BIOGRAFIE ( 1 )

PALMIRO TOGLIATTI

La voce di Palmiro Togliatti
( Ricordando il 1945 )

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( Segue più avanti: L'ATTENTATO )

di Luca Molinari

Palmiro Togliatti nacque a Genova nel 1893 in una famiglia piccolo borghese e frequentò studi regolari ed approfonditi tanto a livello liceale, quanto a livello universitario conseguendo una laurea in giurisprudenza.

(PALMIRO, alla nascita era il giorno delle Palme, la madre lo chiamò appunto Palmiro, che significa UOMO DI PACE).

Fin da giovane espresse la propria simpatia per il movimento operaio socialista e, probabilmente, si iscrisse al PSI nel 1914 per uscirne l’anno successivo per una diversa valutazione data a riguardo della Grande Guerra.

Come è noto la maggioranza dei socialisti italiani era contraria al conflitto (antiterventisti) invece il giovane Togliatti si avvicinò a quella minoranza irredentista riconducibile a Salvemini e Bissolati le cui posizioni, dette “Interventismo democratico”, vedevano nel conflitto la IV guerra d’Indipendenza, ossia l’opportunità di completare l’operazione unitaria risorgimentale inglobando nel Regno d’Italia i territori irredenti di Trento e Trieste, dell’Istria e della Dalmazia.

Tali posizioni furono sposate anche da un altro giovane socialista il cui percorso politico si incrocerà presto con quello di Antonio Gramsci.

Terminato il conflitto Togliatti rientra nelle file del Partito Socialista e va ad operare nell’ala più a sinistra e meno propensa al compromesso.

Del vecchio PSI riformista di Turati e Treves, Togliatti condanna l’arrendevolezza di fronte al nascente movimento fascista; ma ilsuo PSI è un partito di militanti vecchi e stanchi delusi dalla guerra e da tanti anni di attesa.

Togliatti si avvicina al gruppo torinese di “Ordine Nuovo” il cui fondatore fu Antonio Gramsci e, al congresso del PSI di Livorno del 1921, fonda, con lo stesso Gramsci, Angelo Tasca, Umberto Terraccini, Camilla Ravera ed Amadeo Bordiga il Partito Comunista d’Italia sposando le tesi leniniste che avevano ispirato la Rivoluzione d’Ottobre del 1917.

Nel 1927 Togliatti, con l'arresto di Gramsci, assume la segreteria del PCI che manterrà fino all’anno della sua morte, il 1964 per un totale di 36 anni.

La novità del partito comunista rispecchio al vecchio partito socialista consiste nella carica di novità, a volte anche eversiva, che esso aveva in se.

Il nuovo partito si pone l’obiettivo di avere un rapporto diretto con gli intellettuali anche di diversa fede politica, in tale ottica va interpretato il rapporto esistente tra Gobetti e Gramsci.

Importante è, anche, il ruolo dei giovani che devono essere inseriti e coinvolti nella politica militante attiva; il partito si poneva l’obiettivo primario di strutturarsi e radicarsi nel territorio in modo da organizzare al meglio i militanti ed i simpatizzanti.

Il PCd’I, come tutti gli altri partiti democratici, venne messo al bando durante il ventennio fascista ed i suoi leader vennero incarcerati o furono costretti all’esilio: Togliatti fuggì in Unione Sovietica dove visse in prima persona, e con molte omissioni, gli anni del terrore e delle tremende purghe staliniane.

Dopo il 25 luglio 1943 Togliatti rientra in Italia e, con la “svolta di Salerno”, pone fine alla questione istituzionale impegnando al massimo il partito, che nel frattempo ha assunto la dizione di Partito Comunista Italiano, nella lotta al nazifascismo e per la ricostruzione del Paese dopo la tragedia del fascismo e della guerra.

L’interpretazione che diede del fenomeno fascista fu basato sulla rielaborazione delle tesi gramsciane: il fascismo era stato visto come il prodotto della crisi della vecchia borghesia italiana, una borghesia che non si era evoluta, che non aveva avuto una maturazione democratica e preferiva (unendosi e adottando le "serrate") il corporativismo e la violenza alla libertà ed alla lotta politica.

L’impronta che nel II dopoguerra Togliatti diede al partito fu la realizzazione di una struttura di massa, integrata nella società e pronta al dialogo con tutte le classi sociali e con tutte le altre forze politiche. (abbiamo detto che si chiamava Palmiro, "uomo di Pace").

Togliatti si poneva l’obiettivo del dialogo e della collaborazione non solo con le altre forze della sinistra, ma anche con il partito di massa cattolico, la Democrazia Cristiana.

Nel secondo governo Badoglio Togliatti diviene Ministro di Grazia e Giustizia e promulga la famosa AMNISTIA nei confronti degli ex fascisti, ma anche di chi nella sinistra partigiana aveva commesso dei reati)

Ma la redasse perché soprattutto voleva salvare i suoi compagni (di cui molti si erano rifugiati in Iugoslavia); non credo proprio che volesse perdonare e salvare i fascisti.

il primo passo verso il dialogo e l’auspicato accordo con i ceti medi che erano stati - non dimentichiamolo - la base sociale e politica del fascismo.
(Una politica che nel '36 lui invidiava, avrebbe voluto fare lui il Programma di San Sepolcro. Chiamò anche i suoi pochi "compagni" a imitare quelli di quel famoso 1919. Ma invano, nel '36 erano rimasti pochi
i comunisti in Italia mentre i socialisti erano passati quasi tutti al fascismo. Deluso, Togliatti se ne tornò in Russia, dicendo che gli italiani erano diventati tutti del "mandolinisti".

Il “partito nuovo” voluto da Togliatti è il tipico partito di massa in grado di metabolizzare ed interpretare le richieste e le esigenze del corpo sociale e del corpo elettorale e di trasformarle in soluzioni legislative e normative: purtroppo dopo la rottura dell’unità antifascista della primavera del 1947 quel partito (il veto venne dagli Usa) non tornerà più al governo, privando il Paese dell’appoggio di un grande movimento democratico e di massa rappresentante della parte più avanzata e produttiva del popolo italiano.

Il rapporto con gli intellettuali fu proseguito nell’ottica gramsciana e, nonostante le rotture con Vittorini e Calvino, segnò il predominio della sinistra e dei comunisti nell’ambito della cultura, anche per il disinteresse dei conservatori in tale campo. Anche se si distaccò il PSI.

Togliatti fu prima di tutto un fine intellettuale, uomo di formazione umanistica ed illuminista che aveva saputo conciliare la propria struttura culturale prettamente crociana con la lezione marxista nell’interpretazione di Lenin e di Marx.

La cultura per le masse e la loro formazione fu di primaria importanza. I comunisti italiani furono predominanti ed egemoni; come ha scritto Giorgio Bocca: “Ora questa egemonia c’è stata nel dopoguerra, era stata progettata da Antonio Gramsci e messa in pratica dal partito nuovo di Palmiro Togliatti; ma era un’egemonia con fondate motivazioni. Per cominciare, i comunisti leggevano. In tutte le case di militanti comunisti si trovavano i libri che appartenevano genericamente a una cultura di sinistra ma che spesso erano semplicemente dei libri di cultura, prodotti da case editrici di ottimo livello come Einaudi o Laterza”.

Togliatti è stato accusato da più parti di Stalinismo.
E sembra qui opportuno analizzare brevemente tale problematica.

Nel II dopoguerra la figura di Stalin era oggetto di venerazione e di rispetto da parte di tutto il movimento comunista internazionale se non altro per il grande sforzo prodotto dai russi nella lotta contro il nazifascismo: infatti venti milioni di soldati dell’Armata Rossa e di civili sovietici caddero per impedire la vittoria delle truppe di Hitler e di Mussolini.

Premesso ciò, non si può non capire l’impossibilità di Togliatti di condannare Stalin e lo stalinismo nemmeno alla luce della denuncia di Krusciov al ventesimo congresso del PCUS dopo la morte del dittatore georgiano e l’invasione sovietica dell’Ungheria (1956); però dopo tali eventi iniziò nel PCI un lento, ma proficuo periodo di destalinizzazione. Cioè fece qualche critica (finalmente!)

Oggi, alla luce di “Libri Neri” che non fanno altro che falsare la storia sembra opportuno rivendicare i meriti e le colpe reali del movimento comunista.

Si deve sottolineare la peculiarità del Partito Comunista Italiano, che fu sempre inserito nella vicenda nazionale essendo avanguardia e baluardo del progresso civile e della democrazia.

L’opera di verità di cui accennato sopra è ben presente nelle seguenti parole di Giorgio Bocca:
“Così credo sia impossibile ignorare, nel giudizio globale sul comunismo, il fatto che senza l’Armata rossa e i milioni di morti sul campo di battaglia (che ne facciamo di questi: li sommiamo o li sottraiamo a quelli dell’orrore?) probabilmente non saremmo qui a scrivere o disputare di revisionismo, ma saremmo nel grande Riecco millenario. Il fatto che il paese del comunismo abbia salvato l’Europa da una secolare notte nazista non cancella gli errori e le colpe del sistema, ma ci sembra che spieghi la necessità dei piani quinquennali per la creazione di un'industria e di un armamento pesanti che non saranno equiparabili alla libertà e alla giustizia, ma che le hanno rese possibili almeno da noi, e che in certo senso hanno reso possibile anche la caduta dei regimi comunisti.
Il “Libro nero” è un documento attendibile, e ne sono convinti quanti a partire dall’Ottobre rosso hanno intuito e poi constatato le involuzioni del partito unico e del sistema autoritario. Ma che nel corso di una storia tragica, (non all’improvviso, con la scienza di poi) hanno cercato di evitarli o di correggerli, cosa assai difficile nella storia come dimostrano i genocidi delle conquiste spagnole e americane, le stragi indonesiane o indiane, gli eccidi sudamericani o quelli kenyani per mano degli irreprensibili soldati di Sua Maestà britannica. Il comunismo divorava vittime umane, ma accendeva anche speranze e movimenti di liberazione in ogni parte del mondo. Ecco perché a chi ha vissuto questi decenni di storia questo revisionismo in blocco, questi pentimenti tardivi, queste cancellazioni della propria storia, della propria vita appaiono fastidiose”.


Questo brano rappresenta bene la grandezza, la miseria e la tragicità dell’esperienza comunista di cui Togliatti fu indubbiamente uno dei più autorevoli protagonisti e più lucidi interpreti raccogliendone su di se tutti gli aspetti sia positivi, sia negativi. (ma torniamo a dire che era un "uomo di pace", e non un ignorante fanatico).

La fine dell’unità antifascista, la scissione di Palazzo Barberini e la disfatta elettorale del 18 aprile 1948 segnarono la fine si ogni speranza dei comunisti italiani, ma anche di Nenni (PSI), di tenere l’Italia fuori dalla guerra fredda: la “cortina di ferro” scendeva anche sullo stivale, ed al partito di Togliatti la storia riservava il ruolo di opposizione che il leader comunista seppe esercitare in maniera equilibrata e non estremista pensando maggiormente al bene comune che a faziosi interessi di parte.

La fedeltà togliattiana per il sistema democratico italiano che aveva contribuito a realizzare si vide nell’estate del 1948 dopo l’attentato da parte di Pallante (vedi in fondo la storia di quell'attentato): il segretario comunista volle evitare ogni tragica involuzione rivoluzionaria che avrebbe soltanto avvelenato gli animi scatenando una nuova guerra civile; aveva capito che a Jalta l’Italia era stata assegnata alla sfera di influenza occidentale e che tali decisione era irreversibile.

Questo atteggiamento togliattiano per alcuni fu doppiezza, per altri profondo senso dello stato.

Per tutti deve valere quanto detto dallo stesso Togliatti fin dai tempi della Costituente: “Mettetevi in testa che questo non è un Parlamento borghese che i deputati proletari devono combattere. Questo è un Parlamento conquistato con il sangue di tutti, in primo luogo da noi; le distinzioni non valgono”.

La fedeltà al Paese fu molto alta, come d’altronde la devozione alla causa del comunismo internazionale, anche se seppe dire di no allo stesso Stalin rifiutando di abbandonare la guida del PCI per assumere un ruolo di primo piano nelle organizzazioni internazionali comuniste.

Dopo il 1953 la formula centrista (col la famosa "legge truffa") entra in crisi e De Gasperi si ritira dalla politica: ci si avvia lentamente verso il centro-sinistra di cui Togliatti vedrà solo la fase embrionale, la lungimirante intuizione di Amintore Fanfani, a cui assicurerà un’opposizione diversa.

La distensione internazionali, negli anni di Papa Giovanni XXIII, di J.F.Kennedy e di N.Krusciov, e la progressiva fine della spinta innovativa e propulsiva del centro-sinistra, il cui culmine saranno i fatti del luglio 1964, faranno aumentare l’importanza dell’elaborazione togliattiana, poi portata avanti da Luigi Longo, della “via italiana al socialismo”, cioè la ricerca di accordo ed il dialogo con laici, socialisti e cattolici.

Togliatti aveva capito la fragilità e l’eterogeneità della democrazia italiana e che per governare alle sinistre sarebbe servito l’appoggio del partito democristiano; la borghesia, se lasciata sola, sarebbe inevitabilmente deragliata a destra come era avvenuto nel 1922.
Togliatti concepiva i partiti come elemento di mediazione e di ricomposizione della società per preservare e rafforzare la democrazia italiana.

Come dice la nostra Costituzione “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”(art. 49).
Proprio quando i partiti politici italiani si sono allontanati da tale interpretazione è iniziato il logoramento e la degenerazione della democrazia italiana.

In una calda giornata dell’agosto 1964, nel campo pionieri di Artek, in quell’Unione Sovietica che aveva rappresentato una vera e propria seconda patria, la morte scendeva lenta sull’anziano leader comunista che era riuscito a sopravvivere a tre attentati, ma non ad un infarto.
La vita sfuggiva a colui che “sarà ricordato più per i suoi silenzi che per i suoi discorsi” e che “dava del lei anche a se stesso”.

Tutta l’Italia di sinistra esprimeva il proprio dolore partecipando ai suoi oceanici funerali.

Sembra giusto ricordare quell’ora suprema con le parole che ebbe a scrivere Enzo Biagi sull’Europeo nel 1964: “…Nel 1922 rischia di essere fucilato da un plotone di camicie nere; nel 1937, ad Alicante, sfugge miracolosamente ai moschetti dei falangisti che lo hanno messo contro un muro; nel 1948 scampa alle rivoltellate dell’esaltato Pallante. Muore ad Artek, in una dolce, rarefatta aria cecoviana, e la morte lo raggiunge sotto un bosco di betulle, mentre sta facendo un discorsetto in lingua russa ai giovani pionieri dei campi. I bambini gli sono sempre piaciuti”.

La figura del leader comunista è stata, negli ultimi anni, oggetto di discussione; chi scrive non può non ritenere Togliatti, a fianco di De Gasperi e di Nenni, uno dei padri della nostra democrazia repubblicana e riconoscersi nelle seguenti parole del già citato Giorgio Bocca, che del segretario comunista è stato incisivo e valido biografo:
“Non si capisce Palmiro Togliatti se non si capisce che anche il suo lucido realismo che alcuni chiamano cinismo, il suo intellettualismo, la sua accettazione dei poteri ‘millenari’ delle grandi istituzioni, fossero la Chiesa Cattolica o il grande stato socialista, avevano un senso perché credeva, pensava che stesse sorgendo una società nuova. Sbagliava, ma quanti uomini, quante generazioni hanno commesso un errore simile? E cosa sarebbe la storia degli uomini senza questi errori?”.
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di Luca Molinari

TRE PALLOTTOLE
LUI ESCE DAL COMA E DICE:
"CALMA"  NIENTE INSURREZIONI
 

"Roma 14 luglio - Stamane, verso le ore 11,30, mentre l'onorevole Togliatti usciva dalla porta del palazzo di Montecitorio, in compagnia dell'on. Leonilde Jotti, veniva affrontato da un giovane, che poi si è appreso essere tale ANTONIO PALLANTE, studente universitario venticinquenne, il quale gli sparava contro alcuni colpi di rivoltella - sembra quattro- tre dei quali lo raggiungevano in varie parti della regione toracica". (Comun. Ansa, ore 12.00)
"Egli ha dichiarato di essere iscritto al partito liberale" (Ib. ore 13.00)

"Roma 14 luglio - Il ministro dell'interno, on SCELBA, ha diramato tassative disposizioni a tutti i prefetti per impedire qualsiasi manifestazione di qualunque genere." (Ib. ore 13.05)

"Roma 14 luglio - La Camera del lavoro ha impartito disposizioni per la sospensione immediata di ogni attività lavorativa a Roma" (Ib. ore 14,30)

"Roma 14 luglio . INCIDENTI A ROMA, MORTI A NAPOLI, LIVORNO E GENOVA. - Incidenti si sono verificati a Roma nel corso della manifestazione di protesta per l'attentato a Togliatti. Sin dalle prime ore del pomeriggio masse di dimostranti sono andate confluendo verso piazza Colonna. I manifestanti che tentavano di invadere palazzo Chigi, sono stati respinti dalle forze di polizia che, sotto la pressione della folla, hanno esploso alcuni colpi di arma da fuoco in aria; altri gruppi hanno disselciato in alcuni punti il piano stradale...fatto barricate sotto la Galleria.  Si sono avuti feriti e contusi tra i dimostranti e agenti di polizia. Alle ore 18 la massa si è concentrata in piazza Colonna.." (Ib. ore 21.00)

"A Napoli una grande massa di dimostranti giungeva in piazza Dante dove però veniva affrontata dalla "Celere" che cercava di disperderla. I dimostranti reagivano. Durante i tafferugli la forza pubblica sparava alcuni colpi d'arma da fuoco. Si deplorano due morti ed un ferito grave.
A Livorno un agente di pubblica sicurezza è deceduto in seguito agli incidenti della giornata odierna.
A Genova, nel pomeriggio, quando più viva era l'agitazione, è stata invasa e devastata la sede del Msi in via Venti settembre. La polizia ha esploso alcuni colpi in aria a scopo intimidatorio... Nella  adiacente via Fieschi, a seguito di una disordinata e nutrita sparatoria, restava ucciso tale Biagio Stefani di 29 anni.
A Taranto, uno dei manifestanti, ferito durante incidenti con la polizia, decedeva durante il trasporto all'ospedale, mentre un agente versa in pericolo di vita".
(Ib. ore 23.55)

15 LUGLIO - Il Ministro degli Interni SCELBA  accusa apertamente i comunisti di strumentalizzare lo sciopero per una insurrezione civile; questo suo timore fa di conseguenza aumentare la tensione nel Paese. L'Unita' - uscita il mattino- accusa (lo leggiamo sul giornale in apertura) proprio il governo di volere la guerra civile trasformando un cordoglio spontaneo in un attacco repressivo e pretestuoso per imporre il proprio incontrastato potere
A Genova i dimostranti hanno disarmato perfino la Polizia, mentre alla Fiat 10 operai hanno sequestrato nel suo ufficio l'Amministratore Delegato Valletta e controllano e hanno in mano l'intera azienda che presidiano. L'esercito vuole intervenire ma con grande senso di responsabilità Valletta rifiuta questa soluzione traumatica ritenuta quasi irresponsabile che potrebbe portare a conseguenze disastrose.
Esemplare il sangue freddo di Valletta, che nonostante il sequestro, rivolgendosi ai suoi dieci carcerieri, li apostrofa con un "intanto andate a lavorare altrimenti domani vi licenzio tutti e dieci".

Buona parte dei telefoni pubblici non funzionano, l'isolamento è quindi totale all'interno del Paese, e qualcuno ha deciso (non si sa chi) di fermare tutti i treni. Ma già a Bologna non si passa piu', l'Italia il giorno 15 è già divisa in due. isolata dalle comunicazioni ferroviarie, stradali e telefoniche.
A Milano alle ore 17,30 tutti in Piazza Duomo. Il fiato è sospeso! La tensione altissima. Il da farsi caotico, perche le manifestazioni sono spontanee e sta sfuggendo di mano il controllo  agli attivisti.

Il Paese senza comunicazioni è in fermento; sta vivendo il suo dramma. Un salto nel buio. Piazza Duomo a Milano è una polveriera che può esplodere da un momento all'altro. Si trattiene il respiro.

Ma alle 17,15 da alcune radio accese nei bar di Piazza Duomo, dalla Francia, arriva la notizia che il "vecchietto" GINO BARTALI a dieci anni dall'ultima vittoria nel Tour del '38, pur avendo 22 minuti di distacco dalla Maglia Gialla, sulla tappa delle grandi montagne, passando primo su ogni colle nella grande tappa alpina, sta dominando la corsa, sta sbaragliando gli avversari e sta recuperando sull'Izoard  tutti i minuti di ritardo.

Tutta la squadra italiana in Francia al mattino alla partenza, all'annuncio dell'attentato voleva ritirarsi. Ma Bartali aveva ricevuto una telefonata da DE GASPERI e la benedizione del PAPA per vincere. E Bartali montò in sella e vinse! Alla grande!! - 

Alle radio accese, venne la prima notizia: sul primo colle era primo, sul secondo ancora primo, sul terzo aveva guadagnato un grande vantaggio, sul quarto era ormai solo, e sul quinto colle aveva recuperato abbondantemente i 22 minuti di abissale ritardo che aveva il giorno prima.  L'impresa straordinaria, quasi sovrumana, da leggenda continua il giorno dopo. Vincerà anche la tappa alpina di Briancon Aix les Bains, e  all'arrivo indossa la maglia gialla con otto minuti di distacco dal secondo. La foratura di Bartali nella discesa di un colle Izoard tenne il fiato sospeso tutta l'Italia in ascolto. Dal dramma si passò alla gioia, al tripudio, non si parlò piu' d'altro. In Piazza Duomo (ma anche in tutte le altre citta' d'Italia) comunisti, democristiani e poliziotti si abbracciarono, tutti in delirio. Bartali aveva stracciato Bobet. A Parigi ci arrivò con la maglia gialla e il Tour in tasca.
Bartali se proprio non aveva salvato l'Italia, certamente fece un gran favore a Scelba.

Molti dicono, che le vittorie di Bartali su quei colli, al Tour, arrivate nei "minuti" fatidici, abbiano stemperato la tensione, ricondotto alla ragione, distolto l'attenzione, fatto perfino scoprire alla "Chiesa in movimento" l'importanza dello sport come un diversivo sociale. Bartali fu poi indicato ed esaltato dal Papa, "perfetto atleta cristiano", e favorì la simbiosi tra morale cattolica e successo pubblico.

Infatti il dualismo che fra poco andrà a formarsi fra Bartali-Coppi assunse sempre più una forma di crociata; il primo, indicato come ammirevole cattolico, il secondo, fu sempre additato (e più avanti anche disprezzato e anche denunciato) come "pubblico peccatore", "rovina famiglie",  con gli scandali della Dama Bianca, sposata, arrestata e messa in prigione per adulterio in flagranza. Si volle demolire il Coppi di sinistra, ateo, e l' Italia si spaccò in due tifoserie; sportive, ma anche in un fanatismo ideologico; irrazionale ma ben strumentalizzato.
(Ma non vi era stata la tessa reazione quando Togliatti, abbandonò la moglie Montagana e si mise a vivere "More uxorio" con Nilde Iotti.)

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Una pagina di Gian Piero Piazza

L'attentato.

Nell'estate di cinquant'anni fa, la storia registrava a Roma un fatto di cronaca nera che, secondo l'opinione espressa "a caldo" da più parti, poteva degenerare in una svolta cruenta capace di minare profondamente la precaria stabilità politica del nostro Paese e addirittura innescare la miccia di una rovinosa guerra civile. Nella tarda mattinata del 14 luglio 1948, il segretario del Partito comunista italiano Palmiro Togliatti veniva colpito nell'atrio di via della Missione, a pochi passi da Montecitorio, da tre colpi di pistola sparati da distanza ravvicinata.
L'autore dell'attentato, Antonio Pallante, un giovane appartenente alle frange dell'estrema destra, si era accollato il ruolo di violento protagonista per cavalcare l'ostilità, frutto di un architettato processo di demonizzazione, nei confronti dell'uomo che rappresentava il baluardo di una forza politica, il comunismo, considerata come il grande nemico e il pericolo maggiore per la neonata istituzione repubblicana e il consolidamento della democrazia nel martoriato panorama dell'Italia del secondo dopoguerra.
I proiettili esplosi quasi a bruciapelo da una rivoltella calibro 38,8 avevano raggiunto il leader comunista alla nuca e alla schiena e uno gli aveva fortunosamente sfiorato la testa evitando per un soffio il tragico epilogo di quella sparatoria. Le condizioni di Togliatti erano comunque gravi. Ricoverato d'urgenza in ospedale, l'uomo politico veniva affidato alle esperte mani del chirurgo Pietro Valdoni e condotto immediatamente in sala operatoria.

Nelle concitate ore che precedettero l'esito dell'intervento, le agenzie di stampa inondarono le redazioni dei giornali di comunicati allarmistici e spesso contraddittori, annunciando addirittura la falsa notizia della morte del numero uno del Pci. Fortunatamente l'operazione andò a buon fine e Togliatti, risvegliatosi dall'anestesia verso le 17, fu il primo, nel clima arroventato di quelle ore cruciali, a imporre ai "luogotenenti" Secchia e Scoccimarro la moderazione. "Calma, non perdete la testa", e ai compagni fuori già discesi nelle piazze che già caldeggiavano l'insurrezione delle masse con quell'esercito di proletari concitato Togliatti ripeteva " State calmi!!", "andate a casa!"

Il timore di una sollevazione popolare fu manifestato dal ministro dell'Interno Mario Scelba, in carica dal giugno del 1947, ma era il suo un timore ingiustificato. Scelba (quindi prima dell'attentato) già all'indomani del 18 aprile 1948, nel fatidico giorno delle prime elezioni politiche repubblicane che avevano decretato la vittoria dei democristiani sulle forze di sinistra, lui aveva pessimisticamente preannunciato un futuro denso di incognite per il Paese e per il compito che era stato chiamato a svolgere:
"L'avvenire ci prepara giorni difficili", aveva sentenziato il ministro. "Non nutro la minima fiducia che gli avversari rinuncino alla violenza per scardinare con la forza ciò di cui non riescono ad avere ragione con il metodo democratico. Ma se il momento dovesse giungere, noi useremmo la forza dello Stato contro ogni tentativo di violenza".

Come i fatti avrebbero poi in concreto dimostrato, l'intransigente e determinato responsabile dell'ordine pubblico aveva torto di "temere il peggio", anche nei "giorni difficili" successivi all'attentato a Togliatti, definiti da lui come i momenti più pericolosi di tutta la sua carriera politica.

Ma avevano torto anche coloro che, schierati tra le file più estremiste del partito comunista, interpretarono il gesto inconsulto dell'attentatore alla stregua di un "complotto" ordito da elementi della mafia in combutta con i servizi segreti americani per assestare un colpo mortale al comunismo in Italia.

Certo, non mancarono le indignate ripercussioni di massa alla "provocazione" che l'attentato configurava in sé e nelle grandi città, specialmente nell'Italia del Nord dove avevano sede i più importanti insediamenti industriali, la rivolta sfociò violenta con l'occupazione delle fabbriche a Torino e a Milano e la proclamazione dello sciopero generale.

Ma la ribellione seppure a stento domata dai capipopolo e dalle forze dell'ordine, e risoltasi con un bilancio di un ventina di morti e centinaia di feriti tra le file degli insorti, non assunse mai la connotazione del preambolo a una 'insurrezione armata.

Se alla fine gli animi si placarono, il ritorno alla normalità fu dovuto a una precisa volontà politica dei vertici comunisti, che si erano strenuamente adoperati per riacquistare il controllo della base, consapevoli che non era il caso di mettere sul banco le carte suscettibili di far saltare la democrazia con un intervetno di Scelba e i suoi "scelbini".
Lo sapeva De Gasperi, lo statista democristiano uscito vincitore dal responso delle urne tre mesi prima, e lo sapeva lo stesso Togliatti, che con quel gesto arrendevole ("state calmi, andate a casa") aveva voluto ratificare per la seconda volta il patto non scritto stipulato agli inizi del 1947 con l'uomo più in vista della Dc, De Gasperi appunto.

A questo punto, per meglio comprendere l'intreccio delle vicende che indussero Togliatti e i comunisti a mantenere il controllo della situazione in quel delicatissimo frangente, occorre fare un breve salto a ritroso nel tempo. Quando Togliatti, il 27 marzo 1944, rimise piede in Italia sbarcando a Napoli dopo 18 anni di forzato esilio trascorso in Spagna e a Mosca, dove era diventato il vicesegretario del Comintern, l'emanazione internazionale di un partito comunista mondiale strettamente legato alla politica della grande madre sovietica, si mise in luce al congresso nazionale del partito a Salerno (la cosiddetta "svolta di Salerno")

In quell'occasione (anche se molti dei suoi non erano d'accordo) Togliatti sviluppò a chiare lettere la propria linea politica che rimandava la questione istituzionale, monarchia o repubblica, a guerra finita e poneva sul piano delle imprescindibili priorità la necessità di costituire un governo di unità nazionale per guidare la guerra di liberazione estesa a tutti gli italiani. Durante quel periodo. Togliatti rimase a Roma per svolgere il lavoro di ordine prettamente politico.
E mentre le brigate di partigiani comunisti a Milano sotto il comando di Luigi Longo (che però
con il suo comunicato n.18 lui voleva una insurrezione) Togliatti più opportunista - o meglio realista - tesseva la trama nella prospettiva di una futura alleanza con i cattolici, considerati l'altra forza politica di massa del Paese.

PALMIRO TOGLIATTI
... era nato a Genova il 26 marzo 1893, una domenica delle Palme, da cui la madre e il padre Antonio si ispirarono nel dargli il nome, Palmiro (che significa "Uomo di Pace"), e che era stato nel gennaio del 1921 uno dei fondatori del Partito comunista d'Italia (e dal '27 Capo) fin dal suo rientro in patria aveva maturato una profonda riflessione sulle certezze delle proprie convinzioni politiche, allontanandosi (con qualche critica di alcuni comunisti italiani) gradualmente dal comunismo reale di Mosca, una forma di potere autoritario e poliziesco, forse l'unico in grado di garantire in Russia la continuità dell'utopia comunista, in bilico fra l'autocrazia e il sogno che alimentava le più rosee speranze, ma tanto distante dalla realtà socio-politica dell'Italia liberata.

La sua ideologia, tutt'altro che democratica, si basava piuttosto su una forma di autoritarismo illuminato, sotto l'egida di una figura carismatica circondata da un'avanguardia di intellettuali preposti a guidare la classe operaia alla rivoluzione. Egli credeva in un gruppo dirigente capace di dribblare le pastoie della burocrazia parlamentarista per conseguire una forma di democrazia all'interno del partito sostenuta dai consigli di fabbrica e da una élite operaia in stretta simbiosi con gli intellettuali. Quando, subito dopo la Liberazione, Togliatti viene eletto segretario del Partito, si rende conto che la situazione dell'Italia è molto distante dalle condizioni ideali per poter sperimentare e far attecchire il suo credo politico.

Dopo l' 8 settembre 1943, con la caduta del fascismo e poi l'Armistizio, il Paese diventa l'alleato del colosso americano che poi nell'immediato dopoguerra sarà il primo a combattere non solo idealmente il pericolo comunista. La più grande potenza mondiale può vantare l'assoluto predominio atomico e un'economia floridissima, la sola in grado di garantire all'Italia gli indispensabili aiuti per la ripresa e la ricostruzione. Ai comunisti italiani non rimane altro che continuare a perseguire la politica di un governo di unità nazionale, nell'intento di occupare posti chiave e iniziare un progressivo cammino alla conquista delle redini del potere.

Nel dicembre 1945 sale al governo il democratico cristiano Alcide De Gasperi, lo statista cattolico che guiderà il Paese con un'alternanza di incarichi ministeriali fino al 1953. E' un governo formato da tutti i partiti delle forze di liberazione, comunisti in primo piano accanto ai democristiani. Togliatti, che prenderà parte in prima persona alla coalizione insediandosi al dicastero della Giustizia, si rende ben presto conto che la situazione gli sta sfuggendo di mano. Quella specie di potere consolare che finora aveva diviso con De Gasperi è seriamente minacciato dal viaggio "segreto" dello statista trentino a Washington. (e dagli USA venne il veto).

Il presidente del Consiglio rientra a Roma con 50 milioni di dollari e l'assicurazione che il governo americano inserirà l'Italia nel cosiddetto Piano Marshall con consistenti aiuti per la ricostruzione del Paese. In cambio la Casa Bianca chiede l'estromissione dal governo dei comunisti. Per Togliatti la grande illusione di partecipare attivamente alla conduzione politica dell'Italia sfuma irrimediabilmente. Il terzo governo presieduto da De Gasperi sarà l'ultimo ad avvalersi, nel febbraio 1947, del supporto di Togliatti e del suo PCI.

Appena qualche mese dopo il leader democristiano riuscirà ad estromettere il Partito comunista dal potere centrale. Togliatti pensa che l'estromissione abbia carattere provvisorio, che i meriti acquisiti nella conduzione politica del Paese al fianco dei democristiani nel periodo in cui è nata la Repubblica e si è varata la nuova Carta costituzionale non potranno in futuro alienargli importanti poltrone governative.(Crede che per almeno 20 anni lui sarà in quelle poltrone governative). Ma è solo un'utopia. La brusca svolta anticomunista attuata da De Gasperi, l'indebolimento delle sinistre con la scissione dal socialismo filocomunista perseguita da Saragat nel gennaio 1947 e la fondazione del Partito socialdemocratico di stampo "occidentale" condurranno inevitabilmente i comunisti alla sconfitta elettorale del 18 aprile 1948.

Il 14 luglio Togliatti, che aveva accettato l'espulsione dalla stanza dei bottoni mediando con De Gasperi il patto di partecipare con un'opposizione oculata e costruttiva alla rinascita dell'Italia, nell'attesa di tempi più propizi all'alternanza di governo, ma non potè far altro che mantenere quell'accordo e gettare acqua sul fuoco dell'insurrezione popolare. Era in gioco il futuro della nazione. Senza gli aiuti del Grande Protettore, gli Stati Uniti d'America, l'Italia sarebbe precipitata in un baratro senza fondo. Togliatti dovette accontentarsi di essersi salvato. E con lui si salvarono anche gli italiani.
Ma Togliatti - in quella resa - sapeva anche cosa era accaduto in Grecia, con l'isurrezione popolare dei comunisti, ma Churchill li aveva mandati quasi tutti al cimitero. Con Stalin zito zitto; del resto - per le spartizioni del dopoguerra - lui aveva fatto dei precisi patti con Churchill.

 

GIAN PIERO PIAZZA
Ringraziamo per l'articolo
(concesso gratuitamente) 
il direttore di Soria in Network

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