senza riguardo ai suoi propri bisogni, nella condizione di tale dipendenza dalla Francia da dover fornire illimitatamente aiuti militari in una guerra di rivincita contro la Germania.

Da questo completo spostamento dei rapporti fra le Potenze europee l'Inghilterra ricavò, senza dubbio, il maggiore profitto. Costretta prima alla difensiva, ormai poteva, quando il continente si divise in due gruppi ostili di Potenze, senza esitazioni procedere ad ulteriori ingrandimenti del suo Impero.

L'avanzata della compagnia sud-africana sotto la direzione di Cecilio Rhodes nel paese dei Matabele, dove si supponevano nuovi campi auriferi, portò ad un conflitto fra Inghilterra e Portogallo; poiché i Portoghesi pretendevano il territorio del Centro dell'Africa, posto fra i loro possessi della costa occidentale e quelli dell'orientale, come propria sfera d'influenza.
Una spedizione portoghese nel 1889 era penetrata nel territorio dei Makololo per affermare le proprie pretese. Il console inglese però aveva, all'ultimo momento prima del suo arrivo, innalzato la bandiera britannica. Il maggiore Serpa Pinto, comandante portoghese, non si sbigottì, ma avanzò violentemente contro i capi locali e depredò anche un paio di bandiere inglesi, che si trovavano nelle abitazioni dei capi.

Appena (suonato con la grancassa) la cosa si seppe in Inghilterra, il ministero Salisbury (che non aspettava di meglio) protestò contro questo procedimento e chiese il richiamo immediato delle truppe portoghesi. Quando il Portogallo fece delle difficoltà, il Governo inglese minacciò di rompere le relazioni diplomatiche, se al maggiore Pinto non gli si dava immediatamente l'ordine telegrafico di ritirarsi.
Subito navi da guerra inglesi comparvero sulla costa portoghese, e il Portogallo sotto ormai la minaccia dei cannoni, dovette nel gennaio 1890 acconsentire a cedere. E dovette comunicare alle grandi Potenze che aveva inviato al proprio governatore gli ordini emanati dalla Gran Bretagna.
A Lisbona e ad Oporto si verificarono gravi disordini; il ministero fu rovesciato; ma anche i nuovi ministri non potevano giungere ad un conflitto con l'Inghilterra, poiché nessuna delle altre Potenze si mostrava disposta a mettersi in mezzo.
Il Portogallo ricadde nell'antico suo vassallaggio verso l'Inghilterra; con un trattato il Portogallo dovette rinunziare alle sue pretese sull'Africa centrale e promettere di non alienare niente dei propri territori sudafricani senza il consenso inglese; per i territori a mezzodì dello Zambesi fu concesso all'Inghilterra un immediato diritto di prelazione nella eventuale vendita.

L'intero continente sud-africano a mezzodì dello Zambesi, e a settentrione del medesimo il cosiddetto paese dei Nyassa furono incorporati nell'Impero britannico e assoggettati al Governatore della colonia del Capo come alto commissario del Sudafrica.
Nell'Africa occidentale, mediante un nuovo trattato con la Francia, fu assicurato nell'estate del 1890 l'esclusiva influenza dell'Inghilterra sul Niger inferiore e fu concordata una linea di frontiera fra ambedue le sfere di influenza dall'una e dall'altra parte.
Nell'Africa orientale l'Inghilterra, prescindendo dallo Zanzibar e da Witu, fece ancora delle conquiste sulla costa somala; un trattato con l'Italia fissò il Nilo come confine delle sfere d'influenza d'ambedue le parti, e fece conoscere esplicitamente l'intenzione inglese di riconquistare la valle superiore del Nilo, dove ancora signoreggiva il Mahdi.

Con eguali propositi derivò pure una campagna, che fu intrapresa da Suakin contro le successive divisioni dei dervisci sotto Osman Digma, e portò alla conquista di Tokar per opera degli Inglesi. I dervisci si ritirarono fino al di là dall' Atbara, dove piantarono un accampamento fortificato; tuttavia il comandante inglese non si sentì abbastanza forte per attaccare queste fortificazioni e per marciare su Omdurman.

Successi meno positivi ebbe la politica d'espansione inglese in Asia. La Russia, la quale proprio per il regolamento russo-afgano della frontiera nel 1887 aveva spostato i suoi confini a circa 100 chilometri da Herat, e con la costruzione delle sue linee ferroviarie per l'Asia centrale vi rafforzò considerevolmente la sua posizione.
L'Inghilterra cercò di garantire egualmente i confini indiani con la costruzione di una doppia linea ferroviaria per Kandahar, ma non poté impedire l'avanzata della Russia nel territorio del Pamir, dove stanno le sorgenti dell'Indo e il quale forma per ciò la porta d'ingresso settentrionale dell'India.

Contemporaneamente la Russia iniziò la sua poderosa impresa di aprire al traffico e di dominare l'Asia del nord e dell'est, cioé la costruzione della ferrovia siberiana. Nel maggio 1891 furono iniziate le prime opere di sterro del tracciato.

Nell'India posteriore gli Inglesi si scontrarono prima nel Mekong superiore con i Francesi; questi giungevano dall'Anna, quelli da Birma in quelle regioni, nominalmente soggette al Siam. Anche qui, l'Inghilterra tentò, mediante un trattato col Siam, di assicurarsi la signoria sul Mekong superiore. Ma quando la Francia minacciò un attacco diretto, e inviò le sue navi da guerra dinanzi a Bangkok, il successivo ministero inglese cedette, e concluse con i Francesi un trattato, per cui, la riva sinistra del Mekong era abbandonata alla Francia (ottobre 1893).

Anche nell'evoluzione interna dell'Impero britannico il ministro Salisbury acquistò grande importanza. La questione irlandese non riuscì certamente a risolverla; né l'aggravamento delle leggi coercitive, né i ripetuti sforzi per facilitare gli affittuari irlandesi l'acquisto della terra o per migliorare la loro condizione economica con la diminuzione dell'affitto valsero a calmare gl'Irlandesi, dopo che il Gladstone aveva loro aperta la prospettiva di una completa autonomia; anzi il movimento irlandese di resistenza assunse forme sempre più violente, e il Governo poté dirsi fortunato per due motivi: che il clero fosse calmato dall'atteggiamento del Papa contro la propaganda di violenza sulla popolazione, e che lo scandaloso processo per adulterio contro il caporione irlandese (lui cattolico!!) Parnell portasse ad una scissione del suo partito in parlamento.

All'incontro con il ministro si verificò un sostanziale mutamento in due direzioni rispetto alla pratica dei precedenti Governi conservatori. Innanzi tutto il Salisbury, sotto l'influsso degli unionisti liberali, del cui appoggio non poteva fare a meno, avviò riforme, rispondenti ai loro desideri. In questo modo nel 1888 si venne a capo della legge sull'amministrazione locale, che tolse l'amministrazione nelle contee ai giudici di pace e l'affidò ad assemblee elette da tutti i contribuenti. A questi consigli di contea fu, mediante la legge sui piccoli poderi, conferito il diritto di comprare terre e, divise in piccoli poderi, di alienarle per un prezzo modesto; il ceto dei contadini inglesi quasi scomparso avrebbe dovuto in tal modo ricostituirsi.
Per questo gli unionisti appoggiavano non solo la politica irlandese e quella estera del Governo, ma accettavano anche il loro piano di rafforzamento della flotta e di un più saldo vincolo delle colonie autonome con la madrepatria.

 

Nel 1888 fu rivolta agli ammiragli inglesi la domanda come dovesse esser forte la flotta inglese per potere, in caso di guerra, garantire sicuramente all'Inghilterra il rifornimento di cereali e di viveri. Essi dichiararono che "sarebbe stato possibile, purché la flotta nemica fosse tenuta lontana dal mare aperto e bloccata nei suoi stessi porti". (non era poco !!)
Ma appunto per questi due motivi era necessario che la flotta inglese superasse di un terzo quella nemica. Siccome però bisognava tener conto del caso che eventualmente si dovesse combattere contro due nemici alleati, occorreva che la flotta britannica fosse sempre più forte di un altro terzo delle flotte delle due maggiori
"Potenze marittime, prese insieme". Questa é la cosiddetta "regola delle due Potenze", che da allora é rimasta la norma per la costruzione della flotta inglese.

Le elevate richieste, che in conseguenza di essa il Governo dovette presentare al Parlamento, furono combattute dai liberali con accanimento, ma senza buon successo. Non si può però dar torto agli ammiragli, dato che la flotta inglese non solo doveva servire alla madrepatria, ma anche prima di tutto alla sicurezza delle colonie; le quali fino allora non contribuivano per niente alle spese dell'armata in generale che le proteggeva; e così si sollevò proprio la questione, se non fosse giusto di cambiare registro; d'altra parte bisognava in cambio di un così gravoso aumento di spese, concedere alle colonie un'influenza, fino allora del tutto inesistente, sulla politica dell'Impero.

Tutto questo non era attuabile senza una intesa con le colonie stesse; nell'aprile 1887 Salisbury invitò a Londra gli statisti al potere di tutte le colonie, fornite d'autonomia, e in questa prima conferenza coloniale, la questione della difesa dell'Impero fu presa come punto di partenza per un esame della posizione reciproca della madrepatria e delle colonie.
Ma il pensiero di addossarsi nuovi aggravi al loro bilancio tutt'altro che brillante, non sorrideva davvero agli statisti di queste colonie. I quali sapevano anzi, che la madrepatria doveva mantenere e costruire la flotta nel suo proprio interesse e che essa in caso di un urgente pericolo non le poteva lasciare senza protezione.
Almeno desideravano, se dovevano assumersi un qualche carico per tutto l'Impero, un aumento delle loro entrate, che potevano ricavare soltanto da un mutamento della politica doganale britannica. Il rappresentante della colonia del Capo Hofmeyer, propose l'istituzione di una unione doganale dell'Impero, cosicché tutte le merci importate dall'estero nel territorio di quest'unione dovessero pagare un'aggiunta del 2 % del loro valore; la somma così incassata si sarebbe adoperata per la difesa dell'Impero.
Ciò avrebbe significato per l'Inghilterra una deviazione dalla politica liberista, fino allora seguita, e fu per questo motivo respinta dai ministri inglesi.

Anche una proposta degli Australiani, per cui ogni colonia avrebbe dato la preferenza alle merci inglesi nella propria tariffa doganale, mentre l'Inghilterra avrebbe acconsentito una preferenza alle materie grezze e ai viveri delle colonie in confronto di quelli provenienti dall'estero, naufragò contro lo stesso ostacolo. Quindi anche su questa importante questione non si giunse nella conferenza a nessun accordo; tuttavia fu cosa di grande importanza che questa questione decisiva per l'avvenire dell'Impero britannico vi fosse intavolata e discussa per la prima volta.

Qui apparve appunto dove era la difficoltà fondamentale per una più salda organizzazione dell'Impero; la madrepatria chiedeva una più stretta connessione; le colonie vi erano poco propense anche se avrebbero potuto accettarla solo in compenso di tangibili vantaggi economici; ma concederli non era permesso al Governo inglese causa l'opinione economica, dominante nella madrepatria.
Intanto le trattative ebbero sempre il risultato che la questione non fu più messa a dormire; fu fondata la United Empire Trade League, e anche la già esistente Imperial Federation League intervenne nella discussione delle questioni della politica doganale. Il Salisbury stesso raccomandò nel giugno 1890, quantunque avesse prima dichiarato impossibile fare concessioni nella politica doganale, ad una delegazione di queste unioni di agitarsi, il più possibile, in favore di dazi preferenziali sui cercali, sulla lana e sulla carne, poiché queste dovrebbero diventare le basi di una unione doganale fra l'Inghilterra e le sue colonie.

Queste nuove idee del Governo preannunciavano un secondo periodo dell'imperialismo britannico. Il quale si distingue dal primo ai tempi di Beaconsfield, perché l'espansione esterna dell'Impero britannico e il mantenimento dell'India non costituivano più il nocciolo delle tendenze imperialistiche, ma prima di tutto una più forte connessione, politica ed economica, delle grandi colonie autonome, abitate da popolazione europea, nell'America nordica, nell'Australia, e nell'Africa meridionale.
Indubbiamente tanto il sovraccarico del bilancio, quanto la tendenza del Governo ad una politica doganale protezionista scossero fortemente la posizione del ministero Salisbury.

In larghi strati del popolo si vedeva tuttavia nel libero scambio il fondamento di tutta la prosperità britannica, e non si voleva sapere di cambiare il sistema doganale. Così avvenne che le nuove elezioni, nell'agosto del 1892, produssero una notevole cambiamento nell'assetto del parlamento. Furono eletti 275 liberali, 270 conservatori, 45 unionisti e 80 irlandesi; inoltre comparvero, per la prima volta nel parlamento, 2 socialisti inglesi .

Quindi conservatori ed unionisti, presi insieme, non ebbero più la maggioranza; così pure, d'altra parte, i liberali se presi da soli; potevano solo affermare la loro superiorità insieme con gli irlandesi. Ai quali Gladstone, durante le campagne elettorali, aveva di nuovo promesso l'autonomia; inoltre aveva annunciato ulteriori riforme del diritto elettorale, concessione di diarie ai deputati, una radicale riforma della Camera alta, e l'applicazione del principio dell'autonomia alla Chiesa.

In conseguenza dell'esito delle elezioni il ministero Salisbury si dimise, e il Gladstone ebbe per l'ultima volta l'occasione di mostrare, se egli era in grado di risolvere veramente in maniera soddisfacente la questione irlandese.
La nuova legge sull'autonomia irlandese, presentata ora da lui, concedeva al futuro parlamento irlandese diritti minori di quanto aveva fatto il suo progetto precedente. Inoltre il numero degl'Irlandesi, ammessi nel parlamento inglese, doveva ridursi da 105 a 80, e questi non avrebbero votato, quando si trattava di questioni concernenti esclusivamente l'Inghilterra e la Scozia.
Ma queste attenuazioni non bastarono a rendere accettabile l'autonomia irlandese ai conservatori e agli unionisti. Nella Camera bassa Gladstone riuscì a spuntarla, é vero, con la sua legge, con 40 voti di maggioranza, dopo una tempestosa discussione, che non durò meno di 82 giorni; ma la Camera alta rigettò la legge con 419 voti contro 41.

La Camera alta era assolutamente risoluta a creare il più possibile delle difficoltà al gabinetto Gladstone; anche la legge sulla riforma del sistema elettorale e i progetti in favore dei lavoratori furono senz'eccezione respinti dalla Camera alta.
Gladstone con tutto ciò non avrebbe abbandonato la lotta, se non fosse stato fisicamente molto sofferente. Era quasi ceco e spossatissimo per gli strapazzi dell'ultima lotta elettorale. A tutto questo si aggiunse che in seno al suo gabinetto si manifestarono di nuovo gravi contrasti; infatti, mentre Gladstone, conforme ai suoi precedenti discorsi e alle promesse, spingeva ad una forte diminuzione del bilancio della marina e delle spese per la politica estera, alcuni suoi colleghi, nell'interesse della sicurezza e della potenza dell'Impero, credevano di dover mantenere il piano proposto dal ministero Salisbury.

Quando il Gladstone vide che la sua opinione era in minoranza nel ministero stesso, rinunciò alla presidenza (3 marzo 1894) e si ritirò a vita privata.
Con tutti gli insuccessi della sua politica estera degli anni precedenti e nonostante il naufragio dei suoi disegni irlandesi, egli passava dinanzi agli occhi dei suoi connazionali, in grazia della purezza del suo carattere e della probità della sua gestione politica, come il primo statista di quel tempo.
Ai non inglesi la venerazione, con cui fu trattato alla fine della vita il "Grand old man", sembrerà alquanto esagerata. Ma dentro in quasi tutta la storia dell'Inghilterra dell'Ottocento, lui vi è presente sempre.
Il 19 maggio 1898 Gladstone morì, sulla soglia dei 90 anni, e fu composto nel pantheon dei grandi Britannici, nell'abbazia di Westminster.

A lui subentrò il capo della generazione più giovane fra i liberali, lord Rosebery, discendente da una famiglia di nobiltà scozzese, nato nel 1847. Uomo coltissimo con vaste aspirazioni spirituali, per la tradizione familiare e per inclinazione era stato indotto presto ad accostarsi al partito liberale, e a poco a poco si era formata una sua propria convinzione politica; le sue mire si indirizzavano soprattutto alla elaborazione dell'autonomia amministrativa locale, dell'insegnamento e della soluzione delle questioni sociali.
Sotto la sua guida i liberali attuarono leggi sulla estensione dell'autonomia alle parrocchie e sull'imposta progressiva delle rendite.

Il Rosebery era contrario al piano di una chiusura economica del mondo britannico, per quanto desiderasse un legame politico più stretto delle singole parti. Egli non si scostò per nulla dalle sue opinioni per effetto delle deliberazioni, prese queste da una conferenza delle camere di commercio coloniali in Ottawa (1894) a favore di un dazio preferenziale per le colonie. Rispetto alla politica estera dell'Inghilterra il mutamento ministeriale del 1892 non significò nessun cambiamento decisivo, poiché sotto questo aspetto fin da principio la direzione delle cose la ebbe Rosebery, le cui idee nella politica estera poco differivano da quelle dei conservatori.
Era convinto che la direzione degli affari esteri dovesse essere indipendente, il più possibile, dal punto di vista de' partiti, e diretta esclusivamente conforme gl'interessi generali dell'Impero.


Il contrasto con la Russia e con la Francia seguitò a prevalere e dominò le relazioni asiatiche e africane dell'Inghilterra.
In Asia si riuscì, mediante un aumento del suo appannaggio annuo, a legare più strettamente all' Inghilterra l'emiro dell'Afganistan e con un trattato con la Cina ad assicurare la posizione sul Mecong superiore.


Nel Sudafrica era e rimase l'autentico campione della politica britannica ( < ) CECILIO RHODES. Figlio di un ecclesiastico nato nel 1853 in Hertfrdshire, era giunto a 16 anni, a causa di una malattia polmonare, nell'Africa meridionale per guarire in quel clima caldo e asciutto. Proprio allora erano state scoperte le prime cave diamantifere; il giovane Rhodes partecipò al loro sfruttamento e seppe via via conquistarsi, mediante una straordinaria abilità mercantile e assensa di scrupoli, come pure mediante il suo eminente talento organizzativo, a poco poco una posizione diret
tiva.

La fondazione della «compagnia mineraria de Beers», a cui era fortemente interessato il Rhodes, fu uno dei primi tentativi di trasformare razionalmente l'esercizio delle miniere, fino allora senza un progettato piano; in pochi anni riuscì a questa compagnia d'impossessarsi di tutte le quote delle miniere de Beers. Quindi incominciò la furibonda lotta di concorrenza contro la seconda compagnia, diretta dal Barnato, la quale possedeva la miniera Kimberley; essa finì con la vittoria del Rhodes, e con l'acquisto di tutte le miniere diamantifere per parte della Società Beers (1889).
Ormai la ricerca delle pietre preziose poteva esser fatta secondo un serio progetto e usando tutti i mezzi della tecnica moderna.

Ma questi grandi successi non bastavano ad un uomo come il Rhodes. Poiché sul territorio africano, vi era da supporre altre miniere di diamanti o campi auriferi, e poiché la premessa d'un esercizio industriale bene ordinato erano in ogni territorio le condizioni politiche sicure, egli si fece campione dell'espansione britannica nel Sudafrica, soprattutto dopo che fu diventato anche primo ministro della colonia del Capo.
Abituato a compiere in grande stile tutto ciò che intraprendeva, il Rhodes ebbe l'audace idea di creare una ininterrotta dominazione britannica dal Capo fino al Cairo.

Oltre che con le occupazioni, ch'egli fece nel nord della colonia del Capo, questo grande progetto doveva essere preparato da una linea telegrafica transafricana, cui in seguito far seguire la ferrovia; nel dicembre 1893 il Rodhes incominciò a intraprendere seri preparativi per l'erezione di queste vie di comunicazione.
Ma, siccome il territorio britannico nell'Africa centrale era interrotto dall'Africa orientale tedesca ad est, e dallo Stato del Congo ad ovest del lago Tanganica, era necessario di servirsi di uno di questi territori prr l'attuazione del progetto appena accennato.
Rhodes si rivolse all'inizio alla Germania chiedendole il permesso di mettere la posa della linea telegrafica attraverso il suo territorio e l'istituzione di stazioni militari britanniche a protezione di questa linea.
L'ultima richiesta si spiega considerando che la Germania allora non aveva né autorità né truppe nelle contrade occidentali del suo possesso dell'Africa orientale. Pur tuttavia parve al Governo tedesco, e a ragione, per nulla gradita l'idea di concedere agli Inglesi un tale schieramento protettivo dentro la propria colonia; e così la richiesta di Rhodes fu respinta.

E Rhodes allora si rivolse allo Stato del Congo, e qui la cosa gli riuscì, in realtà, meglio. Lo Stato del Congo, nel combattere i mercanti di schiavi, che ancora dominavano una gran parte del suo territorio, aveva fatto la brutta esperienza che questi erano sempre appoggiati dalla valle superiore del Nilo e trovavano sempre un asilo nel regno del Mahdi.
Per tagliar loro la congiunzione verso il Nilo, lo Stato del Congo desiderava di estendere il suo territorio fino a quel fiume e di fondarvi una stazione militare. Contro simile desiderio l'Inghilterra fino allora aveva temporeggiato, perché considerava la valle superiore del Nilo come una sua sfera d'influenza. Ora riuscì al Rhodes di decidere il ministero ad accondiscendere in questa questione e a permettere a titolo d'affitto la cessione del territorio del fiume di «Bahr el Ghasal» fino alla sua foce nel Nilo. In compenso lo Stato del Congo doveva, egualmente a titolo di affitto, cedere all'Inghilterra una striscia di territorio fra il lago Tanganika e il lago Alberto,
cioè una linea di congiunzione fra il Sudafrica britannico e la valle superiore del Nilo.

Fu conclusa la cessione, a titolo d'affitto; di questa striscia di territorio, perché lo Stato del Congo non era autorizzato a fare cessioni territoriali, e anche l'Inghilterra, come le altre Potenze, si era obbligata nell'atto del Congo a non acquisirvi alcun territorio.
Da questo trattato furono minacciati importanti interessi tedeschi. Una congiunzione economica dell'Africa del nord con quella del sud, scansando la colonia dell'Africa orientale tedesca, ne doveva sminuire il valore, e lo stabilirsi dell'Inghilterra su un territorio, che era espressamente dichiarato neutrale, doveva assolutamente lasciar apparire incerto l'ulteriore destino dello Stato del Congo.
Quest'ultima circostanza suscitò anche le preoccupazioni del Governo francese, il quale possedeva anzi un diritto preferenziale di acquisto sullo Stato del Congo nel caso che la società del Congo si fosse sciolta.
Riconoscendo i comuni loro interessi in questa questione Germania e Francia si unirono in una proposta contro le stipulazioni del trattato fra l'Inghilterra e lo Stato del Congo.

Era la prima volta dalla comparsa del Boulanger che le due nemiche, Germania e Francia si ritrovavano insieme in un atteggiamento concorde in questioni coloniali. Il trattato per l'affitto dovette per ciò essere annullato di fatto, e lo Stato del Congo ottenne, senza dare nessun compenso, un piccolo territorio in affitto sul Nilo superiore, il distretto di Lado, la cui condizione giuridica rimase sempre piuttosto incerta.
L'Inghilterra trovò, a motivo di questa protesta franco-tedesca, per la prima volta dopo un lungo spazio di tempo una resistenza straniera nella sua espansione coloniale.

Contemporaneamente cominciarono anche i Russi ad avanzare nel territorio del Pamir. Sembrava si dovesse ripetere la vecchia situazione del periodo intorno all'80, così spiacevole per l'Inghilterra, quando allora Russia, Francia e Triplice si sostenevano contro l'Impero insulare.
Anche se la stampa inglese in queste occasioni si espresse più spesso contro la Francia che contro la Germania , tuttavia non si può disconoscere che il buon accordo che la Germania aveva stipulato nel 1890 mediante il trattato sullo Zanzibar, vacillasse proprio per questo atteggiamento.

Allo stesso risultato cooperò l'accostamento della Germania alla Russia, che si faceva sempre più caldo, dalla fine della guerra doganale nel 1894 in poi.
La Russia allora dette spiegazioni tranquillanti sul motivo delle sue relazioni con la Francia e promise di usare della sua influenza sulla repubblica per impedire una guerra offensiva contro la Germania.

Il ritiro di Caprivi e la chiamata al potere del principe Clodoveo di Hohenlohe-Schillingsfurst, che aveva grandi possessi in Russia, potevano proprio considerarsi come un passo sulla via dell'avvicinamento alla Russia; anche un complesso di altri minori segnali palesavano la medesima tendenza. La morte dell'Imperatore Alessandro III nel novembre del 1894 e l'ascesa sul trono del figlio NICOLA II (1868-1918), molto più ben disposto verso la Germania, portarono ad un tacito rinnovamento delle antiche buone relazioni fra le due vicine.

Il promo ministro tedesco principe Hohenlohe fece una visita a Pietroburgo, e il ministro russo degli esteri ricambiandola ne fece una a Berlino; le due corti si assicurarono reciprocamente piena fiducia e appoggio nelle questioni internazionali. Ma, come prima la Russia non aveva perdonato ai Tedeschi di cercare di annodare cordiali rapporti con l'Inghilterra, così anche questo sempre più evidente ravvicinamento dell'Impero tedesco alla Russia fu considerato dagli Inglesi come un'aperta ostilità.

Quindi nel corso del 1894 si preparò appunto un nuovo mutamento nella reciproca posizione delle Potenze europee.
Esso tuttavia fu completato dall'efficacia di un fattore del tutto nuovo cioè dalla vittoria dei Giapponesi contro la Cina, e dell'ingresso, prodotto da questo trionfo, dell'Asia orientale nella politica mondiale. Seguì poi (1904) l'attacco giapponese alla Russia, con quest'ultima che, umiliata oltre che perdente, iniziò ad entrare in una profonda crisi; l'ultima dell'impero Russo e del suo Zar.

Si era insomma risvegliato dal suo sonno millenario l'Oriente

segue:

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