-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

IL NUOVO PREDOMINIO E LA NASCITA DEI RANCORI


231. 40) - IL RISVEGLIO DELL'ORIENTE - CINA - GIAPPONE

Nonostante occasionali rapporti fra le civiltà europee e quelle dell'Asia orientale, le une e le altre avevano fino allora condotta un'esistenza del tutto indipendente. Regolari relazioni economiche si ebbero dalla metà del XIX secolo in poi alla periferia della vita asiatica orientale nei porti della Cina e del Giappone, aperti per i trattati; relazioni politiche svolsero fin dal periodo fra il 1870 e il 1880 le ambasciate, che gli Stati dell'Asia orientale mantennero alle corti delle grandi Potenze e queste a Tokio e a Pechino.
Ma l'Asia orientale fino allora non era mai stata considerata e trattata dalle Potenze europee come l'Africa o l'America, cioè come un territorio, che si studiava di sfruttare economicamente e, se possibile, dominare politicamente, a cui però non si concedeva nessuna voce nelle questioni internazionali.

Lo sviluppo interno-del Giappone e della Cina è stato esposto più ampiamente in altre pagine di quest'opera, e qui si può soltanto accennare come i due paesi si sono diversamente comportati riguardo agli influssi europei.
L'apertura dell'Asia orientale al traffico europeo è stata ottenuta in ogni luogo con la violenza e ha portato solo lentamente ad un effettivo contatto di civiltà così profondamente diverse.
Nei territori dell'Asia orientale sono state generate, dall'inizio, per la penetrazione degli Europei perfino delle relazioni, che provenivano dai partiti ostili agli stranieri; il movimento di questo tipo di gran lunga più importante avvenne nel Giappone.


Qui si ribellò un potente partito nobiliare, diretto dai principi del sud, nel 1887 contro il vero dominatore del paese, lo Shogun, e sollevò sugli scudi il Mikado (l'imperatore Misubito) il discendente degli antichi imperatori, che godeva tuttavia venerazione religiosa, ma era di fatto stato spogliato di ogni potere dallo shogun.

Il vero motivo di questo movimento fu il desiderio di ordinare lo sconnesso Stato feudale giapponese in una salda unità politica, e di rafforzarlo così che esso potesse opporre resistenza agli odiati stranieri. Anche dopo la vittoria del Mikado non c'era da pensare a una violenta espulsione degli stranieri, se prima non se ne imparavano a conoscere i loro speciali strumenti della potenza e la loro cultura-costumi.
Solo se si possedevano fucili, cannoni, navi da guerra e ferrovie, si poteva sperare di impedire agli Europei una maggiore penetrazione nel paese; fino a quel momento bisognava evitare ogni conflitto. Quindi il Mikado promise agli Europei il mantenimento dei trattati di commercio conclusi prima. La costruzione di una ferrovia da Tokio a Yokohama (1870) e l'introduzione della posta secondo il modello europeo (1871) furono i primi passi di esperimento sulla strada, che il nuovo Governo voleva battere.

Per organizzare le forze del paese, fu nel 1872 introdotto l'obbligo del servizio militare per tutti e la scuola obbligatoria; e l'esercito venne ordinato sul tipo tedesco.
Come poi alla politica tenne dietro la rivoluzione economica, come fu compiuto il trapasso dall'economia naturale a quella monetaria e alla moderna produzione delle merci, non può essere qui narrato, ci vorrebbero interi volumi che narrano piccole e grandi tappe con una miriade di episodi.
Noi qui partiamo dall'ultima pietra delle riforme politiche costituita dalla introduzione di una costituzione sui modelli europei (11 febbraio 1889).

Quantunque originato da motivi xenofobi e sempre sostenuto dalla mira di conservare l'indipendenza e la individualità spirituale del paese, il movimento riformatore del Giappone condusse di fatto ad un europeizzazione della nazione, in quanto si riferiva alla tecnica e all'organizzazione.
Ma anche dopo si cercò di tener lontano, il più possibile, il capitale europeo e gli industriali europei; piuttosto si inviavano dei Giapponesi all'estero, perché vi imparassero e poi servissero come maestri dei loro compatrioti.

Molto meno importante fu la trasformazione interna della Cina. Qui il traffico con l'estero portò solo all'istituzione di uno stabile consiglio dei ministri di dieci membri, lo tsungli-yamen e di ambasciate cinesi all'estero. Dal 1876 regnava il minorenne Imperatore Cuang-Sii, per il quale la zia, l'Imperatrice Tse-Hi, esercitava il potere. Sotto di lei conseguirono una certa influenza dei personaggi, che nei loro rapporti con gli Europei avevano acquistato una personale conoscenza del mondo estero, come il marchese Tseng, il principe Ciun (padre dell'Imperatore) e soprattutto Li-Hung-Ciang; il quale ultimo godeva l'assoluta fiducia della Reggente; egli ebbe da lei il governatorato della provincia del Cili, in cui si trova Pechino.


Li-Hung-Ciang aspirava per la Cina a qualcosa di simile a quello che avevano fatto i Giapponesi, quindi all'assimilazione di quanto nella cultura europea fosse utile per la Cina, senza rinunziare alla propria civiltà o concedere eccessiva influenza agli stranieri nel paese. Ma egli ebbe a lottare con la sterminata indolenza dei Cinesi di fronte a tutto ciò che è straniero, e con la loro
noncuranza in tutte le questioni politiche e militari.

Anche la grande autonomia dei viceré nelle province rese difficile una riforma dall'alto. Così egli poté ottenere soltanto una parte dell'esercito cinese fosse armato e educato all'europea. Sostanzialmente però la Cina rimase quello che era, mentre il Giappone portava a termine una trasformazione interna di grande importanza.

Le conseguenze si palesarono apertamente, quando nel 1894 fra ambedue i popoli dell'Asia orientale scoppiò la guerra per il predominio sulla penisola di Corea, importante per l'uno e per l'altro.
Influenza cinese e giapponese si combattevano qui già da lungo tempo; un partito riformatore nel paese stesso cercava addirittura un sostegno nel Giappone, mentre i seguaci del vecchio regime si appoggiavano sulla Cina.
Il partito cinese era da lungo tempo più potente; e solo nel 1876 i Giapponesi ottenevano che alcuni porti coreani fossero loro aperti; quanto agli Europei fu permesso il loro accesso dal 1882 in poi.

Poiché la Cina aspirava alla supremazia nella Corea, ma il Giappone contrastava le pretese cinesi, si giunse proprio verso il 1880 a forti contrasti; e solo a fatica allora fu evitata la guerra. Li-HungCiang e il marchese Ito concordarono nel 1885 un trattato, in cui ambedue gli Stati promettevano di ritirare le loro truppe dalla Corea e si impegnavano di non inviarvi truppe senza preavvisare l'altra Potenza. Dopo ciò le cose rimasero calme per un certo tempo nella Corea; solo tentativi degli Inglesi e dei Russi di fare acquisti di terre nella penisola, e l'influenza europea e giapponese cresciuta a causa del traffico spinsero il partito xenofobo ad un nuovo attacco.

All'inizio del 1894 furono spogliati e maltrattati mercanti stranieri, fra cui anche giapponesi; alla notizia del fatto la Cina spedì truppe a ristabilire la tranquillità e di questo provvedimento, conforme al trattato, informò il Giappone.
Ma siccome i Giapponesi non riconoscevano uno speciale diritto della Cina a proteggere la Corea, si arrogarono il diritto di vendicare i torti sofferti dai propri connazionali, e mandarono pure essi truppe in Corea.


Mentre i Cinesi sbarcarono sulla costa occidentale della penisola, i Giapponesi mandarono le loro forze militari sulla costa orientale. Essi raggiunsero la capitale Seul prima dei Cinesi, e si impossessarono delle più importanti posizioni circostanti. Ma soprattutto entrarono e si impossessarono del palazzo dell'imperatore (Nell'immagine a fianco).

Quando la Cina chiese il ritiro delle truppe giapponesi, il Mikado rispose che non avrebbe sgombrato la Corea, finché la Cina non avesse riconosciuto la completa indipendenza del paese, e finché non vi fossero introdotte riforme, che offrissero una sufficiente garanzia contro il ripetersi di violenze.
Poiché la Cina rifiutò queste condizioni, scoppiò la guerra.

A Seul i Giapponesi costituirono subito un ministero concorde con loro, che invocò formalmente l'aiuto giapponese contro i Cinesi. In questa lotta apparve fin da principio quanto i Giapponesi avessero appreso dall'Europa; il loro spirito guerriero, congiunto con la disciplina e l'armamento europeo, ottenne facilmente la vittoria.
A Generali, come lo Yamagata e lo Oyama, e ad un ammiraglio, come il marchese Ito, i Cinesi non avevano da opporre uomini di egual valore. Ancora nell'autunno del 1894 furono costretti a sgombrare la Corea; in ottobre i Giapponesi varcarono il confine fluviale fra Corea e Impero cinese, lo Ialu; contemporaneamente un secondo esercito giapponese per via mare fu gettato sulla costa della penisola del Liaotung e ne occupò i punti più importanti, Talienvan e Porto Arturo.

I Giapponesi respinsero offerte di pace della Cina; presero anche Vaie-hai-vai, e riuscirono nel febbraio del 1895 ad annientare del tutto la flotta cinese, e, nonostante le grandi difficoltà di una campagna invernale, a portare le loro truppe, nella primavera del 1895, così vicino a Pechino che potevano benissimo progettare un assalto diretto alla capitale cinese.

Il pericolo di una completa sconfitta della Cina richiamò l'attenzione delle Potenze europee, interessate nell'Asia orientale, con quel preciso contegno imperialistico.
Ma con stupore videro levarsi una Potenza militare mongolica, la cui completa vittoria poteva minacciare tutta la posizione, fino allora occupata dagli Europei nell'Asia orientale e nel Mare del Sud.

Già prima delle battaglie decisive, nel l'autunno del 1894, l'Inghilterra aveva sollecitato un procedimento di mediazione in comune; il quale, per quanto sappiamo, andò a monte per la opposizione della Germania. L'intesa fra l'Inghilterra e la Germania, già compromessi per i contrasti africani fu per ciò del tutto distrutta.
L'Inghilterra, verso la fine del 1894, si impegnò, nella maniera più impressionante, per conseguire l'amicizia della Russia e della Francia. La stampa governativa londinese spingeva a un amichevole accomodamento con la Francia sul Madagascar, Siam, Egitto e sull'avvenire dello Stato del Congo.
Ai Russi nel novembre del 1894 furono acconsentite, in un trattato sull'altopiano del Pamir, quasi tutte le loro pretese. Contemporaneamente lord Roserbery nel suo discorso al banchetto del Lord Mayor, insisté che egli aspirava ad un procedere concorde dell'Inghilterra con la Russia e la Francia nell'Asia orientale; che i rapporti con la Russia erano cordiali, con la Francia amichevoli; anche nelle questioni balcaniche si cercò allora di procedere di comune accordo con la Russia.

I Russi furono soddisfatti do questo trattamento amoroso dell'antico rivale; accettarono anche volentieri i vantaggi offerti; ma non si impegnarono a procedere d'accordo con l'Inghilterra nell'Asia orientale.
La politica estera russa fu allora diretta secondo un piano unitario e di grande stile, il cui autore ben difficilmente é stato lo Zar stesso; il suo scopo era di ottenere una condizione preminente nella Cina settentrionale e un porto libero dai ghiacci nell'Oceano Pacifico come punto estremo della ferrovia siberiana. La Russia seppe conseguire l'appoggio della Germania e promise di non voler far nulla contro l'acquisto d'una stazione carboniera tedesca e di un punto d'appoggio per la flotta sulla costa dell'Asia orientale.
Poi anche Francia e Spagna furono indotte ad accostarsi all'azione concepita a Pietroburgo.

Non é stato mai chiarito, se il Giappone cedette appunto a una pressione di queste Potenze, quando nel marzo del 1895 fece ai Cinesi la concessione, fin allora sempre rifiutata, di mandare inviati a una conferenza per la pace a Scimonosecchi.
Ma questo é certo che le trattative condotte qui furono sempre più sotto l'influsso degli Europei. La Russia si atteggiò a generosa protettrice del vinto Impero cinese con l'intento di farsi profumatamente pagare questo servizio.
Li-Hung-Ciang, che rappresentava la Cina, tenne infatti il più stretto contatto anche con i Russi.

I Giapponesi misero all'inizio elevate pretese, ma doverono sotto la pressione delle quattro Potenze sempre più ridurle, poiché non osavano ancora arrivare ad un conflitto con gli Europei.
Il 17 marzo 1895 si conclusero a Scimonosecchi preliminari di pace, che fissarono l'indipendenza della Corea dalla Cina, e obbligarono quest'ultima a cedere l'isola di Formosa e la più gran parte della penisola del Liaotung; inoltre la Cina doveva pagare una notevole contributo di guerra e lasciare ai Giapponesi Vai-hai-vai fino al completo pagamento del
medesimo.
Ma anche queste stipulazioni parvero alle Potenze europee troppo favorevoli. Esse insisterono che il Giappone non potesse ottenere nessun possesso sul continente dell'Asia orientale. Dopo una lunga e decisa resistenza il Giappone si rassegnò, rinunziò al Liaotung e a Vai-hai-vai e promise di non introdurre nessuna limitazione alla navigazione sulla via di Formosa.

Dopo il ristabilimento della pace i promotori ottennero il premio dalla Cina. La Francia ricevette nelle province limitrofe al suo Impero dell'India posteriore importanti privilegi e una favorevole definizione della frontiera indocinese; la Germania per i propri sudditi il diritto di domiciliarsi in Hancau e in Tiensin; ma la Russia ebbe la parte del leone. Essa fece da intermediaria ai Cinesi sul mercato monetario europeo, soprattutto in Francia, di un prestito di 400 milioni di franchi, che doveva permettere (!!) ai Cinesi i mezzi per il pagamento del debito di guerra e per l'attuazione delle riforme più indispensabili.
Per garantire il pagamento degli interessi e la restituzione di questi prestiti, la Cina doveva ipotecare (!!) una serie di entrate doganali.
E per questo piacere (!!) la Russia si fece assicurare, con un trattato segreto (novembre 1896), notevoli diritti nella Cina del nord: dei quali il più importante fu il permesso di costruire una ferrovia russa attraverso la Manciuria, che doveva congiungere direttamente con la linea siberiana il porto più meridionale del territorio russo, Vladivostok (posta sulla costa del mar giapponese).

Fu anche presa in considerazione una deviazione per Mucden a Tiensin. A protezione di questa ferrovia la Russia dovette porre lungo l'intera linea dei posti militari, e nel territorio immediatamente periferico ricevette il diritto esclusivo di impiantare miniere.
Per il caso che la Cina volesse istruire ed armare all'europea le sue truppe manciuriane e mongoliche, la Russia si assicurò il diritto di inviare gli ufficiali necessari.
Nell'ipotesi di una guerra nell'Asia orientale la Russia doveva inoltre poter occupare militarmente e fortificare il porto di Chiao-ciao. La Cina si obbligava di trasformare in porti militari Porto Arturo e Talienvan, sgombrati dai Giapponesi, e di aprirli, in caso di guerra, alle truppe russe.

Questo trattato significava la dittatura economica e militare della Russia nella Manciuria, e, nel caso di una guerra, il suo predominio militare sulle acque della Cina settentrionale.
La fondazione della banca russo-cinese a Sciangai doveva stabilmente assicurare ai Russi anche un'influenza finanziaria dominante nell'Impero cinese. A questi grandi vantaggi, che ricavò l'Impero degli Zar, si contrapponeva, d'altra parte, anche uno svantaggio: l'astio sempre più grande dei Giapponesi contro la Russia.

L'orgogliosa coscienza di sé era stata potentemente accresciuta nei Giapponesi dalla guerra vittoriosa; un grande partito nel paese e nel parlamento condannava le condizioni della pace e il retrocedere davanti alle grandi Potenze; e a Tokio fu apertamente espressa l'opinione, che il predominio nell'Asia orientale apparteneva ai Giapponesi, i quali dovevano atteggiarsi a campioni di tutta la razza gialla di fronte agli Europei.
Gli statisti giapponesi considerarono come il loro compito più importante di toglier di mezzo il malumore della Cina e di allearsi con i Cinesi per difendersi insieme contro l'influenza europea.
Sorse addirittura l'idea di una religione unitaria dell'Asia orientale; fu fondata sotto la presidenza di un principe giapponese, una lega della cultura asiatica orientale, che estese la sua efficacia fino all'India posteriore.
Inoltre il Giappone cerco di sfruttare il favore della sua situazione geografica per danneggiare gli Europei nel commercio con la Cina.

Come si era concertato a Scimonosecchi, fu concluso un trattato commerciale fra Cina e Giappone, che con cedeva ai Giapponesi il diritto della nazione più favorita sul mercato cinese. Per sviluppare le energie della Cina, si riteneva necessario nel Giappone l'accettazione d'istituzioni tecniche e militari di tipo europeo nel grande Impero limitrofo, e i Giapponesi si dichiararono pronti ad essere disponibili come istruttori.
Ma in Cina queste proposte ebbero in un rifiuto diffidente e freddo. A Pechino, per il momento, si preferiva la tutela russa a quella giapponese.
Nei rapporti con l'Europa i Giapponesi cercarono di conseguire il pieno loro riconoscimento come nazione civile parificata, e prima di tutto di abolire la giurisdizione dei consoli stranieri sui loro sudditi sul suolo giapponese.

All'inizio l'Inghilterra si decise a rinunciare a questo privilegio; poi un po' alla volta anche gli altri Stati europei.
Con il 4 agosto 1899 si estinse in Giappone la giurisdizione consolare europea; e tutti gli Europei furono da allora in poi giudicati da giudici giapponesi, secondo il diritto giapponese. Inoltre i trattati commerciali, risalenti a tempi lontani, i quali erano sfavorevoli per il Giappone, furono denunciati; e fu introdotta una nuova tariffa doganale autonoma, quale corrispondeva agl'interessi del paese.
Come corrispettivo il Giappone concesse a tutti gli stranieri il diritto di domicilio e di traffico e di esercizio di mestieri nell'intero territorio, con la sola limitazione, che rimaneva proibito l'acquisto di proprietà fondiarie, di azioni di banche appoggiate dallo Stato e di società di navigazione a vapore, come pure l'esercizio dell'agricoltura.

Così si mirava ad impedire lo stabile stanziamento di Europei nel paese e l'affluenza di capitali europei. In realtà era stato investito in Giappone poco capitale europeo, poiché gli erano solitamente sottratte le fondamentali garanzie, terra e azioni garantite dallo Stato.

Ma i Giapponesi avevano anche compreso che per combattere l'ingerenza dell'Europa, essi dovevano accrescere ancora notevolmente la loro potenza militare, se volevano garantirsi contro simili sorprese nell'avvenire.
Proprio nel 1896 gli statisti giapponesi misero fuori il piano di un notevole aumento dell'esercito e della flotta; le fortificazioni costiere furono rafforzate; fu completata la rete ferroviaria; vennero fondate fabbriche statali per soddisfare alle maggiori necessità dell'esercito.
I mezzi occorrenti furono forniti in parte dall'indennità di guerra pagata dalla Cina. Certo non servì a tutto; bisognò considerevolmente aumentare le imposte; fu a tale scopo introdotta una imposta generale sulle professioni e il monopolio sul tabacco grezzo; nel 1898 il Governo dovette pure proporre un aumento dell'imposta fondiaria e strapparne l'approvazione al parlamento con un doppio scioglimento.

Secondo il calcolo del Rathgen le imposte del Giappone dal 1895 al 1904 salirono da circa 74 a circa 170 milioni di yen. Era l'inevitabile conseguenza dell'entrata del Giappone nel gruppo delle Potenze mondiali; solo la ricchezza crescente del paese gli permise di sopportare i carichi sopra accennati.
Quale posto avesse conquistato il Giappone con la guerra, fu chiaramente espresso da due avvenimenti.
Subito la maggior Potenza mondiale, l'Inghilterra, cercò di guadagnarsi la nuova Potenza asiatica orientale come alleata; Inghilterra e Giappone avevano la stessa necessità di non lasciar divenire troppo potente la Russia nell'Asia orientale; la rinuncia dell'Inghilterra alla giurisdizione consolare fu il primo segno dell'avvicinamento, che in seguito portò all'alleanza.
Ma altrettanto significativo fu che la Russia si vide costretta a retrocedere in Corea di fronte al Giappone. I Russi, sfruttando i tafferugli interni della Corea, si erano saldamente stabiliti proprio a Seul; il Re era del tutto nelle loro mani trattenuto per più di un anno nella loro ambasciata; un finanziere russo amministrava le finanze e le dogane, e ufficiali russi istruivano i soldati coreani.

l Giappone intendeva tollerare questo graduale assorbimento della Corea per parte della Russia ancor meno di quanto avesse tollerato prima la sua subordinazione alla Cina; e a Pietroburgo si cedette, quando si vide che la faccenda era molto seria.
Con un trattato russo-giapponese (aprile 1898) la Corea fu dichiarata del tutto neutrale; tanto la Russia quanto il Giappone dovevano avere il diritto di tenere 1000 uomini ciascuna per la protezione delle loro ambasciate a Seul; ambedue pero dovevano astenersi da ogni ingerenza nelle faccende interne del paese.

La Russia richiamò infatti anche i suoi impiegati e ufficiali; in realtà però gli ufficiali rimasero a Seul a disposizione dell'ambasciata russa ed erano pronti in caso di bisogno a riprendere in qualsiasi momento il comando delle truppe.

Pochi anni prima la Russia non avrebbe mai pensato a preoccuparsi di simili pretese del Giappone.
Ma anche la situazione internazionale fu del tutto mutata dagli eventi dell'Asia orientale. Il procedere concorde della Russia, della Francia e della Germania a Scimonosecchi aveva di nuovo isolato l'Inghilterra. La cosa fu presa molto male a Londra; il tono dei giornali governativi, così amichevole nell'inverno precedente riguardo alla Russia e alla Francia, si inasprì a vista d'occhio; in forma appunto ambigua l'Inghilterra elevò una protesta contro un futuro acquisto dello Stato del Congo per parte della Francia e contro la penetrazione dei Francesi nella valle superiore del Nilo.
Ma soprattutto il malumore inglese si sfogò contro la Germania; il fatto che questa si era rifiutata di acconsentire alla mediazione, prospettata dall'Inghilterra, e si era accostata all'atteggiamento della Russia nell'Asia orientale, fu considerato come una completa rottura dell'intesa, esistente fino dal 1890.

Noi non siamo ancora sufficientemente informati dei motivi della politica tedesca in questi anni; ma probabilmente, oltre le differenze africane e il desiderio di acquistare terre nell'Asia orientale, contribuì anche il sentimento religioso dell'Imperatore. Guglielmo II che vedeva nell'ascesa di una grande Potenza cino-mongolica, non cristiana, prima di tutto una minaccia al cristianesimo e così alla cultura occidentale e ai suoi «più sacri beni».

Su questa frase, i "barbari" cino-mongolici risposero con una sferzante vignetta, che cos'erano i "sacri beni", decisi a restituirli:

A questo contegno della Germania nell'Asia orientale si aggiunse che proprio allora i Boeri ritentarono apertamente un avvicinamento all'Impero tedesco; e in ogni caso non furono respinti. Nel gennaio 1895 il presidente Krüger pronunziò, quando si festeggiava il genetliaco dell'Imperatore Guglielmo a Pretoria, un brindisi, che pareva preannunciare un'ulteriore evoluzione di questi rapporti.
Pochi mesi dopo comparvero navi da guerra tedesche all'inaugurazione della ferrovia da Pretoria alla baia di Delagoa. Il presidente Krüger le andò a visitare e scambiò dei telegrammi con l'Imperatore. Su questo punto l'Inghilterra era sempre sensibilissima, e l'Imperatore Guglielmo dovette presto sperimentare personalmente l'ira dei cugini inglesi.

Quando Guglielmo nell'estate del 1895 si recò, come di solito, in Inghilterra, il ministeriale «Standard» lo saluto con un articolo, in cui si dichiarava che Germania e Inghilterra avevano, sì, gli stessi interessi nel mondo, ma che la rischiosa inclinazione tedesca agli esperimenti diplomatici, e il suo civettare con la Russia e con la Francia non erano propizi ad un buon accordo.
Si raccomandò all'Imperatore di prendere una lezione di saggezza politica in casa della nonna e di approfittare del suo soggiorno in Inghilterra per prendere contatto con l'umore nazionale britannico.

La stampa tedesca piuttosto offesa rispose per le rime a questo articolo arrogante; l'Imperatore Guglielmo da allora in poi tralasciò i suoi regolari viaggi in Inghilterra. Ma dalle due parti del Canale rimase un malumore, mai sparito del tutto, e, accresciuto dalla concorrenza commerciale, si é qualche volta sfogato addirittura in aperte minacce.

Così l'Inghilterra nell'estate del 1895 era di nuovo del tutto isolata; poiché le relazioni con il Giappone stavano appena maturando. Il Governo non poteva arrischiarsi a contrastare apertamente l'avanzata della Russia nell'Asia orientale. Giornali russi parlavano già della possibilità che si dovessero risolvere, in maniera sfavorevole per l'Inghilterra, le questioni egiziane e le altre africane, mediante un accordo fra la Russia, la Germania e la Francia.

I conservatori inglesi approfittarono di questa condizione di cose per sferrare violenti attacchi contro il Governo del Rosebery, a cui rimproverarono di non avere tutelato abbastanza gl'interessi dell'Impero; questi attacchi ebbero un buon successo.
In una votazione su questioni militari il ministero Rosebery rimase in minoranza, e si dimise; Salisbury nel giugno 1895 fu incaricato di formare un nuovo gabinetto. Nel nuovo ministero entrò anche il capo degli unionisti, Giuseppe Chamberlain, e assunse l'importante ufficio di Segretario di Stato per le colonie.
Il Parlamento fu subito sciolto; le nuove elezioni dettero una considerevole maggioranza conservatrice; a 370 conservatori e 71 unionisti si contrapponevano soltanto 177 liberali e 82 irlandesi.

Cosi salì al potere il terzo ministero imperialista, che rimase in carica per più di dieci anni, e iniziò una nuova era di conquiste coloniali e di grandi progetti di riforme dell'Impero.
L'avvicinamento al Giappone con la presenza di questo guerresco ministero furono le risposte dell'Inghilterra al contegno delle altre Potenze a Scimonosecchi.

Il ministro delle colonie Giuseppe Chamberlain era la vera energia impulsiva del nuovo Governo. Uomo di grande larghezza di vedute, di ardente patriottismo e di inesauribile forza di lavoro, é, in ogni caso, lo statista più notevole, che abbia prodotto l'Inghilterra negli ultimi decenni.
Egli, nato nel 1836, passò dall'ufficio di direttore di una fabbrica, all'attività amministrativa comunale, poi a quella politica; l'interesse dell'industria, degli imprenditori e degli operai veniva per lui sempre in prima linea.
All'inizio radicaleggiante, si era poi separato dal Gladstone e dai liberali a motivo della questione della autonomia irlandese; l'unità imperiale gli sembrava la necessaria premessa della posizione mondiale economica dell'Inghilterra.

Più volte dichiarò nei suoi discorsi che quello era il momento giusto per assicurare l'unità dell'Impero britannico. Il numero degli abitanti inglesi delle colonie era tuttavia così piccolo che si poteva attuarne la subordinazione alla madrepatria. Ma, se Australia, Canadà e Sudafrica fossero cresciute fino a diventare nazioni vere e proprie, l'Impero sarebbe andato in frantumi.
Egli era disposto a concedere alle colonie come compenso di un più stretto vincolo i privilegi della politica doganale, che esse chiedevano da anni.
Ma anche nella politica coloniale Chamberlain era guidato prevalentemente da considerazioni sociali-politiche.
Fin dall'inizio, insisteva che nell'espansione dell'Impero coloniale britannico non si trattava solo degl'interessi di una piccola minoranza, ma anzitutto di quelli delle moltitudini e della classe operaia, poiché senza sbocchi sicuri l'industria sull'isola non poteva vivere e l'operaio trovare lavoro; sicuri erano invece per l'Inghilterra unicamente quei mercati, che si trovassero sotto il suo dominio politico.

Egualmente - aggiungeva - il popolo inglese non potrebbe esistere senza l'importazione di cereali e di carne, mentre gli unici territori, che non potrebbero mai aver la tentazione di sospendere queste forniture, sarebbero le colonie.
Siccome Chamberlain sapeva che la premessa di ogni vincolo più stretto era il consenso alle richieste economiche delle colonie, egli dichiaro già nel 1895 ad un congresso delle Camere di commercio di avere incluso nel suo programma una riforma della politica doganale; ma egli la poteva concepire attuata solo nella forma che fra madrepatria e colonie esistesse un illimitato libero scambio, mentre le colonie dovevano essere autorizzate a imporre dazi a piacimento sulle merci, provenienti da altri paesi.
L'Inghilterra si dovrebbe obbligare a caricare di moderati dazi cereali, carne, lana, e zucchero, se queste non provenivano dalle colonie.

Il primo passo per l'attuazione di queste idee si ebbe, quando nella primavera del 1897 il Canadà mise una nuova tariffa doganale, che assicurava un'attenuamento doganale del 25% (più tardi addirittura del 33 %) a tutti quei paesi che ammettevano in franchigia i prodotti canadesi.
Questa agevolazione ovviamente favorì soltanto l'Inghilterra, poiché solo in Gran Bretagna i prodotti canadesi arrivavano in completa franchigia.

Nella grande conferenza di tutti i ministri delle colonie, che Charmberlain convocò a Londra nel giugno e luglio del 1897 in occasione del giubileo per il 60° anno di regno della Regina Vittoria, questi progetti vennero più ampiamente discussi.
Subito fu dichiarata cosa desiderabile che Australia e Sudafrica conforme al modello del Canada si riunissero in grandi Stati federali e poi riservassero simili agevolazioni doganali alla madre patria. Ma i rappresentanti delle colonie insistettero che l'Inghilterra desse l'esempio aggravando le importazioni non coloniali (tutti i prodotti insomma di altri Paesi).
I progetti di istituire uno stabile consiglio federale dell'Impero, d'introdurre regolari contributi delle colonie per il mantenimento della flotta e uno scambio delle truppe inglesi e coloniali, apparvero immediatamente poco gradite alle colonie; le quali intendevano prima aspettare fino a che punto la madrepatria avrebbe tenuto conto delle loro pretese economiche.
La conferenza rafforzò nel Chamberlain la convinzione che, senza concessioni nella politica doganale, non c'era da ottenere altro, e mosse un passo, a cui i precedenti ministri per motivi di politica generale si erano sempre opposti: denunciò i trattati di commercio con la Germania e con il Belgio, poiché fino allora (per i noti motivi di felling di Gugliemo verso i cugini e la nonna), contenevano la clausola della nazione più favorita, e quindi vietavano all'Inghilterra di trattare le colonie nei riguardi doganali meglio di questi paesi.

Ma tutti questi non erano che patti preparatori. Chamberlain vedeva chiaramente che sarebbe occorso un lungo lavoro di propaganda, prima che si potesse giungere su questa strada a effettivi provvedimenti organici.
Se Chamberlain dava sempre tanta importanza a un più saldo legame delle popolose colonie con la madrepatria, però si schierò anche energicamente in favore di un'ulteriore espansione dell'Impero coloniale britannico, cioè, nella sua concezione, per guadagnare nuovi sicuri mercati per le merci inglesi.
I suoi due più grandi successi a questo proposito furono la conquista del Sudan e la sottomissione degli Stati dei Boeri nell'Africa meridionale.


Ricordiamoci (vedi precedenti capitoli) che per ordine dell'Inghilterra la frontiera meridionale del territorio egiziano era stata fissata a Vadi Alfa, e il Chedivè aveva dovuto rinunciare alla riconquista del Sudan. Ma con tutto ciò l'Inghilterra aveva dichiarato l'intera valle superiore del Nilo sfera d'influenza anglo-egiziana, e si era opposta alla penetrazione di ogni altra Potenza in questo territorio.
Ora anche la Francia mirava evidentemente al possesso del Sudan, per unire con una diretta congiunzione terrestre il suo territorio del Niger e la sua colonia del Congo coi suoi piccoli possessi del Mar Rosso. Era chiaro nel loro trattato con lo Stato del Congo del 1894 che i Francesi avevano chiaramente lasciato intendere i propri intenti; poco dopo furono armate tre spedizioni, che dall'ovest, dal sud-ovest e dall'est dovevano avanzare nel territorio del califfo. Questa notizia, spinse Chamberlain ad una celebre azione.

Nell'estate del 1896 Sir Herbert Kitchener fu nominato comandante supremo dell'esercito del sud, e si dimostrò del tutto pari al difficile compito, che gli fu affidato. Lentamente e prudentemente egli dalla frontiera egiziana meridionale risalì la valle del Nilo, mentre dappertutto, mediante la costruzione di ferrovie, assicurava i servizi logistici e sfruttava quanto vi era di meglio nella tecnologia dei trasporti, portando con sè battelli a vapore componibili, ricomposti poi su i tratti navigabili del Nilo per una avanzata più celere.
Giunti a una stazione, questa veniva fortificata, e ci si fermava, finché non fosse completata fino a quel punto la linea ferroviaria, e con essa l'arrivo del materiale occorrente per altri battelli e i cannoni.

Nel settembre 1896 Kitchener conquistò, dopo violenta lotta con i dervisci, il territorio di Dongola, e incominciò la difficile costruzione della ferrovia attraverso il deserto verso Abu Hammed. Dopo nove mesi questa ferrovia era compiuta, e così Abu Hammed poteva essere conquistato (agosto 1897).
La successiva importante posizione di Berber fu sgombrata dai dervisci, quasi senza combattimento, e nella primavera del 1898 Kitchener si trovava proprio sull'Atbara, dove i dervisci avevano posto un forte accampamento e tentavano d'impedirgli il passaggio.

Kitchener conseguì qui una magnifica vittoria; fece prigioniero il comandante nemico e varco il fiume. Aspettò di nuovo qualche mese, finché la ferrovia non fu arrivata alle sue posizioni; poi si affretto allo scontro decisivo.

Il 3 settembre si avvicinò alla capitale del califfo, Omdurman; non lontano dalla città gli andò incontro l'esercito principale dei dervisci, comandato dal califfo in persona. Dopo una battaglia violenta dei dervisci, ma diretta molto cautamente dal Kitchener, gli riuscì di sconfiggere completamente l'esercito nemico e di occupare Omdurman.
Questo era appena avvenuto, quando il Kitchener ricevette la notizia che il capitano Marchand, proprio il 10 luglio, con alcune giornate di marcia, aveva raggiunto la valle del Nilo a monte, e aveva issato a Fascioda la bandiera francese.

Immediatamente Kitchener con una parte delle sue truppe vi accorse, e chiese lo sgombro del forte occupato dal Marchand, poiché questo apparteneva al territorio conquistato dall'Inghilterra. Il Marchand rifiutò, e parve imminente un conflitto fra le truppe inglesi e francesi, che facilmente avrebbe scatenato una guerra mondiale.
Marchand, che non voleva assumersi l'enorme responsabilità, propose in ultimo che gli fosse permesso di domandare istruzioni al suo Governo, mediante il cavo inglese; il Kitchener lo concesse, e allora fu comunicato da Parigi l'ordine di sgombrare Fascioda.
Del resto sarebbe stato assolutamente impossibile per la Francia di inviare aiuti sufficienti al Marchand a Fascioda e di misurarsi per mare con la flotta inglese.
Ai Francesi in ritirata gli Inglesi permisero nella maniera più amichevole di servirsi della ferrovia egiziana; e il Marchand per il Cairo e Alessandria si ritirò nel dicembre 1898.

Così la Francia si ritirava definitivamente di fronte all'Inghilterra anche nella valle superiore del Nilo. Le condizioni del Sudan furono ormai regolate più esattamente mediante un trattato fra l'Inghilterra e il Khedivé; fu istituito un «condominio» anglo-egiziano; il governatore generale doveva esser nominato dal Khedivé, d'accordo con l'Inghilterra, e risolvere fino a che punto le leggi egiziane potevano applicarsi nel Sudan.
Il governatore poteva essere destituito solo col consenso inglese, cioè l'Inghilterra si incaricava dell'effettivo governo del Sudan e riservava agli Egiziani unicamente un formale diritto di correggenza; al traffico di tutte le nazioni era concessa completa libertà nella valle superiore del Nilo.

L'Inghilterra da quel momento ha fatto di tutto per sviluppare le risorse di questi territori. Ha costruito una ferrovia dalla valle del Nilo al Mar Rosso; ha creato con il Porto Sudan una nuova grandiosa piazza commerciale e un posto militare, e si è così assicurata la congiunzione fra la valle superiore del Nilo e l'India anche per il caso essa avesse dovuto sgombrare di nuovo un'altra volta l'Egitto.

Per evitare un conflitto come quello di Fascioda, parve necessario tanto al Governo francese, quanto a quello inglese di fissare esattamente le frontiere delle rispettive sfere d'influenza. Ciò avvenne subito per l'Africa di nord-est, con un trattato del 21 marzo 1899. Una linea tirata dal confine meridionale di Tripoli fino a quello settentrionale dello Stato del Congo, attraverso il deserto libico, separava ambedue le sfere d'influenza; il retroterra di Tripoli fino al lago Ciad fu lasciato ai Francesi, il territorio delle sorgenti del Nilo agli Inglesi.

Era appena finito questo conflitto, quando nel Sud Africa si preparava una nuova lotta piuttosto pericolosa. Qui la Chartered Company aveva tentato di aprire al traffico i territori a nord del Transvaal mediante l'impianto di una strada per lo Zambesi, come pure di una ferrovia e di una linea telegrafica per Forte Salisbury.
Rivolte degl'indigeni contro i bianchi resero difficili i compiti della Compagnia. Ancora nel 1893 l'amico e aiutante di Cecil Rhodes, il dottor Jameson, dovette condurre una travagliata campagna contro i Matabele; fu ancora lui che distrusse la dominazione del capo dei Cafri Lobengula, e ne conquistò la capitale Buluvaío.
Con il 1895 il territorio molto esteso, che era stato acquistato per l'opera della Compagnia, ebbe il nome di Rhodesia. Ma gli sperati terreni metalliferi furono una delusione, e la Chartered Com
pany commercialmente non andava per nulla bene, mentre i campi auriferi nel territorio limitrofo dei Boeri garantivano un utile, sempre più abbondante.

Nel 1895 la produzione del Transvaal superò per la prima volta quella dell'Australia. Con la scoperta e lo sfruttamento dei campi auriferi nel Witwatersrand una piccola parte del territorio dei Boeri si era tramutata in un paese industriale.
Si installarono in Johannesburg e nei dintorni Europei di tutte le contrade del mondo, principalmente Inglesi; e la percentuale della popolazione non olandese nel Transvaal diventò sempre più forte. Ma i Boeri tenevano gelosamente al loro diritto esclusivo di governare il paese.
Quantunque l'aumento del valore del suolo nel distretto industriale assicurasse loro inattese ricchezze, quantunque le spese della Repubblica fossero prevalentemente coperte dalle imposte del distretto industriale, non si voleva concedere agli stranieri che vi erano residenti il pieno diritto elettorale per il Consiglio nazionale.
Gli uitlander costituirono appunto nel 1893 uno speciale comitato per le riforme e chiesero di essere parificati ai Boeri nei diritti elettorali. Soprattutto i possessori di miniere erano malcontenti dell'atteggiamento del Governo del Transvaal; chiedevano che la Repubblica con i suoi poteri statali costringesse gl'indigeni al lavoro nelle miniere, e protestevano contro il vigente monopolio governativo del commercio della dinamite, di cui non si poteva fare a meno per le mine indispensabili nel distretto delle miniere.

Il Rhodes, come ministro della colonia del Capo e capo della Chartered Company, appoggiò queste richieste. Ma i Boeri, sotto la guida del presidente Krüger, opposero una tenace resistenza; essi temevano di essere sopraffatti elettoralmente dagli stranieri, se concedevano loro uguaglianza politica.

Così stavano le cose, quando il dottor Jameson, probabilmente d'accordo con Rhodes, ma senza autorizzazione del Governo inglese, fece negli ultimi giorni del 1895 il tentativo di sorprendere con un colpo di mano lo Stato del Transvaal. Il Comitato delle riforme in Johannesburg era d'accordo con lui.

Con una truppa di 800 cavalieri e sei cannoni Jameson penetrò, senza dichiarazione di guerra, nel territorio del Transvaal. Ma Krüger era avvertito e gli spedì incontro un contingente sotto la condotta del Generale Joubert. A Krugersdorp si venne il 2 gennaio 1896 a battaglia, nella quale Jameson fu completamente messo del tutto fuori combattimento; egli stesso fu fatto prigioniero.

Contemporaneamente fu sventato un tentativo, di rivolta in Johannesburg e i capi del complotto furono arrestati. Jameson venne consegnato all'Inghilterra e condannato dai tribunali inglesi a una multa per la rottura della pace. In Europa si manifestò in ogni luogo una vivace simpatia per i Boeri assaliti.
L'Imperatore Guglielmo diresse allora il noto telegramma al Krüger con l'augurio che a lui riuscisse di impedire la rottura della pace, senza bisogno di rivolgersi all'aiuto di Potenze amiche. Le ultime parole dettero occasione alle interpretazioni più ampie, ed eccitarono l'opinione pubblica dell'Inghilterra sempre più violentemente contro la Germania.

In Inghilterra si sentirono sempre più spinti a tener conto dello sdegno generale.
Il Rhodes fu spogliato del suo ufficio di ministro della Colonia del Capo, e dovette dimettersi dalla direzione della Chartered Company: alla quale venne tolto il diritto di tenere truppe proprie, e il suo territorio fu assoggettato a una più rigida vigilanza del Governo britannico.
Il Rhodes uscì così, é vero, dalla vita politica ufficiale, ma come cittadino privato operò nella stessa maniera come prima: il proseguimento della ferrovia sudafricana fino a Buluvaio e della linea telegrafica fino al lago Tanganica, che avvenne negli anni seguenti, fu esclusivamente opera sua. Ma il suo ritiro portò ad una nuova grave rivolta degli indigeni, che solo alla fine del 1896 poté essere domata con grande impiego di denaro e di truppe.

I Boeri trassero, dall'incursione del Jameson l'ammaestramento che si dovevano tener pronti per tutti i casi per non soccombere ad altri simili tentativi. Nel 1897 il Transvaal e l'Orange conclusero un'alleanza offensiva e difensiva; si comprarono armi e munizioni in Europa e si trasportarono da Lorenzo Marques per la ferrovia portoghese a Pretoria.
In Inghilterra si osservarono questi eventi senza agire, perché il Governo desiderava evitare un conflitto, fin quando la tensione con la Francia a causa della valle superiore del Nilo, e con gli Stati Uniti a causa del Venezuela esigevano tutta la dovuta attenzione; tanto più che le cattive relazioni con la Germania e una rivolta in India; causata dalla carestia, davano molto da pensare.

Solo dopo la fine di tutte queste difficoltà Chamberlain procedette energicamente nel Sudafrica. Quando una petizione degli uitlander invocò di nuovo l'aiuto dell'Inghilterra, l'Alto Commissario del Sudafrica, lord Milner, entrò in rapporto con il presidente Krüger e gli chiese che ogni immigrato, dopo un soggiorno di cinque anni nel paese, dovesse ottenere il diritto elettorale e che la distribuzione dei collegi elettorali fosse congegnata in modo che al distretto industriale, spettasse il quarto dei seggi nel Consiglio nazionale.

Il Krüger e il Consiglio nazionale si mostrarono, è vero, pronti ad alcune concessioni, ma insisterono sempre nuovamente nelle trattative che il Transvaal era uno Stato del tutto indipendente e che l'Inghilterra si doveva obbligare a riconoscere la decisione d'un tribunale arbitrale, quando sorgessero nuove difficoltà.
Ora nei precedenti trattati era ammessa l' l'indipendenza del Transvaal nei suoi affari interni; ma, poiché i Boeri non avevano il diritto di trattare con Potenze straniere, se non per mezzo dell'Inghilterra, il loro vassallaggio verso la Gran Bretagna era indiscutibile. Per ciò Chamberlain rifiutò di acconsentire al tribunale arbitrale, che era concepibile soltanto fra due Stati completamente indipendenti.
Mentre le trattative si svolgevano in maniera sempre più ostile, l'Inghilterra incominciò ad armare e a spedire truppe nel Sudafrica. Chamberlain in ultimo richiese, oltre il diritto elettorale per gli uitlander autonomia amministrativa completa della città di Johannesburg, indipendenza di giurisdizione dal Consiglio nazionale, abolizione del monopolio della dinamite, demolizione del forte di Johannesburg e insegnamento dell'inglese nelle scuole della repubblica.

Il Krüger rigettò queste domande e, per parte sua, pose il 10 ottobre 1899 un ultimatum: che l'Inghilterra doveva entro 24 ore, dichiarare che intendeva sottoporre tutti i punti in contesa a un tribunale arbitrale e ritirare tutte le truppe trasportate dal 1° giugno 1899 nel Sudafrica.
Allorché Chamberlain ebbe dichiarato queste condizioni inaccettabili, i Boeri incominciarono la guerra, poiché l'11 ottobre varcavano la frontiera.

L'opinione pubblica d'Europa fu del tutto favorevole ai Boeri e attribuì la condotta inglese, all'appetito dei capitalisti inglesi per i ricchi tesori del suolo boero.
In verità era impossibile per la Gran Bretagna, se l'idea imperialistica doveva valere anche per il Sudafrica, lasciar sussistere, in mezzo al proprio territorio, Stati indipendenti e sostanzialmente nemici.
Se le repubbliche boere si fossero rassegnate sinceramente alla condizione legalmente esistente di vassallaggio, l'Inghilterra avrebbe certo lasciato loro la semi indipendenza.
Ma la condotta dei Boeri mostrava chiaro che essi non desideravano altro più ardentemente che di distaccarsi del tutto dalla Gran Bretagna; ciò rendeva inevitabile la guerra.

I Boeri erano all'inizio superiori agli Inglesi per forze militari; si avvantaggiavano per una maggiore conoscenza del paese e godevano straordinarie simpatie fra i loro connazionali della Colonia del Capo.
I preparativi bellici inglesi non erano per nulla ancora terminati. Forse sarebbe stato possibile, con un'azione veloce e senza scrupoli occupare alcuni punti importanti del territorio del Capo e del Natal e trasportare bruscamente la guerra nella stessa colonia del Capo.
Ma i Boeri in questa lotta si mostrarono, é vero, valorosi combattenti, specie eccellenti tiratori; ma disciplina europea e strategia europea erano a loro del tutto ignote. Essi non sfruttarono sufficientemente le loro prime vittorie contro i Generali Buller e Methuen; sparpagliarono le loro forze e le immobilizzarono davanti alle località di Mafeking, Kimberley e Ladysmith. Così trascurarono il favore del momento, e dettero tempo agl'Inglesi di gettare grosse masse di truppe nel Sudafrica.

Lord Roberts ricevette il comando supremo; il Ketchener gli fu messo a fianco come capo dello stato maggiore; essi erano i due Generali più abili ed sperimentati che l'Inghilterra possedeva.
Le colonie gareggiarono nella concessione di ausiliari volontari; soprattutto dall'Australia e dal Canadà affluirono nel Sudafrica i volontari .
Lord Roberts riuscì ben presto attorniandola a minacciare la linea della ritirata del Generale boero Cronje, che stava davanti a Kemberley, e a obbligarlo ad abbandonare l'assedio.
Il Cronja fu costretto da lui a capitolare a Paardeberg con tutte le sue truppe (27 febbraio 1900). Anche Ladysmith fu sbloccata, e Bloemfontein presa dagl'Inglesi. Allora ambedue le repubbliche offrirono la pace.

Ma l'Inghilterra chiese ormai la assoluta incorporazione di ambedue gli Stati. Poiché i Boeri non volevano arrivare a tanto, fu necessario ancora proseguire la lotta. La annessione della repubblica di Orange fu proclamata dai Generali britannici nella primavera, quella del Transvaal nell'autunno del 1900; ma ci mancava tuttavia molto perchè l'assoggettamento effettivo di questi territori fosse completo; la guerriglia durò ancora due anni.
Lord Roberts con due provvedimenti stroncò finalmente la resistenza dei Boeri. In primo luogo sbarrò mediante una catena di posti militari l'intera parte già assoggettata del paese e così diminuì sempre più il territorio, in cui i Boeri potevano mantenersi.
Poi riunirono le donne e i ragazzi dei Boeri in armi, man mano che cadevano nelle mani dei vincitori, nei così detti campi di concentramento per servirsene come ostaggi per la buona condotta dei loro mariti.

A causa delle difficoltà per il vettovagliamento e del clima la mortalità in questi campi di concentramento era molto grande; l'opinione europea, così eccitata in favore dei Boeri, combattenti eroicamente contro la strapotenza britannica, attribuì a torto questa mortalità a un barbaro trattamento dei prigionieri per parte degl'Inglesi.

Verso la fine del 1900 Roberts abbandonò il Transvaal, e affidò a Kitchener il compito di assoggettare completamente il paese. Anche il presidente Krùger venne circa nello stesso periodo in Europa per cercare aiuto presso gli Stati europei; ma non ottenne nulla; dall'Imperatore tedesco non fu neppure ricevuto.
I Paesi Bassi cercarono, é vero, di offrire la loro mediazione, ma furono respinti dall'Inghilterra. La morte della Regina Vittoria e la salita sul trono di Edoardo VII nella primavera del 1902 offrì poi al Governo inglese l'occasione di annodaare trattative di pace con il resto dei Boeri, comandati dal Dewet.
Dopo lunghi negoziati si giunse il 31 maggio alla conclusione di un trattato, per cui i Boeri, tuttora in armi, ottennero amnistia, prestiti senza interessi per la ricostruzione delle loro masserie distrutte e garanzie per il mantenimento della lingua olandese; naturalmente dovevano riconoscere il Re d'Inghilterra come loro Sovrano.

Fu loro promessa l'istituzione dell'autonomia amministrativa, come la possedevano le altre grandi colonie britanniche, appena fosse assicurata una completa tranquillità. Suscitò gravi difficoltà nelle trattative la questione come si dovessero trattare quegli Olandesi (Boeri) della colonia del Capo, che ribellandosi si erano uniti ai loro connazionali.
Gli Inglesi non vollero concedere l'impunità, come la chiedevano i Boeri; promisero però che non si sarebbe applicata la pena di morte a nessuno di loro. Con questa conclusione di pace era compiuto l'assoggettamento del Sudafrica; sull'intero continente africano ormai non c'erano che due Stati indipendenti dagli Europei: l' Abissinia e il Marocco (ne riparleremo più avanti).

Da quello inglese andiamo ora all'imperialismo americano.

segue:


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