RELAZIONE DELL'AMMIRAGLIO ERNEST J. KING
Comandante in Capo della Flotta degli Stati Uniti e Capo delle Operazioni Navali


b) FASE DIFENSIVA-OFFENSIVA

MIDWAY

La battaglia del Mare dei Coralli segnò la fine del periodo durante il quale ci tenevamo ancora puramente sulla difensiva. Segui un periodo di stasi, in cui da una parte e dall'altra ci si preparava per ulteriori operazioni. II nostro problema immediato consisteva nel cercare di prevedere con la massima possibile approssimazione Ie future mosse nemiche, giacchè avevamo perduto contatto con le unità pesanti giapponesi, che avevano pertecipato all'azione del Mare dei Coralli.
Era evidente che i Giapponesi non sarebbero rimasti a lungo inoperosi; era chiaro altresì che le nostre varie basi avanzate avrebbero costituito dei buoni obiettivi, e che specialmente Dutch Harbor e Midway offrivano agli avversari le migliori possibilità di successo, sia per una eventuale incursione, sia per un tentativo d'invasione. Oltre a ciò, un'azione diretta contro queste due basi avrebbe permesso al nemico di ritirarsi senza eccessive perdite e senza il completo annientamento delle sue forze, nel caso che i suoi piani non riuscissero. Al tempo stesso dovevamo considerare la possibilità che i Giapponesi rinnovassero le loro operazioni nel Mare dei Coralli. Si trattava di calcolare i rischi a cui andavamo incontra e distribuire le nostre forze in conformità: un errore di calcolo a questo punto poteva avere gravissime conseguenze.
Considerando il fatto che il nemico probabilmente non aveva informazioni esatte circa la posizione delle nostre navi, che non avevano partecipato alla battaglia del Mare dei Coralli, ma che d'altra parte doveva immaginare che la maggior parte delle nostre navi porta-aerei e dei nostri incrociatori si trovassero nel Pacifico meridionale, era logico supporre che i Giapponesi avrebbero approfìttato dell'occasione e ci avrebbero attaccato nel Pacifico centrale o settentrionale, o nelle due regioni contemporaneamente. Questo piano appariva probabile, perchè presentava possibilità di immediato successo e perchè, se tutto fosse andato bene per i Giapponesi, l'avanzata verso l'Australia e le isole del Pacifico meridionale avrebbe potuto assere effettuata in seguito con relativa facilità, una volta tagliata dal nemico le nostre linee di comunicazione.
Basandoci dunque su queste supposizioni, richiamammo dal Pacifico meridionale le nostre navi porta-aerei e le relative navi di appoggio. La Yorktown fu riparata provisoriamente, mentre venivano stabilite delle linee di esplorazione e di pattuglia in una vasta zona che si estendeva molto ad occidente dell'Isola di Midway. Le forze complessive di cui disponevamo nel Pacifico centrale consistevano delle navi porta-aerei Enterprise, Hornet e Yorktown, di sette incrociatori pesanti, di un incrociatore leggero, di 14 cacciatorpediniere e di circa 20 sottomarini. Queste unità erano raggruppate in due squadre, una agli ordini del contrammiraglio (ora viceammiraglio) Raymond A. Spruance, (gl'incrociatori assegnati a formazione erano comandati del contrammiraglio, ora vice-ammiraglio, Kinkaid, l'altra al comando del contrammiraglio - ora vice-ammiraglio) Fletcher. A questa Seconda squadra era stato assegnato anche il contrammiraglio W. W. Smith. C'era inoltre un gruppo di aviazione della fanteria di marina di base a Midway, rafforzato da aeroplani da bombardamento dell'esercito di base alle Hawaii. La mattina del 3 giugno furono avvistate a parecchie centinaia di chilometri a sud-ovest di Midway, delle forze nemiche che avanzavano verso oriente. Non si potè determinare subito l'esatta composizione della squadra nemica, ma ci si rese conto che si trattava di una potente squadra di attacco con numerose navi di appoggio.
Nel tardo pomeriggio dello stesso giorno le unità nemiche furono bombardate da una squadriglia di apparecchi B-17 al comando del tenente colonnello d'aviazione Walter C. Sweeney. Non fu possibile stabilire con precisione i danni inflitti al nemico, ma furono colpite parecchie navi. La mattina del 4 giugno prendemmo contatto con una formazione aerea nemica che puntava da nord-ovest su Midway e subito dopo avvistammo due navi porta-aerei ed il grosso della formazione nemica nella stessa zona. Pur non essendo riusciti ad impedire che gli apparecchi nipponici sganciassero le loro bombe su Midway, sottoponemmo ad intenso fuoco di artiglieria gli aeroplani nemici, che subirono gravi perdite. Nel frattempo apparecchi dell'esercito, della marina e della fanteria di marina di base a Midway attaccavano navi porta-aerei, corazzate ed altre unità nemiche, infliggendo gravi danni ad una nave portaaerei.

A questo punto, entrarono in azione anche le nostre navi portaaerei. Avendo decollato mentre si trovava a nord di Midway, una squadriglia di aereo-siluranti della Hornet (squadriglia ora divenuta celebre col nome di Squadriglia Silurante Numero Otto) attaccò senza protezione di caccia e senza apparecchi da bombardamento di picchiata una squadra di quattro navi porta-aerei nemiche. Tutti gli aeroplani facenti parte della nostra squadriglia furono abbattuti e sopravvisse un solo pilota, ma le navi nemiche furono ripetutamente colpite. Circa un'ora dopo, delle squadriglie di aereo-siluranti della Enterprise e della Yorktown attaccarono le stesse unità e subirono anch'esse gravi perdite, ma colpirono due delle navi nemiche. Questi attacchi furono seguiti da azioni dei bombardieri di picchiata dell'Enterprise, che tempestarono due porta-aerei e dei bombardieri del Yorktown, che colpirono una terza porta-aerei, un incrociatore ed una corazzata. Due delle navi porta-aerei furono incendiate e messe fuori combattimento; una terza fu danneggiata e colata successivamente a picco dal sommergibile Nautilus.

Gli apparecchi dell'unica porta-aerei giapponese ancora illesa attaccarono la Yorktown, e, benchè tutti gli aeroplani nemici andassero poi distrutti, riuscirono tuttavia a colpire con tre bombe la Yorktown; successivamente aero-siluranti nemiche piazzarono due colpi sulla nave. Fu dato quindi ordine di abbandonarla. Circa due ore dopo, gli apparecchi dell'Enterprise attaccarono la porta-aerei giapponese ancora non danneggiata, lasciandola in preda alle fiamme; subito dopo, quando giunse sul posto una squadriglia del Hornet, la nave porta-aerei era talmente avviluppata dal fuoco, che i nostri aeroplani poterono concentrare i loro attacchi su una corazzata ed un incrociatore, che infatti furono entrambi colpiti.

A questo punto, apparve evidente che noi avevamo il controllo dell'aria e che l'aviazione di base a Midway doveva assestare il colpo finale. Fortezze Volanti dell'esercito attaccarono infatti un incrociatore pesante nemico e lo lasciarono in fiamme; altri apparecchi colpirono una corazzata, una porta-aerei già danneggiata ed un cacciatorpediniere. Alla fine della giornata i Giapponesi si ritiravano su tutta la linea.

La mattina del 5 giugno, apparecchi dell'Enterprise e della Hornet attaccarono, con scarsi risultati, un incrociatore leggero nemico, ma degli aeroplani di base a Midway avvistarono due incrociatori nemici, uno dei quali già avariato, e li colpirono ripetutamente. Cattive condizioni di visibilità impedirono ulteriori operazioni durante quella giornata.

Il 6 giugno gli apparecchi della Hornet avvistarono una squadra nemica composta di due incrociatori pesanti e tre cacciatorpediniere, riuscendo a colpire i due incrociatori; questi furono poi centrati anche da apparecchi della Enterprise. Più tardi, nel corso della stessa giornata, gli aeroplani della Hornet attaccarono altri due incrociatori ed un cacciatorpediniere. Il medesimo giorno, in un tentativo di salvare la Yorktown, che era stata presa a rimorchio, il cacciatorpediniere Hamman si allineò accanto alla nave per farvi salire una squadra di tecnici per il salvataggio. Ma, proprio in quel momento, la Yorktown fu colpita da due siluri lasciati da un sottomarino nemico, mentre l'Hamman veniva anch'esso colpito da un siluro: l'Hamnman colò a picco in pochi minuti, mentre la Yorktown, si inabissò la mattina seguente.

La battaglia di Midway fu la prima decisiva sconfitta subita dalla marina giapponese in 350 anni (*). Oltre a ciò, segnò la fine del lungo periodo di offensive giapponesi e ristabilì l'equilibrio navale nel Pacifico. La minaccia alle Hawaii ed alle coste occidentali degli Stati Uniti veniva automaticamente sventata, e, fatta eccezione per le operazioni nelle Aleutine, dove i Giapponesi erano sbarcati sulle isole di Kiska e di Attu, le azioni belliche nemiche erano limitate al Pacifico meridionale. Fu quindi a questa zona che rivolgemmo da quel momento la nostra massima attenzione.
(*) L'ammiraglio coreano Yi-Sun inflisse una gravissima sconfitta all'ammiraglio giapponese Hideyoshi (il cosiddetto "Padre della marina giapponese") al largo della costa della Corea nell'anno 1592

c. FASE OFFENSIVA-DIFENSIVA
Azioni nel Pacifico Meridionale

GLI SBARCHI NELLE SALOMONE

Era apparso evidente fin dall'inizio della guerra che la protezione delle linee di comunicazione tra l'America e l'Australia e la Nuova Zelanda era assolutamente indispensabile: quindi, data l'avanzata giapponese in quella direzione, era necessario progettare ed eseguire delle operazioni che servissero ad arrestare l'avanzata stessa.

Ai primi d'aprile del 1942 i Giapponesi avevano conquistato l'Isola di Tulagi, dove il 4 maggio, cioè immediatamente prima della Battaglia del Mare dei Coralli furono attaccati dai bombardieri delle nostre navi porta-aerei. Nel luglio il nemico sbarcò soldati ed operai a Guadalcanal ed iniziò la costruzione di un aerodromo. Era evidente che l'attività di apparecchi di base a Guadalcanal avrebbe subito minacciato il dominio che noi avevamo di tutta la zona delle Nuove Ebridi e della Nuova Caledonia: si imponeva quindi la necessità di sloggiare le forze nemiche da quelle posizioni. Anche la situazione nella Nuova Guinea richiedeva un'immediata azione da parte nostra, giacchè il nemico, verso la fine di luglio, aveva iniziato delle nuove operazioni, contemporanee a quelle nelle Salomone. Il contrattacco, che costituì la nostra prima vera offensiva in forza, era stato progettato sotto la direzione del vice ammiraglio Ghormley, che nell'aprile aveva assunto il comando delle forze del Pacifico meridionale, stabilendo il suo Quartier Generale a Auckland, nella Nuova Zelanda. Le forze che parteciparono all'azione erano la Prima Divisione di fanteria di marina, rinforzata dal Secondo Reggimento di fanteria di marina, il Primo Battaglione di truppe d'assalto (Raider) ed il Terzo Battaglione di Difesa, con l'appoggio di forze della marina, composte di tre grosse formazioni, due delle quali al comando del vice-ammiraglio Frank j. Fletcher.

La prima formazione, agli ordini del contrammiraglio Leigh Noyes, era una squadra di appoggio aereo, e consisteva di tre navi porta-aerei, una corazzata di recente costruzione, cinque incrociatori pesanti, un incrociatore leggero anti-aereo ed un certo numero di cacciatorpediniere; la seconda era una formazione anfibia, agli ordini del contrammiraglio (ora vice-ammiraglio) R. K. Turner, composta di sei incrociatori pesanti (due dei quali australiani), un incrociatore leggero (australiano), parecchi cacciatorpediniere, e 23 navi da trasporto di truppe; la terza formazione, agli ordini del contrammiraglio (ora vice-ammiraglio) John S. McCain era composta di apparecchi terrestri di vari tipi di base nella Nuova Caledonia, nelle Fiji, ed a Samoa.

Secondo i piani prestabiliti, essi dovevano operare in stretta collaborazione con gli aeroplani agli ordini del generale MacArthur nella Nuova Guinea ed in Australia. I reparti di fanteria di marina erano stati raggruppati in Nuova Zelanda durante i mesi di giugno e luglio, al comando del maggiore generale (ora tenente generale) A. A. Vandegrift.

Lasciata la Nuova Zelanda, e congiuntasi con le nostre unità di combattimento, tutta intera la forza d'invasione fece una manovra di prova mentre si dirigeva verso gli obiettivi assegnati. La mattina del 7 agosto le forze di sbarco, che presero il nemico di sorpresa, effettuarono degli sbarchi a Guadalcanal ed a Tulagi. Incontrarono inizialmente scarsa resistenza a Guadalcanal, ma a Tulagi i Giapponesi avevano costruito delle trincee e quando il nemico cominciò a sparare, l'avanzata da parte delle nostre truppe divenne lenta e difficile. Il nemico eseguì anche un contrattacco aereo nel pomeriggio, ma con scarsi risultati.

Il pomeriggio dei giorno seguente la fanteria di marina controllava completamente Tulagi ed aveva effettuato progressi soddisfacenti a Guadalcanal, dove si era impossessata dell'aerodromo. I principali obiettivi erano dunque stati raggiunti: le nostre perdite ammontavano ad un piroscafo da trasporto di truppe affondato, un cacciatorpediniere danneggiato e successivamente affondato, ed uno semplicemente danneggiato; le perdite di aeroplani furono di 21 apparecchi da caccia.

LA BATTAGLIA DELL'ISOLA DI SAVO

II 7 e l'8 agosto avevamo respinto degli attacchi aerei con scarse perdite da parte nostra, ma quegli attacchi erano riusciti tuttavia a ritardare considerevolmente lo scarico delle merci dai piroscafi da carico e lo sbarco di truppe. Inoltre, nonostante le gravi perdite aeree inflitte al nemico, dovevamo certamente prevedere nuovi attacchi alle nostre navi, da parte di unità di superficie o forse di apparecchi di base all'Isola di Santa Isabella. In quel momento critico le nostre navi porta-aerei dovettero ritirarsi dalla loro posizione di copertura per rifornirsi di combustibile, ed anche perchè i Giapponesi avevano dimostrato di possedere considerevole forza aerea e potevano disporre di sottomarini, alla cui minaccia non volevamo esporre le nostre navi.

In queste condizioni, gl'incrociatori delle forze, di copertura al comando del contrammiraglio Crutchley della marina britannica, si disposero durante la notte in una posizione destinata a proteggere la zona compresa tra Guadalcanal e le Isole Florida e il passaggio la due lati dell'Isola Savo. La formazione settentrionale, che proteggeva quest'ultima zona, era composta degl'incrociatori pesanti Vincennes, Quincy ed Astoria, coperti dai cacciatorpediniere Helm e Wilson. La formazione meridionale era composta dell'incrociatore australiano Canberra e da quello americano Chicago, coperti dal Patterson e dal Bagley. Due cacciatorpediniere, il Ralph Talbot ed il Blue, erano in posizione non lontano dall'Isola Savo. L'8 agosto, a tarda sera, ebbe luogo uno riunione a bordo della nave di bandiera del contrammiraglio Turner, la McCawley; alla riunione partecipò anche il contrammiraglio Crutchley, che era sull'Australia.

Una formazione di incrociatori e caccia nemici entrò inosservata nella suddetta zona verso l'1,45 a.m., e assistita da razzi di segnalazione provenienti da aeroplani nemici, aprì il fuoco sulle nostre forze di protezione con cannoni e siluri. Prese alla sprovvista, e sotto il fuoco giapponese, che riuscì ad infliggere gravi danni alle nostre unità in pochi minuti, le nostre navi risposero con tiri inefficaci. L'azione ebbe termine alle 2,15 circa, quando i Giapponesi, avendo girato attorno all'Isola di Savo, si allontanarono in direzione nord-est. In quella mezz'ora il Quincy, il Vincennes, l'Astoria ed il Canberra furono danneggiati così gravemente che più tardi colarono a picco, mentre il Chicago, il Ralph Talbot ed il Pattercon furono anch'essi danneggiati.

La causa immediata della nostra sconfitta era da attribuirsi al fatto che il nemico fosse riuscito a prenderci alla sprovvista, e ciò era dovuto ad un complesso di circostanze. Anzitutto, data l'urgente necessità di conquistare ed occupare Guadalcanal, i nostri piani strategici non erano stati elaborati con la consueta accuratezza. Inoltre, certe deficienze delle comunicazioni avevano anche peggiorato la situazione, già di per sè grave. La stanchezza degli equipaggi va presa anch'essa in considerazione per spiegare l'insufficiente vigilanza. Ma, per dirla in termini più generali, ci siamo lasciati sorprendere, perchè non avevamo esperienza. Inutile dire che abbiamo fatto tesoro delle lezioni duramente apprese.

Comunque, la conseguenza immediata di questa battaglia tra incrociatori fu la ritirata delle formazioni nemiche, che non fecero alcun tentativo di attaccare le nostre navi, che sbarcavano uomini e materiali sulle spiagge di Guadalcanal. Tuttavia, la perdita di quattro incrociatori e le successiva perdita di due navi porta-aerei ci lasciarono per parecchi mesi in uno stato di inferiorità. I Giapponesi, non approfittarono dell'occasione per impegnare la nostra flotta in una battaglia, in cui l'equilibrio navale sarebbe stato nettamente in loro favore, probabilmente perchè non sapevano e noi ci guardammo bene dall'informarli quanto gravi erano state le nostre perdite.

LA LOTTA PER GUADALCANAL

L'Isola di Guadalcanal, non sarebbe stata di per sè molto importante, se non fosse stata una chiave di volta di tutta la difesa delle isole meridionali, dell'Australia e della Nuova Zelanda. Per questa ragione noi decidemmo di arrestare precisamente a Guadalcanal l'avanzata nemica; e così essa divenne una posizione di primaria importanza nel fronte di battaglia. Subito dopo i nostri sbarchi, ci trovavamo a dover combattere contro le forze terrestri nell'isola, e, poichè tanto noi che i nemici dovevamo fare assegnamento sulle forze navali per rifornimenti e rinforzi, era inevitabile che vi sarebbero stati degli scontri navali fino a quando la lotta non fosse definitivamente terminata.

Dopo la battaglia dell'isola di Savo, i Giapponesi cominciarono a bombardare le posizioni della fanteria di Marina ed a rendere quasi impraticabili, durante le ore di luce, le acque circostanti. Di notte, le navi di linea giapponesi bombardavano a volontà i nostri impianti. Tuttavia, i Giapponesi non riuscirono a portare rinforzi terrestri dalle Salomone Occidentali.

Per ciò che concerne l'attività navale, ci fu una stasi di circa dieci giorni; durante quel periodo i Giapponesi, che, dopo gl'insuccessi subiti al momento degli sbarchi iniziali, opponevano ora una feroce resistenza, riunirono tutti i rinforzi disponibili presso Henderson Field. Le truppe così rinforzate, attaccarono immediatamente: ne seguì una battaglia notturna presso il fiume Fenaru, in cui la fanteria di sbarco riportò completa vittoria.
Il nemico stava intanto concentrando le sue forze nella zona di Rabaul; e il 23 agosto l'imminenza di una grande battaglia si delineava evidentissima.

LA BATTAGLIA DELLE SALOMONE ORIENTALI

Prevedendo una mossa nemica, da effettuarsi in forza, il vice ammiraglio Ghormley aveva concentrato due formazioni a sud-est dell'isola di Guadalcanal. Esse erano raggruppate attorno alle navi porta-aerei Saratoga ed Enterprise, e comprendevano la corazzata North Carolina, gl'incrociatori Minneapolis, Portland, New Orleans e Atlanta, e undici cacciatorpediniere. La mattina del 23 agosto, un apparecchio da perlustrazione avvistò un gruppo di navi da trasporto di truppa a circa 40 km. a nord dell'isola.

Durante la notte, le nostre forze tutte insieme fecero rotta verso nord e presero contatto col nemico la mattina seguente. Nel pomeriggio del 24, gli apparecchi della Saratoga bombardarono una nave porta-aerei nemica e danneggiarono un incrociatore ed un cacciatorpediniere. Mentre si svolgevano queste azioni, circa 75 apparecchi nipponici attaccavano la Enterprise e le navi di scorta, infliggendo perdite non troppo gravi all'Enterprise, nonostante l'intenso fuoco anti-aereo di tutte le navi di scorte, e specialmente della North Carolina. Quella stesse notte una squadriglia delle fanteria di marine attaccò e danneggiò altri due cacciatorpediniere nemici e le mattina dopo affondò une nave de trasporto di truppe. In aggiunta a tutti questi attacchi, aeroplani dell'esercito centrarono probabilmente un incrociatore, gli apparecchi delle Saratoga colpirono una corazzata e due incrociatori, mentre anche i piloti dell'aviazione delle fanteria di marina danneggiarono un altro incrociatore. Come conseguenze di quest'azione, i Giapponesi, rimasti quasi totalmente privi dell'appoggio delle porta-aerei, misero fine alla battaglia, benchè le loro potenti unità di linea fossero ancora in gran parte illese.

Dopo le Battaglia delle Salomone Orientali, per circa sei settimane, non ebbe luogo alcune azione importante nel pacifico Meridionale. Tuttavia, anche durante quelle sei settimane, bisognava tenere aperte le linee di comunicazione verso Guadalcanal. I sottomarini e l'aviazione giapponese operavano attivamente in quella zone: si svolsero infatti numerose azioni sporadiche, che ci costarono la perdite della nave porta-aerei Wasp, dei cacciatorpediniere O'Brien, Blue, Colhoun, Gregory, e Little, nonchè di varie altre unità minori. I Giapponesi effettuavano anche quasi tutte le notti delle incursioni, che le nostre truppe chiamavano il "direttissimo di Tokio," arrivando a Guadalcanal delle regione di Buin-Faisi; l'aviazione nemica non cessava poi di bombardare giorno e notte le posizioni delle fanteria di marina.

Il 13 settembre le truppe terrestri nemiche, avendo ricevuto dei rinforzi, sferrarono un altro attacco contro Henderson Field. La situazione rimase indecisa per parecchie ore, ma alla fine le fanteria di marina, grazie anche al sopraggiungere di rinforzi ed all'appoggio dell'artiglieria, riuscì e decimare le forze attaccanti.
Nonostante gli attacchi diretti contro le forze terrestri nemiche de parte delle nostre truppe e contro le forze navali di appoggio da parte dell'aviazione delle fanteria di marina, i Giapponesi, alla fine di settembre, erano riusciti e sbarcare nell'isola quasi un'altra intera divisione. Oltre e ciò, avevano raggruppato a nord potenti formazioni navali, sicchè la situazione si presentava nuovamente minacciosa. Era assolutamente necessario rinforzare la fanteria di marina, pure sfidando la superiorità navale ed aerea nemica. I rinforzi che avevamo intenzione di mandare a Guadalcanal comprendevano reparti dell'esercito che avevamo a disposizione, cioè il 164.mo fanteria.

LA BATTAGLIA DEL CAPO SPERANZA

Dopo che i nostri apparecchi, di base sulle porta-aerei, ebbero attaccato, in un'azione preliminare, il naviglio nemico nelle Salomone Settentrionali, le nostre forze navali in quella regione furono disposte in tre gruppi. Il primo era disposto attorno alla nave portaaerei Hornet, ad ovest di Guadalcanal; il secondo, a est dell'Isola di Malaita, comprendeva la nuova corazzata Washington; il terzo, al comando del contrammiraglio Norman Scott, doveva rimanere in una posizione a sud di Guadalcanal, in attesa degli eventi; esso era composto degl'incrociatori pesanti San Francisco, Salt Lake City, degli incrociatori leggeri Boise e Helena, e dei caccia Buchanan, Duncan, Farenholt, Lafley e McCalla.

Il pomeriggio dell'11 ottobre si ebbe notizia che delle forze navali nemiche si trovavano nello stretto che separa l'isola di Choiseul dal gruppo della Nuova Georgia, e che si dirigevano su Guadalcanal. Contemporaneamente il nemico attaccava Henderson Field a Guadalcanal con circa 5 apparecchi. Il contrammiraglio Scott fece quindi rotta verso il nord, colla sua formazione doppiando la punta nord-occidentale dell'isola circa due ore prima della mezzanotte; poco prima di mezzanotte prese contatto con le unità nemiche ed aprì il fuoco.

Preso di sorpresa, il nemico non rispose per circa dieci minuti, durante i quali i nostri incrociatori approfittarono dell'occasione e concentrarono tutte le loro artiglierie sulle unità nemiche. In meno di cinque minuti quattro navi nemiche erano scomparse, due altre messe fuori combattimento dal Helena e dal Boise, mentre il Farenholt, il Duncan ed il Buchanan colpirono gl'incrociatori nipponici con lancio di siluri. Il Buchanan riuscì anche ad affondare, a forza di cannonate, un caccia nemico e ad incendiare un'altra nave non meglio identificata.

Quando i Giapponesi aprirono il fuoco, il Boise, si trovò impegnato con un incrociatore pesante e fu danneggiato, ma non senza aver appiccato il fuoco all'incrociatore. Durante questa azione, il Salt Luke City colpì una nave ausiliaria ed un caccia nemico. A questo punto della battaglia, il contrammiraglio Scott cessò il fuoco, per rettificare la sua posizione; poichè la maggior parte degli obiettivi nemici erano scomparsi, seguì una breve sosta.

Il Salt Lake City, l'Elena ed il San Francisco riaprirono ben presto il fuoco con ottimi risultati. L'incendio a bordo del Boise era stato estinto, tanto che la nave rientrò in azione impegnando un incrociatore pesante ed una nave non identificata: ma, dopo essere stato nuovamente danneggiato; fu costretto a ritirarsi. Il Salt Lake City, nel frattempo, aveva coperto il Boise, e, assistito dal San Francisco, concentrava il fuoco su un incrociatore pesante nemico, fino a quando i Giapponesi non misero fine all'azione.

Durante la suddetta battaglia, il Duncan fu così gravemente danneggiato, che lo si dovette abbandonare, mentre il Farenholt fu colpito anch'esso. Il San Francisco era stato centrato ed il Boise, come abbiamo già detto, era stato gravemente danneggiato. Ma ciò nonostante avevamo riportato una vittoria, dovuta in parte ad aver preso il nemico alla sprovvista, ed in parte all'accuratezza del del nostro tiro.

* * *

Nei giorni seguenti, nonostante gl'insuccessi sofferti nella Battaglia del Capo Speranza, i Giapponesi continuarono gli attacchi a Guadalcanal, e, nonostante le gravi perdite inflitte loro dalle nostre forze, riuscirono a sbarcare quasi tutta un'altra divisione. Le nostre incursioni aeree tuttavia, lasciarono quella divisione con poco equipaggiamento, pochi viveri ed insufficiente appoggio d'artiglieria. Nel frattempo invece erano arrivati i nostri rinforzi per la fanteria di marina, ed il generale Vandegrift era riuscito a migliorare la sua posizione: egli poteva disporre ormai di un più efficace appoggio aereo, grazie anche alle nuove piste allestite dai battaglioni di costruzione; ma, poichè i tiri nemici continuavano incessanti, aveva bisogno ancora di un forte appoggio navale, tanto più che i Giapponesi non sembrava, avessero intenzione di rallentare i loro sforzi diretti a sferrare un attacco a fondo.

I sottomarini e l'aviazione nemica rinnovarono il tentativo di interrompere le nostre comunicazioni, e divenne sempre più evidente che i Giapponesi avrebbero avuto l'appoggio, per la loro progettata offensiva, di potenti unità navali ed aeree. Il cacciatorpediniere Meredith fu affondato il 15 ottobre, mentre tentava di proteggere le nostre linee di comunicazione, ed alcuni giorni dopo l'incrociatore pesante Chester fu danneggiato da sottomarini nemici; ma intanto le nostre unità navali venivano rinforzate dalla nuova corazzate South Dakota; anche l'Enterprise, debitamente riparata, poteva rientrare in azione. Le nostre forze navali erano ora divise in due gruppi, uno dei quali era quello della Washington, al comando del contrammiraglio W. A. Lee, Jr.; l'altro consisteva di due navi porta-aerei, una corazzata, tre incrociatori pesanti, tre incrociatori leggeri arti-aerei e 14 cacciatorpediniere agli ordini del contrammiraglio (ora vice ammiraglio) T. C. Kinkaid. Mentre quest'ultimo si dirigeva verso nord-ovest, per tentare di impegnare il nemico, l'altro gruppo, rinforzato dalle navi superstiti della Battaglia del Capo Speranza, rimaneva in prossimità di Guadalcanal.

La notte del 23-24 ottobre i Giapponesi iniziarono un attacco terrestre a sud del fiume Matanikau e, pur essendo stati respinti con gravi perdite, continuarono l'attacco il giorno seguente. Il 25 le forze terrestri nemiche ebbero l'appoggio dell'artiglieria navale di due incrociatori e quattro cacciatorpediniere che erano riusciti ad infiltrarsi nella Rada di Savo, e la notte del 25-26 l'offensiva nemica terrestre raggiunse il culmine. Fu in questo momento che i Giapponesi mandarono tutte le loro unità navali in forza verso Guadalcanal.

LA BATTAGLIA DELL'ISOLA DI SANTA CRUZ

Nelle prime ore dei mattino del 26 ottobre i nostri aeroplani di pattuglia presero contatto con tre formazioni nemiche: una di esse comprendeva una nave porta-aerei; un'altra era composta di due corazzate, un incrociatore pesante e sette caccia; la terza, che comprendeva due navi porta-aerei, fu attaccata da apparecchi di perlustrazione, che colpirono una delle due navi porta-aerei.

Contemporaneamente, le nostre porta-aerei lanciavano tre squadriglie di attacco, una dall'Enterprise e due dalla Hornet: prima di raggiungere gli obiettivi, gli apparecchi dell'Enterprise incontrarono degli aeroplani giapponesi. Dopo uno breve scontro, in cui alcuni dei nostri apparecchi furono abbattuti, fu avvistata una squadra di corazzate nemiche: una di esse fu colpita dalle bombe dei nostri aerei. La prima squadriglia della Hornet raggiunse il gruppo di porta-aerei nemiche senza incontrare opposizione e riferì di avere colpito una porta-aerei con almeno quattro bombe da 500 kg. l'una. Un altro apparecchio della Hornet appartenente allo stesso gruppo lanciò tre siluri contro un incrociatore pesante. ll secondo gruppo della Hornet avvistò un formazione di incrociatori nemici e riuscì a colpire con bombe due incrociatori pesanti ed un caccia.

Mentre la nostra aviazione stava sferrando i suoi attacchi, le nostre navi porta-aerei venivano attaccate a loro volta da apparecchi nemici. La Hornet fu colpita da una bomba; a bordo di essa scoppiò un incendio, provocato da un bombardiere nemico, che si precipitò in picchiata sul fumaiolo delle nostre nave. Il ponte di comando fu inondato di benzina fiammeggiante ed in più fu danneggiato da una bomba dell'apparecchio nemico. Il fuoco fu estinto in circa due ore, ma, durante l'attacco degli apparecchi da picchiata, il nemico effettuò anche un attacco con i siluri: la Hornet fu colpita due volte, e tutto l'impianto elettrico ed il sistema di comunicazioni risultò interrotto. Dopo i siluri, fu la volta di altre tre bombe, ed infine un altro apparecchio suicida si precipitò in picchiata sulla nave, provocando un nuovo incendio. Di 27 apparecchi attaccanti, 20 furono abbattuti dal fuoco antiaereo, ma l'attacco che durò 11 minuti ridusse la Hornet, che sbandava paurosamente, all'immobilità con molti focolari d'incendio a bordo. I feriti furono subito presi a bordo degl'incrociatori, le fiamme furono estinte in circa mezz'ora e la nave fu rimorchiata dal Northampton; ma nel pomeriggio fu nuovamente attaccata da siluranti e da apparecchi da picchiata, tanto che dovette essere abbandonata ed affondata dalle nostre stesse forze.

Poco prima di mezzogiorno l'Enterprise fu sottoposta ad un attacco di 24 aeroplani da picchiata; sette di essi furono abbattuti da fuoco anti-aereo, a cui partecipò la- South Dakota; poco dopo essa riuscì a sfuggire ad altri due attacchi da parte di aereosiluranti e ad uno di bombardieri da picchiata.

Gli apparecchi di picchiata nel primo attacco colpirono tre volte la Enterprise; degli aereo-siluranti, uno si precipitò in picchiata sul cacciatorpediniere Smith, facendovi nascere un incendio e facendo scoppiare il siluro dell'apparecchio. Lo Smith riuscì tuttavia, con grandi difficoltà, a dominare le fiamme ed a riparare in porto. Nel frattempo i bombardieri di picchiata colpivano con una bomba la South Dakota, ferendo il suo comandante, capitano di vascello (ora contrammiraglio) T. L. Gatch, e danneggiavano abbastanza gravemente l'incrociatore leggero San Juan.

Non ci furono altri attacchi, e le due formazioni ricevettero l'ordine di ritirarsi separatamente; durante la notte furono inseguite da unità di linea giapponesi, che però tornarono indietro, quando si avvidero dell'inutilità dei loro sforzi.
Si ritiene che gli aeroplani nemici, che parteciparono all'attacco conto la Hornet e la Enterprise siano stati tra 170 e 180: di questa cifra complessiva, 56 furono abbattuti da fuoco anti-aereo e presso a poco lo stesso numero dai nostri aerei. Noi subimmo la perdita della Hornet, del cacciatorpediniere Porter silurato mentre era intento al salvataggio del personale di uno dei nostri aerei, e di 74 aeroplani. Non affondammo alcuna nave nemica e la nostra deficienza di porta-aerei nella zona del Pacifico era divenuta pericolosa; ma c'erano anche alcuni parziali compensi: avevamo messo fuori combattimento due navi porta-aerei nemiche e decimato quattro gruppi aerei giapponesi.

segue

* LA BATTAGLIA DI GUADALCANAL


INDICE