STORIA DELL'INQUISIZIONE

LIBRO VII.

Stregoneria ed occultismo - Attività politica - La Massoneria - Mistificazioni nelle attribuzioni ecclesiastiche - Mistificazioni nelle attribuzioni degli inquisitori - Gli indemoniati - L' Immacolata concezione - I peccati contro la natura - La moralità.
APPENDICE - Il Messico. - Il Perù . - Nuova Granada . - Gli ebrei portoghesi . -

 

STREGONERIA ED OCCULTISMO


Gli sforzi degli uomini per completare la deficienza del proprio potere con fattori spirituali, deriva dai tempi più antichi ed è una caratteristica universale di tutte le razze.
Quando questo tentativo veniva espletato a mezzo di un definitivo sistema religioso era considerato come devozione, ma quando avveniva con l'utilizzazione dei misteri della Natura, veniva qualificato come effetto di stregoneria e giudicato come reato.
La Chiesa non adottava mai mitezza a tale riguardo e sin dal principio procedeva col massimo rigore contro tutti i fatti del genere. Diverse Bolle, ma principalmente quella di Papa Giovanni XXII, pubblicata nel 1326, esprimono il rammarico per la divulgazione degli esorcismi e dell'adorazione dei Demoni, nel mondo cristiano. Il pontefice ordinò dunque che chiunque si avvalesse di simili pratiche venisse pubblicamente marchiato e punito come eretico e che tutti i libri che trattavano questo argomento fossero senz'altro bruciati.
I fedeli cattolici vennero ammoniti di non fare alleanza con l'inferno e di smettere la segreta manipolazione di nascondere i demoni negli specchi e negli anelli, perché profetizzassero l'avvenire.

Implicitamente con ciò la Chiesa, con tutta la sua autorità, dichiarava per reale ed esistente quel potere di cui appunto si valevano gli esorcisti. Questa ed altre dichiarazioni analoghe, fatte ripetutamente dalle supreme gerarchie ecclesiastiche, contribuirono, forse più di ogni altra cosa, ad alimentare la credenza nell'esorcismo ed a promuovere lo sviluppo di questa aberrazione.
L'Inquisizione aveva tutto l'interesse di allargare in senso interpretativo di esorcismo, in modo di includerlo, nei reati di eresia, allo scopo di far cadere sotto la propria competenza anche questa categoria di azioni.

Nel 1552 il Vescovo Simancas sosteneva che il Demonio si introduceva in tutte le pratiche superstiziose anche contro la volontà di colui che le praticava. Inoltre riconosceva, come già molti altri giuristi, il dubbio che la stregoneria e la divinazione tendessero all'eresia. Perciò, secondo lui, l'Inquisizione non era in grado di giudicare il crimine.
Tuttavia i Tribunali erano assai meno esitanti della Suprema nel giudicare il potere della stregoneria. Fra i mistificatori, che speculavano sulla credulità dei popolo, alcuni erano conosciuti sotto il nome di « zahori », i quali si vantavano della particolare facoltà di poter vedere sotto la superficie degli oggetti, quando questi non fossero coperti di un panno blu. In questa dichiarazione non v'era nulla che potesse simulare un'influenza magica, tuttavia, nel 1567, un ragazzo quattordicenne, di nome Juan de Mateba, venne condannato a cinquanta scudisciate, dal Tribunale di Salamanca, per essersi vantato di appartenere agli « zahori » ; inoltre venne relegato per sei anni in un convento per essere istruito. Venne poi diffidato, sotto pena di duecento scudisciate, a smettere per sempre la cura degli ammalati, con esorcismi, la predizione dell'avvenire ed il ritrovamento di tesori sepolti e nascosti.

Un altro caso in cui era impossibile rilevare qualsiasi traccia di eresia, era quello di Gracia Mellero, che venne condannata dal Tribunale di Saragozza per essere pubblicamente flagellata, soltanto perché portava appeso al collo il dito di un impiccato, nella credenza che ciò le portasse fortuna. Fatto sta che in quei tempi, per qualsiasi malanno veniva giudicato responsabile il demonio. Elvira de Cespede, schiava ermafrodita, all'età di sedici anni divenne moglie di Cristobal Lombardo. Più tardi però, a San Lucar, si innamorò della moglie del proprio padrone, seducendola, come aveva fatto con numerose altre donne. Di lì dovette fuggire e, indossando abiti maschili, prestò servizio militare durante la rivolta di Granada, nel Reggimento di Don Luis Ponce. A Madrid lavorò nell'ospedale, procurandosi un certificato di chirurgia, esercitando poi la professione. A Yepes chiese la mano di una fanciulla, ma siccome non aveva né barba né baffi ed il suo aspetto era molto effeminato sorsero dei dubbi circa il suo sesso. La fecero esaminare ed i medici dichiararono trattarsi di un uomo; di conseguenza il Vicario di Madrid rilasciò la dispensa al matrimonio. Tuttavia i dubbi non erano svaniti ed Elvira venne denunciata alle autorità di Ocana, le quali l'arrestarono e la consegnarono all'Inquisizione.

Durante l'istruttoria la fecero esaminare da un medico, il quale dichiarò che non era un uomo ma una donna, e che la sua carriera avventurosa non poteva che attribuirsi alle macchinazioni dei demoni. Questa spiegazione soddisfece tutti e la de Cespedes venne costretta a presenziare ad un auto da fé », dove le inflissero cento scudisciate e l'imposizione di prestare dieci anni di servizio gratuito all'ospedale.

In questo modo ogni mistificatore e fattucchiera apparteneva alla competenza della giurisdizione del Santo Uffizio e coloro che intendessero approfondirsi nello studio delle superstizioni ed usanze popolari di quell'epoca, ne trovano un ampio resoconto negli annali dell'Inquisizione che trattava in seri e prolungati procedimenti giudiziari le questioni più futili. Uno dei maggiori compiti dell'Inquisizione era appunto di estirpare la superstizione dal popolo spagnolo e certamente sarebbe riuscita in quell'intento se avesse potuto qualificare tutti coloro che facevano tali pratiche come mistificatori. Purtroppo però il concetto giuridico dell'Inquisizione accettava per base di procedimento, contro queste persone, il riconoscimento della verità dei loro poteri demoniaci e così la loro persecuzione non valse ad altro che a confermare il convincimento del popolo sulla efficacia di tali pratiche.

La potenza dell'Inquisizione si fece valere, forse più che in ogni altro campo, contro gli astronomi. Infatti ogni scoperta che scioglieva i veli da qualche mistero cosmico, era considerata semplicemente come eresia, poiché negava la libera volontà dell'uomo nel formare il proprio destino. Questo si riferiva principalmente agli astrologhi che, con i loro infiniti oroscopi, tendevano a dimostrare che la sorte degli uomini era diretta dagli astri. Tuttavia la generalizzazione e la poca competenza fecero sì che su questa base venisse gettato in prigione Pietro D'Abano, uno dei più esimi fisici dell'epoca, il quale poté sfuggire all'onta dell'umiliazione soltanto perché morì prima della condanna.

Cecco d'Ascoli, il più grande astronomo dell'epoca, venne arso vivo a Firenze nel 1327. I documenti che sono a nostra disposizione non rivelano quale procedimento avesse adottato la Suprema, di fronte ai professori ed insegnanti di astronomia. Tuttavia risulta che essa vietò l'insegnamento dell'astronomia alla maggiore Scuola Superiore della Spagna, cioè all'Università di Salamanca. Il Santo Uffizio consentiva la determinazione dell'influenza degli astri soltanto in quanto questa si riferisse alla metereologia ed in un secondo tempo all'agricoltura, però riconosceva che la costellazione alla nascita di un bambino avesse influenza sul suo carattere.

Lo svolgimento delle cause nelle questioni di stregoneria non differenziava molto dai casi di comune eresia, salvo che nelle prime non si adottavano le torture. Secondo una fonte storica, in Italia si applicavano le torture in tutti i casi di stregonerie, mentre in Spagna il provvedimento veniva adottato soltanto dietro particolare richiesta dei Tribunali civili.
Il caso di Isabel de Montoya, miserabile vecchia messicana, avvenuto nel 1652, dimostra che le richieste di tortura non mancavano nei possedimenti spagnoli. Ella confessò apertamente di aver svolto pratiche di stregoneria ed esorcismo, allo scopo di sfruttare la gente. I testimoni, per lo più danneggiati da lei, l'accusarono anche di avere rapporti con i demoni, perciò la vecchia venne torturata atrocemente, perché confessasse. Poi venne condannata a cento scudisciate e a tre anni di lavoro gratuito nell'ospedale.

Sebbene alcune di queste sentenze potessero apparire eccessivamente severe non vi é dubbio che nella maggioranza dei casi l'imputato poteva dirsi felice di essere giudicato dall'Inquisizione, anziché dai Tribunali civili, i quali si mostravano sempre spietati non appena si trattava di qualche stregoneria.
Nel 1604 Alonzo Verlango, uno degli Inquisitori di Valencia, voleva farsi rappresentare vari artefici di stregoneria, perciò ingaggiò una donna, perché gli presentasse la sua arte esorcistica. La donna versò vino, zolfo ed altri ingredienti in un recipiente che poi gettò in un fuoco con l'implorazione che bruciassero così i cuori degli uomini che non potevano vivere in concordia. Fece poi anche l'esorcismo degli aranci, tagliandoli in nove parti e versandovi sopra olio, sapone e sale, mentre implorava che come l'olio dava sapore all'arancio potessero gli uomini dare la felicità ai propri simili.

Era in uso anche di battere chiodi nelle tavole, invocando che questi chiodi penetrassero nel cuore di questo o quell'individuo preso di mira. Ad ogni esorcismo citavano Belzebù, Satana ed altri demoni, piccoli e grandi, assieme a San Pietro, San Paolo ed altri santi. Da una verginella esorcista si poteva sapere tutto quanto si desiderava.
Un altro caso era quello di Fra' Miguel Rexaque, sacerdote dell'ordine Monteza, il quale si denunciò spontaneamente, raccontando che assieme ad un frate italiano e ad una vergine era partito alla ricerca di tesori. Avevano scavato un buco nella terra, attorno al quale il frate italiano aveva disegnato un cerchio con un ramo d'ulivo, mentre nel mezzo deponeva una candela accesa. Fecero bruciare dell'incenso e chiamarono in aiuto gli Angeli, perché scacciassero i demoni che custodivano il tesoro. Quando la ragazza aveva guardato in uno specchio, il demone aveva riposato, ma Fra' Miguel si era talmente impressionato che fuggì e decise di costituirsi per alleggerirsi la coscienza.

Anche nelle colonie figuravano numerosi casi di esorcismi e le condanne dimostrano molta disuguaglianza. Nel 1760 uno schiavo negro della Guinea, il settantenne Manuel Galliano, venne posto sotto accusa. Vari testimoni affermavano che egli curava i tumori maligni dichiarati inguaribili dalla scienza medica, praticando un piccolo taglio nel corpo ed introducendo nella ferita un bastone cavo con cui succhiava il sangue dell'ammalato dove ritrovava rane, scorpioni e rettili di ogni specie. Poi curava la ferita con erbe schiacciate nel palmo della mano. Egli dichiarava apertamente che tutte queste cose potevano avvenire soltanto con l'aiuto dei demoni. Il negro venne arrestato e confessò sinceramente i propri metodi. Spiegò che nascondeva nel bastone i rettili, che poi, con molta abilità, egli stesso soffiava nelle ferite facendo credere che questi sorgessero dal corpo dell'ammalato.
Per queste operazioni riceveva da quattro a cinque pesos. Il caso era abbastanza semplice, tuttavia la causa venne protratta per tre anni, mentre l'imputato restava sempre in carcere. Finalmente venne condannato a comparire all' « auto da fé », in cui venne condannato pure a duecento scudisciate e dieci anni di galera un truffatore di nome Coxo. Egli si era arricchito con la vendita dei filtri d'amore che egli preparava in modo ripugnante dalla pelle e dalle ossa di un uomo e di una donna. Egli ebbe innumerevoli acquirenti, comprese le dame dell'aristocrazia. Tutta la causa era piena di particolari scandalosi e quando i verbali vennero affissi sulla porta della chiesa suscitarono enorme scalpore.

L'istruttoria svoltasi a Valencia nel 1807 a carico di Rosa Conejos ci dà un esempio dalla credulità del popolino. La donna dava insegnamenti per poter acquistare il potere soprannaturale. Essa consigliava di mettere sul fuoco, dopo le undici di sera, un recipiente ricolmo di olio e quando questo bolliva gettarvi dentro un gatto vivo, coprendo poi il recipiente. Quando batteva la mezzanotte si poteva togliere il coperchio ed accanto alla carogna del gatto si sarebbe trovato un pezzettino di osso che portato al collo rendeva invisibili ed in condizioni di fare quello che si voleva. Portando l'amuleto vicino all'acqua corrente, secondo la donna, avrebbe perduto tutto il potere.

Durante la restaurazione i casi di stregoneria divennero più rari, tuttavia l'atteggiamento dell'Inquisizione rimase immutato, e la persecuzione della stregoneria e dell'esorcismo costituiva la parte più notevole dell'attività del Santo Uffizio, almeno negli ultimi anni della sua esistenza. Uno scrittore ci assicura che tutte le antiche superstizioni continuavano a fiorire, nonostante la più severa repressione. Gli esorcismi per uccidere o guarire qualcuno, per far sorgere sentimenti di amore o di odio, per rendere impotente un uomo o sterile una donna, per distruggere le greggi o il raccolto erano tutti attività delle fattucchieri che venivano lautamente pagate.

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La suprema perfezioni di fattuccheria era la stregoneria, che però non era giudicata alla stessa stregua. Mentre della prima colpa ci si poteva purificare nel confessionale, poiché non si trattava di altro che di un patto temporaneo col demonio, per il raggiungimento di un determinato scopo, la strega abbandonava il cristianesimo, rinnegava il crocifisso, adorava Satana come suo Dio, concedendogli anima e corpo. Esisteva soltanto come suo mezzo per agire a danno del prossimo, ciò che Satana non avrebbe potuto fare senza l'aiuto di una creatura umana. Che un simile essere suscitasse l'odio di tutti era inevitabili equindi era il più elementare dovere del legislatore e del giudice di non risparmiare alcuna fatica per estirparlo.
Non ví é pagina nella storia di Europa che sia piena di orrori, come quella che descrive la pazzia collettiva della stregoneria, che per quasi tre secoli, dal XV al XVIII, infierì. Non vi era poi paese che fosse andato maggiormente soggetto a questa piaga, della Spagna, dove per quasi cento anni minacciava seriamente l'equilibrio politico del Regno Unito e, soltanto per merito della perseveranza dell'Inquisizione, essa riuscì ad estirparla.

Questa pazzia era in realtà una malattia dell'immaginazione che con la persecuzione venne soltanto accresciuta ed aumentata. Dovunque colpiva l'inquisitore o il giudice civile, per sopprimere una strega o fattucchiera, ne sorgevano altre schiere. Se qualche vecchia strega ricambiava con una maledizione il cattivo trattamento e per puro caso moriva la mucca o s'ammalava il bambino del maledetto, la vecchia veniva subito indicata come strega ed il giudice non aveva difficoltà ad estorcerle un'ampia confessione, con cui accusava i complici, poiché non mancavano mai testimoni che approfittavano dell'occasione per vendicarsi del male patito in seguito a qualche malaugurio. Con ogni persecuzione si estendeva la cerchia di questo elemento e molte volte quasi l'intera popolazione era coinvolta nell'accusa. In queste occasioni si esigeva l'esecuzione di centinaia di persone, in ossequio alla tesi della Sacra Scrittura che dice « Non dovete tollerare che rimanga viva una strega ».

Ogni flagello della Natura, come terremoti e cicloni, siccità, inondazioni, tempeste, fame e peste, veniva sempre attribuito a stregoneria e non si cessava mai di cercare le vittime anche con l'idea di sacrificarle per conciliare le divinità dell'inferno.
La credenza nella stregoneria é relativamente recente poiché ha origine nel secolo XIV. Le fattucchiere malefiche erano già conosciute anche prima, ma in forma semplice e non con cerimonie complesse, come quella delle adunate di mezzanotte, in cui i fedeli di Satana si radunavano, compivano dei riti macabri e rinnegavano Cristo, adorando il loro maestro raffigurato generalmente nella forma di una capra, oppure di un uomo molto bello o molto brutto. Non erano ancora state diffuse le fantastiche storie delle cavalcate notturne delle streghe, delle loro gozzoviglie con i diavoli, mentre compivano delle perversità per onorare il loro maestro. Sebbene gran parte delle cosiddette confessioni delle streghe, fatte durante le istruttorie non fossero che il risultato di una tortura spietata, non vi é dubbio, che almeno una parte di esse, desse il fedele resoconto di illusioni effettivamente subite.

Per poter comprendere l'atteggiamento dell'Inquisizione nella discussione che trattava l'origine di questo mito, é necessario anzitutto conoscere il mito stesso.
I voli notturni delle streghe verso il loro luogo di convegno, era un'antichissima leggenda accettata dagli Indù, dagli Ebrei e dai Pagani. Durante il Medio Evo anche la Chiesa cristiana accettò certe tradizioni, ma subito riconoscendo in esse i residui del paganesimo, le condannò.

La Spagna nel Secolo XV si trovava un po' appartata dalla corrente ideologica europea e così la nuova dottrina del « Sabat » delle streghe poté diffondersi soltanto gradualmente. Alfonso Tostado, Vescovo di Avilla dichiarava che il « Sabbat » delle streghe non era altro che un'allucinazione provocata da droghe stupefacenti. A quanto pare la persecuzione era assai più attiva nella Biscaglia poiché un antico manoscritto riporta che nel 1507 vennero bruciate in quel luogo 30 streghe.
Ma era riservato appunto a quei Tribunali, di esercitare un controllo su movimento che mirava ad una più pura concezione della follia della stregoneria, riuscendo così ad impedire i massacri in massa che avvennero in altri paesi nel Secolo XVII. Questa tendenza alla blandizia era, tutta particolare dell'Inquisizione, mentre come abbiamo detto i Tribunali civili non si peritavano di eseguire le condanne, senza preoccuparsi del numero dei condannati e della severità delle pene. Infatti quando a Navarra si verificò un panico nella popolazione, provocato dalla credenza nel potere delle streghe, le autorità civili furono molto sollecite nel praticare gli arresti, estorcere le testimonianze e quindi giustiziare le vittime per prevenire l'intervento dell'Inquisizione.

La Suprema per settantacinque anni cercò di mitigare il fervore delle persecuzioni e, senza confessarlo apertamente, pareva che accettasse la teoria secondo la quale si trattava di illusioni e di allucinazioni.
Il 2 Agosto 1610 la Suprema presentò un memoriale a Filippo III, in cui additava con rammarico i passi già intrapresi nelle montagne di Navarra.
Sono noti molti casi che fanno fede al carattere illusorio della questione ed in cui il penitente effettivamente credeva ciò che confessava. L'ottantenne Maria de Echverria, una delle recidive, fece una confessione particolare, versando abbondanti lacrime e mostrandosi molto pentita con l'intenzione di salvare l'anima per mezzo dell'Inquisizione.
Essa raccontava che senza il suo consenso veniva trascinata via ogni notte dalle streghe e si svegliava dal sonno soltanto quando l'avevano già riportata a casa. Nessuno vedeva il suo andirivieni, nemmeno sua figlia, che pure era una strega e dormiva con lei nello stesso letto. Tutti i Frati presenti iniziarono una lunga discussione con la donna ed infine concordemente dichiararono che tutto quanto la buona donna aveva raccontato non era altro che un sogno.

Un'altra madre fece la deposizione che sua figlia le aveva confessato di frequentare abitualmente il luogo di convegno delle streghe e perciò la teneva sotto una severa e permanente sorveglianza, tuttavia non aveva mai potuto constatare che la ragazza si fosse assentata. L'esame medico in diversi casi dimostrava che le fanciulle le quali si vantavano di contatti sessuali con i demoni erano ancora vergini.
Esaminando la blandizia delle pene inflitte dall'Inquisizione alle streghe e fattucchiere, ci si rende conto che l'Inquisizione stessa era nella convinzione che si trattasse solamente di illusioni ed esaltazioni, ma non osava dichiararlo apertamente, perché la credenza in tali pratiche era tanto antica e profondamente radicata, che nemmeno la Chiesa si era mai decisa a negarla recisamente. Così la stregoneria continuò ad essere calcolata come colpa, per cui spettava una punizione, dato che era impossibile in questi casi l'adduzione di prove e le deposizioni non erano che parti di, fantasia. Vi erano tuttavia prove abbondanti, che le persone le quali volevano comunicare attraverso l'aria, facevano uso di ogni genere di unguenti, come anche quelle che si illudevano di poter attraversare i muri, per corrompere e rendere ammalate altre persone.
Ciò pure dimostra, quanto radicata fosse la superstizione nelle basse classi sociali. Quando nel 1765 ad Alicante scomparvero alcuni bambini, la responsabilità venne attribuita ad Angela Pierat, la quale aveva fama di strega ed, a quanto si diceva, la capacità di volare da Tortosa ad Alicante. Perciò supponevano che essa avesse ucciso i bambini per valersi di essi nei suoi esorcismi.
Ma questi casi divenivano sempre più rari. Fra il 1780 ed il 1820 presso i Tribunali spagnoli se ne presentarono appena quattro.

Era di regola che, quando qualcuno era accusato di assassinio, venisse consegnato al Tribunale dell'Inquisizione per la condanna, per poi essere ripassato nelle mani delle autorità civili, per l'esecuzione della medesima.
Come questo procedimento venne eseguito in pratica é dimostrato da un caso verificatosi nel 1629 a Padova, dove tre streghe erano rinchiuse nelle carceri del Tribunale civile. Di là vennero trasferite all'Inquisizione, che le fece convertire con un solenne giuramento. Poi le rinviò al Tribunale civile che procedette a farle giustiziare al rogo.

Col tempo sorgevano sempre maggiori dubbi e l'Inquisizione si sforzava a liberare il popolo da questi antichi pregiudizi. L'inquisitore Novarra fece rapporto che il suo Vicario aveva iniziato un procedimento contro una donna, per stregoneria, la quale si era impiccata nelle carceri e perciò chiedeva istruzioni, se dovesse continuare l'istruttoria contro la morta, manifestando il dubbio che la donna fosse stata strangolata dai demoni o da altre streghe. Il servigio che il Santo Uffizio fece opprimendo questa epidemia, può essere apprezzato veramente soltanto, se consideriamo la strage compiuta nei paesi protestanti dalla stregoneria, dove, sebbene non si potesse addurre la scusa dell'autorità papale, tuttavia l'opera di morte venne continuata con minore crudeltà, che non nei paesi cattolici.

ATTIVITA' POLITICA

I Sovrani si valevano dell'intervento dell'Inquisizione nella vita politica soltanto nei casi più gravi e l'influenza ed il potere del Santo Uffizio erano riservati come mezzo estremo. Quando però si avvalevano di esso, il Santo Uffizio era ben lontano dal porsi incondizionatamente al servizio dei Re ed in ogni caso tentava in primo luogo di far valere il propri interessi, anche se ciò doveva andare a scapito della politica del Sovrano.

Le cose cambiarono con l'ascesa al trono della dinastia Borbone. Luigi XIV era fedele alla teoria, che la Chiesa costituisse soltanto una parte dello Stato e perciò fosse sottomessa alla volontà del Sovrano. Nelle lotte disperate della guerra di successione, il giovane Filippo V non esitò a valersi di ogni mezzo di cui disponeva l'Inquisizione, dalla quale esigeva che si schierasse dalla sua parte.
La Suprema infatti diede ordine a tutti i Tribunali, di ammonire i propri dipendenti, che essi dovevano ubbidienza e fedeltà alla Casa Regnante, la quale con questa potente organizzazione a disposizione, si trovò ad avere un esercito di missionari strategicamente distribuiti in tutto il paese.

Il 9 Ottobre 1706 la Suprema richiamò l'attenzione ad una bolla di Papa Clemente XI che comminava delle pene severe per gli ecclesiastici, che non avessero ottemperato ai loro doveri verso il Sovrano. Ciononostante erano molti i sacerdoti, i quali istigavano dal pulpito i fedeli alla disobbedienza, assolvendoli dal giuramento di fedeltà.
L'Inquisizione rese servizi particolarmente preziosi durante la guerra, giudicando le persone della Chiesa che godevano immunità dinanzi ai Tribunali civili e militari. Gli avvenimenti svoltisi nel 1706, l'occupazione e la perdita di Madrid da parte degli alleati, nonché le rivoluzioni di Valencia e della Catalogna, provocavano molte denunce per alto tradimento.
La Suprema risiedeva ancora a Burgos quando Filippo V informò il Capo Inquisitore Vidal Marin, di aver ordinato l'arresto dell'ecclesiastico Juan Fernando Frias, disponendo per il suo rinvio all'Inquisizione, perché quanto prima venisse posto sotto accusa per alto tradimento. La Suprema rispose prontamente, di aver provveduto alla carcerazione del Frias e che il Capo Inquisitore aveva dato ordine al Priore della clausura Santa Maria, di accelerare l'istruttoria e di non risparmiare la punizione esemplare al colpevole. Nel contempo assicurava il Sovrano, che egli avrebbe potuto tener conto sempre della più rapida e scrupolosa esecuzione dei suoi ordini e che la giurisdizione apostolica della Suprema era in facoltà di promulgare condanne a morte.

LA MASSONERIA.

La massoneria ebbe un effetto molto fertilizzante sulla creazione e la divulgazione di leggende e miti. Se possiamo prestar fede a qualche socio entusiasta, il primo Gran Maestro della massoneria fu l'Arcangelo Michele. Secondo qualche cenno storico anche i costruttori della torre di Babele sarebbero stati pure dei massoni. Altri riconducono l'origine dei massoni al Lamechre, mentre altri ancora asseriscono che la prima loggia massonica fu fondata nel 287 a St. Alban in Inghilterra.
Se possiamo credere a queste fonti la massoneria sarebbe stata l'avanguardia dell'Anticristo che sopravvisse al Machineismo. Essa aveva indubbiamente una grande influenza sul governi di Europa e, in netto contrasto con la Chiesa, dirigeva la politica delle nazioni progredite.

Tutti i Pontefici del Secolo XIX colpirono la massoneria della scomunica. Secondo alcuni massoni le « Communidades » della Castiglia e la « Germania » della Valencia, erano pure istituzioni fondate da massoni. Augusto e Pedro Cazalla, nonché diverse altre vittime dell' « auto da fé » del 21 Maggio 1559, erano massoni e lo sfortunato Don Carlos, venne sacrificato anche per le sue idee massoniche.

La massoneria si diffuse soltanto lentamente nella Spagna, dove apparì per la prima volta nel 1726, quando la Gran Loggia di Londra concedette il diploma alla Loggia di Gibilterra. La prima Loggia di Madrid venne fondata nel 1727, da Lord Wharton e poco tempo dopo ne venne fondata un'altra a Cadiz. Queste logge dapprima servivano soltanto agli interessi dei cittadini inglesi, sebbene vi potessero essere associati anche degli spagnoli.
Allora l'istituzione non era ancora colpita dalla scomunica, ma quando venne introdotta nella Toscana, il Principe Gian Gastone la vietò. Poco tempo dopo con la morte di Luthero, questa disposizione venne tolta, ma il Clero fece rapporto a Papa Clemente XII, sull'estendersi della massoneria ed il Pontefice inviò un inquisitore a Firenze.
L'incaricato del Santo Uffizio fece arrestare un gran numero di persone, ma il
nuovo Granduca, Francesco di Lorena, che si era dichiarato patrono dell'ordine ed aveva contribuito all'organizzazione di varie logge, fece liberare i detenuti. Tuttavia Clemente lasciò l'inquisitore a Firenze e promulgò il 28 Aprile 1738 una Bolla, con cui richiamava l'attenzione sulla segretezza sotto sigillo di giuramento, che vigeva nelle logge, dichiarando sospetto questo fatto, poiché se l'attività fosse stata devoluta al bene non sarebbe stato necessario occultarla.

La Bolla vietava a tutti i fedeli cristiani di associarsi alla massoneria. Infine ordinava a tutti i prelati e gli inquisitori di svolgere indagini ed istruttorie nei confronti dell'istituzione e, qualora lo trovassero opportuno di infliggere severe pene ai colpevoli. Così l'unico capo d'accusa, che venne realmente formulato contro la massoneria era la segretezza, ma anche ciò era più che sufficiente per scorgervi una nuova forma di eresia ed in seguito attribuire un nuovo campo di attività al Santo Uffizio. La qualità della pena, da infliggersi per il reato di massoneria, era affidato al discernimento dei Tribunali locali, ma il Cardinale, Segretario di Stato della Santa Sede, diede disposizioni il 14 Gennaio del 1739, di infliggere la pena di morte, non soltanto a quei soci che avessero svolto opera di propaganda, ma anche su tutti coloro, che avessero dato in affitto dei locali alle associazioni massoniche, o lo avessero comunque appoggiate.

A quanto si dice, l'unica vittima di questo severo decreto, fu uno scrittore francese il quale aveva scritto un'opera sulla massoneria. Nello stesso anno l'inquisitore di Firenze fece torturare un massone, di nome Crudeli, tenendolo in prigione a lungo, tuttavia non osò farlo giustiziare. Anzi, quando il re dei mistificatori, Cagliostro, nel 1789, ebbe l'audacia di fondare una Loggia a Roma e perciò dovette comparire dinanzi al consiglio di accusa dell'Inquisizione, dove quest'ultima dichiarò che, sebbene egli si fosse meritata. la pena di morte, per atto di grazia la sua condanna sarebbe stata commutata in carcere a vita. Infatti fu imprigionato nelle carceri del castello di San Leone, dove morì nel 1791.

Mentre nella Francia non badavano affatto agli ordini della Santa Sede, nella Spagna questi vennero accolti con entusiasmo ed il Capo Inquisitore Orbe, l' 1 Ottobre 1738, promulgò un editto, in cui stabiliva che l'unico Foro competente nelle questioni di massoneria, era l'Inquisizione. Comunicò delle severissime pene contro le persone che avessero violata la Bolla papale ed ordinò a tutta la popolazione, sotto pena di un'ammenda di duecento ducati, nonché della scomunica, di denunciare entro sei giorni tutti i partigiani e protettori della massoneria. L'editto venne letto dal pulpito ed affisso sulle porte di tutte le chiese, in modo che ognuno potesse prendere conoscenza dell'esistenza della massoneria, cosa che molti ignoravano sino a quel tempo.

L'Inquisizione non rimase inattiva, sebbene fosse meno severa della Santa Sede e delle autorità civili. Il Tribunale di Madrid condannò nel 1744 a perpetuo esilio don Francisco Roscobel, Canonico di Quintanar, accusato di massoneria. Un altro caso però dimostra una strana noncuranza dell'Inquisizione ed il fatto é dovuto probabilmente alla circostanza che si trattava di un parente di un potente Ministro. Un sacerdote, di nome Joachim Pareja, si presentò al Tribunale di Toledo raccontando, che quando nel 1742 aveva accompagnato l'Infante Filippo in Italia, si era trattenuto alcuni mesi ad Antibes, dove aveva conosciuto un gentiluomo di nome Antonio Rosella. Questi parlava apertamente della massoneria a cui era associato. Nel frattempo, venuto a conoscenza della scomunica papale inflitta ai massoni, si affrettava a denunciare il Rosella.
Per diciotto mesi non avvenne nulla e soltanto il 13 Ottobre 174 7 il Santo Uffizio invitò gli inquisitori di Madrid, di esaminare il caso, dopo aver chiesta l'opinione della Suprema. La Suprema rimproverò il ritardo ed ordinò di avviare delle indagini, che però ebbero un esito negativo. Passarono altri venti mesi, quando la Suprema ad un tratto ricordandosi della questione, scrisse al Tribunale di Toledo, per avere informazioni sul caso. Gli inquisitori di Toledo attesero un mese, rispondendo poi, che la questione apparteneva alla competenza del Tribunale di Madrid, poiché tanto il Rosella, quanto il Pareja erano residenti in quella città. Con questo la questione fu sepolta nell'oblio ed il fatto può essere citato come prova della trascuratezza dell'Inquisizione in questioni di quel genere o forse dell'influenza della massoneria.

La massoneria si propagava sempre più, e poco a poco ne cominciavano a far parte anche le più distinte personalità del paese. Nel 1760 venne organizzata la Gran Loggia Espanola, che si dichiarò indipendente da Londra. Nel 1780 assunse il nome di Grand Oriente con ciò la massoneria spagnola si sottomise al rito scozzese.
Vi presero parte uomini distinti, come Aranda, Campomanes, Rodriguez, Nava del Rio, Salazar y Valle, Jovellanos, il Principe di Alva, il Marchese di Valdelirias, il Conte di Montijo e molti altri. È un fatto storicamente provato, che gran parte del Ministero di Carlos III, era pure affiliata alla massoneria e si doveva all'influenza di essa, l'energico procedimento del Governo contro i Gesuiti e l'Ultramontanismo. Non si sa fino a quanto quest'ultimo fatto sia vero, ma non vi é dubbio, che la massoneria offrì asilo allo spirito di progresso moderno.
L'elemento perturbatore fu fornito da Cagliostro, il quale in occasione di due sue visite nella Spagna, fondò la Loggia Espana in concorrenza al Grand Oriente ed in questa nuova fondazione si radunavano le persone più ardite e temerarie e così a poco a poco la Loggia cominciò ad avere una tendenza rivoluzionaria. Infatti essa era il centro della sciocca congiura del 1796, che la storia ricorda sotto il nome di Congiura di San Blas. Nascondevano delle armi, ma qualcuno li tradì e la polizia procedette all'arresto di numerose persone, tra le quali tre, vennero condannate a morte e soltanto l'intervento dell'Ambasciatore di Francia, valse a commutare la loro pena in ergastolo.
Nel 1797 venne tramata un'altra congiura a Caragaz, ma anche questa fu scoperta e sei dei capi vennero giustiziati.
Nei tempi torbidi che seguirono, l'organizzazione rivoluzionaria dei massoni ebbe uno sviluppo notevole a scapito delle sfere conservative. La guerra favoriva l'accrescimento dell'ordine, inquantoché gli eserciti francesi ed inglesi fondarono Logge dappertutto.
Con la caduta di Napoleone ed il risveglio del potere della Santa Sede, Pio VII si affrettò a riprendere la lotta contro la massoneria. Il 15 Agosto del 1814 egli promulgò un decreto contro la scellerata organizzazione, che voleva rovesciare i troni e la religione. Si lamentò che negli anni torbidi erano caduti in dimenticanza gli editti benefici dei suoi predecessori e che la massoneria si diffondeva paurosamente dappertutto.

Questo decreto della Santa Sede venne approvato anche da Ferdinando VII e l'Inquisizione lo incorporò in un proprio editto, promulgato il 2 Gennaio 1815, offrendo 15 giorni di termine di grazia ai penitenti che, scaduto questo termine, sarebbero stati colpiti con tutta la severità delle leggi civili e canoniche. Pare tuttavia che questa diffida avesse un risultato del tutto insignificante, poiché il 10 Febbraio il termine utile venne prorogato fino alla domenica di Pentecoste, con assicurazione di perfetta segretezza per il denunciante. Ferdinando però non attese la scadenza del termine, ma decretò immediatamente l'espulsione di tutti i massoni dalla Spagna, comminando per essi le pene previste per i delitti contro la sicurezza dello Stato. In seguito a questo decreto vennero arrestate venticinque persone, sospette di essere associate alla massoneria.

Nonostante tutti questi provvedimenti la massoneria continuava a rinsaldare la propria organizzazione e diffondersi sempre più. Sotto la restaurazione l'esercito era quasi completamente aggregato alla massoneria, ciò che costituiva l'origine delle varie rivoluzioni, compresa quella del 1820.
Quando nel Gennaio 1820 si manifestò un movimento tra le truppe destinate all'America, nell'accampamento presso Cadiz, ciascun reggimento aveva la propria loggia. Riego, capo della rivolta era pure massone come anche il Conte Bisbal, che assicurò il successo della rivoluzione, proclamando ad Ocana, dove si trovava come comandante delle truppe, la nuova Costituzione. A Santiago i rivoluzionari ebbero come prima cura di svaligiare le sedi dell'Inquisizione e di liberare il Conte Montijo, Gran Maestro della massoneria, il quale si trovava imprigionato nelle carceres secretas.

Più tardi avremo ancora occasione di ritornare alla strage commessa dalla massoneria e da una sua degenerazione, il comunismo, durante il periodo dal 1820 al 1823. Durante il ripristino dell'assolutismo i comunisti scomparvero ed i massoni vennero sottoposti ad una persecuzione assai più severa, che non nei tempi dell'Inquisizione. Il procedimento contro la massoneria venne affidato in tutto il territorio spagnolo ai comandi militari, i quali in base al decreto del 9 Ottobre 1824 comminarono la pena di morte e la confisca dei beni a tutti coloro che non si fossero presentate spontaneamente.
Nella vasta ed indefinita sfera della giurisdizione del Santo Uffizio, figuravano molte questioni, che erano in stretta connessione con la Fede ed é necessario quindi conoscerle.

Il celibato che era obbligatorio per il clero cattolico, dal grado di Cappellano in su, comprendeva tanto i sacerdoti, quanto i confratelli degli ordini religiosi i quali, anche a parte questo fatto, dovevano fare voto di castità, povertà ed ubbidienza, voto dal quale nemmeno la degradazione e l'espulsione dalla carica ecclesiastica poteva esonerarli. Quantunque fosse severa l'applicazione della Legge canonica, dal XII secolo in poi le debolezze del corpo portavano frequentemente alla violazione di tale voto, che veniva punita con la degradazione, l'internamento in qualche convento od altre pene del genere.
Era oggetto di infinite discussioni se questa evidente violazione della legge canonica da parte dell'Inquisizione, fosse motivata o meno. Alcuni teologi asserivano, che in quei casi, in cui le nozze avvenivano pubblicamente, si poteva individuare l'eresia, mentre in quelli in cui il fatto avveniva in segretezza, il colpevole si rendeva reo soltanto della violazione della legge, senza dar prova di miscredenza. Perciò in quest'ultimo caso il sacerdote colpevole veniva inviato al Tribunale civile, mentre i confratelli degli ordini venivano giudicati dai prelati dei propri ordini.

La riforma sanzionò il matrimonio degli ecclesiastici e venne a formare un altro ordine gerarchico. Per un lungo tempo si delineò un potente movimento, particolarmente fra i cattolici della Germania, per ottenere dalla Santa Sede la revoca del celibato, nella speranza che con ciò sarebbe stato possibile riunire di nuovo tutti i cristiani sotto una sola Chiesa. Alcuni stimavano che questa fosse la questione principale che aveva determinato lo scisma, mentre alti consideravano l'obbligo del celibato in seno al cattolicesimo, come un semplice particolare di carattere disciplinare. Arnaldo Albertino sosteneva, che il Papa potesse dare la dispensa per i matrimoni degli ecclesiastici, citando come esempio la dispensa che Papa Alessandro VI aveva impartito al Cardinale Cesare Borgia, perché potesse sposare la ricchissima erede di Valentinois.
Ma l'influenza della reazione nel Gran Consiglio di Trento cambiò tutto questo e nel 1563 venne dichiarato che il celibato era un requisito della Fede e perciò i matrimoni degli ecclesiastici sarebbero da considerarsi in ogni caso come prove di eresia. L'Inquisizione non attese questa decisione per estendere la propria giurisdizione sulle questioni di celibato. Il primo caso trattato dal Santo Uffizio, era quello di Miguel Gomez, sacerdote di Saragozza, che nel 1529 venne severamente punito. Per tre giorni lo legarono ad una scala dinanzi alla porta della Cattedrale, in maniche di camicia ed in mutande. Le due mani legate sul dorso, sui piedi pesanti ceppi e sul capo una mitria. Dopo questa umiliazione venne sospeso a divinis per tutta la vita e poi relegato in un monastero.

Sino al 1562 non avvennero altri casi del genere a Toledo, finché l'attenzione generale venne ridestata dal caso particolarmente complesso di Fra Juan Ramirez, il quale era entrato in un ordine religioso quando era già ammogliato. In seguito per due volte aveva gettata la tunica alle ortiche e poi rientrato nell'ordine, contraendo nel frattempo due matrimoni.
Siccome questo reato era ormai definito dal Consiglio di Trento per eresia, l'atto di accusa descriveva il colpevole come individuo indegno di misericordia, da privarsi di tutte le prerogative ecclesiastiche e da consegnarsi al Tribunale civile, perché fosse dato libero corso all'applicazione delle torture.

Nel 1629 Fra Lorenzo de Avalle, Benedettino, si denunciò spontaneamente, venne condannato alla degradazione ed a quattro anni di segregazione nella cella di un monastero, mentre a sua moglie venne comunicato che avrebbe potuto sposarsi di nuovo, se avesse voluto.
Nel 1700 il Tribunale di Toledo trattava uria causa, che non tardò a dichiarare di « circostancias gravissimas », cosicché possiamo considerare senz'altro la condanna, come la più severa di tutte quelle inflitte per tali reati. Il colpevole non venne obbligato a presenziare all' « auto da fé » e la sua sentenza fu letta nella sala di consiglio, in presenza di ventiquattro ecclesiastici. La sentenza privò l'imputato per sempre delle sue funzioni ecclesiastiche, relegandolo a vita nella cella di un monastero, con il solo permesso di poter andare di quando in quando nel coro e nel refettorio. Inoltre la pena venne aggravata con l'obbligo di restare ogni venerdì a pane e acqua per quattro anni.

 

MISTIFICAZIONI NELLE ATTRIBUZIONI ECCLESIASTICHE


Il profondo rispetto con cui venivano sempre considerati i Sacramenti e la grande importanza ad essi attribuita dal punto di vista della salvazione, resero inevitabile la più gelosa custodia di essi. Ad eccezione del Battesimo, gli altri Sacramenti potevano essere somministrati soltanto da ecclesiastici consacrati, nei loro paramenti e se avessero osato farlo persone che non ne avevano la qualifica, essi commettevano un grave reato, non soltanto di fronte aí fedeli cattolici, ma anche contro Dio.
Tuttavia le prebende che spettavano per la somministrazione dei Sacramenti costituivano un prezioso privilegio dell'ecclesiastico e perciò era grande la tentazione degli abusi. Molti chierici non consacrati, con asserzioni menzognere, riuscivano a persuadere i fedeli di accettare dalle loro mani i Sacramenti.
La giurisdizione ecclesiastica ripetute volte richiamò l'attenzione su questo abuso ed i pontefici stessi si affaticavano a sopprimerlo con ogni mezzo, infliggendo gravi punizioni anche a tutti i complici. Nel 1619 un laico assisté un finto prete nella somministrazione dei Sacramenti, pur sapendo che non aveva la qualifica necessaria. Venne sottoposto ad atroci torture e gli fu vietato per sempre di servir Messa. Nel 1711 un malfattore impenitente, di nome Spallacino, venne condannato al rogo, perché per cinque anni si procacciò da vivere, dicendo abusivamente Messa a Roma, a Toledo ed in altri luoghi.

Evidentemente l'Inquisizione spagnola non condivise la severità di Roma di fronte a simili colpe, ciò che é dimostrato dalle pene relativamente blande. In un unico caso, avvenuto nel Messico il 1606, l'Inquisizione si attenne alle prescrizioni della Santa Sede, condannando al rogo un mulatto, di nome Fernando Rodriguez de Castro, perché aveva letto la Messa senza essere consacrato. In un altro caso nel 1648, Gaspar de los Rayes, venne condannato a duecento scudisciate ed alla galera a vita.
In connessione con questi abusi possiamo ricordare ancora i numerosi casi, in cui i laici facevano abusivamente confessare le donne, non già con l'intento di impartire il Sacramento dell'assoluzione, ma per avere occasione di rivolgere ad esse delle domande sconvenienti, nella speranza di udire qualche storiella piccante. Nel 1785 tre di questi casi furono trattati dal Tribunale di Valencia, mentre nel 1796 venne aperta istruttoria contro un certo Herranz a Madrid, perché abusivamente si era insediato in un confessionale, per poter udire la confessione della propria moglie.

MISTIFICAZIONI
NELLE ATTRIBUZIONI DEGLI INQUISITORI

Dato il terrore generale suscitato dal Santo Uffizio, era forte la tentazione di potersi spacciare abusivamente per l'incaricato di qualche Tribunale, allo scopo di ricatto. Il rispetto ed il timore della popolazione era tanto grande, che nessuno osava chiedere la legittimazione di un incaricato, che si presentasse per eseguire qualche mandato. Questa possibilità di procacciarsi mezzi, venne largamente sfruttata da vari truffatori. Nel 1487 venne tenuto un'« auto da fé » a Saragozza unicamente per mettere alla gogna un chierico che si era dato per inquisitore, operando degli arresti. Gli annali non rammentano la pena inflitta a questo individuo, ma certamente la punizione doveva servire da esempio ammonitore.
All'« Auto da fé » di Sevilla, il 24 Settembre 1559, figuravano tre casi. Alonzo de Hontiveros si era detto incaricato dell'Inquisizione era comparso nelle case con vari arnesi di tortura, per estorcere denaro dalle persone intimorite. Egli venne portato a Xeres sua città natale, per l'esecuzione della condanna a duecento scudisciate. Nel 1881 procedettero con maggior rigore al Tribunale di Toledo, contro un certo Francisco de la Bastida, che si presentava ora come Alguasil, ora come inquisitore, nelle case delle persone facoltose. Operava degli arresti, trascinando i detenuti fuori dalla città, dove li spogliava di ogni loro avere e poi scompariva. Svolgeva la sua attività a Fuente, ad Almaden, a Madrid ed infine a Saragozza, dove venne acciuffato. Egli fu immediatamente confesso e perciò, a quanto si diceva, gli inflissero una pena mite che comprendeva seicento scudisciate, delle quali duecento da infliggersi a Toledo, duecento a Fuente e duecento ad Almaden, nonché la galera a vita.


GLI INDEMONIATI


La credenza che i demoni avessero la facoltà di impossessarsi di un essere umano, privandolo della libera volontà e sottoponendolo a terribili torture spirituali e fisiche, ci é tramandata dai tempi antichi, in cui era convinzione generale, che in questo stato poteva dar sollievo soltanto un esorcista. Né nel fatto di essere indemoniati, né nell'esorcismo il Santo Uffizio ravvisava l'eresia e nei casi normali non vi era bisogno nemmeno di ricorrere all'Inquisizione. Ma se per qualsiasi ragione si fosse mostrato desiderabile l'intervento, non vi era alcuna difficoltà per ottenerlo. Abbiamo già visto quali mezzi venissero adottati nel 1628 nei confronti delle suore di San Placido, le cui rivelazioni ispirate dal diavolo avevano una tendenza rivoluzionaria.
Anche il Tribunale di Valladolid dimostrò molta mitezza in un caso di questo genere, quando cioè un confessore Gesuita riferì che Dona Filippa e Dona Anna de Mercado, suore dell'ordine di San Bernardo, durante la confessione e la comunione avevano fatto dei gesti tanto sconvenienti, da suscitare grave scandalo tra i fedeli. Aggiungeva però che secondo la sua opinione tutto ciò avveniva dietro ispirazione del diavolo. Venne aperta una interminabile istruttoria, durante la quale vennero interrogate molte suore dell'ordine, le quali attestavano che le due imputate si erano sempre distinte per la loro moralità e devozione. La questione si trascinò per dieci anni e finì con la generale convinzione, che si trattava indubbiamente di un caso da ascriversi all'opera del diavolo e che le due suore erano perfettamente innocenti.

Questa epidemia di isterismo si divulgò con spaventosa rapidità nelle valli dei Pirenei; il segretario del governo di Aragona, Jacinto de Robres annunciò al Tribunale di Saragozza, di aver trovato nella valle di Tenaba ben 60 persone indemoniate e che la piaga continuava a dilagare. Tutto il male venne attribuito a Pedro de Arrecibo ed al di lui amico Miguel Guillenne, i quali vennero arrestati. Il Guillenne venne giustiziato mentre l'istruttoria dell'Arrecibo si dilungò. Egli confessò di aver ricevuto un pezzo di carta da un Francese, sul quale erano tracciate diverse cabale, con cui avrebbe potuto conquistare qualsiasi donna, ma il risultato fu unicamente di farlo rimanere indemoniato. Anch'egli venne giustiziato, ma la morte dei due non valse ad impedire la propagazione del contagio, avendo avuto essi diversi complici, principalmente donne indemoniate, che si reclutavano anche dai migliori ceti sociali, nell'età che variava dai sette ai diciotto anni.
Alcune di queste erano in stato interessante, altre nel periodo di allattamento, poiché i demoni potevano produrre simili risultati anche nelle donne più virtuose. I Vescovi ed i gesuiti si valsero di ogni mezzo, per scacciare il diavolo da queste persone e perciò chiesero anche l'intervento di un inquisitore. Non ci é dato di sapere che cosa si attendessero dall'intervento degli inquisitori; risulta però che dopo un consiglio svoltosi alla Suprema le autorità ecclesiastiche si rivolsero al Sovrano per avere aiuto.


L'IMMACOLATA CONCEZIONE


Il dogma dell'Immacolata Concezione fu oggetto di accanite discussioni per oltre sei secoli, sino a che finalmente nel 1854 venne riconosciuto da Pio IX, con una tesi di Fede. Nella Spagna dove l'adorazione del popolo verso la Santa Vergine era particolarmente fervente, questo dogma era già universalmente accettato fin dal Secolo XVII, ad eccezione dei Domenicani, i quali per deferenza verso il loro Generale, San Thomas Aquinas, erano indotti a negare questa tesi religiosa.
La storia rammenta alcuni casi, in cui delle persone vennero condannate per la negazione del Dogma dell'Immacolata Concezione, ma questi casi erano molto rari. Nel 1782 Don Antonio Pornes, armatore di Sevilla, venne posto sotto accusa per ostinata negazione di questa tesi. Mentre nel 1785 un medico, di nome Don Isidoro Moreno e suo figlio Joaquino, vennero condannati dal Tribunale di Saragozza.

 

I PECCATI CONTRO NATURA


Come eredità delle antiche epoche classiche il peccato naturale si manifestava insistentemente attraverso tutto il Medio Evo, nonostante gli sforzi uniti di Chiesa e Stato per sopprimerlo. È vero che il Consiglio del Laterano nel 1179, con l'abituale blandizia praticata nei confronti degli ecclesiastici peccatori, puniva i colpevoli soltanto con la degradazione e con la reclusione in una clausura, ciò che venne anche inserito nelle leggi canoniche, ma la Giustizia civile dimostrava già assai più rigore e le cause finivano generalmente con la condanna al rogo.

La punizione prescritta nel Secolo XII nella Spagna era la mutilazione e lapidazione. Nel 1457 Ferdinando ed Isabella autorizzarono che questi colpevoli fossero arsi vivi ed i loro beni sequestrati, senza riguardo alcuno alla posizione sociale.
Nell'Aragona, a quanto pare, l'Inquisizione primitiva non si curò di questo fatto. Nel 1519 nella città di Valencia infieriva una malattia contagiosa, che provocò la fuga della nobiltà e degli alti funzionari. Fra' Luís Castellotti pronunciò il giorno di Santa Maddalena un fervente discorso, in cui motivava la propagazione della peste con l'ira di Dio per i frequenti casi di peccati contro la Natura.
La plebaglia si ribellò riuscendo ad individuare quattro colpevoli che furono confessi e vennero arsi vivi. Vi era anche un quinto colpevole, un fornaio tonsurato il quale venne condannato dalla corte vescovile alla verguenza. Ma il popolo non era soddisfatto di quella sentenza e riuscì a strappare l'individuo dalle mani delle autorità per poi strangolarlo e bruciarlo.

Il dottor Martin Real che descrive questi avvenimenti, dice che in tutta l'Italia questo abominevole peccato era giudicato con tanta blandizia, che per nulla si riusciva ad impedire la rapida propagazione. L'Inquisizione romana non si preoccupò. Quando nel 1644 alcuni frati Francescani si resero sospetti di aver esaltata questa ripugnante deviazione, la Congregazione si accontentò di affidare il procedimento al loro Priore.
Nella Spagna invece le torture erano largamente applicate nelle cause di questo genere. Ciò suscitò malumori nell'Aragona dove era vietata l'applicazione della tortura. Ma gli inquisitori asserivano che senza quel mezzo non sarebbe stato possibile far giustizia.
I sacerdoti venivano trattati con molta mitezza anche nella Spagna. Nel 1684 la Suprema richiamò all'ordine il Tribunale di Valencia, per l'eccessiva blandizia delle sue sentenze nei casi di questo genere. Tuttavia i Tribunali ritenevano che per simili peccati non fosse applicabile la legge in tutto il suo rigore sugli ecclesiastici ed in generale prese consistenza l'opinione che occorreva ostinatezza e recidività, perché i giudici fossero autorizzati ad applicare con tutta la severità le pene comminate.

L'inclinazione alla blandizia col tempo aumentò anche di fronte ai laici. Nel 1717 il Tribunale di Barcellona condannò a quattro anni di reclusione e conseguente espulsione dalla Spagna il francese Guillaume Amiel, mentre la Suprema ridusse la pena a cento scudisciate. L'Amiel protestò adducendo di essere figlio di un nobil uomo, in grado di provare con un certificato di essere suddito del Re Cristianissimo, e perciò non poteva essere sottoposto a questa umiliante pena corporale. Il procedimento venne sospeso ed in seguito chiesero consiglio alla Suprema la quale condonò la pena.

Il caso più saliente di questo genere negli annali dell'Inquisizione é dato da quello di don Luis Galceran de Borja, Gran Maestro dell'ordine di Monteza. Egli come Grande di Spagna era in rapporti dí parentela con la Casa Regnante, inoltre era fratellastro di Francisco de Borjes, Principe di Grandia e futuro Generale dei Gesuiti. Fu necessario il consenso di Filippo II per il suo arresto e sebbene rinchiuso nelle Carceles Secretas gli venne assegnato un appartamento comodo, dove anche durante l'istruttoria sbrigava gli affari dell'Ordine. Egli pretese un trattamento particolare come Gran Maestro dell'importante Ordine e su questo fatto si aprì una discussione che durò non meno di due anni. Infine venne rilevato, che erano già state condannate persone di rango superiore al suo, per la stessa colpa, oltreché il Borja non poteva essere considerato ecclesiastico, essendo sposato e padre di diversi figli. Il suo ricorso venne dunque respinto e la questione seguì con molta lentezza il suo corso. Le prove si limitavano a due testimoni, che lo accusavano di seduzione e violenza. Le più alte influenze vennero messe in moto per salvare l'imputato e perciò all'ultima Consulta de fé i giudici non si trovarono d'accordo. Due inquisitori votarono per la liberazione, mentre il terzo, Juan de Royas pretendeva quattro anni di esilio ed una grave ammenda. Dopo un lungo scambio di corrispondenze, la Suprema finalmente accettò quest'ultima proposta. Tuttavia l'esilio di quattro anni venne sostituito con ritiro nel convento di Monteza.

Il Llorrente fa supporre che con questo trattamento blando gli inquisitori sperassero di ottenere, dagli influenti protettori del Borja, alte cariche ecclesiastiche o seggi nella Suprema. Inoltre viene fatto cenno di un patto, secondo il quale, con la morte del Borja, l'ordine di Monteza, sarebbe stato incorporato dai possedimenti reali, come era avvenuto per la maggior parte degli ordini militari della Castiglia, sotto il regno di Ferdinando. Questo ignobile patteggiamento venne reso meno aspro dal fatto che Re Filippo nominò il figlio naturale di Borja, a governatore dell'Ordine, dalla quale carica più tardi poté salire fino alla dignità della Porpora.

LA MORALITA'


Lo scopo dell'Inquisizione era di conservare la purezza della Fede e non il miglioramento della moralità. Clemens Abate di Ripoll venne posto sotto accusa, perché in una occasione aveva dichiarato che la misericordia di Dio era talmente superiore ad ogni cosa, da perdonare a qualunque colpevole che confessasse i propri peccati, anche se questi non fosse fermamente deciso ad astenersi nell'avvenire dal peccare. Anzi, persino un sacerdote che avesse tenuto per amante una monaca, avrebbe potuto essere perdonato.
Per questa dichiarazione gli venne inflitta una ammenda di quattrocento ducati e gli fu ordinato severamente di troncare ogni rapporto con la monaca con cui aveva una relazione amorosa, comminandogli altri cento ducati di ammenda, se non avesse ottemperato quell'ordine. La Suprema, però, rimproverò severamente l'inquisitore Padilla per aver inflitta una pena tanto severa.

In un'altra occasione gli inquisitori multarono un loro dipendente, celibe, di nome Jaime Bocca, con dodici ducati, per aver avuto come amante una donna maritata. Anche in questo caso la Suprema disapprovò dichiarando che quelle cose non appartenevano all'Inquisizione.
La questione della moralità era completamente esclusa dall' attività del Santo Uffizio e questo andava a vantaggio di coloro che non giudicavano peccato l'impudicizia. Infatti non si facevano nemmeno tentativi per reprimere il peccato carnale e ci si limitava a stabilire se l'atteggiamento spirituale del colpevole fosse da punire.

Però con l'andare dei tempi gli eretici che costituivano la ragione di esistere del Santo Uffizio si trovavano in numero sempre più limitato, perciò si iniziò un movimento tendente ad allargare il campo di attività dell'Inquisizione. Ciò lo abbiamo visto agli effetti della censura che più tardi non era limitata, solo alla letteratura immorale, ma estesa anche a tutte le opere d'arte che non avessero corrisposto alle concezioni di moralità del censore.
Di qui non mancava che un passo per immischiarsi nella vita privata degli individui presi di mira ed esempi di questo caso si riscontrano abbastanza frequentemente verso il tramonto dell'Inquisizione. Così, nel 1784, un certo José Mast venne fatto comparire dinanzi al Tribunale di Valencia per aver cantato delle canzoni immorali ad una festa da ballo.
Nel 1792 il Tribunale di Barcellona accettò la denuncia di Ramon Seroles de Locto concernente lo scandaloso comportamento del Parroco di quella città, il quale fra l'altro faceva commercio degli olii consacrati.

Nel 1810 il Tribunale di Valencia aprì istruttoria contro certa Rosa Avinen, proprietaria d'una tabaccheria, per sospetto di sevizie su alcuni bambini. Nel 1816 il Tribunale di Santiago condannò il direttore delle Poste ad abbandonare immediatamente la città, dove conduceva una vita disordinata e scandalosa. Gli ordinò, inoltre, di riconciliarsi con la moglie e di convivere con essa.
In questi casi possiamo supporre che gli imputati si fossero meritati abbondantemente la punizione, ma in linea generale questa sporadica difesa della moralità serviva assai più il piacere di qualche inquisitore in mala fede, che non il miglioramento della pubblica morale ed il fatto di aver devoluto l'enorme apparato dell'Inquisizione a fatterelli di tanto poca importanza, dimostra che l'Inquisizione era già caduta dal suo alto piedistallo.

 

IL MESSICO

Una delle opere più concrete della conquista spagnola nel Nuovo Mondo era la propaganda della Fede. Questo era l'unico scopo riconosciuto dalla famosa Bolla di Papa Alessandro VI, del 1493, con la quale riconosceva i diritti dei Sovrani spagnoli sui territori scoperta da Colombo. Questa missione della Spagna venne confermata nel codicillo del testamento della Regina Isabella, la quale teneva ad ammonire il marito ed i figli di non perdere mai di vista questo scopo. In questo senso venivano anche impartite da tutte le commissioni di emigrazione le istruzioni a quegli avventurieri che resero il litorale del Mare dei Caraibi il teatro di una sanguinosa oppressione. Filippo II, che aveva sempre curato scrupolosamente in patria la purezza della Fede, non dimostrò minor fervore per i possedimenti d'oltre mare. A tutti gli ufficiali spagnoli che partivano per l'America venne data severa istruzione, di curare sopratutto la propagazione della Fede cristiana e di fronte a questo compito i vantaggi politici e commerciali vennero posti in seconda linea.

Tuttavia nella realtà la propaganda della Fede rimase molto indietro rispetto agli sforzi compiuti per accaparrarsi i metalli preziosi del nuovo continente. È vero che in occasione del secondo viaggio di Colombo, nel 1493, fu inviato in America Fra' Buill con una dozzina di sacerdoti e con pieni poteri di cui li investì la Santa Sede, ma i risultati di questa missione non furono quelli sperati.
Gli sforzi compiuti per gettare le basi della Chiesa Cattolica in America, progredivano assai lentamente. Hispanola venne suddivisa in due Vescovadi: quello di San Domingo e quello di La Vegara. Al primo seggio venne nominato Vescovo il francescano Garcia de Padilla, il quale però morì prima di aver potuto raggiungere la diocesi; al secondo seggio venne nominato Pedro Suaroz Deza, cugino del Capo Inquisitore Deza, che rimase per alcuni anni a governare la diocesi.

Cortez che aveva pregato il Papa di istituire i Vescovadi nei territori occupati, ben presto cambiò parere e pregò Carlo V di inviare soltanto dei frati missionari. Egli riferiva che i sacerdoti degli Indiani erano tanto modesti e virtuosi che se la popolazione avesse vista la pompa e la vita dissoluta del Clero spagnolo avrebbe certamente considerato il Cristianesimo come una commedia e perciò si sarebbe resa molto difficile l'opera di conversione.
Re Carlo accettò il buon consiglio, nominando per le cariche vescovili dei frati di vari ordini, mentre al clero permetteva soltanto rare volte l'emigrazione ed anche quei pochi che riuscirono a recarsi in America non avvantaggiarono certo la diffusione della Fede.

Da quel tempo l'organizzazione della Chiesa cattolica prese un ritmo più accelerato e verso la fine del secolo Padre Mendieta riferisce che la nuova Spagna, compreso il Messico e l'America Centrale, aveva già dieci Vescovadi, senza contare quello della Capitale, 400 conventi ed altrettante parrocchie, e che le ottocento fondazioni mantenevano varie chiese per ciascuna.
Può sembrare strano che i Sovrani spagnoli, i quali alla fervente propaganda della Fede univano lo zelo di conservarne la purezza, abbiano rinviato tanto lungamente la fondazione del Santo Uffizio nelle colonie. Indubbiamente i neo-cristiani, indiani, non
avevano bisogno di una simile istituzione, che però sarebbe stata tanto più necessaria per gli emigrati europei.

Per lungo tempo si era riusciti a conservare la purezza della Fede tra i neo-cristiani del Nuovo Mondo ed i rari casi di eresia venivano giudicati dalle Corti Vescovili. Questa situazione avrebbe potuto essere definitiva se l'immenso orgoglio dell'Inquisizione non l'avesse spinta ad arrogare a sé la competenza giuridica in ogni questione di Fede, anche nelle colonie. Un caso caratteristico confermava pienamente questa gelosia del Santo Uffizio.
Pedro de Leon con la moglie e la figlia cercò riparo in Hispanola, ma là venne arrestato dal provveditore vescovile, il quale era riuscito a strappargli una confessione accusatrice contro se stesso e contro altri. Invece dí autorizzare il Vescovo a portare a fine l'istruttoria e di provvedere alla punizione dei colpevoli, la Suprema informò che il Cape Inquisitore avrebbe inviato un messo straordinario, perché riportasse a Sevílla la famiglia assieme ad altri fuggiaschi.

Questo procedimento in ogni caso era molto costoso e complicato e non vi é traccia che il Santo Uffizio ne abbia fatto molto uso. Finalmente nel 1519 Carlo V dopo aver confermato il Cardinale Adriano nella carica di Capo Inquisitore, lo inviò, insieme ad Alfonso Manso, Vescovo di Portolico ed il Domenicano Pedro de Cordova, per fondare l'Inquisizione nelle Colonie avvertendo colà tutto il Clero di dover assoluta obbedienza ed appoggio a detta commissione.
È interessante il fatto che, a quanto pare, Roma non esercitava alcuna pressione perché l'Inquisizione venisse estesa nel Nuovo Mondo. Nonostante il suo fanatismo Pio V, che portò alla ultrapotenza dell'Inquisizione in Italia, dava veramente saggi consigli a Filippo II, in merito alle organizzazioni ecclesiastiche delle colonie. Il Pontefice inviò una lettera autografa al Capo Inquisitore Espinoza per incitarlo nella sua opera devoluta al bene della Chiesa.

La via più sicura per propagare la fede nel nuovo mondo, scriveva, era quella di trattare quella popolazione ín modo che essa rinnegasse con gioia il Paganesimo, sottoponendoli alle miti leggi di Cristo. I cristiani che emigravano nel paese avrebbero dovuto avere un comportamento tale che la loro vita e la loro morale costituissero un esempio per la popolazione indigena ed un incitamento ai pagani per la conversione.
È doveroso riconoscere a Filippo di essersi seriamente affaticato a seguire la via tracciatagli da Pio V, ma la cattiva amministrazione degli Spagnoli e la vita dissoluta degli emigrati non riu
sciva a rendere molto seducente la conversione agli indigeni.

Le possibilità di far rapida fortuna seducevano sempre più gli Europei ad avviarsi verso il nuovo Continente ed in breve tempo le colonizzazioni aumentarono in modo che la giurisdizione vescovile non riusciva più a tenere a freno questo elemento, in gran parte turbolento. Si rese dunque inevitabile di estendere la competenza dell'Inquisizione anche alle Colonie per stroncare l'eresia che stava acquistando terreno in quei territori.
Siccome la comunicazione tra i Tribunali delle colonie e la Suprema di Madrid era molto lenta ed irregolare, fu necessario di impartire all'Inquisizione coloniale più ampie facoltà che non in patria. Se per esempio la sentenza infliggeva l'applicazione della tortura od altre pene meno gravi, la decisione spettava ai due inquisitori delegati. I ricorsi alla Suprema contro l'applicazione della tortura o le pene più gravi vennero sostituiti semplicemente con un nuovo interrogatorio dell'imputato, dopo di che la « Consulta de fé » riesaminava la causa.

La pubblicazione dell'editto di Fede fruttò numerose denunce ed il gran numero degli arrestati ben presto non trovò posto nelle carceri provvisoriamente costruite. Fra gli arrestati si trovavano circa trentasei inglesi superstiti di quei cento uomini i quali, sotto la guida di Sir John Hawkins, nel 1568 avevano preso terra dopo l'affondamento del San Juan de Uluai. Questo zelo ebbe il suo sfogo nel primo grande « auto da fé » che, secondo i testimoni, a parte la presenza dei Sovrani, in nulla era inferiore a quello di Valladolid del 21 Maggio 1559.

Già due settimane prima a suono di tamburo e tromba venne annunziato il grande avvenimento e furono eretti dei grandiosi palchi. Le autorità comunali invitarono alla solennità tutti i giudici e le loro famiglie ed un'enorme ondata di popolazione si riversò dalla provincia nella città. La notte precedente l' « auto da fé » venne dedicata all'istruzione delle vittime nel gran cortile dell'Inquisizione, dove i disgraziati si trovavano in massa ed al mattino vennero rifocillati con vino e focacce.
La descrizione di questo « auto da fé » fatta dal Senor Medína é poco chiara, ma tuttavia si apprende che vi parteciparono complessivamente 74 imputati. Trentasei di questi erano luterani fra i quali George Ripley e Marin Cornu vennero arsi vivi. Molti erano gli stranieri e principalmente inglesi. Uno di questi, certo Miles Philips scrisse una relazione dell'avvenimento in cui racconta dettagliatamente il supplizio dei suoi compatrioti arsi vivi.

Sessanta individui vennero condannati ad essere scudisciati ed alla galera, mentre sette, tra i quali anche il Philips, vennero inviati agli ospedali per prestarvi servizio gratuito. La flagellazione venne eseguita il giorno seguente sulle vie affollatissime. In testa al corteo camminava un araldo che gridava : «Guardate i cani luterani inglesi, nemici di Dio», mentre gli inquisitori ed i dipendenti continuavano ad incitare i giustizieri : « Picchiate più forte questi luterani inglesi ».
Miles Philips scrive che alla fine dell' « auto da fé » i recidivi vennero bruciati sulla plaza stessa ciò che dimostra che in quel tempo l'autorità comunale non aveva ancora provveduto alla costruzione di un apposito quemadero, dove si sarebbe potuto procedere decorosamente alle esecuzioni. Questo venne eretto nel 1596 con una spesa di 400 pesetas. Per un caso particolarmente macabro la costruzione venne eretta nella prossimità dei giardini pubblici dove rimase sino alla demolizione avvenuta nel 1775.

Con l'arrivo dell'inquisitore Alonzo Perata nel 1594 il Tribunale incominciò una attività più zelante e rigorosa. All' « auto da fé » tenutosi l'8 Dicembre 1596 vennero bruciati 66 penitenti, compresi 22 protettori di ebrei. Ma ancora più in grande stile era l'« auto da fé » solennizzato il 26 Marzo del 1601, pure sotto, la presidenza dell'inquisitore Perata, inquantoché vi comparvero 124 penitenti fra i quali ne vennero bruciati 20.

Con ciò l'Inquisizione ha fornito ampie prove per la necessità dell'istituzione per potere purificare i paesi dell'America dall'eresia e dai rinnegatori di Dio.
Un particolare molto notevole é che in questi « auto da fé » non figurò nemmeno una vittima indiana. L'ultimo indigeno, un certo Tezcoco venne giustiziato nel 1536, per ordine del Vescovo Zummaruga, eccessivamente zelante, ma l'inquisizione si guardò bene dal dare agli indigeni un trattamento equiparato a quello riservato ai bianchi. Infatti da principio gli indigeni erano considerati di troppo basso grado per essere riconosciuti veri credenti.
Le atroci crudeltà commesse nei confronti della popolazione indigena trovano spiegazioni pure in questo giudizio. Il primo vescovo di Tlaxcalà scrisse a Papa Paolo III un rapporto esteso, in cui condannò l'ingordigia dei bianchi che sfruttavano in un modo incredibile gli indiani. A questo punto il Vescovo descrive che la popolazione indigena si trovava ad un livello tanto basso da potersi paragonare agli animali e perciò in nessun modo gli sembrava degna di partecipare alle benedizioni della fede ed ai divini Sacramenti.

Così dunque gli indiani sfuggirono alle persecuzioni dell'Inquisizione, col pretesto che non erano gente de razon ossia erano elementi irresponsabili.
Ma questa scusa valse soltanto per mascherare le atrocità commesse su di essi.
Las Casas, Mendieta e Torquemada attribuivano la progressiva estinzione della razza indigena e l'odio di questa verso i dominatori spagnoli, appunto al trattamento crudele a cui veniva sottoposta da parte dei colonizzatori.
Le Autorità governative fecero vari tentativi per rimediare a questo stato di cose e così, anzitutto vietarono la trattenuta di una percentuale, sul magro salario pagato ai lavoratori indigeni, da parte di prelati, ordini religiosi, ospedali ed associazioni. Ciò nonostante, non appena l'Inquisizione fu costituita si affrettò a pretendere il versamento di questa quota alle proprie casse.

Se possiamo prestar fede alla nota dei sanbenitos, appesi alle pareti della Cattedrale di Messico, dobbiamo dedurre che, dopo l' « auto da fé » del 1601 per mezzo secolo seguì un periodo di relativa calma in cui i protestanti erano quasi del tutto scomparsi per dar posto ad un esiguo numero di ebrei. Però i sanbenitos fanno fede soltanto dei casi gravi, mentre i Tribunali dell'Inquisizione, anche in questo periodo, erano sufficientemente occupati con i casi di minor gravità, come bigamie, stregonerie, favoreggiamenti, ecc. che fruttavano sempre un congruo introito per mezzo delle cause in corso che nel 1625 ammontava a sessantatré, ciò che dimostra che vi era sempre un discreto movimento al Tribunale, particolarmente paragonandolo agli anni successivi, in cui le cause diminuirono sempre più sino a che una relazione del 12 Luglio 1639 riferiva che non vi erano più cause da discutere.
Anche un anno dopo figura una unica causa a carico di un sacerdote, accusato di seduzione in confessionale.

In una lettera datata il 13 Febbraio 1634 gli inquisitori riferiscono che da dieci anni non era stato pubblicato l'editto della fede, fatto dovuto unicamente alla riluttanza dei Vice Re di presenziare al rito. Pregavano quindi il Sovrano di impartire severo ordine, affinché le autorità civili non si sottraessero al dovere di presenziare alla cerimonia. Il Sovrano accondiscese alla richiesta, ma passarono altri dieci anni prima che si riuscisse a stabilire esattamente le questioni di etichetta e soltanto il 1° Marzo del 1643 venne data solenne lettura dell'editto nella Cattedrale di Messico ed ebbe per seguito una valanga di denunce.
Per avere un'idea dell'entità basterà osservare che le denunce riempirono otto volumi, con l'enumerazione di duecentoquarantaquattro differenti reati.

Durante il periodo trascorso in relativa quiete gli immigrati ebrei convertiti, peraltro sempre fedeli alla loro antica fede, riuscirono a procacciarsi grandi patrimoni, con il commercio coloniale che essi monopolizzavano nel vero senso della parola. Ma l'illusione della sicurezza di questo elemento durò poco. La campagna iniziata in Spagna per l'estirpazione degli ebrei portoghesi portò alla rivelazione dei nomi di diversi compagni di fede che avevano cercato rifugio nel Nuovo Mondo. Ora questi nomi vennero accuratamente elencati e trasmessi al Tribunale coloniale. Infatti nel 1642 si iniziò la spietata persecuzione, con il doppio scopo di aumentare gli introiti dell'erario e di purificare la Fede.
Per impedire la fuga dei perseguitati, l'Inquisizione di Lima mandò un ordine a Vera Cruz che vietava l'imbarco di qualsiasi portoghese che non fosse in grado di esibire una particolare autorizzazione. Un ricchissimo commerciante, di nome Manuel Alvarez, era già avviato verso la Spagna, ma la sua nave naufragò in prossimità di San Domingo ed egli fu obbligato a ritornare all'Avana. Il Tribunale dell'Inquisizione non perdette tempo, diede ordine al proprio agente dell'Avana perché arrestasse l'Alvarez, procedesse alla confisca di ogni suo avere e lo mandasse, ammanettato, a Vera Cruz.

Nonostante che questi nuovi cristiani fossero cresciuti in stretti rapporti familiari ed affaristici e perciò in essi fosse molto sviluppato il senso di solidarietà, le probabilità di sfuggire alla persecuzione del Santo Uffizio non erano grandi, poiché ogni nuovo detenuto veniva obbligato con ogni mezzo a denunciare i propri parenti ed amici. Nel luglio del 1642 venne arrestato un ragazzo tredicenne, di nome Gabriel de Granada, e costretto con violenza a deporre contro centootto persone, compresi i componenti della sua famiglia.
In quei tempi funzionavano al Messico tre inquisitori : Francisco de Estrada y Escobedo, Bernabé de la Higuera y Amarina e Juan Saenz de Manozca, il nome dei quali riempiva di terrore, colpevoli ed innocenti ugualmente.
Del loro zelo spietato fa fede una lettera diretta alla Suprema, in cui essi chiedevano l'autorizzazione di bruciare dieci persone, sebbene fossero confesse ed avessero implorata la grazia. In tutto il paese la persecuzione e le condanne prendevano la forma di un'Apocalisse. L'ispettore Medino Rico, arrivato in colonia nel 1654 riferisce che nemmeno una sola volta venne concesso agli accusati di valersi dei difensori, sebbene ne avessero il diritto.

Un caso caratterizza particolarmente l'incoscienza dei Tribunali. Il 24 Ottobre del 1646 una detenuta, Dona Catalina de Campo sentendosi inferma e prossima alla morte e desiderando morire nella fede cattolica, chiese udienza per poter ottenere gli estremi conforti.
Nessuno si curò di lei e venne rinviata nelle celle, dove la ritrovarono pochi giorni dopo morte, mentre il suo corpo era già rosicchiato dei topi.

L' « auto de fé » generale dell'11 Aprile 1649 segna il punto culminante dell'Inquisizione del Messico, ed uno degli incaricati ci ha tramandato una descrizione molto colorita. Già un mese prime l'avvenimento venne annunciato con une solenne processione in tutte le città delle Nuove Spagna. Di conseguenze, già due settimane prime delle data fissata, cominciavano ad affluire dai paesi remoti grandi masse di gente. Sembrava che tutte le regione si spopolassero. Il relatore fa uso delle più grande facondia per descrivere le pompe delle processione delle Croce Verde, all'antivigilia della cerimonia, alla quale partecipò l'intera nobiltà, in sfarzosi costumi di gala. Portava la bandiera dell'Inquisizione il Conte di Santiago, il cui nonno aveva portato la stessa bandiera all'« auto da fé » del 1574. In doppie file si avviarono le carrozze dell'Inquisizione alle Plazuela del Volador, dove venne tenuto il rito e i distinti signori si preoccupavano tanto di avere una buona visuale dal palco, che passarono nelle loro carrozze tutta le notte e vi rimasero sino alle fine delle cerimonie il giorno seguente.
Sembrava che tutto il Messico, dai più distinti ceti sino ai più umili si fosse dato convegno per dar prova di devozione e per ottenere l'indulgenza dal Vicario di Cristoper, partecipando alla solenna manifestazione in gloria della Chiese.

Intanto nell'edificio dell'Inquisizione, durante le notte precedente le cerimonie, i condannati venivano preparati alla morte. Fra 109 carcerati, vi erano due individui, un protestante ed un francese di nome François Rason, che per sospetto d'eresia, vennero condannati e due anni di servizio gratuito in un convento e siccome erano poveri non venne loro inflitto nemmeno un'ammenda. Vi erano 9 ebrei che vennero esiliati, per sospetto d'eresie, tre di essi, essendo poveri, non vennero colpiti d'ammenda, mentre gli altri sei dovettero versare ammende varianti dei 1000 a 6000 ducati, inoltre e tutti venne inflitte une pena di 200 scudisciate. Tutti gli imputati dovettero subire le confisca dei beni, non esclusi i 19 conciliati; quindici individui dovevano essere giustiziati in effigie; 10 di questi erano morti durante le prigione, due si erano suicidati, mentre tre erano riusciti e fuggire.

I condannati e morte vennero strangolati prima d'essere gettati sul rogo ad eccezione di un certo Thomas Trevino che venne arso vivo. Ere costui un recidivo impenitente che, all'antivigilia dell'« auto de fé », improvvisamente dichiarò d'essere ebreo e di voler morire nella proprie fede. Tutti gli sforzi dei confessori rimasero infruttuosi, poiché nessuno di essi riuscì a convertirlo. Per soffocare le sue invettive gli venne messo un piolo in bocca, durante il tragitto dall'Inquisizione alla Plaza, ma egli, ciononostante, riuscì a professare ad alta voce la propria fede e manifestare il suo disprezzo verso il Cristianesimo.
Il cronista racconta che quando dopo la lettura della sentenza, volevano farlo montare sopra un mulo per trasportarlo al quemadero, l'animale non voleva tollerare sul dorso un peccatore tanto scellerato.
L'esperimento venne ripetuto con sei altri muli, ma sempre con lo stesso risultato. Infine lo caricarono su un cavallo mezzo morto, che non aveva più la forza di disarcionare l'empio carico. Dietro alla sella del Trevino venne fatto montare un indiano che, ad ogni costo voleva convertirlo, ma poi, adirato dell'insuccesso colpì la vittima violentemente sulla bocca per farlo tacere.

Al rogo Thomas Trevino mostrò sino all'ultimo istante un contegno da eroe, spingendo con le gambe verso di sé i ceppi di legno accesi; le ultime parole, che rivolse ai giustizieri, furono : « Caricate ben alto il legno, già anche questo l'ho pagato io ».

Il capo inquisitore Arce y Reynoso, il 16 Ottobre 1649, si congratulò con Filippo, V, per il nuovo trionfo della fede, fonte di forza ed orgoglio di ogni fedele cristiano. Il pio Sovrano declinò modestamente questa lode, dicendo tutto il merito doveva attribuirsi all'Inquisizione. Secondo i calcoli di Arce y Reynoso il risultato dei quattro « auto da fé » era : duecentosettanta penitenti, fra i quali centonovanta ebrei, quasi tutti sudditi portoghesi.

Dopo queste grandiose manifestazioni di potenza l'attività giudiziaria dell'Inquisizione rallentò di nuovo, poiché per diversi anni essa era occupata con l'equa ripartizione delle confische che comprendevano gran parte delle aziende commerciali ed agricole del Messico. Tuttavia il 19 Novembre 16 si tenne un altro «auto da fé » pubblico, che, sebbene vi fossero state soltanto poche vittime, rimase memorabile per l'eccezionale severità delle pene inflitte. Gli imputati erano complessivamente trentadue, e fra essi si trovavano dodici bestemmiatori di Dio, due bigami, un falsario, un falso testimone ed uno che aveva rivelato i segreti delle carceri. Inoltre vi era una donna sospetta di giudaismo, un mistico che aveva avuto rivelazioni e visioni ed infine le due sorelle Romero, che vennero condannate per mistificazioni a 200 scudisciate ed a dieci anni di servizio gratuito da prestarsi in un convento.

Un portoghese, di nome Diego Diaz, il quale nel 1649 era stato condannato all'abiurazione ed al perpetuo. esilio, non essendosi allontanato dal Messico, venne di nuovo arrestato nel 1652. Il disgraziato dovette attendere nelle carceri il prossimo « auto da fé » tenutosi soltanto nel 1659 nel quale venne condannato, come recidevo ad essere arso vivo. Al patibolo il giustiziere, avendolo scambiato con altra persona, incominciò a strangolarlo, ma l'Alguazil Mayor, accortosi dell'errore, gli ordinò di smettere e di accendere il rogo, mentre il Diaz era ancora vivo. Così lo sciagurato subì due supplizi.

Un altro degli imputati, Francisco Lopez de Aponte, era accusato di rapporti col diavolo; egli si finse pazzo, ma i medici dichiararono che era perfettamente assennato. Tuttavia rimase completamente immobile durante la tortura e pareva non sentisse alcun dolore. Ciò venne attribuito ancora all'aiuto del Diavolo e perciò fecero completamente rasare il suo corpo per constatare se non vi fosse il marchio magico del Diavolo, ma non riuscirono a rintracciare nulla. Il Lopez sopportò anche le seconda tortura con la stessa stoica indifferenza ed all'antivigilia dell'« auto da fé » disse al suo confessore, che si sforzava di convertirlo: « Non c'é né Dio, né Inferno, né Paradiso. Tutto non é che una menzogna. Non esiste che la nascita e la morte ». Durante l' « auto da fé » non mostrò alcuna commozione e perciò venne arso vivo, come ostinato recidivo.

Juan Gomez venne arrestato il 28 Maggio 1658, perché propagava dottrine contrarie alla religione cattolica. Nelle carceri si vantava continuamente della propria eresia, ma durante l'« auto da fé » cedette e mostrò pentimento; ma ciononostante fu arso vivo. Pedro Garcia de Arias, un eremita pellegrino, sebbene fosse completamente incolto, scrisse tre volumi dell'Inquisizione, pieni di dottrine erronee. Durante l'istruttoria sostenne ostinatamente di non aver mai commesso un peccato ed ingiuriò ad alta voce il Santo Uffizio per cui gli vennero inflitte duecento scudisciate sulla pubblica via. Quando poi seppe di essere condannato a morte protestò vivamente, dichiarando però che non intendeva chiedere la grazia. Al brasero chiese udienza, dichiarando ancora di aver scritto soltanto la verità. Nonostante la sua ostinazione, però, venne strangolato prima di essere arso, mentre i suoi libri, legati con un nastro, gli vennero appesi al collo e bruciati assieme a lui.

In questo strano agglomeramento di persone eccentriche, Guillem Lombardo de Guzman, oriundo irlandese, era la persona più notevole. Lo sciagurato soffriva nelle carceri, sin dal suo arresto, avvenuto nel 1642, in seguito ad una denuncia, secondo la quale egli avrebbe voluto staccare il Messico dalle colonie spagnole e farsi proclamare regnante, forte del fatto di essere un figlio naturale di Filippo III e quindi fratellastro di Filippo IV (la sua origine irlandese era per parte materna). Effettivamente di ciò era colpevole, ma l'Inquisizione, per meglio giustificare il proprio intervento, lo accusò di essersi consigliato con un prestigiatore indiano e con diversi astrologhi per avere una profezia circa l'esito della sua impresa.
L'ultimo atto della tragedia era l'abbruciamento dell'effigie del Sacerdote José Brunon de Vertis, contro il quale non poterono trovare altra accusa che di essersi lasciato abbindolare dalle mistificazioni delle sorelle Romero, al punto di descrivere le loro visioni e rivelazioni. Quando, nel 1649, venne arrestato riconobbe immediatamente di essere stato tratto in inganno ed implorò la misericordia dell'Inquisizione, perché gli venisse comunicato almeno il capo d'accusa, onde poter difendersi. Ma l'Inquisizione non si vide indotta a derogare dalla consueta assoluta segretezza nei confronti dell'imputato e lasciò per diciotto mesi il disgraziato Brunon nell'incertezza, il che fece sì che il sacerdote desse segni di alienazione mentale. Ciononostante egli venne lasciato nella sua cella e gli inquisitori si erano completamente dimenticati di lui, finché un giorno egli chiese l''occorrente per scrivere; ottenutolo, stese una specie di atto d'accusa Contro il Tribunale, dal cui stile concitato si poteva dedurre il suo stato di pazzia. Ma l'Inquisizione non si curò affatto di simile inezia e, dopo sei anni e mezzo di reclusione, il Brunon dovette morire senza il conforto dei Sacramenti. Durante tutto quel tempo non gli fu rivelato il capo di accusa. Dopo la sua morte i suoi parenti cercarono di salvarne la memoria dall'onta, ma tutto fu inutile, ché la sua effigie venne vestita dei paramenti di sacerdote e venne eseguita la scena della degradazione, poi il fantoccio fu gettato al rogo assieme alle ossa del defunto, che vennero esumate appositamente per questo scopo.

Quantunque sembri spietato questo procedimento, esso era pienamente uniformato alla mentalità dell'epoca, ma con questo ultimo « auto da fé » ebbe fine una volta per sempre l'attività micidiale dei Tribunali dell'Inquisizione.

Nelle descrizioni degli « autos da fé » non si trovano le tracce di una delle maggiori attività dell'Inquisizione, cioè la repressione delle seduzioni avvenute nei confessionali da sacerdoti. Quando finalmente Papa Paolo IV riconobbe che i Tribunali civili invano si sforzavano di reprimere queste azioni abominevoli, affidò il compito, nelle colonie spagnole, ai Tribunali dell'Inquisizione.
Nel 1622 Papa Gregorio IV estese su tutti i paesi questa attribuzione del Santo Uffizio. Tuttavia, per evitare scandali, i sacerdoti non vennero mai trascinati agli « autos da fé » pubblici e le loro sentenze vennero pronunciate nelle sale di consiglio, in presenza del Clero locale, perché la punizione servisse di esempio.
La moralità del Clero nelle colonie era molto rilassata e nelle remote Missioni e Parrocchie, i sacerdoti potevano impunemente abusare del loro potere e della loro influenza spirituale. La situazione era aggravata dal fatto che gli unici possibili testi d'accusa, cioè le donne sedotte, generalmente si astenevano dal denunciare i loro seduttori.

Tuttavia nel 1577 l'Inquisizione poteva già trattare cinque di questi casi. Il caso di Fra' Juan de Saldana, avvenuto nel 1583, dimostrava che l'Inquisizione non reprimeva con la dovuta energia questi reati. Quando venne aperta l'istruttoria nei confronti del de Saldana egli era già da sei mesi recluso per ordine dei suoi superiori, per aver commesso violenza a Tequitatlan su di una ragazza indiana e quando questa si era rifiutata di mantenere relazione con lui, l'aveva fatta arrestare e pubblicamente flagellare. Allora la ragazza dovette cedere. Sebbene soltanto trentaquattrenne il Saldana era già una notevole personalità dell'Ordine Francescano ed aveva ricoperto varie posizioni importanti.
In quel tempo era Abate nel convento di Sucnipila ed in quella carica sedusse le tre figlie di un certo Diego Florez e non mancò di vantarsi del gran numero di donne, indiane e spagnole, da lui sedotte. A quanto pare egli non aveva nemmeno sospettato di destare l'interessamento dell'Inquisizione con le sue vanterie. All'istruttoria egli confessò di aver sedotte durante le confessioni sette donne indiane, una meticcia e diverse signore spagnole.
L'accusatore del Tribunale si valse di tutta la sua eloquenza per condannare questo scellerato peccato, che il clero commetteva abusando del suo potere. Però quando si venne a pronunciare la sentenza, si rivelò che l'Inquisizione riteneva simili reati assai meno gravi di qualsiasi piccola deviazione nel campo della religione.
Questa mitezza, naturalmente, non valse certo a trattenere dalla tentazione i sacerdoti immorali e così la depravazione dilagava, senza che vi si ponessero seri argini.
Né col tempo il trattamento divenne più rigoroso. Lo dimostra il caso del Francescano Francisco Diego de Zarate che occupava una posizione molto distinta nell'ordine. In base alle prove raccolte durante l'istruttoria, venne accertato che aveva sedotto cinquantasei donne e che aveva l'abitudine di fare proposte sconvenienti ad ogni donna che si presentasse al suo confessionale. Sarebbe impossibile immaginare una perversità più brutale di quella che risultava dai particolari di queste prove. In alcuni casi il reato era stato commesso quasi pubblicamente e ciò sarebbe continuato sino all'infinito se il Zarate non avesse espulso da Rio Bianco una donna maritata, insieme alla famiglia, perché gli aveva resistito.
Questa donna non tacque, anzi fece tale scandalo da rendere inevitabile l'intervento dell'Inquisizione. Secondo l'accusa fra le donne sedotte vi erano 21 indiane, otto spagnole (fra queste una sua prossima parente) inoltre otto mulatte, quattro meticce e quindici la cui identità non si poteva stabilire.

Quando venne letto l'atto d'accusa all'imputato egli ne riconobbe senz'altro l'esattezza, anzi in una deposizione preventivamente scritta aveva nominato diversi casi che erano sfuggiti all'Autorità. Nonostante questo fosse un caso singolarmente grave, il frate se la cavò con una pena relativamente leggera. Egli doveva ritirarsi nel convento Francescano col divieto di confessare; venne privato del voto nell'Ordine e inoltre nei giorni di Venerdì e Sabato doveva rimanere a pane ed acqua, in una cella con pavimento di pietra.

* * * *

Fra i privilegi chi godeva l'Inquisizione figurava anche l'esonero dal servizio militare. I funzionari del Santo Uffizio erano esenti dal dovere di presentarsi alle parate militari, ma quando si presentò il nemico all'orizzonte allora tutti indistintamente ebbero il dovere di schierarsi per la difesa delle frontiere, ad eccezione degli incaricati che custodivano gli atti del Tribunali e che vennero muniti di appositi certificati di esonero. Però nella pratica questa disposizione non venne mantenuta alla lettera. Nel 1681 la popolazioni di Puebla venne invitata ad accorrere alla liberazione della fortezza di Campeach. Hippolito de Castillo, Alguasil, come dipendente dell'Inquisizione, pretese un trattamento d'eccezione, al quale però, secondo la legge, non aveva alcun diritto. L'Alcade lo minacciò di mandarlo a Campeachy, legato al dorso di un mulo, poi lo fece imprigionare e mettere ai ceppi; inoltre gli fece pagare un'ammenda di centoventi pesos. Ma il Capo della Commissioni della città prese le difese del Castillo e, dopo aver riferito il caso all'Inquisizione, ordinò che gli venisse restituita l'ammenda.

Il dispotismo illuminato di Carlos III tentò di diminuire i privilegi dell'Inquisizione e di frenare la sua audacia. Il liberalismo che in quell'epoca ebbe transitoriamente un sopravvento, contribuiva a diminuire notevolmente il tradizionale terrore suscitato dal Santo Uffizio. Nel 1767 l'Inquisizione ebbe un grave conflitto con l'Audiencia, nella questione di un certo dottor Bechi, e durante le discussioni il Procuratore Reale parlò con assai poco rispetto dell'Inquisizione, ricordando come Carlo V fosse stato costretto a porre limiti alla giurisdizione del Santo Uffizio nella Sicilia; che il Sovrano aveva dovuto scacciare da Corte il Capo Inquisitore Bonifaz Quintano, ed infine dichiarò apertamente che, nel caso in cui si sciogliesse l'Inquisizione, si sarebbe facilmente trovata una via per rimpiazzarla.
Tutto ciò venne deplorato dalla Suprema in occasione di una Consulta del 1768, alla presenza del Sovrano, ma la lamentela non trovò alcuna eco. Quel discorso audace poteva considerarsi come l'annuncio di prossimi cambiamenti a svantaggio dell'Inquisizione.
L'impressione era aumentata dal fatto che il Vice Re, Marchese de Croix, il 25 Giugno 1767 era riuscito con grande abilità a dar esecuzione all'ordine di espulsione dei Gesuiti. L'edificio ecclesiastico era scosso nelle sue fondamenta e si era sparsa la voce che prossimamente verrebbe colpita di analogo provvedimento l'Inquisizione.

La notizia circolava con tanta insistenza che si diceva persino fosse fissato il giorno e sarebbe stato il 3 Settembre. L'eccitamento era tale che il Vice Re si vide costretto ad inviare truppe per la difesa del palazzo dell'Inquisizione ed anche questo fatto venne erroneamente interpretato dalla popolazione che credeva si trattasse di provvedimenti contro il Santo Uffizio. Quando la notte del 3 Settembre fu trascorso senza alcun avvenimento saliente; lo stesso Cardinale Arcivescovo, tratto in inganno dalle dicerie, si recò dal Vice Re per assicurarsi dello stato delle cose.

Le funzioni politiche della Inquisizione sono rilevabili dal caso di Miguel Hidalgo y Castilla, martire della guerra di indipendenza. Hidalgo era parroco della comunità de los Dolores e come tale alzò per la prima volta il vessillo della rivoluzione, per divenire poi comandante supremo dell'esercito ribelle. Egli aveva personalità molto spiccata ed aveva percorso una interessante carriera. Nato nel 1753, ricevette la sua istruzione nella Università Reale di San Nicolas a Mechoacan, dove più tardi divenne rettore e professore di teologia. Durante l'istruttoria svoltasi a suo carico, dopo il fallimento dell'impresa bellica da lui progettata, venne insinuato che egli fosse stato congedato dall'Università per essersi coinvolto in una scandalosa avventura, durante la quale avrebbe dovuto fuggire di nottetempo per la finestra della Cappella. Comunque il fatto sta che egli aveva dovuto realmente abbandonare l'Università ed era divenuto sacerdote stabilendosi definitivamente nel convinto di los Dolores, dove, nonostante la considerevole rendita di cui godeva, fece dei debiti.
Amava la musica, il ballo, le carte ed ebbe molte relazioni d'amore. Ma il suo carattere energico ed attivo non lo lasciava in pace e fondò diverse imprese industriali nonché una Cassa di soccorso per gli ammalati e forse questa sua attività spiega le sue condizioni finanziarie. Era molto colto e per puro divertimento tradusse le commedie di Racine e Moliere e quest'ultime le fece anche rappresentare nella propria casa. Un sacerdote di nome Garcia di Garrasqueda, che, per dieci o dodici anni aveva goduto la sua intima amicizia, diventò più tardi uno dei suoi principali accusatori, deponendo innanzi alla commissioni d'istruttoria dell'Inquisizione che avevano letto assieme Cicerone, Serri, La Storia della Chiesa di Fleury, le opere del Genovesi, e che l'Hidalgo aveva esaltato Demostene, Bossuet, Bouffon, Pitaval, ed altri.

Un simili carattere non poteva sfuggire a lungo all'attenzione del Santo Uffizio. Infatti il 16 Luglio 1800, Fra' Joaquin Huesca, professore di filosofia, lo denunciò per diverse sui dichiarazioni antireligiose ela denuncia venne confermata da Fra' Manuel Estrada. I due frati dichiararono inoltre che Hildalgo, considerato come scienziato, si era rovinato con le carte e con le donne e mentre insegnava la teologia all'Università continuava a leggere dei libri vietati.

Il Tribunale naturalmente aprì un'istruttoria, che durò più d'un anno, eriuscì a scovare tredici testimoni che confermarono tutti l'eresia dell'Hidalgo, ciò che sarebbe bastato per mandarlo al rogo, se queste testimonianze non fossero stati in gran parte revocate.
La questione rimase ferma fino al 22 Luglio 1807, quando un sacerdote, di nome José Caltiblane, si presentò all'Inquisizione riferendo che l'Estrada gli aveva comunicato ogni sorta di cose scandalose riguardanti l'Hidalgo. Un teste più grave fu però Maria Manuela Herrera, donna notoriamente di buona moralità. Per ordini del suo confessore era venuta a deporre al Tribunali di esser stata per molto tempo amante di Hidalgo, che le aveva detto cose eretiche, quali che non era stato Cristo a morire sul crocifisso, ma un altro uomo e che non esisteva l'Inferno. A detta della donna l'Hidalgo voleva con quest'ultima dichiarazioni rassicurare la propria coscienza, poiché in base ad un comune accordo ella lo provvedeva di donne, mentre egli le faceva conoscere i suoi amici.

Tuttavia l'Inquisizione mostrò una strana moderatezza di fronte a questo caso, nulla facendo per stroncare l'audacia del Frate e lo avrebbe lasciato in pace, anche in seguito, se non si fosse dedicato ad una attività politica.
Quando il 16 Settembre 1910 l'Hidalgo avviò il movimento rivoluzionario, l'atteggiamento noncurante del Santo Uffizio si mutò presto nella più energica attività. Le prove che da molto tempo riposavano fra gli atti vennero riesumate e l'Hidalgo venne incolpato di essere un eretico ed un depravato; inoltre venne sospettato di luteranesimo e di ateismo. Lo stesso Tribunale constatò che, trovandosi l'imputato sotto la difesa delle truppe ribelli, non si poteva procedere al suo arresto e perciò promulgò un editto, in cui lo invitava a presentarsi, entro trenta giorni, all'Inquisizione.

L'odio dei creoli e degli indiani contro gli spagnoli era tanto ardente che i quattro quinti dei sacerdoti indigeni passò dalla parte dei rivoltosi ed in seguito la questione religiosa si complicò tanto con la questione politica che il Santo Uffizio non sapeva più che via prendere. Al fatale 16 Settembre, quando Hidalgo, a capo della sua piccola truppa, marciò contro San Miguel el Grande, per puro caso rinvenne una tela su cui era dipinta l'immagine della Santa Vergine di Guadalupe, che diede come bandiera ai ribelli, i quali concentratisi sotto questo vessillo, sul quale scrissero come motto : « Viva Nuestra Senora de Guadalupe! Viva la America y Muere el Mal Gobierno ! »

L'Inquisizione si mise all'opera per raccogliere prove circa le miscredenze dei ribelli e, quando questi vennero respinti, scatenarono immediatamente i propri agenti per catturare tutti coloro che simpatizzavano con i ribelli.
L'Hidalgo naturalmente venne pure arrestato e gettato in carcere. Egli presentò il 26 Gennaio 1811 una lunga petizione al Santo Uffizio, in cui virilmente dichiarava di volersi sottoporre alla sentenza dell'Inquisizione.
Lo stato d'animo che si manifestava in questo documento era in netto contrasto col manifesto che l'Hidalgo aveva proclamato il 18 Maggio. Infatti egli disse che anche Dio aveva abbandonata la sua causa. L'uomo, che poco prima conduceva un esercito di ottantamila ribelli, stava ora davanti alla tomba che si schiudeva inesorabilmente dinanzi a lui e non avrebbe potuto salvarsi dall'eterna pena, poiché finiva la sua vita come nemico della Chiesa. In tali condizioni di spirito non può stupire che il forte uomo abbia ceduto e prima di morire abbia riabbracciata la Fede.

Il decreto della Cortes di Cadiz, che col 22 Febbraio 1813 scioglieva l'Inquisizione venne promulgato nel Messico soltanto l'8 Giugno. In base a questo decreto l'intero patrimonio dell'Inquisizione passava all'Erario e doveva essere devoluto al pagamento dei debiti governativi. Non furono trovati prigionieri nelle carceri, poiché i pochi detenuti erano stati collocati già in precedenza nei vari conventi. Gli avvenimenti storici di quell'epoca sono descritti nell'opera di un Alcade delle Carceles Segretas. Egli asserisce che la popolazione attendeva già da mesi, ansiosamente, il decreto di scioglimento, guardando con odio gli incaricati dell'Inquisizione, non rispettandone più i privilegi, e negando in molti casi anche l'ubbidienza. Immediatamente dopo la pubblicazione del decreto, il Vice Re Calleja sospese dalle funzioni gli Inquisitori ed un funzionario governativo prese possesso dei patrimonio del Santo Uffizio e compilò l'inventario.

Finalmente vennero spalancati i grandi portoni del palazzo dell'Inquisizione ed il popolo poté dare libero sfogo al suo odio contro l'istituzione lungamente represso.
Il 31 Agosto il Cardinal Arcivescovo fece rapporto al Governo di aver dato lettura nella Cattedrale, per tre domeniche consecutive, dei decreto di scioglimento dell'Inquisizione. Vennero tolti dalle pareti i sanbenitos che furono richiesti dal priore dell'ospedale di San José, per essere utilizzati come camici per i pazzi, ma il Vice Re ordinò che il vestiario venisse messo a disposizione delle truppe. L'Arcivescovo poi chiese di poter prendere possesso dei libri scomunicati che si trovavano collocati in quattro camere del suo palazzo ed il permesso venne immediatamente concesso.

Col ritorno di Ferdinando al Trono lo statuto di Cadiz e le leggi relative vennero dichiarati nulli e furono severamente ammoniti tutti coloro che possedessero dei libri all'indice. Questo ordine, di per sé, bastò per far risuscitare l'attività dell'Inquisizione. Tuttavia il Santo Uffizio attese disposizioni dalle superiori autorità prima di iniziare la sua riorganizzazione.
Soltanto il 23 Dicembre il Vice Re Calleja impartì ordini all'Arcivescovo di ripristinare il Tribunale dell'Inquisizione in base al Decreto Reale. Ma i Tribunali si trovavano dopo l'intervallo in pessimo stato.

In un rapporto del 30 Dicembre 1814 l'Alcade informava che il patrimonio dell'Inquisizione consisteva prevalentemente in titoli di Stato e in obbligazioni ipotecarie e che da tutto questo aveva potuto ricavare soltanto 773 pesos. L'arredamento della sede era stato venduto all'incanto, ad un certo Conte Cortina, dal quale ora si sforzavano di ricomperarla al prezzo di acquisto, ma la maggior parte degli oggetti di arredamento era stato già rivenduta dal Cortina. Anche lo stesso edificio si trovava in pessime condizioni, tanto da rendere inevitabili certi lavori di riparazioni, per i quali mancavano però i fondi.
Ma i malanni dei Tribunali non erano esclusivamente di natura materiale e molto maggiore era il danno di aver perduto il prestigio e l'autorità, non soltanto di fronte alla popolazione che li detestava, ma anche da parte delle autorità civili.

Il Vice Re Calleja promulgò un proclama in cui condannava al falò lo statuto dei ribelli del 1814, insieme a diversi altri scritti ed atti che si riferivano alla rivoluzione.
In tali circostanze é ben comprensibile che il generale Flores, comandante delle truppe governative, afferrasse l'occasione di arrogare a sé l'arresto del Capo dei ribelli, José Maria Morelos. Il Flores non rimandò a lungo il far valere i diritti del Santo Tribunale e per suo ordine il Procuratore dimostrò in un atto che tutta la questione era di pertinenza dell'Inquisizione. Fu convocata la Consulta de fé, che era composta dal Vicario Vescovile di Mechoacan e dai Consultores dell'Inquisizione, che informarono il Vice Re che, sebbene il Morelos per le sue colpe avrebbe potuto essere giudicato tanto dal Tribunale civile, quanto da quello del Santo Uffizio, la Consulta stabiliva la competenza dell'Inquisizione, la quale lo avrebbe posto sotto accusa per la maggior gloria di Dio e per il bene dello Stato. Inoltre fu promessa la chiusura dell'istruttoria entro quattro giorni. Il Vice Re sebbene un po' malvolentieri accondiscese alla domanda ed il Santo Uffizio non tardò ad iniziare la più rapida delle istruttorie che mai abbia figurato nei suoi annali.

Il Generale Flores poté dunque vantarsi del successo ottenuto che l'Inquisizione era molto intralciata nella propria azione dal fatto che il Morelos venne reclamato ripetutamente da altri Tribunali, ciò che dimostrerebbe che in quel tempo nessuno si fidava più del Santo Uffizio.
Così i Tribunali ripresero poco a poco le loro antiche funzioni. Nel 1817 condussero un'istruttoria contro Don José Xavier de Tibarren per lettura di libri vietati; si scoprì che Don Caietano Romero de Guetaria, residente a Guipozcoa, era pure imputabile della stessa colpa ed ottenne il consenso di Madrid per poterlo porre sotto accusa.
L'ultima vittima degna di nota era Fra' Servando Tereza de Mier Noriega y Guerra. Dopo che l'Inquisizione lo ebbe tenuto per qualche tempo nelle proprie carceri, presentendo che prossimamente sarebbe stata sciolta, lo inviò al Vice Re, indicandolo come nemico e non rispettava nemmeno la Santa Sede, mentre era un appassionato rivoluzionario, che aveva propagato le proprie teorie nell'America del Nord e del Sud. Queste malvagie accuse di cui il Santo Uffizio dichiarava anche di aver le prove, obbligarono il Vice Re a comportarsi in conformità a queste risultanze e così il disgraziato fu raggiunto dalla vendetta dell'Inquisizione anche dopo l'abolizione di questa.

Ma questo inutile prolungamento dell'esistenza dell'Inquisizione non ebbe lunga durata. Una delle prime disposizioni della rivoluzione del 1820, con la quale venne ripristinato lo statuto del 1812 fu lo scioglimento dell'Inquisizione, con Decreto Reale del 9 Marzo. Prima che tale decreto arrivasse ufficialmente, il Vice Re, Conte de Venadita, l'aveva già letto sulla Gazeta de Madrid ed aveva predisposto tutto per l'abolizione del Tribunale. I dipendenti cessarono dall'attività il 31 Maggio e, come precedentemente, trasferirono i detenuti politici nelle carceri civili, mentre quelli imputati di mancanze religiose vennero collocati in vari conventi. L'archivio venne consegnato al provveditore dell'Arcivescovo ed i membri dell'Inquisizione sloggiarono dal palazzo in tutta fretta.

Il 14 Luglio il Vice Re promulgò un ordine di accettazione del decreto ed il 16 dello stesso mese l'inquisitore, Antonio de Pereda, comunicò che il Tribunale aveva cessato tutte le sue funzioni. Gli atti relativi alle cause in corso vennero consegnati agli uffici governativi competenti e il sovrintendente erariale prese in consegna il patrimonio dell'Inquisizione. I dipendenti del Santo Uffizio si imbarcarono poco tempo dopo per la Spagna, dove venne provveduto per loro, come per i colleghi rimasti in patria. Così scomparve definitivamente anche nell'America quella organizzazione che, nei suoi migliori tempi, non lasciava certo prevedere una fine tanto ingloriosa.
Tuttavia per molto tempo ancora sopravvisse lo spirito profondamente radicato nelle popolazioni. Durante le agitazioni del 1833, mentre il Governo si sforzava di fare rassegnare la Chiesa al nuovo ordine delle cose, venne pubblicato un'opera anonima intitolata : « Mientras no Haya Inquisition se Acaba la Religion » (Senza l'Inquisizione perisce la Religione), che sosteneva la tesi che l'eresia può essere estirpata soltanto con la violenza.

A nulla valgono la censura, la scomunica e le discussioni; la religione di Cristo si sarebbe potuta conservare soltanto se i Vescovi fossero investiti dei pieni poteri goduti dall'Inquisizione ed autorizzati ad adottare i medesimi sistemi.
I Vescovi naturalmente erano disposti ad accettare queste funzioni, tanto é vero che quando nel 1850 fu tradotta l'opera di Fereal sui Misteri dell'inquisizione, la quale gettava una luce sinistra sulla misteriosa organizzazione, furono i Vescovi stessi che presero l'iniziativa di costituire una Junta de Censura, nella quale, senza interrogare gli imputati, scomunicarono in blocco tutti coloro che avessero letta l'opera.

 

PERU'


Quando il 9 Gennaio 1570 Servan de Cerezuela arrivò a Lima per Organizzarvi il Tribunale dell'Inquisizione, la situazione era tale, nel Sud America Spagnolo, da richiedere il più efficace intervento del Santo Uffizio, perché questa nuova colonia potesse corrispondere alle speranze di coloro che sollecitavano col massimo fervore la propagazione del cristianesimo nel nuovo mondo. La sistemazione del Santo Uffizio era desiderata da molti che vedevano con apprensione il diffondersi dell'amoralità e si vedrà in seguito se l'influenza dell'Inquisizione si dimostrò efficace.

Il Perù era stato conquistato da avventurieri, avidi di oro, i quali nella loro ingordigia si erano spogliati di ogni incivilimento. La Chiesa non disponeva di alcuna autorità morale, perché come lo riferiva nei suoi rapporti il Vice Re Francisco de Toledo, chierici, frati, Vescovi e prelati vivevano indisciplinati e non riconoscevano alcuna scala gerarchica. Il paese era letteralmente invaso da ogni sorta di chierici e frati che vi sbarcavano col pretesto di convertire gli indiani, ma in realtà devolvevano ogni loro attività a sfruttare quanto possibile gli indigeni, per poi ritornare arricchiti nella Spagna.

Questi ecclesiastici tenevano sempre pronte le carceri, i carcerieri ed i ceppi, per arrestare tutte le persone che non andavano loro a genio e non vi era nessuna autorità a cui dovessero rispondere del loro operato. I Vescovi asserivano di aver ottenuto il privilegio dal Sovrano di ritornare in Spagna con enormi carichi di argento, senza tener conto delle ricchezze che spedivano durante la loro permanenza al Perù. Questo deplorevole stato di cose venne in tutto confermato dal successore di de Toledo, Conte Villar, nel 1588.

A peggiorare la situazione vi era un numeroso agglomeramento, formato da militari espulsi dai ranghi ed altri individui là deportati per ordine del Sovrano. Anche i membri degli ordini religiosi non dimostravano miglior comportamento, ad eccezione di alcuni Francescani e Gesuiti. Gli impiegati governativi sfruttavano la loro carica per opprimere il popolo e per estorcergli del denaro. Erano pochissimi quegli emigrati che arrivavano nel paese per lavorarvi onestamente; la maggior parte consisteva in vagabondi e sfruttatori, che vivevano alle spalle del popolo di cui usurpavano le terre.
In queste circostanze la conversione degli indiani progrediva molto lentamente, e, secondo le dichiarazioni del Conte Villar, tanto l'emigrazione civile, che quella ecclesiastica avevano creato un ambiente di corruzione.

Le questioni della fede, siccome non vi era ancora Inquisizione, erano trattate dai Vescovadi. Già nel 1532 il Domenicano Gaspar de Carvayal espletò funzioni da Inquisitore. Tuttavia il Santo Uffizio poté sviluppare la sua piena efficacia soltanto nel 1548, quando il primo Arcivescovo del Perù, Geronimo de Laisa, mantenne un « auto da fé » nella sua città, facendovi giustiziare il mulatto Luis Surano, perché propagava la religione maomettana.

Da tutto ciò si vede che l'Inquisizione vescovile era molto attiva nel Perù ed infatti non era facile indurla a rinunciare alle sue prerogative. Occorreva un severo ordine della Suprema per imporre la consegna di tutte le cause e gli atti relativi al Santo Tribunale.
Ciò avvenne nel 1570, quando a Lima vi erano quattro cause in corso, mentre a Cuzco ve n'erano novantasette. In merito a queste ultime però il procuratore dichiarò che in quella città le autorità ecclesiastiche avevano fatta l'abitudine di arrestare un gran numero di persone innocenti per rilasciarle poi contro il versamento di un riscatto.
Il primo inquisitore, Cerezuela, diede subito un buon esempio, inquantoché sospese, all'inizio della sua attività, tre dei Tribunali ecclesiastici che si valevano di simili abusi. Comminò inoltre severe pene per le eventuali recidive.

Con ciò si era manifestato l'insediamento dell'Inquisizione voluto da Filippo II. Il 28 Gennaio 1569 il Capo Inquisitore Espinoza scrisse al Vescovo di Oropesa, informandolo che il Re aveva deciso di istituire anche nel Perù dei Tribunali e che egli sarebbe stato designato come inquisitore, con uno stipendio di tremila pesos, una parte dei quali avrebbe dovuto essere coperta dalle prebende ecclesiastiche di Lima. Gli ordinava pertanto di recarsi immediatamente a Sevilla, per imbarcarsi sulla nave del Vice Re Francisco de Toledo, il quale gli avrebbe dato ulteriori istruzioni. Analoga istruzione venne impartita ad un altro inquisitore, di nome Andrés de Bustamento, e ad entrambi vennero liquidati cinquecento ducati, a copertura delle spese di trasferimento.
Nel contempo venne ordinato ai vescovi del Perù di consegnare a questi inquisitori tutti gli affari che erano di competenza del Santo Uffizio. Anche al Vice Re fu inviato un ordine, perché appoggiasse in tutti i modi il Santo Uffizio, assegnandogli una degna sede e carceri per i suoi detenuti.

Ma ben presto si iniziarono le ostilità fra l'Inquisizione e le sedi Vescovili e questo fatto divenne l'elemento perturbatore durante tutta l'esistenza dell'Inquisizione nei domini. Nel 1584 l'inquisitore Uloa presentò una lagnanza alla Suprema, contro l'ultimo Consiglio tenuto a Lima, in cui i Vescovi avevano deciso di scrivere al Re, per informarlo che le persone delegate per l'Inquisizione erano prive di serietà. La lettera aggiungeva che i Vescovi erano molto avversi all'introduzione del Santo Uffizio nei domini, perché questo delimitava nettamente la loro competenza giuridica e che tanto i Vescovi quanto i Tribunali civili procuravano infiniti guai ai dipendenti dell'Inquisizione inviati dalla Spagna, nonostante il loro modesto e corretto atteggiamento.

Sebbene il Cerezuela fosse stato accusato alla Suprema dal Cancelliere Arieta, come non competente nell'esercizio della carica di inquisitore ed uomo facilmente influenzabile, egli dimostrò tanta energia sin dal principio, da riempire di terrore tutte le classi sociali. Appena pubblicato l'editto, procedette ad innumerevoli arresti e vennero gettati a prigione i bigami, i bestemmiatori e tutte quelle persone che non sapevano tener a freno la propria lingua. Il Procuratore Alcedo riferiva che in media si arrestavano tre persone al giorno. Il Capitolo della Cattedrale ed il suo avvocato vennero posti sotto accusa dinanzi al Tribunale ecclesiastico per falsa testimonianza e, mentre i teologi dichiaravano che si trattava di eresia, nonostante l'intercessione dell'Arcivescovo, il Cerezuela li interrogò e li colpì con ottocento pesos di ammenda ognuno, da versarsi a beneficio del Tribunale dell'Inquisizione.

Poco tempo dopo pose sotto accusa due funzionari reali dell'Inquisizione e li colpì con sessanta ducati di multa ciascuno. Il Cerezuela, desideroso di suscitare una più profonda impressione nella popolazione decise di tenere un « auto da fé ».
Il rito si svolse il 15 Novembre 1573, sulla piazza principale ed ebbe inizio col rituale giuramento di tutti i presenti. Naturalmente le diverse autorità e corporazioni si accapigliarono per i posti loro assegnati, ma Cerezuela riuscì, col suo energico intervento, a sedare le controversie e la terribile cerimonia poté aver corso senza inconvenienti. Non vi erano molti penitenti. Il Côrso Juan Baptista era stato condannato dall'arcivescovo, per protestantesimo e perciò gli vennero inflitte duecento scudisciate sulla pubblica via e poi venne inviato a vita alle galere. Il francese Jan de Lion venne condannato pure per eresia a dieci anni di carcere e mille pesos di contributo all'erezione dei palchi. Una certa Ines de Los Angeles ricevette cento scudisciate, per bigamia. Altrettante ne prese Andres" de Campos, per aver rivelato i segreti dell'Inquisizione.

La principale attrazione della solennità era però un altro francese, certo Mathieu Salado, il quale era generalmente ritenuto pazzo. Egli era stato denunciato per luterismo nel Maggio 1570, ma siccome i medici del Tribunale lo dichiararono irresponsabile, venne rilasciato. Tuttavia nel 1571 vennero trovate nuove prove a suo carico e quindi fu di nuovo incarcerato. Il Salade aveva asserito che Erasmo e Lutero erano dei Santi ed aveva ingiuriato il Papa, il cattolicesimo e tutta l'Inquisizione. Aveva negato l'esistenza del Purgatorio e disprezzata la Messa e le Sacre Immagini.
Questa volta però venne dichiarato assennato ed ostinato rinnegatore di Dio. Non avendo egli chiesta la conciliazione, venne torturato e bruciato vivo.

La grande distanza e le difficoltà di comunicazione, resero necessario di concedere una maggiore indipendenza alla Inquisizione dei Domini, che non a quella della Spagna; tuttavia la Suprema, per quanto era possibile, esercitava il controllo anche su questa ramificazione del Santo Uffizio. Era indispensabile di concedere ai Tribunali la facoltà di procedere alla nomina degli incaricati di secondo ordine non stipendiati, ma anche di questo dovevano mandare rapporti alla Suprema, che di tempo in tempo inviava una commissione di controllo.
Come nei Messico, così anche nel Perù, gli indiani non erano sottoposti alla giustizia dell'Inquisizione e nelle questioni di fede erano giudicati dai Vescovi. Tuttavia l'Inquisizione manifestava il desiderio di poter estendere la propria competenza anche agli indiani e Fra' Juan de Vivero scrisse a Re Filippo, proponendo che gli indiani venissero sottoposti alla giustizia dell'Inquisizione, con la differenza che le punizioni da infliggersi ad essi fossero meno severe di quelle applicate sui bianchi.

Il Cancelliere Arieta propose a Cerezuela di non badare alle disposizioni vigenti al riguardo, ma di perseguitare i pellirosse, nello stesso modo in cui egli stesso aveva perseguitato gli schiavi non battezzati, a Sevilla, per impedire che corrompessero i loro compagni cristiani. Effettivamente il Cerezuela denunciò alla Suprema che gli Indiani facevano aperta propaganda tra la popolazione indigena e dichiaravano che tutto quanto dicevano i missionari non era che un cumulo di menzogne. Ma la Suprema rimase ferma alla propria decisione ed ordinò al Cerezuela di non immischiarsi nella questione.

Il fervore di Cerezuela non venne appagato nemmeno quando annunciò che gli stranieri che entravano nel Perù cercavano immediatamente di recarsi nell'interno del paese e proponeva che le commissioni di Cartagena e di Panama li scacciassero dall'interno, vietando loro di ritornarvi. La Suprema rispose che nessuno poteva impedire agli stranieri di penetrare all'interno del dominio, se essi non commettevano mancanze contro il Santo Uffizio e non introducevano libri vietati nel paese.
Il principale ostacolo d'una completa organizzazione dei Santo Uffizio era costituito dall'enorme territorio assegnato alla competenza di un unico Tribunale. Fino al 1610 il vastissimo territorio del Sud America, nonché le Isole del West-India erano sottoposti al Tribunale di Cartagena. I tre maggiori centri, Lima, Santiago de Cile e Buenos Aires erano ad enormi distanze l'uno dall'altro ed il territorio interno in gran maggioranza non era ancora conquistato; perciò i vari domini potevano essere raggiunti soltanto per via marittima, con un viaggio della durata di tre o quattro settimane.

Quando il Tribunale chiese istruzioni alla Suprema circa il modo di svolgere la sua difficilissima attività, questa rispose soltanto, che i casi che avvenissero nell'interno del paese, nel Paraguay ed a La Plata, dovevano essere risolti nei miglior modo possibile. Agli imputati dei remoti paesi dell'interno bisognava ordinare di presentarsi al Tribunale, ma non si doveva procedere al loro arresto, fino a che l'eresia non fosse provata. Questa disposizione del resto era ispirata più all'avidità di denaro che non alla misericordia.
Il sistema di istituire commissioni nei centri popolati, adottato già nella Spagna, si mostrò poco efficace, poíché l'Inquisizione era gelosissima del proprio potere e mentre permetteva alle commissioni di interrogare l'imputato ed i testi, era vietato loro di procedere all'arresto, salvo il caso di pericolo di fuga.

La cause trattate dall'Inquisizione consistevano per lo più di piccole mancanze, bestemmie, irriverenze, superstizioni, stregonerie, ecc. e l'inoltro di simili denunce, attraverso centinaia di chilometri, era complicatissimo e quasi irrealizzabile. La vecchia strega, il vagabondo od il venditore ambulante. che generalmente erano incolpati di simili colpe, potevano anche morire, prima che giungesse una decisione a loro riguardo.

Il primo sforzo per rimediare a questi malanni venne fatto nel 1587, quando fu inviato a Lima Juan Ruiz de Prado, come Visitator, munito di pieni poteri, perché facesse cessare gli abusi lamentati. Ma anche questo esperimento non diede risultati, poiché la popolazione tiranneggiata dai despoti locali, non sempre aveva il coraggio di denunciare le ingiustizie commesse ai suoi danni.
Per il Tribunale di Lima era altrettanto difficile esercitare il potere sul vastissimo territorio. La crudeltà e l'ingiustizia commesse ai danni degli imputati erano inumane. Su una semplice denuncia, generalmente per qualche futile mancanza, senza alcuna istruttoria preventiva, poteva succedere, che qualcuno venisse trasferito ammanettato da Buenos Ayres a Lima e questi lunghi viaggi consumavano l'intero patrimonio dell'accusato.

Molto caratteristico a tale riguardo fu il caso di Francisco de Benavente il quale nel 1582 venne denunciato alla commissione di Tucuman, perché egli quando una persona aveva osservato che la Chiesa era una istituzione eterna, aveva risposto che il suo interlocutore non si era espresso bene. La commissione cominciò a raccogliere testimonianze per provare questa colpa irrisoria, il che impressionò talmente il Benavente, da indurlo a fare un viaggio di seicento miglia, per presentarsi al Tribunale di Lima, che sospese il suo caso e così egli poté far ritorno alla sua residenza.

La situazione cominciò a migliorare nel 1611 , quando fu affidata al Tribunale di Cartagena la zona circoscritta del Litorale e delle Isole. Questo era l'inizio della suddivisione dell'enorme territorio americano, che più tardi nel 1620 su proposta della Suprema venne effettuato da Filippo III, con la fondazione del Vescovado di Buenos Ayres.
Dagli sforzi per aumentare il numero dei Tribunali si può dedurre, che la questione finanziaria non fosse meno importante, di quanto lo fosse nel Messico. Quando Cerezuela ed i suoi colleghi arrivarono a Lima, erano già in possesso di un'autorizzazione della tesoreria reale, a liquidare dai beni confiscati, annualmente diecimila pesos, a copertura degli stipendi degli Inquisitori, del Procuratore e del Cancelliere. Ma nel Sud-America oltre alle confische vi erano anche altre fonti di introiti, fra i quali particolarmente i giochi d'azzardo davano abbondante gettito. Infatti i giochi d'azzardo erano molto diffusi nel paese e generalmente quelli che perdevano, non mancavano di fare gran chiasso, in modo da attirare l'attenzione di qualche incaricato, che poi provvedeva senz'altro alla confisca del banco e degli importi trovati sul tavolo di gioco, che venivano devoluti ai pii scopi dell'Inquisizione.

L'arricchimento dell'Inquisizione la indusse a maggiori spese ed i suoi incaricati erano sempre più tentati dai vizi. Nel 1674, invano il tesoriere si lamentò di non essere in grado di regolare le finanze del Tribunale, essendo diminuiti gli introiti a 35.951 Pesos, largamente superati dalle spese. Egli aggiungeva nel contempo che nonostante le paghe aumentate e gli importi liquidati dalla Suprema, gli introiti avrebbero potuto bastare anche per i Vescovadi, se gli inquisitori non avessero speso tanto per la manutenzione delle proprie case.
Le persone che stavano a capo dei Tribunali, generalmente non potevano resistere all'influenza demoralizzante dell'ambiente, e questo fatto era ancora accentuato dal potere irresponsabile, di cui erano investiti. L'unico controllo possibile per la Suprema era quello di inviare, di tempo in tempo, un cosidetto Visitador, ossia ispettore, che era munito di poter superiori; tuttavia rare volte ricorreva a questo mezzo, che da un lato era costosissimo, mentre dall'altro dava pochi risultati, dato che l'ispettore delegato generalmente ben presto cedeva alle stesse mancanze che era venuto a catechizzare.
La Suprema era ben al corrente del fatto, che i suoi delegati non erano fidati, poiché tra gli Inquisitori soltanto rare volte regnava la concordia, mentre la maggior parte di essi faceva di tutto per denigrare i colleghi, inviando rapporti delle loro scorrettezze all'autorità superiore.

Partiti assieme Cerezuela e Bustamento, quest'ultimo morì durante il tragitto. Così fu, che Cerezuela aprì da solo il Tribunale di Lima. Il procuratore Alcedo ed il cancelliere Arieta, erano suoi mortali nemici ed entrambi scrissero alla Suprema, lamentando la poca esperienza e la mancanza di controllo del Cerezuela, pregando l'invio a Lima di un inquisitore più energico. Il loro desiderio venne esaudito ed il 31 Marzo 1571 fu inviato l'inquisitore Antonio Gutierrez de Ulloa, che in breve tempo si fece odiare da tutti, per il suo comportamento autoritario e scandaloso. Coloro che osavano lamentarsi di lui, dovettero subire lo sfogo delle sue ire, tuttavia non mancavano persone che mandassero segreti rapporti alla Suprema.
Il Vice Re, Conte Villar, fu costretto pure a scrivere una lagnanza al Re informandolo, che l'Ulloa teneva spie nel suo palazzo le quali sottraevano diversi documenti ed atti, inoltre che l'inquisitore, sotto altro nome aveva messo in esercizio le miniere di idrargirio di Guandavelica, attingendovi a danno dell'Erario un forte reddito.

Un chierico, di nome Gaspar Zapata de Mendoza, che agiva per conto del clero peruviano, dopo vari tentativi infruttuosi di comunicare le lagnanze alla Suprema, fuggì nel Brasile. Là venne arrestato dai francesi e portato a Dieppe, donde riuscì ad imbarcarsi per la Spagna. Tuttavia soltanto nel 1592 era in grado di consegnare al Capo Inquisitore Quiroga a Toledo un memorandum, in cui descriveva minuziosamente la vita scandalosa condotta dall'Ulloa, i suoi amori perversi, con ragazze e donne sposate; che teneva apertamente un'amante nella persona di Catalina Morejon, donna maritata, la quale si valeva della sua influenza per estorcere nomine a diverse cariche per amici suoi e riusciva persino a far mutare le sentenze; che l'Ulloa viveva in continua lite con i giudici e con i funzionari reali, maltrattandoli a suo piacimento.

Tutto il paese era alla mercé dei dipendenti dell'Inquisizione, che assassinavano, rubavano, facevano fuggire le donne, mentre coloro che osavano lamentarsi, venivano imprigionati e colpiti di ammende.
La carica di inquisitore resasi vacante venne ricoperta il 4 Febbraio 1594 da Antonio Ordones y Flores. Ulloa annunciò immediatamente di voler visitare il suo distretto, ciò che fece, nonostante le proteste del suo collega, che lo aveva pregato di rinviare la visita fino a che vi fosse avviato il nuovo assestamento.
Durante il suo viaggio verso Carcas, Ulloa si fermò a Cuzco, nella casa di Francisco de Coayse. Il servo di quest'ultimo venne ad annunciargli, che un certo Vanegaz, con alcuni amici, avevano fatto sulla via a voce alta, delle osservazioni ingiuriose sul conto dell'Inquisizione, disprezzandone il potere. Il Vanegas fu arrestato e tradotto dinanzi all'inquisitore, che lo ingiuriò con ogni sorta di insolenze, poi chiamò i servi, all'incirca 20, che si gettarono sul Vanegas per ucciderlo. Uno lo colpì alla testa brutalmente, mentre gli altri si limitarono a picchiarlo. Il disgraziato poté salvarsi soltanto con l'intervento della padrona di casa Dona Mariana. Tuttavia Ulloa dichiarò di volergli infliggere cinquecento scudisciate, ma poi su insistenze e preghiere della donna, ridusse la pena a trecento, e in seguito a duecento. Il giorno seguente l'Inquisitore abbandonò la città, ma siccome apprese, che il Venegas aveva dichiarato, di volersi recare in Spagna, per presentare lagnanza alle autorità superiori, lo fece arrestare nuovamente. Lo sciagurato che si trovava a letto, a causa delle ferite, venne ammanettato e trascinato nelle carceri di Siguana, dove l'Ulloa gli fece giurare sul Crocifisso, che nessuno lo aveva maltrattato. Indi Vanegas venne inviato a Santa Cruz de la Sierra, sulla ,frontiera e condannato a sette anni di servizio militare. Dopo infinite peripezie il Vanegas riuscì a fuggire e dopo quattrocento miglia di viaggio raggiunse finalmente Lima, dove annunciò l'accaduto al Vice Re; col suo consenso si imbarcò poi per la Spagna per presentare lagnanza.

Intanto l'Ulloa continuò a modo suo la cosiddetta ispezione, fino a che, nell'Ottobre 1596, gli venne comunicato, che entro quattro mesi sarebbe cessato il suo incarico. L'inquisitore si rivolse al Vice Re, perché lo proteggesse, ma questi dichiarò, che doveva obbedire ad ordini superiori e gli ingiunse anzi di abbandonare subito Potosi.
Il 7 Luglio 1597 l'Ulloa morì a Lima, all'età di sessantatre anni.

Nell'Ottobre 1626, il seggio di inquisitore veniva occupato da Juan Gutierrez Flores, il quale, per ordine del Vescovo Manozca, dovette fare un rapporto segreto, che riuscì molto sfavorevole per il suo predecessore. Flores morì il 22 Settembre 1631 e venne rimpiazzato da Juan de Manozca.
Per un quarto di secolo la situazione rimase invariata. Il Tribunale, come fino a quel tempo, continuò a trascurare le questioni della fede e con la vita dissipata degli inquisitori, non solo perdette sempre più la stima della popolazione, ma si trovò anche in serie difficoltà finanziarie.
Quando i nuovi inquisitori Calderon e Unda, mandarono i loro primi rapporti alla Suprema, questi rispecchiavano le tristi condizioni del Santo Uffizio nelle colonie. La Suprema, vivamente preoccupata, mandò severi ammonimenti agli inquisitori perché ottemperassero rigidamente ai loro doveri, incitandoli a mettersi energicamente all'opera per migliorare le condizioni dei tribunali. Ma tanto Calderon quanto Unda erano loschi individui che dopo brevissima attività si erano già formata una pessima fama. Tenevano per amanti due sorelle, Maddalena e Bartola Romo, figlie del carceriere. Maddalena ebbe tre figlie da Calderon, che vennero educate nel Convento di Las Catalinas dove esse venivano chiamate « las inquisidoras ».
Calderon aveva un acerrimo nemico nell'inquisitore Ilarduy, il quale si era assicurata la alleanza del carceriere Romo. Tutti gli scandali avvenuti nonché le imprese commerciali che il Calderon aveva intrapreso erano altrettante armi tra le mani di Ilarduy il quale inviò un commissario a Madrid, con centomila pesos perché facesse cadere Calderon. L'incaricato di Ilarduy dichiarò prima della sua partenza che non sarebbe ritornato prima di aver ottenuto il licenziamento del Calderon, e quando ritornò si vantò di aver corrotto il Capo Inquisitore e la Suprema. Se possiamo prestar fede alle parole di Calderon, l'incaricato di Ilarduy, al suo ritorno della sua missione, si sarebbe recato da lui per dirgli che, nonostante la destituzione subita, avrebbe potuto ottenere un seggio alla Suprema mediante pagamento di 100.000 pesos ed una volta insediato in quella carica, avrebbe potuto ricavare un forte reddito procurando le cariche dietro compenso, dato che vi erano numerose persone che, per divenire Corregidores, avrebbero volentieri pagato fino a trentamila pesos.

Una delle maggiori colpe che la Suprema faceva agli Inquisitori era quella di dedicarsi al commercio, anziché alle cure del Tribunale. Ma talvolta era difficile provare questa mancanza, poiché gli scaltri inquisitori avviavano aziende ed industrie sotto nomi di altre persone le quali non avevano interesse a dire a chicchessia di non essere i veri titolari di tali imprese. Nel caso dell'inquisitore Unda fu escogitato un trucco veramente geniale. Il Visitador Arenaza si recò da lui e, dopo di essersi guadagnata la sua fiducia con ogni sorta di cortesie, gli propose un lucroso affare di vendita di merci che avrebbero dovuto essere portate sul mercato di Lima. Per suffragare la sincerità dei suoi detti il visitador mostrò all'Unda la mercanzia che aveva portato con sé.
Per evitare che la loro nave fosse catturata dagli inglesi essi studiarono attentamente la rotta da seguire; nell'Agosto del 1744 giunsero a Rio, nel Novembre a Buenos Ayres donde passando al largo di Santiago nel Marzo 1745 giunsero a Lima. Qui l'Arenaza, dopo qualche giorno, propose all'Unda di recarsi a far visita all'inquisitore Amusquibar, ma il cocchiere della vettura che li trasportava, aveva già precisi ordini e li portò direttamente al vicino Convento Francescano dove il Visitador consegnò l'Unda al Priore, ordinandogli di rinchiuderlo in una cella e di impedirgli ogni contatto con ,l'esterno. I beni dell'Unda vennero confiscati e la sua casa adibita ad uso dell'Inquisizione.

Il Calderon venne arrestato in modo più semplice. Egli era già da tre giorni ammalato a letto quando penetrò nel suo appartamento l'Alguasil Mayor e dopo aver allontanato il Cappellano ed il medico che si trovavano al suo tappezzale gli lesse un ordine che lo sospendeva dal suo ufficio ed ordinava il suo trasferimento a Limatamba, previa confisca dei suoi beni. Infatti l'Aguasil raccolse le chiavi e si mise immediatamente a compilare l'inventario. Il giorno seguente il Calderon venne portato in carrozza a Limatamba dove lo attendevano due Domenicani incaricati di sorvegliarlo. Di là il 3 Maggio venne trasferito a Guaura. Per un mese gli incaricati dell'Alguasil raccoglievano tutti gli elementi per poter sequestrare tutto il suo patrimonio. Più tardi il Calderon dichiarò che quel patrimonio che avevano rinvenuto egli lo aveva ricevuto soltanto in custodia. Non vennero ascoltate le sue asserzioni e la procedura seguì il suo corso.

Francisco de Toledo, primo Vice Re che avesse avuto a che fare con l'Inquisizione, era un uomo di carattere molto risoluto. Siccome egli teneva la tesoreria poté restringere entro determinati limiti l'attività di Cerezuela che era uomo la lasciarsi sopraffare. Tuttavia il Vice Re non era mai riuscito ad accordarsi con il Santo Uffizio abbiamo visto, era autoritario e sapeva imporre la sua volontà. Ciò portò ad un lungo ed intricato dissidio che finì per minare l'autorità del Vice Re. Il Conte Villar ordinò l'espulsione di Catalina Moreyon per interrompere i suoi scandalosi rapporti con l'Ulloa e forse con ciò si spiegano, per lo più, i continui alterchi tra le due autorità.

Il 30 Maggio 1587 gli inglesi fecero un'irruzione a Payta, dove incendiarono alcune chiese e profanarono dei quadri sacri. Essi furono pilotati nel porto da certo Geronimo de Rivas che avevano catturato in mare. Il Corregidor naturalmente fece arrestare il Rivas che era stato abbandonato sul luogo dagli inglesi e Villar ordinò il suo trasferimento per via di terra a Lima perché vi venisse aperta istruttoria a suo carico. Ma il commissario dell'Inquisizione, l'ingordo Fra' Pedro Martinez, si interessò di lui; lo dichiarò eretico e quindi di soggetto alla competenza giuridica dell'Inquisizione, lo richiese dal Corregidor e lo fece trasportare a Lima per via marittima tenendolo lontano dal Vice Re.
Ma il Vice Re questa volta non si sottomise a farsi forzare la mano e volle far valere i suoi diritti. La cosa si complicava per lui per il fatto che il Rivas era ormai tacciato di eresia e quindi il Conte Villar fu a sua volta tacciato di prendere le parti di un rinnegatore della fede. Inoltre la questione non era certamente semplificata dagli screzi avvenuti più volte, in precedenza, fra il Vice Re e gli inquisitori.

Il caso venne sottoposto all'Arcivescovo che declinò la responsabilità rinviando il Vice Re alla Suprema. Gli vennero consegnati tutti gli atti ed i documenti inerenti, perché potesse difendersi davanti al Supremo Consesso, ma il Villar poco fiducioso nella rettitudine della Suprema, durante il viaggio verso la Spagna, scrisse una lettera al Re invocando la sua intercessione. Vi enumerò i meriti dei suoi avi dicendo inoltre che due dei suoi figli prestavano servizio nell'esercito reale, mentre altri due si erano dedicati alla carriera ecclesiastica. A quanto pare però le sue preoccupazioni non erano giustificate, poiché la Suprema si accontentò di ammonirlo severamente per aver suscitato discordie tra le autorità civili e quelle ecclesiastiche.

* * * *

La storia del Secolo XVIII offre un quadro di continue divergenze ed attriti, fra le due giurisdizioni, che indebolirono fortemente l'organizzazione coloniale spagnola.
La prepotenza dell'Inquisizione non aveva limiti ed uno dei maggiori abusi venne fatto col privilegio di immunità per i suoi dipendenti. Il Tribunale di Lima ordinò l'immediato arresto di un cittadino, che aveva perseguitato uno schiavo, rifugiatosi in casa di un dipendente stipendiato del Santo Uffizio. Intervenne l'Audiencia Reale che informò il nuovo Vice Re, Marchese Castel Fuerte, che i dipendenti dell'Inquisizione godevano l'immunità personale ma non potevano estenderla a persone che essi volessero proteggere. Nel contempo additarono il pericolo di simili abusi che facilmente potevano portare al completo annientamento della giustizia civile. Questo parere fu inoltrato dal Vice Re al Tribunale del Santo Uffizio pregandolo di moderare le sue pretese. Il Tribunale rispose che il dipendente aveva già ritirata la querela e che il cittadino in questione aveva già abbandonata la sua casa. Aggiungeva che tuttavia non poteva dichiararsi d'accordo con le pretese dell'Audiencia che tendevano a menomare gravemente il suo potere.

Nel frattempo Arenaza era partito dal Perù lasciandovi soltanto i due inquisitori Amusquibar e Rodriguez. Quest'ultimo era disposto a sottomettersi alla disposizione reale mentre Amusquibar rifiuto l'ubbidienza adducendo che mancava l'approvazione della Suprema.
Ne seguì una lunga discussione finché il 29 Febbraio 1760 arrivò un nuovo decreto reale che ordinò l'accettazione del precedente decreto, questa volta accompagnato dal benestare della Suprema.

Anche nel Perù come nel resto del Sud America e nella Spagna stessa la principale funzione del Santo Uffizio avrebbe dovuto essere la difesa della purezza religiosa. Siccome i veri casi di eresia non abbondavano, per poter estendere la competenza dei Tribunali, il criterio della difesa della Religione venne esteso a vari altri reati.
I più frequenti casi erano quelli di bigamia poiché l'avventuriero emigrato che lasciava la moglie nella patria andava spesso soggetto alla tentazione di formarsi un'altra famiglia e date le enormi distanze del dominio sud-americano, l'abbandono della moglie e la contrazione di nuovo matrimonio accadde ripetute volte.
Numerosi erano i casi dei bestemmiatori che generalmente venivano raccolti alle tavole di gioco, vizio diffusissimo in colonia. Vi erano poi i casi di stregoneria con numerose variazioni, ogni genere di superstizione in gran parte importato dalla Spagna, ma vi erano anche indigeni che facevano sortilegi ed altre cose del genere. Una delle più frequenti forme tra la popolazione indigena era data dal godimento dello stupefacente coca, che provocava sogni miracolosi, stati di estasi nonché godimenti sensuali.
Di analogo effetto era il peyote il cui uso era soprattutto diffuso nel Messico. L'Inquisizione vietò severamente l'uso di entrambe le droghe.

L'Inquisizione dei domini aveva molto da fare con le Beatas Revelanderas che come nella Spagna anche là esercitavano la loro attività e redditizia. Nel Perù, queste mistificazioni poterono compiere la loro opera truffaldina con molto maggior successo, dato il basso livello intellettuale della maggioranza degli immigrati, che non nella madre patria.
Uno dei primi casi trattato dal Tribunale consisteva appunto di un fatto del genere. Verso il 1568, certa Maria Pizzarro, una giovane donna di Lima, dichiarò di essere in permanente contatto con l'Arcangelo Gabriele che le aveva rivelato diversi misteri compreso quello della Immacolata Concezione. Diversi Frati avevano scacciato il diavolo da essa ed accettavano le sue rivelazioni interpretandole. Fra questi erano i più sospetti Luis Lopez e Geronimo Ruiz Portillo, Gesuiti. Fra i suoi ammiratori si trovavano inoltre diversi Domenicani, tra i quali Fra' Francisco de la Cruz, dotto teologo coadiutore dell'Arcivescovo di Lima, inoltre Fra' Pedro de Torro, Fra' Alonzo Gasco, Priore del Convento di Quito ed altri ecclesiastici meno in vista.

Nel 1571 il Gasco si denunciò spontaneamente al Vescovo di Quito consegnandogli diversi oggetti benedetti dal Diavolo; tra questi un quaderno vuoto, due penne, un panno ed un pezzo di carta. Il foglio di carta aveva la qualità che tutto quanto vi si scrivesse sopra era la verità, mentre il pannolino aveva una forza curativa. Il Vescovo rinviò il Gasco al Tribunale dell'Inquisizione il quale lo fece arrestare l'8 Maggio 1572 mentre Maria Pizzarro e gli altri complici vennero gettati in carcere poco tempo dopo.

A quanto pare durante l'istruttoria, nessuno negava il fatto di credere nelle rivelazioni. La Pizzarro s'ammalò e nella sua confessione dichiarò di essere stata una vittima del Demonio accusando nel contempo Padre Lopez di averla corrotta dando un'ampia descrizione delle circostanze. Più volte parve in punto di morte e nelle agonie revocava sempre le precedenti confessioni; infine discolpò completamente il Lopez dichiarandosi vergine, ciò che del resto venne smentito dall'esame medico. Morì il 14 Dicembre 1573 e venne sepolta in segretezza nel convento di La Merced.
L'individuo più sospetto fra tutti i suoi ammiratori era Francisco de la Cruz. Egli depose ostinatamente di essere convinto che le rivelazioni derivavano dagli Angeli. I giudici istruttori lo dichiararono eretico gravissimo, più pericoloso di Lutero stesso perché secondo le sue dottrine il matrimonio era lecito anche ai preti come ai laici la poligamia. Annunciava l'abolizione della confessione, non dava peso ala scomunica, riteneva ammissibile il duello, e la schiavitù degli indigeni.

Un uomo che enunciava simili dottrine e principi doveva essere considerato pericoloso allo Stato ed alla Chiesa. Il de la Cruz aveva diversi figli, uno dei quali chiamò Graverico, profetizzando che sarebbe stato un novello San Giovanni Battista. Il ragazzo divulgava già largamente di essere figlio di Dio e della Santa Vergine e fu giudicato tanto pericoloso dall'Inquisizione da non poterlo lasciare a piede libero. Perciò il Tribunale lo fece catturare e segretamente imbarcare a Panama donde lo trasportarono a Trujillo collocandolo presso Don Juan de Sandova.
Il de la Cruz stesso durante l'istruttoria negò ostinatamente cosicché il suo avvocato dovette rinunciare alla difesa, ciò che evidentemente gli fece piacere. Si dubitò che egli fosse pazzo, ma i medici affermarono il contrario. Allora vennero incaricati quattro teologi per convertirlo, ma egli non cedette per nulla sui suoi principi.
Dopo cinque anni di detenzione, in istruttoria non rimase altro che condannarlo come ostinato rinnegatore di Dio. Il 18 Maggio 1577 venne sottoposto alla tortura che però non diede alcun risultato. Quindi dovette attendere ancora, un anno sino all'« auto da fé » del 1 ° Aprile 1578 dove, secondo la relazione del cancelliere, cedette e venne strangolato prima di essere gettato al rogo.

Dona Luisa Melgarejo era una truffatrice più audace ancora della Pizzarro. Era l'amante del dottor Juan de Sota dal quale riuscì più tardi a farsi sposare. Per più di dodici anni aveva continuato delle pratiche mistiche molto redditizie con rivelazioni, estasi ed altre annunciazioni del genere e molti si rivolgevano a lei prima di sposarsi per aver il suo consiglio che essa faceva pagare lautamente. Quando l' 11 Novembre 1623 venne arrestata i suoi scritti che constavano di cinquantasette volumi vennero accaparrati dai Gesuiti. Tuttavia essa non figurò tra gli imputati dell' « auto da fé » del 1625 dove vennero condannate altre quattro embusteras del suo genere. Pare perciò che la donna mercé le sue influenze riuscisse a salvarsi.

All'« auto da fé » del 16 Marzo 1693 figurò anche una certa Angela de Olivitos come embustera hipocrita. Era di professione sarta e certamente non doveva condurre una vita molto morale poiché ebbe anche un figlio da uno dei suoi ammiratori. Essa venne condannata ad appartarsi per cinque anni in un luogo solitario col divieto di parlare o di scrivere delle proprie rivelazioni. Questa era soltanto una modesta imitatrice della regina delle mistificatrici, Angela Carranza.
La Carranza era nata nel 1638 a Tucuman. Nel 1665 venne a Lima dove simulò stati di estasi, nei luoghi pubblici, ma per lo più nelle chiese. Nel 1673 cominciò a descrivere le proprie rivelazioni avendo per collaboratori diversi dotti uomini. Gli scritti raggiunsero la rispettabile mole di quindici volumi. L'unica capacità di questa donna era l'inesauribile fantasia ed una impressionante audacia. Nella sua giovinezza era nota per il suo comportamento scandaloso che confessò senz'altro durante l'istruttoria. Mangiava, beveva e dormiva smisuratamente; parlando era sfrontata e sconveniente e non si vergognava affatto di mettere in mostra la sua nudità.
Così era la mistificatrice che per quindici anni con la sua presenza riuscì a terrorizzare non soltanto Lima, ma tutto il Perù. Coloro che non le andavano a genio li minacciava di morte precoce e si trovavano pochi uomini che riuscissero a resistere al terrore superstizioso che essa diffondeva con tali sinistre profezie. Quelli che non volevano crederle li perseguitava con la sua vendetta ed a quanto riferiscono le cronache riusciva a raggirare non soltanto elementi del popolo, ma pure uomini dotti che ravvisavano nelle sue rivelazioni degli oracoli divini.

Un incidente avvenuto dopo il terremoto del 1687 caratterizzava la profonda credenza che essa riuscì a suscitare dovunque. Si manifestò una violenta mareggiata e venne diffusa la notizia che durante la notte le acque avrebbe sommerso tutta la regione. Sorse un panico generale e tutti fuggirono nelle montagne e soltanto un uomo che custodiva la cassetta degli scritti di Angela Carranza, rimase impassibile al suo posto dichiarando che non vi era pericolo che il mare potesse salire all'altezza degli scritti di quella Santa anche se dovesse essere sommerso tutto il mondo. Effettivamente le acque si ritirarono e la superstiziosa popolazione rimase nella convinzione che si trattasse di un miracolo.

Dopo quindici anni di pieno successo non vi sarebbe stato motivo che la carriera di questa donna non continuasse fino alla sua morte. Può darsi che sia vera la storia secondo la quale in un giorno piovoso sul Calle de Rastron essa avrebbe spinto giù dal marciapiedi un Frate Francescano il quale poi rudemente la gettò nel fango. Questo atto suscitò tanta indignazione che il frate venne carcerato per due mesi. Quando uscì dalle carceri egli per vendicarsi cominciò a sorvegliare la Carranza fino a che poté raccogliere le prove che essa non era altro che una volgare peccatrice. Allora la denunciò all'Inquisizione. In quel tempo era stato trasferito da Cartagena l'inquisitore Valera che era conosciuto per la sua energia e severità.
Egli accolse con entusiasmo la denuncia che giungeva a proposito per permettergli di suscitare una viva impressione sulla popolazione proprio all'inizio della sua attività. La Carranza venne arrestata il 21 Dicembre 1688. La sua istruttoria si prolungò per sei anni, indubbiamente per l'enorme mole dei suoi scritti. Durante la sua lunga prigionia non cessò di dichiarare che Cristo e la Santa Vergine la visitavano continuamente per confortarla. Del resto sopportò di buon grado la punizione, consumando con ottimo appetito i tre pasti giornalieri e quando entravano nella sua cella generalmente la trovavano che dormiva placidamente.

La Carranza adottò una tattica di difesa molto astuta inquantoché si pose a negare di aver creduto tutto ciò che stava scritto nelle sue opere. Disse che non aveva fatto altro che raccontare tutto ciò che aveva visto ed udito negli stati di ipnosi, a scienziati che erano suoi confessori.
Il 20 Dicembre 1694, venne tenuto un « auto da fé », ma l'avversione delle donne verso la Carranza era tale che non sarebbe stato consigliabile farla partecipare alla processione che doveva percorrere le vie pubbliche, dall'Inquisizione fino alla chiesa di Dan Domingo. Essa venne trasferita in segretezza per mezzo di una carrozza, all'alba, e dopo il rito non la portarono immediatamente al Tribunale; la lasciarono invece fino al tardo pomeriggio nella sacrestia, poi, fattala uscire per una porta segreta la fecero portare al Tribunale in vettura, accompagnata da due distinte personalità.
Nonostante tutte queste precauzioni, alcuni monelli la riconobbero e iniziarono una fitta sassaiola contro la carrozza. Si radunò una gran folla tanto che fu necessario fare intervenire la truppa. Tuttavia uno degli accompagnatori venne gravemente ferito e solo per puro miracolo la carrozza poté raggiungere il palazzo dell'Inquisizione.
Altre misure precauzionali si resero necessarie durante il mese in cui la tennero detenuta. In questo frattempo la plebaglia di Lima fece manifestazioni beffarde mettendo in caricatura l'« auto da fé », portando in giro l'effige della donna che venne flagellata e bruciata. Ciò nonostante gli influenti ammiratori della Carranza riuscirono a salvarla da qualsiasi punizione ed a proteggerla dalle ire della folla. Soltanto i suoi tre confessori Ignacio Ixar, sacerdote di San Marcelo, Fra' José de Prado e Fra' Augustin Roman vennero trattenuti in arresto e l'istruttoria venne aperta a loro carico.
Fra le rivelazioni della Carranza qualcuna si riferiva a Nicolas de Aillon, un sarto indiano, morto il 7 Novembre 1677, con la fama che, come fedele servo di Dio, fosse stato trasportato subito dagli Angeli in Cielo.

L'odio generale suscitato da Angela Carranza, a quanto pare, trattenne per un pezzo le altre mistificatrici da simili esperimenti, giacché sino al 1720 la cronaca non ricorda casi di questo genere. In quell'anno venne posta sotto accusa Maria Josepha de la Encarnacion, una meticcia, per delle rivelazioni. Questa non venne trattata con mitezza come la Carranza, nonostante non avesse fatto allcun danno a nessuno e si fosse astenuta da ogni ricatto. Sebbene ammalata gravemente venne condannata a duecento scudisciate che le furono immediatamente somministrate.

I casi di misticismo ed illuminismo che richiedevano misure tanto severe nella Spagna, a quanto pare, avvenivano solo rare volte nella rilassata vita spirituale del Perù. Tuttavia uno di questi casi caratterizza il sistema degli inquisitori, perciò vale la pena di riferirlo.
Nel Novembre 1709 morì a Santiago del Cile il Padre Gesuita Francisco de Ulloa. Egli non era uomo di gran cultura, tuttavia, dotato di facoltà spirituali, si era dedicato allo studio del misticismo di Tauler. Si occupò della istruzione spirituale ed ebbe circa trenta discepoli, tra i quali una monaca, che lo stimavano come Santo. Al letto di morte affidò la cura del suo gregge ad un altro Gesuita, Padre Manuel de Ovalle, il quale però non seppe continuare la sua opera. Sospettò invece che i discepoli seguissero le dottrine proibite di Molinos, Madame Guvon e Fenelon. Dopo qualche esitazione il Frate, per alleggerirsi la coscienza, decise di denunciarli all'Inquisizione. Si pose attivamente alla ricerca delle prove e finalmente il 14 Giugno 1770 deferì al Tribunale di Lima José Solis, Pedro Ubau ed altri componenti il gruppo, dei quali aveva potuto accertare il nome.

Il Santo Uffizio considerava pericolosissima ogni tesi religiosa che avesse qualche affinità col molinismo, tuttavia il Tribunale di Lima trattò la questione con molta noncuranza e soltanto due anni dopo, il 10 Dicembre 1712, citò l'Ovalle, perché fornisse le prove della sua denuncia. Pure il 10 Dicembre un altro Gesuita, Antonio Maria Fanelli scrisse al Tribunale, allegando alla sua lettera alcuni scritti del Solis, proponendo che la questione venisse esaminata a Santiago, anziché a Lima, dato che in quella città gli imputati avevano ottime aderenze familiari e amicizie. Effettivamente venne inviato a Santiago un incaricato particolare, nella persona di Fra' Antonio Urraca, perché esaminasse le vecchie prove e ne raccogliesse altre. L'Uraca partì immediatamente alla volta di Santiago, dove si occupò della questione sino al 17 18, facendo ritorno al Tribunale soltanto il 10 Febbraio 1719, per riferire del suo operato.
Nel frattempo, nel 1718, Solis, Ubau e Velasco vennero arrestati ed il commissario Barona constatò che il Solis, data la sua grande povertà lavorara nelle miniere, mentre il Velasco, già da due anni impazzito, venne ritrovato in un rancho, dove non possedeva altro che un letto sgangherato. L'Ubau disponeva di un patrimonio di quattromila pesos ed il suo arresto provocò molta eccitazione, poiché egli era l'esattore delle monache, dei frati e dei commercianti cittadini ed in tale qualità godeva di stima generale per la sua onestà e religiosità.
Le questioni vennero preparate per la sentenza nel 1725, ma dopo avvenne un inesplicabile rinvio a tutto il 1736, cioè sino a che Calderon ed Unda rimasero in carica al Tribunale.
L'« auto da fé » venne tenuto il 23 Dicembre 1736 sulla grande Plaza, con una cerimonia di effetti eccezionale.

Alla presenza del Vice Re, Marchese Villegacia, e di tutte le personalità vennero bruciate le immagini di Ulloa e Ubau, mentre a quella di Solis si fece grazia, poiché egli si era inchinato a chiedere la conciliazione. Il disgraziato Velasco, nonostante la sua demenza, venne condannato come ostinato eretico. Egli negò sino all'ultimo le colpe di cui era imputato. Lo avrebbero bruciato vivo se, per un incidente, non avesse dovuto essere trasportato all'ospedale, dove morì nel 1737.
Prima che ciò avvenisse la Suprema aveva già iniziata la sua attività. La condanna di Ulloa e l'esposizione dei Sanbenitos nella Cattedrale inasprì molto i Gesuiti. Indubbiamente era provocato dalla loro influenza l'ordine emanato dalla Suprema, il 10 Marzo 1738, con cui venne disposto l'invio nella Spagna di tutti gli atti e documenti che si riferivano alla causa dei molinisti, nonché l'allontanamento dalle chiese di Lima e Santiago dei Sanbenitos di Ulloa. A quest'ordine venne data esecuzione contro voglia e quando i Gesuiti il 10 Gennaio 1739 ne fecero rapporto, il Tribunale si lamento amaramente dell'impressione deleteria che aveva fatto sui fedeli il vedere che il Santo Uffizio era stato costretto a revocare dei provvedimenti.

* * * *

Agli effetti dei reali scopi per cui venne istituita l'Inquisizione nei domini, cioè per impedirvi la diffusione del protestantesimo, il Santo Uffizio aveva ben poco da fare.
Caratterizza stranamente la mentalità spagnola di quei tempi, nei confronti dell'eresia, il fatto che non solo condannavano per mancanze religiose coloro che entravano volontariamente nei territori coloniali, ma ancor più severamente quelli che vi venivano deportati come prigionieri politici.
Nel 1578 il Tribunale di Lima fece rapporto a Juan Costantino, commissario di Panama, dichiarando che, secondo la sua opinione, i pirati inglesi comparsi al largo del litorale peruviano erano tutti eretici e che li avrebbe puniti nel modo adeguato qualora fosse riuscito a catturarne qualcuno.
Effettivamente i pirati sbarcarono e fecero un tentativo di saccheggio; devastarono le chiese, derubarono il commissario, lasciandogli soltanto la camicia, ma prima che potessero raggiungere le loro navi, sopraggiunse un distaccamento di truppa che li catturò in buona parte. I Tribunali, civili ed inquisitoriali, riuniti, inflissero una spietata punizione ai malcapitati, i quali sottoposti alle più feroci torture vennero poi tutti impiccati.

Nel 1581 vennero consegnati al Tribunale dell'Inquisizione quattro prigionieri di guerra inglesi, i quali furono sottoposti a grave tortura. Il capitano Oxenham, come comandante dei pirati «Ballano », fu condannato a penitenza, al servizio di galera a vita ed alla confisca dei beni. Il secondo capitano John Butler subì una condanna a dieci anni di servizio di galera e successivamente carcerazione a vita. La stessa pena venne inflitta all'armatore della nave, Thomas Xervel, mentre il giovane Henry Butler fu assolto e scarcerato.

Sembra una macabra farsa il fatto che i tre uomini anziani, ancora prima di essere consegnati al Tribunale dell'Inquisizione, erano stati condannati a morte da parte di quello Civile. Le pene inflitte dal Santo Uffizio valevano dunque soltanto a salvare l'anima, mentre i disgraziati dopo la sentenza furono restituiti alle Autorità Civili, le quali senza pietà eseguirono l'impiccagione.

All'« auto da fé » del 30 Novembre 1587 vennero giudicati altri avventurieri. John Drake, fratello del famoso Sir Francis, naufragò nello stretto di Magellano. Tredici marinai dell'equipaggio, che erano riusciti a guadagnare la spiaggia, vennero catturati da cannibali, e li trattennero per un anno. Il Drake con due dei suoi uomini fuggì in una « canoe » e lungo il Plate River arrivò a Buenos Ayres, dove tutte e tre vennero arrestati e deferiti al Tribunale di Lima. Si convertirono alla religione cattolica e perciò il Santo Uffizio si mostrò blando con essi, condannando il Drake a tre anni di segregazione cellulare, mentre i suoi due compagni, che si erano mostrati più ostinati, vennero sottoposti alla tortura e condannati a quattro anni di galera.

Cinque anni dopo, all'« auto da fé » del 5 Aprile 1592, presenziò un gruppo di inglesi. Quattro di essi erano stati catturati sulle isole Puna e rilasciati dopo cinque anni di carcerazione, essendo risultato che si trattava di cattolici, già precedentemente convertiti, e l'istruttoria nulla poté ascrivere a loro carico. Viceversa i fratelli Walter ed Ernest Tiller ed Andrew Marle vennero arsi vivi come ostinati eretici.
Un altro gruppo era composto di tre pirati della ciurma di Thomas Cavendis, i quali erano partiti il 21 Luglio 1586, da Plymouth. Essi vennero catturati a Quintero, a nord di Valparaiso, mentre tentavano di rifornire d'acqua il loro battello. Furono subito trasferiti a Santiago, dove le autorità civili condannarono due di essi all'impiccagione, mentre il terzo, il diciasettenne William Hiles, venne deferito al Tribunale di Lima che, data la sua età minore, lo internò in un convento di Gesuiti, dove, convertitosi alla religione cattolica, divenne uno dei più ferventi missionari della Compagnia.

Non migliore fu la sorte della spedizione che sotto il comando di Riccardo Hawkins partì nel Luglio 1593, con tre velieri da Plymouth. Gettate le ancore, il 24 Aprile 1594, al largo di Valparaiso, la spedizione riuscì a catturare quattro navi spagnole, proseguendo poi verso il Sud. Il corregidor fece partire immediatamente una leggera barca, perché seguisse le orme degli inglesi. Intano il Vice Re, Huisado de Mandoza, ordinò la mobilitazione della flotta che, in base alle indicazioni del veloce veliero, poté rintracciare la spedizione Hawkins.
Lo scontro avvenne al largo di Aito e dopo una accanita battaglia l'Hawkins si arrese, dopo d'aver avuta la promessa dal nemico che sarebbe stato trattato come prigioniero di guerra.
La notizia della vittoria provocò un enorme giubilo a Lima, gli arditi del mare erano temutissimi. Tuttavia gli Spagnoli non mantennero le condizioni della resa. Sessantacinque dei sessantotto marinai catturati vennero inviati alle galere, mentre i tredici rimanenti furono trasferiti a Lima, dove il Santo Uffizio, col pretesto che si trattava di eretici, arrogò a sé la competenza giuridica e li fece imprigionare nelle carceri segrete.
Date le poco chiare condizioni della resa l'Inquisizione sollecitò l'istruttoria, così che otto imputati poterono comparire già all'« auto da fé » del 17 dicembre 1595, assieme a due altri inglesi.
Tutti ad eccezione di certo William Leigh fecero solenne giuramento di abbracciare la religione cattolica e perciò poterono sfuggire con pene abbastanza miti, mentre il Leigh venne condannato a due anni dí galera e successivo carcere a vita.

L'istruttoria a carico di Riccardo Hawkins venne chiusa soltanto il 17 Luglio 1595. Lo sciagurato comandante era tanto ammalato da non poter comparire all'« auto da fé » e venne più tardi trasferito al convento dei Gesuiti. Col suo comportamento cavalleresco egli riuscì a cattivarsi la benevolenza e simpatia di tutte le Autorità, compreso il Santo Uffizio; perciò appena guarito venne messo a disposizione del Vice Re che ordinò l'applicazione delle condizioni della resa nei suoi confronti.

Col tempo poi vennero riconosciuti i diritti spettanti ai prigionieri di guerra, anche se l'Inquisizione pretendeva di sottoporre i captivi alla propria competenza. All' « auto da fé » tenuto il 21 Dicembre 1625 venne giudicato un certo Pierre Jan de Delft, il quale era stato catturato e condannato a morte come pirata, ma la sentenza non venne mai eseguita. Egli si rifiutò di convertirsi e perciò venne condannato alla galera, ma nemmeno questa sentenza poté essere eseguita perché un decreto reale ordinò la sua immediata scarcerazione, come prigioniero di guerra.

Tuttavia era molto difficile estirpare il fanatismo dalla popolazione. Quando, verso il 1650, gli Olandesi tentarono di stabilirsi a Valdise, il Vice Re Mancera inviò contro di essi una flotta ben armata, che riuscì a cacciarli. Però il comandante della flotta, non appena saputo che il capitano olandese era morto sul posto, fece esumare le sue spoglie e gettarle al rogo. Queste barbarie vennero a cessare con l'andar del tempo, ma ciononostante non si verificarono più tentativi di immigrazioni.
Alcuni casi che citiamo illustrano quanto poca uniformità di criteri ispirasse i giudizi degli inquisitori. Abbiamo già parlato della mitezza dimostrata nei delitti di seduzione nel confessionale ed in altri casi che urtavano gravemente la morale.
All'« auto da fé » del 22 Luglio 1735 certa Sebastiana Fiugerosa, una settantenne, benché imputata di aver stretto alleanza col Diavolo e diffusa la peste, venne condannata soltanto ad una penitenza spirituale, alla confisca della metà del suo patrimonio ed a quattro anni di segregazione in un convento.
Indubbiamente il Tribunale civile, in un caso simile, avrebbe pronunciato la sentenza di morte. All'« auto da fé » del 1736, Maria Josepha Canga, schiava negra liberata, la quale con ogni genere di stregherie e somministrazione di erbe velenose, aveva fatto impazzire il proprio marito, per poter condurre una vita dissipata, venne condannata in tutto a quattro anni di servizio gratuito all'ospedale di San Bartolomeo.
Allo stesso « auto da fé » giudicarono Juan Gonzales de Ríbera, il quale aveva stretto amicizia con gli indiani, seguendo il loro modo di vita e la loro religione, ma ciò che era peggio aveva persuaso diversi spagnoli a seguire il suo esempio. Il de Ribera sebbene imputato di poligamia, di stregoneria e di adorazione di feticci, venne condannato a tre anni di lavori forzati, sull'isola di Calleo.

Di fronte a questi casi giudicati con tanta mitezza ricordiamo, come contrasto, quello di Francois Moyen, musicista di prim'ordine, che la cattiva sorte aveva portato nella desolata regione di Amusquibar. Egli era nato nel 1726 e sebbene avesse condotta una vita alquanto avventurosa, il fatto di aver peregrinato a Compostala, per adempiere ad un pio voto, dimostra che era un fedele cattolico. Si era imbarcato, nel 1746, a Rio de .Janeiro, assieme al Conte las Torres, il quale si recava per affari importanti nel Cile. Si separarono a Buenos Ayres, donde il Conte proseguì attraverso le Pampas, mentre il Moyen vi si fermò.
Con la leggerezza dei Francesi, egli parlò di cose delle quali in quel paese conveniva piuttosto non interessarsi. Certo José Antonio Soto si mise alle sue calcagna, sorvegliando ogni suo passo e parola. Già due giorni dopo il suo arrivo, il Soto lo denunciava all'Inquisizione, senza però poterlo accusare d'altro che di qualche frase imponderata. Egli si era professato convinto della predestinazione, riteneva ammissibile la poligamia e negava la santità del matrimonio. Asseriva che le messe, le preghiere ed i pellegrinaggi non giovavano per nulla alle anime condannate al purgatorio, non riconosceva il Papa come capo della Chiesa e negava che il Pontefice avesse il diritto di dare l'assoluzione ai peccatori.
I Calificadores ravvisavano in ogni parola una tendenza eretica e una volta che aveva ripreso un mulattiere, perché frustava il proprio animale che, secondo lui, era pure creatura di Dio, venne dichiarato manitheo. Quando poi aveva criticato la vita lussuosa del Clero, giudicandola in netto contrasto con la modestia degli apostoli, si era attirato tutte le ire dei giudici.

Il commissario Ligarasa convocò la « consulta da fé » che votò l'arresto dell'uomo ritenuto pericolosissimo. Nella terribile carcere sotterranea il Moyen fu preso da attacchi epilettici e, con crudeltà massima, venne incatenato per frenare le sue escandescenze. Il Commissario non aveva fondi a disposizione per provvedere alla sua conveniente alimentazione ed erano i pittori francesi che cercavano di alleviare la sorte del disgraziato artista, che venne privato persino del suo prezioso violino.
Il 4 Maggio 1750 il Commissario ordinò il suo trasferimento a Lima. Il viaggio durò due anni. La salute del Moyen era già fortemente minata per l'umidità delle carceri e la sua epilessia si aggravò durante il faticosissimo viaggio, al punto che diverse volte fu per morire. Soltanto nell'aprile del 1751 arrivò a Cuzco, dove un generoso cappelaio inglese gli offrì la sua villa in campagna, perché si potesse rimettere in salute. Il cappellaio era un buon cattolico che ascoltava giornalmente la messa, ma per pura bontà d'animo consigliò inopinatamente al francese di tacere e di fare l'ipocrita durante l'istruttoria. Durante l'interrogatorio il Moyen involontariamente menzionò questo consiglio ed allora il cappellaio inglese venne immediatamente arrestato, ciò che portò alla sua rovina materiale. Questa procedura non era la conseguenza di un partito preso, né contro l'individuo, né contro il reato in sé, ma dell'indifferenza assoluta dei giudici per la sorte degli imputati.

Nell'epoca turbolenta del secolo XVIII l'autorità dell'Inquisizione era fortemente diminuita, anche per il poco rispetto che suscitavano gli inquisitori con il suo scorretto atteggiamento. Lo scioglimento dell'Inquisizione, avvenuto con il decreto della Cortes di Cadiz, il 22 Febbraio 1813, era già previsto da parecchi anni. W. B. Stevenson racconta che qualche tempo prima del decreto era stato citato dinanzi al Tribunale del Santo Uffizio, con un certo frate Burtamente, con il quale in un caffé aveva avuto una discussione sulla Madonna del Rosario. Se possiamo prestar fede alle sue parole, egli non trattò con molto rispetto gli inquisitori; tuttavia non ricevette che una rampogna; che lo ammoniva che in tutti i domini del Re Cattolicissimo ogni persona era sottomessa al Santo Uffizio.
Quando venne promulgato il decreto di scioglimento fu Stevenson il primo a penetrare nel tetro edificio dell'Inquisizione. Le carceri erano vuote e molte di esse avevano le porte spalancate. Nella Sala di Consiglio pendeva al di sopra del seggio presidenziale, un quadro di Cristo, in grandezza naturale. Il capo dell'immagine era collegato un congegno, il Capo Inquisitore poteva muoverlo, per suscitare impressione negli imputati.

Dalla descrizione della camera di tortura possiamo dedurre che questa non era attrezzata con strumenti di tortura tanto crudeli come in altri tempi.

Tuttavia vi erano ancora gli jarras de auga, i cordales, i manquer, il tampazo e la garrucha. In un angolo vi era una panca che serviva a stendere le braccia e le gambe, poi vi era una specie di cuscino, sul quale venivano appoggiati i torturati per la flagellazione. Vi erano degli anelli da applicarsi ai polsi e alla cintola, con chiodi acuminati nell'interno e vari altri arnesi, i quali però erano più che altro impressionanti a vedersi e ben lontani dall'essere pericolosi e crudeli come quelli adoperati in epoche precedenti. La folla che era penetrata nei locali dell'Inquisizione si appropriò di vari pezzi di questi strumenti macabri, ma l'arcivescovo il giorno seguente minacciò di scomunica coloro che avessero asportato degli oggetti e non li riconsegnassero.

Lo scioglimento dell'Inquisizione fu di breve durata e già nel Luglio 1814 il Tribunale riprendeva la sua attività e gli inquisitori Abarca, Zalduego e Sobrino vennero ripristinati nel loro potere con un decreto, ma non era possibile far risuscitare l'antica autorità.
Gli inquisitori si lamentavano amaramente che il Vice Re contrariasse la loro opera, dicevano che aveva tardato a pubblicare il decreto, che li trattava sgarbatamente e che non aveva restituito i fondi sequestrati al Santo Uffizio. Con parole eloquenti descrivevano lo stato miserevole del Tribunale, che non aveva denaro sufficiente per pagare i propri dipendenti e che non poteva procedere ad arresti dato il cattivo stato in cui si trovavano le carceri.

Si può chiaramente immaginare che durante la guerra di Indipendenza le autorità governative non avevano né tempo, né voglia di occuparsi delle lamentele degli inquisitori. Erano passati i tempi della spietata persecuzione di Francois Moyen per poche parole imponderate.
Gli incaricati erano pagati ancora ma svolgevano un'attività insignificante.
Nello stesso anno fu indetto una specie di prestito nazionale, al quale però Sobrino, il segretario dell'Inquisizione, contribuì con una somma talmente irrisoria da provocare una seria ripresa da Madrid. A Barca il Seniore degli inquisitori era morto ed il suo posto venne occupato da Zalduego, che però si dimise presto essendogli stato diminuito l'emolumento. Di conseguenza il seggio di Seniore fu coperto da Cristoval de Ortegon, mentre quello di Juniore fu assegnato ad Anselmo de la Canal. Mariano de Larrea divenne Procuratore.
La loro attività fu di breve durata. Il decreto del definitivo scioglimento arrivò al Perù il 9 Marzo 1820, ma venne messo in vigore soltanto il 9 Settembre dello stesso anno.
Venne ordinato a tutti gli arcivescovi del dominio di notificare al clero l'avvenimento e di provvedere alla confisca del patrimonio dell'Inquisizione. Tutto ciò venne eseguito regolarmente e con molto decoro.

 

Il 18 Settembre il Vice Re Pezuela ordinò all'Intendente del dominio di procedere assieme ai due Regidores di Lima, secondo i dettami del decreto del 22 Febbraio 1813, sequestrando l'intero patrimonio dell'Inquisizione, assieme alle fondazioni religiose e preparando un esatto inventario. Il 20 Settembre l'Intendente con i due Regidores si recò nel palazzo del Santo Uffizio, dove ottemperò agli ordini ricevuti. Invitarono il tesoriere Carlos Lison a consegnare l'elenco delle retribuzioni, volendo liquidare le paghe dei dipendenti, ma ciò non sarebbe stato necessario, poiché gli inquisitori saggiamente si erano fatti liquidare in anticipo la paga di sei mesi.
Probabilmente gli inquisitori del Perù, come quelli del Messico, ritornarono in Spagna, dove si provvide al loro assestamento.

Nel corso dei duecentocinquant'anni della sua esistenza l'Inquisizione giunse persino a giudicare 3000 casi in un anno, mentre nell'l'epoca della sua decadenza questa cifra si ridusse fino a tre o quattro cause.
Per questa magra attività la popolazione dovette sostenere la enorme spesa di mantenimento dell'organizzazione, che creava uno stato di permanente inquietudine nel dominio, ostacolando e rendendo quasi impossibile un regolare sviluppo coloniale. Osteggiavano ogni sviluppo commerciale ed industriale, e gli uomini vedevano dovunque dei possibili delatori e divenivano così diffidenti, poiché sul loro capo pendeva continuamente il pericolo del Santo Uffizio.
L'esistenza dell'Inquisizione nei domini non era giustificata dalla falsa insinuazione che la religione fosse minacciata. Anche i casi di stregoneria e superstizioni non erano frequenti come nella Spagna. Quanto poi ai casi di alleanza con il diavolo l'Inquisizione non faceva quasi nulla.

Delle tante spese superflue od eccessive fatte dall'Inquisizione, questa della creazione del Tribunale in colonia non é certo la minore ed è forse quella che ha portato minori risultati utili alla potente organizzazione religiosa.

 

NUOVA GRANADA


Il Nuevo Reino de Granada che originariamente faceva parte del Perù fu il primo terreno di colonizzazione del Sud-America.
Quando Balboa, nel 1514, riferì al Governo spagnolo delle sue importanti scoperte, fatte a Domjen, quello non tardò ad inviargli immediatamente un Governatore nella persona di Pedro Aria Davila, il quale sbarcò a Santa Marta. Nel 1532 venne fondato il Vescovado di Cartagena. Nel 1547 quello di Popayan. Nel 1553 vi giunse Fra' Juan Barrios, Francescano, con una bolla di Papa Giulio III, con la quale l'Arcivescovado di Santa Fe veniva staccato dal seggio ecclesiastico di Lima.

Quando nel 1570 venne costituito il Tribunale di Lima la sua giurisdizione venne estesa a tutti i domini meridionali. L'organizzazione di un così grande territorio richiedeva un tempo non indifferente, particolarmente perché il personale del Santo Uffizio non era sempre all'altezza del proprio compito. L'Inquisitore Cerezuela nominò, soltanto nel 1577, un commissario particolare per Santa Fe e la sua scelta cadde su Lope Clavio, Gran Preposto della Capitale. Nella sua nuova carica il Clavio aveva continue divergenze con l'Arcivescovo Luis Zapata de Candenes ed il suo carattere non faceva certo onore al Santo Uffizio. Il suo palazzo divenne presto il ritrovo delle donne frivole. Le suore del convento di Tunia gli vietarono persino l'ingresso, per non ascoltare i suoi discorsi scandalosi.

Nemmeno il Commissario di Popayam, Gonzalo de Torres, era migliore di lui e diede infinite noie al Vescovo, sino a che il visitador Juan Ruiz de Prado lo fece citare dinnanzi al Tribunale di Lima dove venne condannato per venti gravi abusi. Le sue perversità commesse con fanciulle, vedove e donne maritate, erano conosciute in tutto il paese, come era pure risaputo che egli aveva lasciato morire più di cento indiani, rifiutando di dar loro i conforti della religione. Con l'attività di simili individui si può facilmente comprendere che nessuno badasse ad una vera opera di purificazione della fede nelle colonie. Si rese evidente la necessità di dover fondare un Tribunale più vicino di Messico o di Lima, `che potesse prendere sotto la propria giurisdizione il vasto territorio che si estendeva dalle Antille alla Terra Incognita e dal Panama alla Guinea. Perciò l'inquisitore, Cerezuela, l'8 Aprile 1580, informò la Suprema che la popolazione della Granada, data la distanza che la separava da Lima. richiedeva energicamente un Tribunale separato.

Già precedentemente, nel 1559, l'Arcivescovo de Lobo Guerrero fece domanda analoga al Re. Egli descriveva il paese come il più corrotto di tutti i domini spagnoli, dove la vita religiosa stava estinguendosi. La distanza da Lima era tanto grande che gli imputati, durante il loro trasferimento, o morivano o riuscivano a fuggire, mentre mancavano i fondi per poter organizzare le battute.
La stessa lamentela giunse anche dalle isole. Nel 1594 il Consiglio delle Indie propose al Re di por fine al favoreggiamento operato dalla popolazione di San Domingo a beneficio dei francesi e dei pirati inglesi, e pregò il Sovrano di ordinare all'Arcivescovo di San Domingo di assumere la carica di Capo Inquisitore di quel dominio.
Quando la Suprema apprese questo fatto dichiarò che sarebbe stato più opportuno istituire addirittura un Tribunale sull'Isola. Ma non se ne fece nulla. Il Re non voleva andare incontro a nuove spese, mentre la Suprema era gelosa del suo potere e non voleva consegnarlo all'Arcivescovo.

Finalmente, nel 1608, il Consiglio della Chiesa ottenne la fondazione di un Tribunale molto esteso tale che riusciva ad abbracciare nella propria competenza giuridica il territorio fino alla Florida. Già nel 1606 il Vescovo di Cuba, Juan Cabaros, si lagnò in una lettera diretta al suoi superiori gerarchici, che il Tribunale del Messico avesse nominato Fra' Francisco Cavarco, come proprio incaricato all'Avana. Il Vescovo stesso si era rifugiato nel convento di Sant'Agostino, non appena aveva appreso la notizia e di là continuava a protestare contro i piani di Cavarco che voleva estendere la propria giurisdizione anche alla Florida.
Ma non valsero tutte le proteste, perché il tribunale di Florida venne ugualmente fondato, sebbene avesse tanto poco lavoro da non poter giustificare la sua creazione. Soltanto il 2 Febbraio 1614 vi venne tenuto il primo « auto da fé », al quale furono giudicati circa trenta penitenti.
Inoltre vennero trattati diciassette casi nella sala di consiglio, fra i quali vale la pena ricordarne uno che caratterizza i sistemi praticati da quel Tribunale.

Il Vicario vescovile aveva colpito di un'ammenda, per una piccola mancanza, Dona Lorenza de Acereto, moglie di un distinto nobil'uomo. Tuttavia probabilmente in seguito a qualche vendetta essa fu costretta a denunciarsi spontaneamente all'Inquisizione. L'inquisitore Manozca la tenne otto mesi nelle carceri e poi le inflisse 4000 ducati di ammenda, nonché due anni di esilio. Dopo la lettura della sentenza la de Acereto presentò ricorso al Capo Inquisitore, ma quando stava per uscire dalla sala, qualcuno la avvertì che per questo sarebbe stata condannata al carcere segreto a vita. La donna intimorita ritirò senz'altro il ricorso.
Cartagena aveva in tutto 500 abitanti spagnoli, mentre il resto della popolazione era composto da schiavi negri e di indiani, i quali non erano soggetti alla giustizia della Inquisizione. Manozca, in una sua lettera del 17 Marzo 1622, descrive questi coloni spagnoli come persone avide di lucro, le quali non tenevano alcun conto dell'onore e della buona reputazione. Il paese era letteralmente invaso da occultisti, i quali erano considerati come peccatori alleati col diavolo. Il Tribunale avrebbe avuto molto da fare in quel campo, ma siccome i colpevoli generalmente erano dei miserabili mendicanti o schiavi, la loro persecuzione non avrebbe apportato alcuna gloria e tanto meno introiti, perciò se ne interessarono sempre meno.

Manozca dà una descrizione terrificante delle operazioni occulte che gli stregoni schiavi negri commettevano nelle miniere. Vi erano circa 4000 schiavi importati dalla Guinea e, sebbene battezzati, erano privi delle più elementari concezioni di religione, ed erano più bestie che uomini. Non si contavano le crudeltà commesse sotto l'impulso del fanatismo della stregoneria. Orribili mutilazioni di donne e bambini erano all'ordine del giorno. La Suprema inoltrò questa relazione al Re, proponendo di istituire anche nella nuova Granada l'Editto della Fede. Ma Filippo rispose freddamente che il Consiglio delle Indie avrebbe provveduto con opportuni ordini ai Vice Re. Così entrambe le parti si disinteressavano e la stregoneria poté diffondersi indisturbata nel dominio.

Questa pazzia collettiva non si restrinse soltanto alle miniere di Antioquia e dieci anni dopo ebbe un tale sviluppo da indurre le autorità ad un serio intervento. Nel villaggio negro Tolù le autorità scoprirono una grande adunata di streghe, che eseguivano una danza pazzesca attorno ad una capra e si consigliavano sul modo di poter volare. Tuttavia la Suprema accolse con molta diffidenza le relazioni di questi fatti ed ammonì i Tribunali ad osservare la massima cautela. Perciò l'azione del Tribunale, avviata in grande stile, non fruttò altro che l'arresto di una mulatta e di una negra, le quali però negarono ostinatamente le loro colpe.

Tuttavia il sistema delle testimonianze si diffuse sempre di più e persino a Cartagena, dove vennero coinvolti autorevoli e ricchi spagnoli, poiché i testi potevano liberamente asserire di aver visto chiunque partecipare alle pratiche di stregoneria.
Più tardi l'attività dell'inquisizione ebbe un incremento durante la propagazione del libero pensiero e di idee rivoluzionarie ed il principale lavoro dei Tribunali era fornito dalla censura. Tuttavia nei domini era tanto grande l'apatia spirituale che non si doveva temere una grande invasione di libri proibiti. Nel 1777 a Cartagena non riuscì a vivere l'unica tipografia esistente e gli inquisitori si lamentavano di essere costretti a ricopiare a mano le opere proibite.

Nel 1774 si presentò al Tribunale un caso difficilmente solubile. José Celestino Mutis, abile medico, come professore del Collegio Mayor de Santa Fe presiedeva ad un consiglio e divenne sospetto per essersi dichiarato partigiano della teoria solare di Copernico. Nel 1775 i Domenicani della Universitad Tomistica dichiararono in un convegno che le teorie di Copernico erano intollerabili per un buon cattolico e che chi le professava doveva essere perseguitato dall'Inquisizione.
Il Mutis presentò al Vice Re una relazione a difesa di Copernico che venne inoltrata al Tribunale, il quale a sua volta la consegnò a due Calificadores perché ne dessero un giudizio. Questi dichiararono che la materia non era adatta ad una discussione teologica; tuttavia ritennero che le teorie di Copernico (e siamo nell'anno 1775 !) fossero in netto contrasto con l'idea cristiana. La questione capitò tra le mani del procuratore dell'Inquisizione, il quale asseriva che i più autorevoli scrittori ecclesiastici detestavano il sistema che era ritenuto contrastante alla scrittura sacra e già ripetute volte scartato dall'Inquisizione romana, sebbene circolasse la voce che alle università venissero insegnate le teorie di Newton che si basavano sulle dottrine di Copernico.
Ma dopo Mutis il Sovrano era forse l'unica persona del paese che osasse parteggiare per le idee del Frate. Perciò non volendo esporsi oltre nella questione il Sovrano consegnò tutti i documenti relativi alla Suprema, dove non fu dato alcun seguito alla questione e non fu nemmeno data una risposta.

In tal modo, naturalmente, l'attività del Tribunale aveva uno scarsissimo valore agli effetti della difesa della fede, mentre d'altra parte minava la propria autorità con le eterne divergenze e più o meno scandalosi diverbi che aveva con le autorità civili ed ecclesiastiche.
Durante le feste di Pasqua i Vescovi e gli inquisitori non poterono mai mettersi d'accordo, circa le questioni di etichetta. I prelati abituati ad esercitare la giustizia si urtavano continuamente con gli inquisitori, i quali assillavano la Suprema con ogni sorta di lagnanze.

La parte principale, al Tribunale, spettava al Manozca, uomo orgoglioso ed incosciente. Egli dichiarò ripetutamente che il Tribunale del Santo Uffizio costituiva il potere pubblico e che il suo dominio non era limitato da nessuna legge o giurisdizione.
Il Governatore Diego Fernandez de Velasco era un uomo debole e benigno, che faceva di tutto per mantenersi in buoni rapporti con gli inquisitori, ma la sua buona volontà e moderazione era ripagata soltanto con sfrontatezze. Infine, il 14 Luglio 1613, perduta la pazienza presentò lagnanza al Sovrano.

Uno scrittore del tempo enumera gli infiniti abusi di potere del Manozca, il quale teneva sotto il suo controllo persino i Tribunali civili, imponendo la propria volontà nelle sentenze che dovevano essere favorevoli per i suoi protetti e spietati ed ingiusti per gli avversari.
Nel contempo fioriva in tutto il paese il contrabbando e su tutta la linea vigeva una scandalosa corruzione, dalla quale non erano esclusi naturalmente nemmeno gli inquisitori.

Il nuovo inquisitore Martin Real non era più conciliante del suo predecessore. Verso la fine del Luglio 1643 arrivò a Cartagena, in compagnia di Juan Baptista de Villadiego, uomo quasi settantenne, e di Pedro Triunfo de Socava.
La prima azione del Real fu quella di vietare ad Uriarte ed Ortiz di entrare nel secreto, evidentemente allo scopo di poter procedere indisturbato alla verifica dei conti, ma il suo collega Villadiego, forte della sua autorità e sospettoso, si impadronì furtivamente delle chiavi e ritiratosi in una sua villa si rifiutò di consegnarle a chicchessia. Ma il Real non era uomo di lasciarsi imporre, né mancava di risorse. In breve riuscì a trascinare con sé una numerosa plebaglia e recatosi alla casa del ribelle fece forzare la porta ed affrontato personalmente il vecchio, ma gagliardo Villadiego, lo forzò a consegnargli le chiavi.
In seguito, forse pago della vittoria ottenuta colla forza, il Real non inveì sul Villadiego e si limitò ad infliggergli una forte ammenda, esigendone il pagamento con la confisca di una parte dei suoi beni. Ma il Villadiego non si diede ancora per vinto. Impiantò nella propria casa un'altro Tribunale. Questa situazione durò fino a che il Real intimò al Villadiego di considerarsi in arresto nella propria casa. Questi per tutta risposta affisse dei manifesti al Municipio, nei quali infliggeva la scomunica sul Real, che, stanco alfine, lo fece immediatamente arrestare.

La Suprema era non poco indignata di questi avvenimenti ed in mancanza di esatte informazioni ordinò che il Villadiego venisse ripristinato nella sua carica al Tribunale. Nel contempo però gli ordinò di presentarsi entro quattro mesi al Santo Uffizio. Ma Villadiego non ubbidì a quest'ordine, anzi istituì di nuovo un Tribunale nella propria casa, come riferiva il carceriere Pereira, in una lettera del Febbraio 1646, allo scopo di deviare l'attenzione dalla vita scandalosa che conduceva.
Tutta la città era in fermento in seguito all'incessante lite. Fra l'altro il Real aveva fatto arrestare anche Ortis de la Masa, un Gesuita di alto grado, proponendo di sottoporlo alle torture, ciò che suscitò enorme scandalo nelle sfere ecclesiastiche ed in quelle civili. Nessuno si sentiva più in sicurezza dai provvedimenti arbitrari dei due inquisitori. Il Carceriere Pereira, il Procuratore Sócaya ed il Cancelliere de Vega, nel timore di essere arrestati si rinchiusero nelle loro case, rimanendovi per mesi e passarono questa spontanea prigionia distraendosi con banchetti ed interminabili partite alle carte.

Tuttavia la lite interna tra gli inquisitori non impedì loro di suscitare discordia tra le autorità civili. Infatti i rapporti si fecero tanto tesi che il Tribunale dell'Inquisizione minacciò di scomunicare il Vice Re; la Junta delle Indie pregò il Santo Uffizio di astenersi da una simile azione che avrebbe provocato un grande scandalo con incalcolabili conseguenze. Frattanto di tali avvenimenti era giunta notizia al Re, che, allarmato, radunò d'urgenza il Consiglio Reale e furono impartiti ordini tassativi alla Suprema, affinché ponesse un freno alla prepotenza degli inquisitori delle colonie, vietando loro qualsiasi ingerenza nelle questioni civili.

Tuttavia le liti tra le varie autorità non cessarono, come risulta da una lagnanza del consiglio delle Indie presentata al Re il 14 Maggio 1652. Il nuovo inquisitore, Diego del Corro Carrascal, non era migliore dei suoi predecessori. Egli fu presto seguito nella carica da Pedro de Salas y Pedroso, mentre egli venne nominato Capo Inquisitore dei domini sud-americani. Entrambi erano crudeli, che lasciavano deperire gli imputati per degli anni nelle carceri, senza curarsi della loro sorte. Ostentavano grande deferenza verso la Suprema e nella minima questione attendevano disposizioni dalla Spagna senza curarsi delle lunghe angosciose attese dei giudicandi. Invece di condurre le istruttorie a termine si dedicavano ad una vita scandalosa, tanto che il Governatore Benito de Figuera y Barrantes, in una sua relazione al Consiglio Reale rammentava che di nottetempo gli inquisitori travestiti in compagnia di alcuni frati e donne di cattiva fama giravano per la città suscitando scandalo ovunque.

Il 26 Agosto 1666 il Governatore colse un giustiziere mentre stava flagellando lungo le vie due penitenti, persone di alto rango che egli teneva in gran stima. Ritornato alla propria residenza, in tutta fretta, inviò subito alcuni soldati perché liberassero i due sciagurati. Ma i militari non riuscirono a compiere la liberazione e mentre il giustiziere poteva rifugiarsi nel palazzo dell'Inquisizione, quelli venivano perseguitati. Il Governatore fece allora circondare dai suoi soldati la Sede dei Santo Uffizio con l'intento di affamare coloro che vi si trovavano e di ottenere la consegna dei due prigionieri.
Guerra de Latras che era stato inviato da Madrid per fare ordine nel dominio e conciliare possibilmente l'Inquisizione con le autorità civili, si dichiarò disposto a trattare con gli avversari e a consegnare i detenuti, ma quattro giorni dopo il Governatore fece arrestare l'amante di Guerra, Canea, ed incatenata la fece gettare in prigione, confiscò i suoi beni e la sottopose ad interrogatorio « cospectum tormentorum ». Intervenne il Vescovo che fece togliere le catene alla donna, ma non riuscì ad ottenere la liberazione.

Questi avvenimenti screditarono completamente l'Inquisizione, di modo che venne a mancare anche quella parvenza di disciplina che esisteva ancora. I dipendenti di più basso grado si ritenevano autorizzati a comandare, abusando in tutti i modi della torbida situazione.
Ma la decadenza dell'Inquisizione non aveva raggiunto ancora il suo punto massimo. Salas morì il 28 Dicembre 166 7 e nel 1671 morì anche Guerra, suo successore. Rimasto vacante il seggio, la scelta cadde su Luis de Bruna Rico, già Capo Inquisitore di Sevilla. Egli arrivò a Cartagena il 19 Agosto 1673, dove trovò il massimo disordine. Fra i prigionieri alcuni marcivano da anni nelle carceri, i dipendenti erano indisciplinati ed arrivavano con ritardo negli uffici e principalmente il Carceriere Pereira ed il suo segretario trascuravano completamente i loro doveri, al punto che Rico dovette informarne la Suprema e chiedere la loro sospensione e la nomina di altri funzionari. Luis de Bruna Rico venne trasferito poco dopo a Lima e nominato nuovo inquisitore Juan Gomez de Mier. I diversi inquisitori non poterono andare d'accordo e si formarono vari gruppi che si combattevano aspramente. L'inquisitore Jose Padilla si unì al Mier, per condurre una campagna contro l'inquisitore Bernardo de Quiros, incolpandolo di aver svolto il commercio di schiavi.

Il Governatore prese sotto la sua protezione il Quiros, che era riuscito a cattivarsi la sua benevolenza, organizzando delle feste e partite alle carte, in suo onore. Però a nulla valse la protezione poiché la Suprema aveva già incaricato Juan Segenari di Salinos, uno dei giudici di Santa Fe, di condurre indagini sulla questione. Egli venne a Cartagena, dove prese alloggio nella casa di suo zio, l'inquisitore Mier, ed entrambi ordinarono subito diversi arresti, fra i quali quello di Quiros, che però riuscì a fuggire trovando asilo in un convento.
Venne fatto un altro tentativo per sedare il disaccordo. Il Mier venne trasferito a Manico ed il Quiros a Lima, come successore dell'Arcivescovo de Torres.

Nel 1681 venne nominato Vescovo Manuel de Benavides y Piedrolla, uomo violento ed impulsivo. Castillo de la Concha, presidente di Nuova Granada, prese immediatamente posizione contro di lui, ma dovette presto pentirsi poiché venne condannato all'esilio, perché voleva por fine agli scandalosi contatti tra frati e suore. Tuttavia egli ebbe l'audacia di ritornare a Cartagena, di celebrarvi la messa, incoraggiando con ciò la fazione avversa al Vescovo. Quest'ultimo si era improvvisamente calmato e non appena il Presidente de la Concha giunse a Cartagena, revocò la condanna all'esilio.
Presto venne ripreso il conflitto tra i due e il de la Concha ordinò al Vescovo Benavides di abbandonare immediatamente la Diocesi, ciò che questi rifiutò di fare, infliggendo la scomunica al Governatore e a tutte le autorità civili.

La situazione migliorò, alquanto con l'arrivo del nuovo inquisitore, Francisco Valera, il quale licenziò immediatamente i funzionari più turbolenti, nominando Procuratore Pedro Ceverni. Egli dedicò cinque ore al giorno al lavoro, esigendo puntualità dagli altri funzionari e dipendenti. Sollecitò l'evasione degli affari arretrati ed in breve tempo riuscì a risollevare le sorti del Tribunale. Tuttavia la sua natura impulsiva lo trascinò ad uno scandalo che poteva considerarsi senza precedenti.
La passioni non si erano ancora calmate e la lotta per il primato del potere non era ancora decisa. Un nuovo elemento di dissidio sopraggiunse con l'arrivo di Juan Ortiz de Yrente, nel Novembre 1684, il quale qualificò troppo modesto il Valera, ed ancora un altro scoppiò quando il Benavides fece allontanare dalla chiesa i seggi che l'Inquisizione vi aveva collocato, adducendo come motivazione che i visitatori della chiesa chiacchieravano troppo e minacciò di far arrestare i sacerdoti che non volevano assisterlo le funzioni. Ma l'inquisitore fece strappare i manifesti del Benavides alla celebrazione della Messa. Inoltre ordinò al Benavides di considerarsi in stato d'arresto nella sua propria casa. È facile immaginare l'eccitazione del popolo in questo stato di cose.

Arrivarono tre navi dalla Spagna e si diffuse la notizia che esse portavano degli ordini atti a por fine ai malanni. Non venne pubblicato alcunché, tuttavia si poté notare che dinanzi al palazzo vescovile, man mano, venne ridotto il numero delle guardie, sino a che la sorveglianza venne completamente tolta ed il Benavides venne liberato dalla prigionia durata fino al 22 Aprile 1687.
Nello stesso tempo arrivò Gomez Suares de Figuera, per sostituire Valera che venne trasferito a Lima.
Il Suares dapprima si mostrò disposto a rimediare agli eccessi del suo predecessore, ma le tradizioni dell'Inquisizione erano più forti della sua buona volontà e ben presto anch'egli dovette cedere.

Il 9 Marzo 1687 giunse la notizia del terremoto di Lima, che opportunamente illustrata dal clero e dai predicatori provocò una ondata di bigottismo religioso. Molti rinunciarono alla vita scandalosa, rivolgendosi al Benavides per ottenere il permesso di matrimonio. Ma quando venne pubblicato il permesso di matrimonio gli inquisitori inflissero la scomunica a quelli che ne approfittavano e dichiararono che soltanto loro avevano la libertà di impartire l'assoluzione per tale azione.

Quando scoppiò la Rivoluzione l'Inquisizione evidentemente aveva già perduto ogni prestigio agli occhi della popolazione e fu questa la prima istituzione contro cui la folla sfogò la sua ira.
Ancora prima che Hidalgo piantasse la bandiera della Rivoluzione, nel 1810, era scoppiata una ribellione a Santa Fé e si era formata una Juanta rivoluzionaria a Cartagena, sebbene non fosse ancora progettata la completa indipendenza dalla Spagna. La situazione rimase incerta per un anno e durante questo tempo il Tribunale cercò di difendersi alla meglio contro la potenza sempre crescente delle tendenze rivoluzionarie, adottando la massima mitezza nelle sue sentenze Juan de Erteves, il quale vi era stato inviato dal Governo di Santa Fé, a scontare una pena carceraria per una sua predica ritenuta rivoluzionaria, venne senz'altro rilasciato in libertà. Il Tribunale licenziò il proprio Commissario de Larzo, il quale era troppo noto per le persecuzioni operate in passato, sebbene la Suprema in un editto del 25 Settembre 1810 lo avesse lodato per la sua zelante attività.

Il Governo di Cadiz (Cadice), nel 1812, dichiarò che la Fede Cattolica Apostolica Romana era la Religione dello Stato e nessun'altra religione era ammissibile; impartì severi ordini affinché nel dominio di Nuova Granada venisse conservata la Fede Cattolica nella sua antica purezza.
Ma quando la rivoluzione a Cartagena culminò in una generale rivolta del popolo, una delle pretese della Juanta era che venisse soppressa l'Inquisizione e rilasciati i passaporti agli inquisitori. Nello stesso giorno venne promulgato un decreto secondo il quale tutti coloro che proteggevano o parteggiavano comunque per l'Inquisizione dovevano abbandonare il paese entro otto giorni.

Il giorno seguente l'Inquisizione rispondeva che la sua soppressione era stata decisa soltanto da una plebaglia armata e proclamò che tutti coloro che non si dichiarassero favorevoli all'istituzione dovessero abbandonare il paese entro quindici giorni, poiché non appena la ribellione fosse calmata il Santo Uffizio era deciso a proseguire nella Sacra Missione affidatagli dalla Divina Provvidenza.
Ma l'insistenza dei rivoluzionari ebbe il suo risultato, poiché l'Inquisizione si dovette dichiarare pronta ad allontanarsi dalle città, senza peraltro rientrare in Spagna. Le autorità confiscarono l'intero patrimonio, ed il 17 Settembre rilasciarono i passaporti agli inquisitori.

La vittoria della guerra di indipendenza spagnola ed il ritorno al Trono di Ferdinando VII cambiarono radicalmente la situazione, nella primavera del 1814. La monarchia poté dedicare tutta la sua potenza alla conquista dei domini ribellatisi e nel 1815 venne inviato un forte contingente di truppe, sotto il comando di Don Pablo Morico, per ristabilire l'ordine nella Nuova Granada.
Sebbene l'Inquisizione fosse rinata nella Spagna, già il 2 1 Luglio 1814, la notizia giunse a Santa Marta soltanto il 31 Marzo dell'anno seguente. Gli inquisitori festeggiarono l'avvenimento con un solenne « Te Deum » ed annunciarono subito di voler riprendere interamente l'adempimento dei loro doveri.

Morillo arrivò a Santa Marta il 24 Luglio e già il 15 Agosto affidò la carica di Teniente Vicario General a Jose Oderiz, seniore degli inquisitori. Dopo cento giornate di assedio, il 16 Dicembre, cadde anche Cartagena e l'Oderiz non tardò ad estendere il proprio potere.

Poco tempo dopo il congresso degli Stati Uniti della Columbia promulgò una deliberazione che dichiarava cessata per sempre l'Inquisizione. L'intero patrimonio del Santo Uffizio venne confiscato dallo Stato ed i Vescovi ripristinati nella loro antica giurisdizione nelle questioni di fede. Ciò si riferiva però soltanto alla popolazione cattolica. Siccome gli Stati Uniti della Columbia comprendevano l'intero territorio sud-americano, al Nord del Perù, i principi di liberalismo vennero facilmente divulgati e quando con la vittoria di Ayacucho venne liberato anche il dominio del Perù, scomparve l'ultima roccaforte del Governo reazionario della Spagna.

Un resoconto di Francisco Antonio Moreno y Escadon del 1772, descrive le sorti di Nuova Granada sotto le varie correnti politiche della Spagna. Egli descrive la situazione del paese come estremamente precaria. Nella mancanza di qualsiasi industria, tutta la popolazione attendeva aiuti soltanto dal Governo e si verificava una vera e propria ressa per gli impieghi dello Stato.
Lungo le frontiere vivevano milioni di indigeni, sotto la cura dei Frati, mentre il Governo sopportava tutte le spese, notevolmente aumentate dal forte contingente di truppe che si doveva tenere sempre sul posto. I Frati svolgevano la loro attività già da un secolo, senza riuscire in realtà a propagare la Fede, poiché gli indiani, convertiti con la forza, alla prima occasione fuggivano nelle montagne.

Questa invasione della Chiesa non si estendeva esclusivamente al territorio della Nuova Granada, ma arrivava sino a Frito, dove vennero inviati Don José Juan e Don Antonio Mive,. per eseguire delle misurazioni sul territorio dell'equatore. Essi riferirono al Governo che quei paesi si trovavano in uno stato di profonda depravazione.
L'Inquisizione, durante tutta la sua attività, non badò affatto alla terribile decadenza della moralità e si dedicava unicamente a salvare le anime ed a conservare la purezza della Fede. Se il Santo Uffizio si fosse preso la briga di leggere i rapporti scritti, con particolare cura, si sarebbe chiesto se la sua organizzazione, estesa e conservata con tanto sacrificio di mezzi, era all'altezza del suo compito.

 

GLI EBREI PORTOGHESI

Il vero e proprio motivo della fondazione del Santo Uffizio spagnolo fu l'eresia degli ebrei convertiti. E ciò rimase, si può dire, l'unico campo di attività dell'Inquisizione sino a che non incominciò la forzata conversione dei Mori e la conseguente tortura di essi. Quando però all'inizio del secolo XVII i Mori vennero quasi completamente estirpati, scomparvero le cause di questo genere e gli imputati si reclutavano di nuovo per quasi un secolo esclusivamente fra gli ebrei neo-cristiani.

Era stato molto facile, dal 1391 in poi, estorcere con mezzi di violenza la conversione, prospettando agli ebrei l'esilio o la morte, ma nessuno mai pensò alla necessità di far comprendere ed amare la religione cattolica con un'opportuna e diffusa istruzione sulla Fede. Quando poi Ferdinando ed Isabella vennero a sapere che i convertiti erano soltanto nominalmente dei Cristiani, ritennero che l'unico mezzo per ottenere la desiderata unificazione della Fede fosse l'applicazione di un terrorismo spietato.

Quando nel 1492 si iniziarono le condanne all'esilio e il paese si saturò di nuovo con grandi masse di neofiti, il problema dell'istruzione e della conversione sembrava non meno trascurato di quanto lo fosse prima. Il Santo Uffizio attendeva dai convertiti che si istruissero da soli nella loro nuova fede, rafforzandosi con frequenti esercizi spirituali.

Nel 1499 la Suprema ordinò che gli ebrei convertiti prima del 1492 dovessero vivere dispersi e mischiati con la popolazione cristiana, mentre i rimanenti dovevano essere separati dal loro rabbini, vivere appartati nelle città e dar prova della loro devozione frequentando puntualmente i servizi divini.
Un nuovo ordine promulgato dopo il 1500 rese obbligatorio, agli ebrei esiliati che fossero ritornati, di richiedere la fede di battesimo, anche per i loro figli. Essi dovevano osservare meticolosamente i digiuni, frequentare le messe, ed i bambini al di sopra dei sei anni dovevano conoscere le Quattro Orazioni, i Sette peccati capitali ed il Credo.
Quando la forzata conversione dei Mori aumentò il numero dei falsi cristiani, si tentò di colpire con alcuni ordini le due classi che però si curarono poco di queste vessazioni.

Frattanto l'Inquisizione lavorava indefessa. Nel fervore non osservava molti scrupoli. Ciò si rilevava fra l'altro dalla lettera che il Tribunale di Lerrenâ diresse nel 1540 a tutti i Tribunali spagnoli e portoghesi. Questo Tribunale aveva arrestato ventun persone e ne ricercava ancora tre che si erano date alla fuga, chiedeva ora agli altri Tribunali di rivedere tutti i registri e fare il possibile per catturarli.

Abbiamo già visto in quale modo si compilavano questi registri. Si annotava tutto quanto si sapeva di ciascuna persona e principalmente se vi era o meno affinità tra le loro abitudini e riti religiosi, con quelli antichi degli ebrei. Queste osservazioni venivano poi puntualmente comunicate agli inquisitori. Simili abitudini erano l'astensione dalla carne suina, la separazione dei cibi di latte da quelli di carne, l'osservanza del Sabbat, con cambiamento di biancheria. accensione di candele, l'osservanza dei grandi digiuni ed altre cose del genere che ognuno conosceva e che gli antichi cristiani sorvegliavano permanentemente, per poter adempiere al loro dovere religioso, denunciando immediatamente la minima irregolarità riscontrata. Ciò offriva naturalmente un vasto campo per denunce, arresti e punizioni, particolarmente perché i sistemi dell'Inquisizione rendevano quasi impossibile l'occultazione di queste pratiche ebree.

Uno degli esempi più caratteristici é il caso di Elvira de Campo, avvenuto a Toledo nel 1577. Questa donna derivava da una famiglia di ebrei convertiti ed era moglie di Alonzo de Moya, Notaio di Madride jos, antico cristiano.
Secondo i testi, che si reclutavano in gran parte nel personale di servizio e nei vicini, la donna frequentava le messe, la santa confessione ed esteriormente sembrava un'ottima cristiana. Era cordiale e benefica verso tutti, ma non voleva mangiare la carne di maiale e se questo cibo veniva preparato per la servitù, avvolgeva le mani in panni per evitare di toccarlo, motivando che in seguito ad un mal di gola non sopportava la carne di maiale, che le faceva male, anche annusandone l'odore dalle mani.
Vi era anche qualche poco chiara testimonianza secondo la quale Dona del Campo avrebbe cambiata la biancheria al sabato e in quel giorno si sarebbe astenuta dal lavoro, ma non vi erano sufficienti prove a questo riguardo e così la causa si limitò soltanto all'astensione dal mangiare carne suina.

Nella causa figuravano due principali testimoni, che erano i due garzoni del marito della del Campo, Pedro de Liano ed Alonzo Collados, i quali vivevano nella casa e potevano quindi osservare ogni piccola cosa che vi accadeva. Il Liano depose che una volta parlando col Collados del fatto che la donna aveva immerso nell'acqua una coscia di capretto, lasciandovela tutta una notte, il Collados aveva detto che, secondo la sua opinione, doveva trattarsi di una cerimonia ebraica e che avrebbe desiderato di sapere qualche cosa di certo per poterla denunciare all'Inquisizione, trovandosi in cattivi rapporti con lei.
Viceversa il Collados dinnanzi ai giudici deponeva che non aveva alcun rancore verso la donna la quale lo aveva trattato sempre bene, che la riteneva per buona cristiana, perché frequentava la Messa, non parlava male di nessuno, conduceva una vita ritirata ed era gentile verso chiunque.

Elvira del Campo venne arrestata al principio di Luglio ed il primo dibattimento venne presto tenuto, poiché la donna era in stato interessante ed il suo puerperio iniziatosi il 3 Agosto aveva portato un rinvio di tre mesi. Confessò di non mangiare carne di maiale e disse di astenersene su consiglio medico, avendo contratto qualche malattia dal marito che avrebbe desiderato tenere il segreto.
Fra i dodici testimoni che deponevano contro di lei ne conosceva sei, ma non ebbe la forza di provare che questi le serbavano sentimenti ostili, ad eccezione dei due più sfavorevoli ed un certo Diego Hernandez. Gli altri, in parte ecclesiastici, in parte suoi vicini, deponevano tutti che Dona Elvira era un'ottima cristiana, che adempiva ai suoi doveri religiosi, ossequiante verso gli ecclesiastici e non poteva essere criticata per alcuna mancanza. Evidentemente, di fronte a queste testimonianze contraddittorie, non rimaneva altro, per chiarire la verità, che l'applicazione della tortura. Il supplizio venne applicato due volte, col risultato che la Del Campo confessò quanto segue:
Ella aveva undici anni quando sua madre le disse di non mangiare carne suina e di osservare il Sabbat; ella sapeva benissimo che ciò contrastava con le leggi cattoliche.
Siccome la madre della del Campo era effettivamente morta quando la ragazza aveva undici anni, non poteva esservi dubbio che questa deposizione corrispondesse a verità.
Il giorno seguente i giudici stabilirono che l'astensione dalla carne suina e l'osservazione del Sabbat corrispondevano esattamente alle leggi di Mosé, come la madre della prigioniera aveva detto. Soltanto Elvira non lo aveva menzionato a nessuno, perché suo padre l'avrebbe uccisa e temeva anche molto il marito.

Nonostante il rigore della consulta da fé si trovò uno tra i giudici che votò per la liberazione della poveretta. Gli altri però pretendevano ostinatamente che essa fosse privata dei diritti civili e carcerata. Infine venne condannata a tre anni, ma appena dopo sei mesi, il 3 Giugno 1568, con una nuova deliberazione la sua pena venne commutata in una penitenza spirituale e si provvide alla sua immediata scarcerazione. Ma gli orrori della tortura avevano storpiata la disgraziata donna per tutta la vita e macchiati di un'indelebile vergogna tutti i suoi parenti e discendenti. Non si sa poi che cosa sia avvenuto del bambino che vide la luce durante l'istruttoria, ma probabilmente fu tanto fortunato da morire, anziché dover vivere nell'onta.

Per quanto possa sembrare triviale trattare i particolari di simili torture, tuttavia é necessario entrare in merito, poiché questa era una delle principali questioni che occupavano in quei tempi i giudici di tutti i Tribunali della Spagna. Ci si fa spontaneamente la domanda se questi giudici potessero credere seriamente che questa loro attività fosse svolta per il bene comune e rispettivamente se con ciò potessero salvare l'anima dell'imputato. Tanto é vero che in molte cause la sorte dell'individuo dipendeva dal fatto di essersi astenuto dalla carne suina, di aver adoperato due qualità di pentole e dall'aver cambiato biancheria, nonché dal modo in cui cucinava il pane.

L'eroica resistenza degli ebrei, che uscì vittoriosa sulle infinite miserie della opposizione, dà la misura delle possibilitàdi adattamento e rassegnazione di questo antico popolo. Comunque la continua persecuzione degli ebrei ottenne apparentemente il suo scopo, e diminuì con l'andare del tempo. Valencia aveva una popolazione prevalentemente di convertiti ed in quella città, all'inizio del Secolo XVI, il numero delle torture variava tra le trenta e le quaranta all'anno. Poi venne la forzata conversione dei Mori, che per un periodo aumentò notevolmente il lavoro dei Tribunali. Tra il 1540 e 1543 non fu discussa alcuna causa. Nel 1546 l'Inquisizione riprese di nuovo una maggiore attività e sino al 1562, cioè in sedici anni il numero dei processi ammontava complessivamente a quarantotto. Fra il 1550 e 1560 non furono trattate più di due cause all'anno, ciò che dimostra che gli ebrei avevano cessato quasi completamente di essere presenti nella zona.
Nel distretto di Toledo, compreso Madrid, tra il 1575 e 1590 vi furono in tutto ventitré casi, mentre nel 1565, ad un dibattimento del Tribunale di Sevilia, vennero condannati non meno di settantaquattro imputati, tra i quali non si trovava nemmeno un ebreo. Al Tribunale di Cuenza, nel 1585, vennero condannati venti convertitori mori. La Suprema nel 1558, riconobbe che da alcuni anni si erano verificati pochissimi casi di giudaismo e che erano stati totalmente repressi.

La diminuzione dei casi, a quanto pare, ebbe per conseguenza la mitigazione dei sistemi di repressione, che era forse la manifestazione della speranza che il giudaismo sarebbe lentamente scomparso del tutto. Nel 1567 Papa Pio V, su preghiera di Filippo II autorizzò il Capo Inquisitore Espinoza a mitigare la punizione dei neocristiani di Murcia e di Alcazar, imputati di giudaismo, ma ciò naturalmente non si riferiva alle pene pecuniarie. Don José Soares, Vescovo di Coimbria, dopo il Concilio di Trento, pellegrinò in Palestina e durante il viaggio, a Cipro, incontrò un gruppo di emigranti portoghesi. Egli ottenne da questi informazioni che immediatamente riferì al Tribunale di Llerrena in base alle quali vennero scoperti numerosi casi di giudaismo nell'Estremadura. Questi vennero trattati, come quelli di Murcia, con quella mitezza alla quale Filippo si era deciso, ottenendo anche l'approvazione del Pontefice Gregorio XIII.

Ancora più favorevolmente vennero trattati gli imputati di giudaismo di Ecija, quando, dietro intercessione di Filippo, un Decreto Papale ordinò non soltanto la mitigazione delle sentenza, ma anche la liberazione di tutti i detenuti, in istruttoria, ordinando che né la loro persona, né i loro discendenti, potessero essere macchiati di qualsiasi onta. La situazione migliorò continuamente, cosicché nel 1595 Juan Baptista Perez, Vescovo di Segorde, si sentì annunciare alla Suprema che gli ebrei convertiti, rimasti in Spagna dopo l'esilio del 1492, salvo qualche rara eccezione, erano diventati tutti buoni cristiani e non ricordavano nemmeno più le loro antiche leggi.

Questa dichiarazione però ben presto venne confutata da un nuovo elemento che diede per più d'un secolo e mezzo una nuova base all'attività dell'Inquisizione. Questo nuovo elemento era costituito dall'occupazione del Portogallo, avvenuta nel 1580. Sebbene l'unione dei due reami fosse piuttosto dinastica e ciascuno di essi avesse conservata la propria autonomia, le facilitazioni delle comunicazioni fecero sì che dal paese più povero molti emigrassero in quello più ricco. Questi immigrati non dovettero soffrire del rigore dell'Inquisizione, come i loro confratelli spagnoli, e la maggior parte di essi era segretamente rimasta ebrea. Siccome questa gente aveva dato nuovo impulso all'attività dell'Inquisizione, particolarmente dopo l'oppressione del protestantesimo e dopo l'espulsione dei Mori convertiti, e poiché a quanto pare essi avevano avuta una parte importante tra gli ebrei della Spagna, é interessante rivedere brevemente la strana storia dell'Inquisizione portoghese nelle epoche precedenti. Inoltre é necessario avere una chiara idea dei rapporti dei neo-cristiani con la Santa Sede.

Ai tempi di Papa Giovanni II grandi masse di Ebrei emigrarono dalla Spagna nel Portogallo, dove Re Manuel, quando salì al Trono, nel 1495, li trattò molto bene. Quando però sposò Isabella, figlia di Ferdinando ed Isabella, nel contratto di matrimonio vi era una condizione che gli imponeva di esiliare tutti i fuggiaschi che erano stati condannati dall'Inquisizione spagnola ed in quest'opera di espulsione fu validamente aiutato dal suo confessore Fra' Jorie Vogado. Questi ottenne la promulgazione di un ordine generale di espulsione, che fece eccezione soltanto dei bambini al di sotto dei quattordici anni, imponendo però la loro separazione dai genitori.
Questa disposizione provocò la massima confusione, poiché gli ebrei avrebbero preferito di uccidere i loro figli prima di affidare la loro educazione a dei cristiani. Con diversi pretesti però venne ritardato l'allontanamento dei condannati all'esilio, sino a che venne loro presentata l'alternativa della schiavitù o della conversione.

Questo procedimento venne mitigato da Manuel, con un nuovo ordine, promulgato il 30 Maggio 1497, con cui le persecuzioni vennero sospese per vent'anni; venne inoltre disposto che ogni accusa dovesse essere portata in sede di dibattimento, non più tardi di venti giorni dopo la denuncia, che il procedimento a carico di questi imputati fosse quello normale ed infine che le confische patrimoniali non danneggiassero gli eredi. Il Sovrano fece anche solenne promessa che nella legislazione non li avrebbe considerati come una razza inferiore.
Queste facilitazioni però cessarono ben presto poiché gli editti promulgati il 21 e 22 Aprile 1399 vietarono ai convertiti di abbandonare il Regno senza un permesso del Sovrano, di cambiare domicilio o di vendere le terre. Questi provvedimenti suscitarono grande eccitamento nella popolazione, eccitamento che culminò nel 1506 nei famigerati massacri di Lisbona. nel 1507 vennero riattivate le leggi miti del 1499.
Venne permesso ai neocristiani di esercitare qualsiasi industria, di viaggiare liberamente ed in generale vennero considerati uniti ed equiparati al resto della popolazione.
Nel 1512 fu stabilito che tali facilitazioni non fossero modificate fino al 1534, ma ciononostante nel 1515 Don Manuel chiese da Papa Leone X l'introduzione dell'Inquisizione. Sino alla morte di Manuel, avvenuta nel 1521, i neo-cristiani vissero in relativa tranquillità. Si arricchirono, si moltiplicarono, contrassero matrimoni con le famiglie più distinte e frequentarono le chiese. Esteriormente la loro devozione religiosa era ineccepibile ed il Portogallo poco a poco divenne il paradiso dei convertiti.

Il successore di Manuel, Giovanni II, ventenne, fanatico, e di intelligenza limitata, cedendo alle pressioni dei suoi consiglieri, tra 11 1522 ed il 1524, introdusse delle restrizioni alle prerogative e privilegi dei convertiti, concessi dal suo predecessore. La pressione degli ecclesiastici ed il pregiudizio del popolino divennero ben presto evidenti e nel 1524 le segrete indagini dei sacerdoti portarono alla rivelazione che i convertiti non erano che nominalmente cristiani. Il matrimonio di Giovanni con Caterina, sorella di Carlo V, celebrato nel 1525 fu pure di grande influenza sulla politica religiosa del Sovrano.
Del resto é questa l'unica Regina del Portogallo che abbia avuto il diritto di partecipare al Consiglio di Stato. La tendenza di convertire si rafforzava sempre più e, nel 1531, il dottor Bras Neto, legato portoghese alla Santa Sede, ricevette da Clemente VII la segreta disposizione di fondare nel Portogallo l'Inquisizione sull'esempio spagnolo.

Abbiamo visto che nella Spagna la Santa Sede esercitava un controllo non indifferente sulla vita ecclesiastica e politica ed era partecipe delle confische; forse ciò spiega la riluttanza con la quale il Sovrano portoghese resistette, fino al 17 Dicembre, alle pressioni di Roma, quando con un laconico decreto venne nominato Capo Inquisitore Fra' Diego de Silva. Un altro decreto del 13 Gennaio 1532 invitava il Prelato ad occupare immediatamente la sua nuova carica. Entrambi i decreti arrivarono nel Febbraio a Lisbona, ma a quanto pare le autorità temevano che la pubblicazione di essi provocasse l'emigrazione in massa di tutti i neocristiani, e perciò i decreti non vennero promulgati, sino a che con alcune leggi vennero riconfermate le disposizioni dell'Editto del 1499 che vietava ai convertiti di abbandonare il territorio del Regno, di vendere terre e di mutare domicilio. Ma queste leggi vennero promulgate con ritardo ed anche dopo seguì un periodo di stasi che si può spiegare soltanto col fatto che gli interessati non lesinarono il loro denaro, né a Lisbona, né a Roma.

I neo cristiani avevano subodorato il pericolo che li minacciava, pericolo che del resto non era minore per lo Stato, dato che quasi tutti i capitali, le industrie ed il commercio del paese si trovavano tra le mani di essi. Vi era un Legato Reale del Portogallo a Roma, Duarte da Paz, un convertito di grande coltura, audace ed energico, il quale per più di dieci anni fu l'agente dei suoi compagni di fede, a Roma.
Nel Settembre del 1532 Marco della Rovere, Vescovo di Sinigaglia venne inviato come Nunzio nel Portogallo, ma anch'egli ben presto venne comperato dai neocristiani, i quali probabilmente nello stesso modo conquistarono alla loro causa anche Fra' Diego de Silva, il quale però complicò la faccenda, rifiutando di accettare la carica di Capo inquisitore.
La confusione aumentò quando, il 17 Ottobre, Papa Clemente VII improvvisamente ammonì non soltanto Silva, ma anche tutti gli altri Vescovi, vietando loro di procedere col mezzo dell'Inquisizione contro i neocristiani.

Come abbiamo potuto osservare nella Spagna, la Santa Sede comprese che si trattava di una classe eretica molto benestante e numerosa, alla quale avrebbe potuto porgere difesa in cambio di denaro, per poi abbandonarli e poter trarre nuovi vantaggi dal terrore e dal timore dei patimenti. Questa speculazione sul terrore era tanto più redditizia nel Portogallo, poiché si trattava di un Reame piccolo e debole che non meritava tanto riguardo come la Spagna. Inoltre Giovanni III era un uomo ben diverso da Ferdinando e Carlo V e chiedeva egli stesso con insistenza l'istituzione del Santo Uffizio portoghese, rendendo superfluo il doppio gioco della Santa Sede. Anzi in quei tempi la Santa Sede trattava la questione con assai più mitezza che non il Sovrano stesso e Giovanni, più di una volta, rimproverò a Clemente VII ed al Consiglio dei Cardinali di aver ritardata l'introduzione dell'Inquisizione.

I rimproveri di Re Giovanni erano tanto più giustificati, perchè Papa Clemente, nel 1533, con un decreto, promise la grazia a tutti i condannati. Il Sovrano fece di tutto per impedire l'esecuzione di tale decreto. Egli si rifiutò anche apertamente di attuarlo, ma il Cardinale Pucci « Patrono del Portogallo » promise di modificare il decreto se il Sovrano avesse estorto venti o trentamila ducati dai neocristiani, dividendo questo importo con la Santa Sede. Il disappunto del Sovrano venne aumentato ancora dal fatto che il Legato Portoghese a Roma, Henrique de Menesses, lo informò che dalla Santa Sede nulla si poteva ottenere senza denaro, poiché a Roma non vi era bisogno che di quello e che Papa Clemente era poco soddisfatto di Giovanni, poiché non aveva ancora ricevuto nulla da lui. Clemente che si avvicinava alla fine della sua vita ordinò che il suo Nunzio debellasse ogni resistenza all'ordine di grazia e vietasse rigorosamente qualsiasi persecuzione di eretici.

Papa Clemente morì il 25 Settembre 1534 e la lotta si rinnovò sotto Paolo III, il quale affidò la questione ad una commissione e nel frattempo sospese il decreto di grazia. Ordinò tuttavia che cessassero tutte le persecuzioni, poiché era avviata l'organizzazione di una regolare Inquisizione ecclesiastica. La commissione decise per il decreto di grazia e per una moderata Inquisizione. Giovanni non attese questa soluzione e sorse una lunga discussione, durante la quale il Nunzio, della Rovere, stipulò un contratto con i neo-cristiani, il 24 aprile 1535.
Secondo il contratto i neo-cristiani dovevano pagare trentamila ducati a Papa Paolo III, il quale da parte sua doveva vietare l'Inquisizione e limitare la giurisdizione dei Vescovi, ma anche questi dovevano svolgere le istruttorie secondo le norme del regolare procedimento giudiziario. I neo-cristiani inoltre promisero altre somme inferiori per certe piccole concessioni. La Santa Sede si affaticava a mantenere onestamente, i propri impegni e fece varie proposte a Giovanni, il quale però le respinse tutte. Il 13 Novembre 1535 venne pubblicata solennemente a Roma una Bolla papale, che rinnovava il decreto di grazia, dichiarava nulla ogni istruttoria, ordinava la liberazione dei carcerati, la restituzione dei beni, la sospensione delle confische e vietava qualsiasi persecuzione per mancanze del passato. La Santa Sede forzò l'applicazione di questa bolla pubblicandola e diffondendola per tutto il paese.

Roma credette di aver adempiuto con ciò ai propri impegni, ma i neo-cristiani erano d'altro avviso. Rifiutarono di pagare l'intero importo ed infine il della Rovere non poté, o per lo meno disse di non potere, riscuotere più di cinquemila ducati.
In quel tempo Carlo V si tratteneva a Roma per festeggiare la
vittoria di Tunisi ed intervenne presso la Santa Sede per appoggiare le richieste di suo cognato. Il risultato fu che, il 23 Maggio 1536, una Bolla Papale ordinava la fondazione del Santo Uffizio nel Portogallo, sul tipo di quello spagnolo, con la differenza che per tre anni l'Inquisizione portoghese doveva giudicare in base alle leggi civili e per dieci anni non si dovevano toccare nelle confische le parti spettanti agli eredi diretti. La Santa Sede delegò come Capo Inquisitore Diego de Silva ed il Sovrano ottenne la facoltà di delegare un altro Capo Inquisitore, accanto al Silva. Il de Silva venne solennemente insediato, nella sua carica, il 5 Ottobre, e la Bolla Papale venne pubblicata il 22 dello stesso mese.

Tuttavia pare che questo improvviso rigore del Vaticano dovesse servire soltanto come lezione, ai neo-cristiani, per l'economia malamente applicata, poiché una Pastorale del Pontefice, diretta il 9 Gennaio 1537, al nuovo Nunzio portoghese, Girolamo Recanti Capodiferro, dava il diritto di ricorrere al Nunzio, il quale venne inoltre autorizzato a togliere le istruttorie ad un Tribunale per assegnarle ad un altro, o a sospenderle del tutto, mentre una Bolla supplementare del 7 Febbraio lo autorizzava persino a sospendere l'Inquisizione.
Queste disposizioni del Vaticano stimolarono i neocristiani ad estorcere la sospensione della legge che vietava l'emigrazione e queste tendenze vennero ancora più appoggiate dalla Pastorale del 31 Agosto, che invitava tutti coloro che volevano abbandonare il paese a rivolgersi a Roma. Questi ricorsi significavano un notevole introito per la Santa Sede la quale per determinati importi impartiva l'assoluzione ai postulanti. I Tribunali naturalmente facevano di tutto per impedire questo traffico, ma Roma aveva tutto l'interesse ad appianare le vie per l'affluenza dell'oro.
Capodiferro era corruttibile, come il suo predecessore e sfruttò nella massima misura il proprio potere, impartendo assoluzioni e concedendo la grazia talvolta anche per somme non molto rilevanti. Re Giovanni in una lettera diretta al Papa, il 4 Agosto 1539, richiamava l'attenzione del Pontefice sullo scandaloso atteggiamento del suo Legato, dicendo che in seguito a ciò gli ebrei si sentivano talmente sicuri da non curarsi nemmeno più di occultare le proprie mancanze.

Nello stesso tempo il Sovrano chiedeva il richiamo del Nunzio, proponendo al Papa, come secondo Capo Inquisitore, suo fratello Don Henrique, un giovane di ventisette anni, il quale era Cardinale Arcivescovo di Braga; egli rinunciò alla carica e divenne Capo Inquisitore, mentre Diego de Silva rinunciando al suo seggio di Inquisitore Capo assunse la Sede Arcivescovile di Braga. Don Henrique rimase quindi da solo Capo Inquisitore del Portogallo, fino alla sua morte avvenuta nel 1580. Tuttavia il Sovrano poté raggiungere ben poco con questa mossa, poiché Capodiferro seguitò a trattare con la massima insolenza Henrique, mettendo persino in dubbio i suoi diritti, tanto più che Paolo III gli aveva negato la conferma nella carica.
Nello stesso tempo però il Pontefice voleva favorire anche Re Giovanni, promettendogli che avrebbe richiamato Capodiferro per per il 1° Novembre. D'altra parte, essendo prossima la scadenza dei tre anni in cui le persecuzioni erano limitate alle leggi civili, accolse anche la domanda dei neo-cristiani e colla Bolla « Pastori Aeterni » del 12 Ottobre 1539, modificò sotto vari aspetti il procedimento inquisitoriale, limitando così le possibilità di commettere ingiustizie.

Nello stesso tempo la Santa Sede rese possibile, su larga base, di poter inoltrare i ricorsi a Roma. In questa Bolla c'era pure il paragrafo che imponeva che i nomi dei testi dovessero essere rivelati soltanto se essi non fossero minacciati da alcun pericolo. I neo-cristiani corruppero il corriere papale e così la Bolla poté essere pubblicata soltanto il 1° Dicembre a Lisboa. Capodiferro ritardò la propria partenza sino al 15 Dicembre, poi si allontanò improvvisamente da Lisboa, senza darne avviso a nessuno, perché, come più tardi riferì il Legato portoghese Mascaranhas, i neo-cristiani non erano disposti a versargli la cifra da lui richiesta per restare più a lungo.
Il Mascaranhas aggiunse anche che, secondo il suo parere, il Papa non era estraneo a queste manovre, ciò che non é improbabile, poiché il Pontefice accolse molto cordialmente Capodiferro. Lo nominò assieme a della Rovere, relatore degli affari dell'Inquisizione portoghese e più tardi promosse anche il Capodiferro che probabilmente raggiunse la porpora.

Tuttavia la sua nunziatura non portò alla Santa Sede i risultati attesi, poiché durante il viaggio perdette quindicimila cruzados e probabilmente aveva portato con se una cifra poco superiore. Quando era giunto nel Portogallo aveva chiesto diecimila cruzados ai neocristiani, i quali pagarono poi milleottocento cruzados all'anno oltre alle tasse per le lettere di grazia. Una simile funzione dunque non era poco proficua. Infatti Papa Giulio, nel 1554, in un momento di distrazione aveva dichiarato, in presenza del Legato portoghese, che i nunzi venivano inviati nel Portogallo, perché potessero procurarsi un patrimonio in compenso di precedenti meriti.

Dopo il ritorno di Capodiferro, Paolo III fece riposare per due anni la questione portoghese ed anche Re Giovanni si mostrò perfettamente calmo. Le limitazioni imposte per la durata di tre anni erano oramai sospese e la Bolla « "Pastoris Aeterni » non venne pubblicata. L'Inquisizione poté dunque iniziare una piena attività, che cominciò ad avvicinarsi a quella spagnola: Il primo « auto da fé » venne tenuto a Lisboa il 20 Settembre 1540 e vi vennero giudicati con la massima crudeltà, ventitré imputati. Seguirono con molta frequenza altri « auto da fé ».
Il 2 Dicembre 1541, Cristoval de Sousa, Legato portoghese, riferì da Roma che i neo-cristiani avevano ripreso il lavorio per ottenere l'inviò di un nuovo Nunzio e che il Papa era favorevole a questa richiesta. I neo-cristiani offersero otto o diecimila cruzados al Papa e duecentocinquanta cruzados mensili al Nunzio. Poco tempo dopo il Sovrano scrisse una lettera talmente insolente al Pontefice che quest'ultimo uscì dai gangheri e si pose a passeggiare nervosamente per le sue stanze, facendosi il segno della croce e dicendo che ciò era opera del diavolo.

Un improvviso avvenimento troncò le ulteriori trattative. Miguel de Silva, Vescovo di Viseu e Ministro di Giovanni era un uomo colto. Durante il papato di Leone X egli era stato Legato portoghese a Roma e vi aveva stretto cordiale amicizia coi futuri Papi Clemente VII e Paolo III, perciò perdette i favori della Corte e poco mancò che non venisse, arrestato, ma riuscì a riparare in Italia. Re Giovanni tentò con lettere adulatrici di farlo ritornare, ma il Silva non si fidò, sapendo che il Sovrano aveva incaricato dei bravi di seguirlo ed ucciderlo. Papa Paolo con nulla avrebbe potuto mortificare maggiormente il Re con la nomina del Silva a Cardinale; così avvenne che de Silva ottenne la porpora il 2 Dicembre 1541.
La furia di Giovanni non conobbe limiti. Immediatamente privò il nuovo Cardinale, non soltanto delle sue cariche e rendite del Portogallo, ma finanche dei diritti di cittadino. Inoltre il 24 Gennaio 1542 inviò per mezzo di un corriere speciale, un ordine perentorio al Legato Souso di ritornare immediatamente in Portogallo non appena avesse presentata la lettera di richiamo. A questo punto Roma cominciò a preoccuparsi che il Portogallo volesse sottrarsi dalla cerchia di potenza della Santa Sede.

Comunque questi avvenimenti privarono i neo-cristiani dell'aiuto atteso da Roma e permisero ad Henrique di poter sfruttare pienamente il suo potere di Capo Inquisitore. Egli non tardò ad istituire sei Corti Marziali a Lisboa, ad Evora, a Coimbra, a Lamego, a Porto ed a Thomar, delle quali le prime tre rimasero permanenti, mentre le altre, a poco a poco, divennero superflue. Paolo III però insisté ostinatamente per inviare un altro Nunzio nel Portogallo e nominò a questa carica Luigi Lippomano, Vicario Vescovile di Bergamo. Da una lettera datata il 18 Maggio 1542, di Diego Fernandez, inviato dei neo-cristiani a Roma, risulta con quale ansia questi attendessero l'arrivo del nuovo Nunzio, e d'altra parte la missiva getta un poco di luce sui rapporti che correvano tra neo-cristiani e Santa Sede.

Il Fernandez attendeva il denaro per poter versare mille crozados al nuovo Nunzio, sebbene avesse avuto ordine di non liquidare l'importo prima che il prelato fosse partito da Roma. Il Fernandez scriveva apertamente che a Roma tutti facevano chiasso per ottenere denaro, al punto che egli non sapeva più che cosa fare. Doveva pagare centoquaranta cruzados per ciascuno per la grazia che era stata concessa a Pedro de Noronha ed a Maria Thomas ed allegava alla lettera gli atti di grazia, chiedendo l'immediato invio di questo importo. Lo stesso Fernandez in un'altra lettera sollecitò di nuovo l'invio del danaro, mentre in una terza informava che la Santa Sede lo aveva invitato a versare immediatamente i mille cruzados al Nunzio. Non gli rimaneva quindi altro da fare che procurarsi a Roma un prestito e quindi implorava dai suoi fratelli di razza che inviassero subito l'importo, altrimenti sarebbe stato vano ogni tentativo e sarebbero andati perduti tutti gli sforzi compiuti, a grave danno dei neo-cristiani, tanto più che il Santo Padre aveva messo in vista un decreto generale di grazia.

Re Giovanni scrisse al Pippomano di non venire; tuttavia il Nunzio partì e già nell'Agosto giungeva nell'Aragona, dove ebbe un vivace alterco col Tesoriere portoghese che gli era stato mandato incontro per impedirgli la prosecuzione del viaggio. Il Tesoriere era minutamente informato del pagamento dei mille cruzados e del salario mensile pattuito dal Nunzio, il quale però finse di cadere dalle nuvole. Il Tesoriere gli rinfacciò inoltre di aver rilevato, da qualche lettera confiscata, che il Cardinale Silva percepiva mensilmente duecentocinquanta cruzados, come protettore degli ebrei. Tuttavia il tesoriere non riuscì ad impedire che il Nunzio proseguisse e non poté far altro che scrivere un rapporto al Re. Il Re non era disposto a transigere. sulla questione e quando seppe che il Lippomano era giunto già nella Castiglia, gli scrisse personalmente di non proseguire, fino a che non avesse avuto nuovi ordini dal Pontefice. Nello stesso tempo scrisse al Papa, invitandolo, in tono energico, a rinunciare all'invio del Nunzio.

Il Lippomano si era sforzato di dimostrare al Tesoriere portoghese di non essere venuto per impedire il funzionamento dell'Inquisizione, ma unicamente per controllare se i giudici procedevano rettamente, per poter avvisare in caso contrario il Papa, affinché provvedesse ai passi opportuni. Le segrete istruzioni ottenute dalla Santa Sede erano però ben diverse. Gli era stato detto di assumere, senza esitare, un atteggiamento energico, nel Portogallo che, secondo le informazioni della Santa Sede, era avviato verso la completa rovina e che il Re era impotente a fronteggiare gli avvenimenti, oppresso da debiti, all'interno ed all'estero, ed era completamente disprezzato dal suo popolo, perché caduto sotto l'influenza di volgari avventurieri. I suoi rapporti con la Francia e con l'Imperatore erano assai tesi. Per quanto riguardava l'Infante Henrique, il Nunzio era stato istruito che, se non fosse stato possibile privarlo della carica di Capo Inquisitore, doveva almeno indurlo a chiedere l'assoluzione per i suoi peccati del passato; quanto all'Inquisizione, la Santa Sede riteneva che fosse cosa assolutamente sacra e che la giurisdizione fosse da affidarsi esclusivamente ai Vescovi.

Il Nunzio aveva avuto autorizzazione di procedere in questo senso e non appena insediato doveva rendere note queste disposizioni perché gli interessati potessero prenderne atto. Nello stesso tempo però aveva la facoltà di rilasciare lettere di grazia, contro adeguato compenso e sebbene il prezzo di tale concessione non fosse elevato, la somma annua era rilevante poiché il Nunzio nel periodo della sua attività ne rilasciò non meno di cinquantamila. Dietro sollecitazioni di Capodiferro la Bolla del 13 Novembre 1539 doveva essere pubblicata senza preventiva consultazione del Sovrano ed a Henrique bisognava imporre di procedere in quel senso. Al Lippomano venne detto a Roma che nel Portogallo avrebbe dovuto sopportare ogni sorta di pressioni, ma che di fronte a ciò egli avrebbe dovuto far sentire che aveva la facoltà di sospendere tutta l'istituzione.

Comunque si giudici l'opposizione di Re Giovanni a lasciare entrare il Nunzio in Portogallo, questo non ci deve stupire poiché il Sovrano non poteva a meno di rendersi conto che l'inviato Pontificio non veniva che per minare la sua autorità e per intralciare i suoi piani.
Da una lettera del Dicembre scritta dal Capo dei neo-cristiani al loro agente di Roma, alla quale erano allegati duemila cruzados, si rivela che i convertiti attendevano con la massima ansia l'arrivo del Nunzio che doveva significare la loro salvezza. Invano spendevano i loro danari per lettere di grazia quando nessuno ne riconosceva la validità. Essi dovevano essere disperati poiché l'Inquisizione funzionava con la massima crudeltà. Nel 1542 venne tenuto un « auto da fé » a Lisboa con più di cento imputati fra i quali venti ne vennero assolti mentre i rimanenti su proposta di Joao de Mello furono trattenuti in carcere e torturati.

Herculano descrive dei particolari terrificanti dell'Inquisizione portoghese che per nulla rimase inferiore alle terribili atrocità praticate a sua tempo dai tribunali di Spagna.
Sebbene Giovanni ignorasse le disposizioni impartite al Nunzio tuttavia continuò a negargli il permesso di varcare la frontiera, fino a che non avesse ricevuta risposta dal Papa alla sua lettera del 18 Settembre. La risposta tardava ad arrivare ed il Lippamana invano si lamentava che offendeva l'autorità della Santa Sede il fatto che il Nunzio dovesse passare da un'osteria all'altra. Per un pezzo si trattenne a Salamanca e poi in base ad una falsa notizia secondo la quale gli sarebbe stata concessa l'entrata in Portogallo si recò a Badajos, ma qui vi trovò le parte chiuse e fu costretto a vagare per dei mesi nei dintorni. Intanto Francisco Batelha che aveva recato la lettera di Giovanni a Roma continuò le sue trattative col Santo Padre. Il papa si sforzò di convincerlo che la missione di Lippamana era limitata ad un controllo passivo. Infine si accordarono che il Nunzio si sarebbe astenuto da ogni ingerenza negli affari di Stato del Portagallo.
A questo riguardo il Pontefice rilasciò una Pastorale che venne spedita sollecitamente da Roma, tuttavia non doveva arrivare nel Portogallo prima dell'inizio del 1543 poiché Giovanni ne fa menzione soltanto in una sua lettera del 2 Marzo esprimendo la sua piena soddisfazione per la sistemazione dei rapporti, nonché la speranza che il Papa avrebbe mantenuta le sue promesse.

Il Lippomana che in questa modo veniva privata da ogni patere e di conseguenza non poteva avere più speranza di utili materiali attendeva can ansia il suo richiamo, ma non gli venne permessa di ritornare prima del 1544. Egli aveva dovuto obbedire alle nuove istruzioni attenute ed effettivamente si astenne dall'appoggiare in alcun moda i neo-cristiani.
Questa condiscendenza del Papa può essere spiegata forse col fatto che nel 1543 era in discussione un patto secondo il quale, per mezzo del Cardinale di Burgos venne proposto a Giovanni che il Papa avrebbe concesso l'Inquisizione in Portogallo su modello Castigliano per alcuni anni, se la metà degli introiti delle confische fosse stata versata al Vaticano.

Il sacrificare dei neo-cristiani con simile sangue freddo dimostra che la protezione loro accordata non era che un semplice affare e corrispondeva esattamente all'idea che Re Giovanni si era fatta della questione. Il Sovrano si dichiarò d'accordo con quel patto soltanto a condizione che la partecipazione del Vaticano fosse ridotta ad un terzo delle entrate, e questa solamente per tre anni.
L'affare andò a monte, ma a Roma era grande il timore
che il Portogallo seguisse l'esempio dell'Inghilterra e si tentò di conciliare Giovanni offrendo il cappello Cardinalizio all'Infante Henrique. Il Re rispose svogliatamente che quando aveva chiesto la Porpora per suo fratello il Pontefice l'aveva concessa a de Silva e che oramai tutta la questione non aveva più importanza, tuttavia finì per dare il suo consenso e nel Dicembre 1545 Henrique ottenne la Porpora.

L'Inquisizione portoghese era stata anche appoggiata da un altro lato. Balthasar de Faria, Legato portoghese per mezzo dell'Arcivescovo di Parigi era in grado di prendere visione delle lettere che dalla Corte Papale venivano inviate ai neo-cristiani. Da una lettera del Legato del 18 Febbraio 1544 risulta che il Papa era molto avvilito per le continue pressioni delle due parti avversarie e per esser stato costretto a cambiare ogni momento le sue decisioni a seconda delle domande che arrivavano alla Santa Sede. Naturalmente di ciò venne informato anche Henrique perché potesse considerare al loro reale valore le grazie Papali e renderle inefficaci. Era questa una continua guerriglia.

Questa sorda ostilità ben presto portò ad un aperto conflitto in cui vennero a misurarsi le forze opposte. Paolo III aveva deciso di mandare nuovamente un Nunzio al Portogallo col compito di ottenere dal Re la restituzione delle prebende del Cardinale de Silva e di moderare nel contempo la violenza dell'Inquisizione. Per questa missione il Pontefice scelse Giovanni Ricci da Montepulciano, nominandolo nel contempo Arcivescovo di Siponto. Il Faria si vantava di essere riuscito ad impedire la partenza del Nunzio fino a che il Re fosse informato di questo avvenimento, tuttavia il Ricci partì il 17 Luglio 1544. Egli viaggiava comodamente e con molta lentezza per modo che soltanto il 5 Novembre fu a Valladolid, dove lo attendeva Cristoval de Castro con la lettera del Sovrano che gli vietava di varcare la frontiera. Il Ricci però riuscì a convincere. il de Castro che nelle istruzioni ricevute non vi era parola di Silva o dell'Inquisizione, quindi la sua missione non poteva offendere in alcun modo il Sovrano.

L'abile Prelato effettivamente ottenne che il Re a questi patti gli concedesse l'entrata nel paese. Prima però che il corriere fosse partito con questa concessione, Lippomano che era ancora Nunzio ricevette e fece affiggere sulle porte delle chiese una lettera del Pontefice, del 22 Settembre, con cui il Santo Padre vietava a tutti gli inquisitori e giudici ecclesiastici di dare esecuzione alle sentenze pronunciate a carico dei neo-cristiani, e pronunciare nuove sentenze fino a che il Ricci non fosse arrivato. Una copia di questo messaggio venne inviata a de Castro perché giustificasse dinanzi alla Corte spagnola il divieto di entrare nel Portogallo fatto al Ricci, fino a che Re Giovanni non avesse ottenuto risposta alle sue lettere con le quali chiedeva spiegazioni e riparazioni. Cionondimeno la lettera papale ebbe il suo effetto poiché dal Giugno del 1544 al 1548 non si tenne alcun « auto da fé ».

Re Giovanni ottenne nello stesso mese dal Cardinale Sforza la risposta con la promessa che se il Re avesse permesso al Nunzio di entrare nel paese il Papa sarebbe stato disposto ad accondiscendere a tutti i suoi desideri relativi all'Inquisizione. Il Re ricevette la lettera nell'Agosto e rispose immediatamente che in base alle promesse del Cardinale concedeva al Nunzio di varcare la frontiera. Il Ricci però era ammalato e poté arrivare in Portogallo soltanto il 9 Settembre. Il Papa cercò la possibilità di un compromesso ed offrì di revocare la lettera del 22 Settembre 1544 affidando tutto al Sovrano.
Il Nunzio però non era disposto a uniformarsi alla promessa di Sforza e perciò il 18 Gennaio 1546 venne richiamato e nel contempo gli fu vietato di procedere in qualunque modo contro l'Inquisizione. Ciononostante Re Giovanni era disposto a concedergli la revisione degli atti di quattro o cinque cause svoltesi al Tribunale dell'Inquisizione e di chiamare a risponderne i relativi inquisitori.

Il primo caso era quello che si riferiva ad un settuagenario gettato al rogo qualche anno prima. Quest'uomo a suo tempo era stato convertito forzatamente e durante l'istruttoria, sotto le torture confessò più di quanto contenesse l'atto di accusa. Naturalmente, contemporaneamente alla deposizione implorò la grazia. Il Ricci interrogò l'inquisitore Joaode Molle chiedendogli perché avesse fatto gettare al rogo quell'uomo sebbene non si trattasse di un recidivo. Il Mello rispose che il pentimento dell'imputato era soltanto simulato. Ricci chiese allora dipoter mandare una copia degli atti a Roma ciò che gli venne promesso, ma non mantenuto. Il Ricci naturalmente mandò a Roma una relazione sfavorevole sull'Inquisizione e richiamò l'attenzione del Sovrano alla Pastorale del 1536 con cui veniva fondata l'Inquisizione per dieci anni avvertendolo che questo termine era scaduto. Per condiscendenza prolungò questo termine per un anno esigendo però che durante questo tempo venisse regolata la questione dei neocristiani sia con una grazia generale sia con l'espulsione dal paese.

Si può vivamente immaginare che in una simile crisi non venisse risparmiato l'oro dei neo-cristiani né a Lisbona né a Roma. Re Giovanni sentiva che gli avvenimenti erano arrivati ad una svolta decisiva. Egli non era stato avaro quando i suoi legati lo avevano sollecitato ad essere generoso verso i Cardinali. Il Cardinale Farnese, nipote prediletto di Paolo III che era il membro più influente dei Santo Collegio, riceveva da lui una rendita annua di tremiladuecento cruzados.
Paolo III non era meno avido di denaro del suo predecessore e Re Giovanni, quando nel 1551 ottenne un avvertimento da Roma che sarebbe stato opportuno mandare un regalo al Papa gli mandò un diamante valutato a centomila cruzados. A Paolo piacque enormemente il regalo; dichiarò subito che lo considerava come pegno d'amicizia, e trovò modo di far sapere a Lisbona, poco tempo dopo, che avrebbe gradito di tempo in tempo qualche omaggio del genere.
Giovanni che allora era poco soddisfatto del Papa non rispose nemmeno, ma gli rese noto che se avesse nominato Henrique Legato Pontificio a vita gli avrebbe dato un segno della sua riconoscenza. Il Papa effettivamente nel 1553 nominò Henrique come il Re desiderava e quest'ultimo nel 1554 gli inviò un preziosissimo monile.

Nel 1546 Re Giovanni aveva avuto un'ottima idea; aveva scritto a Balthasar de Faria che se la Santa Sede avesse permesso il ripristino della libera Inquisizione egli avrebbe ceduto al Cardinale Fanese l'amministrazione e le prebende dell'Arcivescovado di Viseu, tolte al Cardinal de Silva. Questa proposta seducente sopiva gli scrupoli di Papa Paolo sia verso l'Onnipotente sia dal punto di vista della sua amicizia per Silva.

La Santa Sede era già contaminata dal nepotismo e dall'ingordigia, tuttavia nella sua storia si riscontrano pochi sacrilegi più ripugnanti di questo. Paolo d'altra parte cercava ancora sempre di mantenere l'apparenza della correttezza in questo tradimento dei neo-cristiani e condiscese alla loro domanda di impartire una grazia generale per i peccati commessi, che fosse dato un termine a coloro che intendevano emigrare dal Portogallo. Giovanni da parte sua, tentò pure di sfruttare la situazione ed incominciò un lungo tergiversare che durò per tutto il 1546 e 1547. In questo frattempo le parti giocavano d'astuzia.
La questione venne complicata dal fatto che Re Giovanni ritardava la consegna delle sequestrate prebende di Viseu. Intervenne persino Ignazio di Loyola, due membri del Sinodo di Trento e Balthasar Limpo, Vescovo di Porto. Quest'ultimo era un onesto fanatico che si era molto indignato quando aveva appreso che in segretezza era stato rilasciato un salvacondotto ai neo-cristiani perché potessero recarsi in Italia e che per di più, il documento concedeva ad essi di professare liberamente la loro fede.
Questa gente, secondo il Vescovo, sebbene battezzata dopo la nascita, non appena arrivata in Italia era ritornata all'antica fede ebraica. Gli uomini si erano fatti circoncidere ed innanzi agli occhi del Papa avevano affollato le sinagoghe, tanto che si era diffusa la voce che il Papa stesso avesse auspicata l'immigrazione di questo elemento perché la sua abilità ed intelligenza lavorasse a favore dell'Italia.

Nella primavera del 1547 sembrava che la questione si avvicinasse alla risoluzione poiché man mano vennero rilasciate le Pastorali e l' 11 Maggio apparve il decreto di grazia generale che ordinava la liberazione dei carcerati, la restituzione dei beni confiscati ed il ripristino dei privilegi. Di fronte a ciò, un'altra pastorale del 1° Luglio informò il Cardinale Henrique che il Papa aveva permessa l'Inquisizione investendolo dei pieni poteri per qualsiasi procedimento. Una lettera datata dal 5 Luglio informò Re Giovanni che il latore della lettera, Giovanni Ugolino, nipote del defunto Cardinale Santiquatro, avrebbe portata seco la Bolla dell'Inquisizione, ma che egli non contempo aveva il dovere di controllare l'operato degli inquisitori affinché questi non abusassero del loro potere.
Ugolino aveva anche l'autorizzazione di prendere in consegna per conto del Cardinale Farnese il Seggio Arcivescovile di Viseu con tutte le prebende di Silva. Il 15 Luglio apparvero due Pastorali delle quali una nominò Farnese amministratore e beneficiario a vita dell'Arcivescovado di Viseu, mentre con l'altra vennero annullate tutte quelle lettere che concedevano eccezioni di fronte all'Inquisizione e che i neo-cristiani avevano acquistate da vari anni con enormi sacrifici.

Infine il 16 Luglio apparve la Bolla « Meditatio Cordis », attesa da tanto tempo con la quale veniva istituita nel Portogallo una libera ed illimitata Inquisizione. In questa Bolla era contenuta anche una disposizione severa per reprimere l'abbandono della fede, abolire tutte le limitazioni precedentemente imposte e rivestire di pieni poteri gli Inquisitori.
Da una lettera diretta da Paolo a Giovanni risulta che il Pontefice non aveva abbandonata la causa dei neo-cristiani senza rimorsi. Egli scriveva che dal momento che si era deciso a fondare in Portogallo una Inquisizione illimitata lo pregava di sorvegliare affinché l'opera del Santo Uffizio fosse svolta con una certa misericordia e non solo con rigidi criteri giuridici.

Anche dalle istruzioni impartite ad Ugolino risultava che il Papa era preoccupato di conservare almeno le apparenze. In queste il Pontefice diede espressione al desiderio che ai sensi del decreto di grazia venissero liberati tutti i carcerati ed il giuramento di fedeltà alla religione venisse fatto dinnanzi ad un notaro e non all' « auto da fé » ; che per un anno non si arrestasse nessuno e che il procedimento giuridico fosse svolto a termine delle leggi civili.
Nel contempo però Ugolino aveva ricevute istruzioni meno favorevoli ai neo-cristiani dal Cardinale Farnese. Per disarmare la sfiducia di Re Giovanni il Cardinale accondiscese a non prendere in consegna le prebende di Silva fino a che non fosse risolta la questione dell'Inquisizione. Nello stesso tempo il legato Faria ed il Vescovo di Porto cercavano di persuadere Giovanni a non riconoscere la grazia generale ed a non permettere l'emigrazione. Poiché ciò avrebbe dato occasione al Pontefice di rispondere alle lamentele ed ai ricorsi dei neo-cristiani che egli era definitivamente stanco di queste seccature. All'Ugolino ed al Nunzio Ricci venne caldamente raccomandato di non accettare più alcuna oblazione dai neo-cristiani.

Dal Maggio 1547 Ugolino attese ogni giorno l'ordine di partenza, ma poté allontanarsi da Roma soltanto il 1° Dicembre, con quelle Bolle che segnarono definitivamente le sorti dei neo-cristiani portoghesi. Probabilmente egli arrivò a Lisboa nel Gennaio 1548 e la Pastorale di grazia venne pubblicata soltanto il 10 Giugno. Vennero vuotate le carceri, ma poi per 17 anni l'Inquisizione continuò a svolgere la più rigida attività.

I neo-cristiani cercavano di salvare il possibile e riuscirono a svelare i nomi dei testimoni affinché gli imputati più potenti potessero vendicarsi sui loro accusatori. Quando Papa Paolo III l'8 Gennaio 1549, apprese questo fatto, promulgò un'altra pastorale secondo la quale i neo-cristiani ed altri potevano essere giudicati soltanto da alte autorità e che i nomi dei testimoni dovevano essere pubblicati in ogni caso, particolarmente se si trattava di pubblici impiegati o di ufficiali del Palazzo Reale.
A quanto pare la pubblicazione di questa Pastorale venne ritardata a lungo, ma quando il Re ne ebbe sentore, ne inviò subito una copia a Paolo III, pregando di revocarla immediatamente, perché in caso diverso l'autorità dell'Inquisizione sarebbe divenuta nulla.
Seguì una lunga discussione fra i Legati Portoghesi e gli incaricati dei neo-cristiani, che non vogliamo qui riportare, menzoniamo solo gli ultimi episodi, che illustrano quanta importanza annettesse la Corte Pontificia al lato affaristico di tutta la questione.

Il 23 Maggio 1555 Paolo IV successe a Paolo III. Quando era ancora Cardinale, era stato uno dei maggiori fautori dell'ultima Pastorale, ma il Legato Alonzo de Lencastro, ed il grande inquisitore, Cardinale Alessandrino, più tardi Papa Pio V, riuscirono a convincerlo: Venne compilata la Pastorale, che annullava la precedente e consegnata per l'inoltro al competente ufficio; qui scelsero come corriere un neo-cristiano della Castiglia. Tuttavia la Pastorale venne trattenuta dall'ufficio incaricato dell'inoltro e quando venne sporta lagnanza, al Papa per questo fatto, egli rispose che si sarebbe interessato della cosa.
Da quel tempo non si poté ottenere più nulla dal Pontefice, che per diversi anni era completamente assorbito dalle lotte contro Filippo II. In questo frattempo un segreto lavorio per ottenere il ritiro della Pastorale, venne svolto da Lencastro fino al suo richiamo, avvenuto nel 1559, continuato poi dal suo successore Lorenzo Pirez de Tavora. Il 5 Aprile 1559, venne proclamata la pace con Filippo, ma Paolo IV era già ottantaquattrenne e reso completamente inetto dalla vecchiaia.
Lencastro e più tardi Pirez influirono con tanto buon risultato sulla Congregazione del Santo Uffizio, che questa il 22 Luglio compilò la Pastorale di revoca, che venne immediatamente sottoposta all'approvazione del Pontefice e con l'aiuto del Cardinale Alessandrino ottennero la sua promessa, che l'avrebbe firmata. Al loro grave disappunto, il giorno seguente constatarono che la Pastorale non era ancora firmata. Il Papa fece portare il suo sigillo, lo tolse dall'astuccio e si apprestava già ad apporlo sul documento, quando gli venne in mente di prendere visione del testo. Già l'introduzione non gli piacque e dichiarò subito che in quella forma non poteva approvarla. L'atto venne messo da parte e questa fu l'ultima attività di Paolo IV, poiché egli morì il 18 Agosto e per tre settimane non si poté stillare un'altra Pastorale.

Il Conclave venne prolungato e Pio IV fu eletto soltanto il 26 Dicembre. Pirez non volle perdere un attimo e fin dalla sua visita di felicitazione, il 2 Gennaio 1560, sollecitò la questione dal nuovo Pontefice. Il Segretario dell'Aragona ebbe l'incarico di formulare una nuova Pastorale che dopo l'incoronazione venne firmata dal Papa e malgrado tutti gli sforzi fatti dai neo-cristiani per impedirlo, il documento venne pubblicato.

Sino al 1570 gli annali dell'Inquisizione portoghese non rammentano alcun « auto da fé », ma da quell'anno sino al 1580, cioè quando il Portogallo venne occupato da Filippo II, ne vennero tenuti a Lisboa, a Coimbra e ad Evora trentaquattro, ai quali vennero giustiziate centosessantanove persone; cinquantuno giustiziate in effigie e 1998 colpite di varie pene.
Il Papa aveva concesso al Re il diritto delle confische ed il Sovrano trovò una buona fonte di introiti per riempire la tesoreria alquanto esigua. Verso lo scadere della tregua decennale ordinata dal Pontefice, i neo-cristiani avrebbero dovuto versare una somma enorme per prolungarla, ma essi non si dimostravano disposti a nuovi versamenti. Il Papa fece loro presente, che i dieci anni stavano per scadere e frattanto Re Sebastiano colse l'occasione per pregare il Pontefice di non ascoltare più i ricorsi dei convertiti, lasciando la libertà all'Inquisizione portoghese, di agire contro di essi.

Pio IV promise di accondiscendere al desiderio della Corte Portoghese ed effettivamente revocò ogni favore concesso ai neo-cristiani. Quando, dopo l'insuccesso della spedizione africana, Henrique successe a Sebastiano, egli fece un accordo analogo con Gregorio XIII e dall'anno seguente, in cui Filippo II occupò il Portogallo, non viene più ricordata alcuna eccezione concessa per le confische patrimoniali.
È interessante osservare che Re Giovanni non aveva mai pensato ad estendere l'Inquisizione alle colonie. Effettivamente i neo-cristiani si affrettarono a sfruttare la favorevole situazione industriale e commerciale dei domini ed affluirono in grandi masse a Goa e nelle province circostanti. In seguito alla maggior libertà godutavi, a quanto pare essi trascurarono ogni precauzione, perché quando San Francesco Saverio iniziò là la sua opera, rimase estremamente indignato della situazione ed il 30 Novembre 1545 scrisse al Re pregandolo di fondare anche nelle colonie Tribunali dell'Inquisizione. La richiesta non ebbe un seguito. Giovanni morì l' 11 Giugno 1557 ed il suo successore fu Don Sebastiano, che aveva allora tre anni. La reggenza venne affidata alla Regina Caterina, che la cedette nel 1562 al Cardinale Henrique.

Sotto la reggenza di Caterina gli sforzi del Governo erano diretti al maggior sfruttamento delle Indie e nel 1650 fu inviato Alexio Diaz Falcao, come inquisitore a Goa, dove istituì un Tribunale, che ben presto si fece una sinistra fama. Quando Lorenzo Pirez, Legato portoghese a Roma, ebbe sentore di questo avvenimento, scrisse al suo governo, che ciò avrebbe danneggiato enormemente il prestigio del cristianesimo e della monarchia, poiché il rigore del Tribunale avrebbe fatto fuggire molti colonizzatori a Bassora ed al Cairo, apportando il loro contributo finanziario al nemico. Questa profezia si avverò assai prima di quanto egli stesso avrebbe creduto, perché il Tribunale in breve tempo riuscì ad impoverire i fiorenti possedimenti del Portogallo nelle Indie.

Dopo la estirpazione dei neo-cristiani, l'Inquisizione si gettò sui cristiani indigeni, i quali dovettero pagare abbondantemente l'opera missionaria dei Gesuiti, poiché il Portogallo al contrario di quanto fu fatto dalla Spagna, non esonerò gli antichi cristiani dall'Inquisizione. L'inopportunità di tale procedimento venne subito compresa da Filippo II, che pregò Papa Clemente VIII di emanare una Pastorale che ammonisse gli Inquisitori alla moderazione.

È da notarsi infatti, che nel Brasile non venne istituito alcun Tribunale dell'Inquisizione, sebbene i neo-cristiani andassero commettendo molte irregolarità. In quel dominio era incaricato il governatore di occuparsi della questione, il quale raccoglieva i dati riferentisi alle mancanze dei neo-cristiani, inviando di quando in quando qualche imputato a Lisboa, dove gli sciagurati venivano severamente puniti. Più tardi nel 1810, il Portogallo in una convenzione con l'Inghilterra si obbligò di non istituire l'Inquisizione nei suoi domini americani.

In linea generale si può dire che l'Inquisizione portoghese era organizzata completamente su modello castigliano, con l'unica differenza, che gli impiegati portoghesi erano chiamati deputados e fra essi il capo Inquisitore sceglieva almeno quattro assessori, accanto ai tre inquisitori, dei quali ogni Corte doveva essere composta. Per la validità della sentenza erano necessari almeno cinque voti concordi.
Sebbene lo scopo originale dell'Inquisizione fosse la liberazione del paese dagli ebrei, la sua attività non si era limitata a questo campo e ben presto si era resa evidente l'influenza dannosa sulla vita spirituale ed economica del Portogallo.
Tra gli scienziati stranieri che, su richiesta di Giovanni III, André de Gouvea aveva portato nel Portogallo, per coprire i seggi dell'Università di Coimbra, vi era anche George Buchanan, professore di lingua e letteratura greca. Il Gouvea morì dopo un anno e poco tempo dopo vennero scacciati gli scienziati stranieri, per essere rimpiazzati da Gesuiti, i quali da quel tempo ottennero una posizione predominante nel Portogallo. Il procedimento fu molto semplice. Buchanan e due altri vennero perseguitati dall'Inquisizione e gettati al carcere. Il Buchanan era accusato di aver scritto poesie beffarde contro i Francescani, di aver parlato irriverentemente dei frati, di aver mangiato carne nei giorni di magro e di aver fatto apprezzamenti sfavorevoli sulla Santa Sede.
Dopo 18 mesi di prigionia, venne relegato in un convento, perché i frati lo istruissero ed egli nelle sue memorie li descrisse come benevoli, ma ignoranti. Alla sua liberazione Re Giovanni voleva trattenerlo nel paese, ma egli si valse della prima occasione per fuggire in Inghilterra.

Un caso assai più caratteristico era quello di Damiao de Goez, uno dei più illustri scienziati del Portogallo nel Secolo XVI. All'età di ventidue anni venne inviato in Fiandra, in una colonia commerciale portoghese. Soltanto nel 1528, all'età di ventisette anni, si destò in lui l'amore per la scienza; imparò il latino e si recò a Padova, dove presto acquistò la fama di scienziato. Nel 1545 Giovanni lo richiamò in Portogallo dove trovò un geloso competitore in Simon Rodriguez, Generale Gesuita, che lo aveva già incontrato a Padova ed ora lo accusava dinanzi all'Inquisizione di aver fatto dichiarazioni eretiche nove anni prima. Egli stesso non poté ricordarsi delle espressioni incriminate e dichiarò solo di aver avuto l'impressione che il Goez sarebbe stato proclive al luterismo.
La causa non venne avviata e nel 1550 il Rodriguez ripeté le sue accuse con un nuovo insuccesso. Tuttavia il Goez, con le sue opere letterarie, si procurò molti nemici e perciò nel 1561 venne riesumata la denunzia di Rodriguez, vecchia di ventisei anni. Allora il Goez aveva già settanta anni e già da venti anni era storpio ed invalido, incapace di stare in piedi; tuttavia venne gettato in prigione e fu iniziata una istruttoria a suo carico. Non si trovò alcuna prova della sua colpevolezza, ma egli stesso confessò che in Fiandra era caduto nell'errore, di considerare la pia conciliazione di scarso valore, mentre trovava sufficiente la confessione generale.
Quando più tardi aveva imparato il latino e aveva continuato i suoi studi, si era convinto di essere in errore e da allora era rimasto rigidamente ortodosso. Su richiesta del Cardinale Sadoleto, aveva scritto una lettera a Melanchton, nella speranza di poterlo convertire ed aveva dato una raccomandazione a Frei Roque de Almeida per Lutero, avendo egli lo scopo di conoscere da vicino l'eretico, per poterlo meglio combattere.

La sentenza basata unicamente su questa confessione il Goez venne marchiato di eresia luterana. Tuttavia il Tribunale riconobbe che la sua aberrazione era avvenuta all'età di ventun anni e che, non appena imparato il latino, egli stesso si era reso conto dei propri errori e perciò, con grazia speciale, lo condannarono soltanto ad una penitenza, e alla confisca dei beni.

Quando nell'Agosto del 1578 il Cardinale Henrique successe a suo nipote Sebastiano sul Trono di Portogallo, per quindici mesi non si dimostrò disposto a rinunciare alla carica di Capo Inquisitore. Tuttavia già in precedenza, il 24 Febbraio 1578, data la sua età e debolezza aveva preso come sostituto Manuel, Arcivescovo di Coimbra. Ma questi scomparve presto e Gregorio XIII, soltanto il 27 Dicembre 1579, fu disposto a nominare su richiesta di Henrique. Jorie de Almida, Arcivescovo di Coimbra.
Henrique morì il 31 Gennaio 1580 in mezzo all'odio generale e la sua morte fu rimpianta soltanto, perché il gran numero dei pretendenti, la fame e le epidemie appianarono la via a Filippo II per conquistare il paese.

Durante la riorganizzazione del paese sotto la corona spagnola, l'Inquisizione non venne unificata con quella della Castiglia, ma rimase indipendente sotto la direzione dell'Arcivescovo di Lisboa.
Gregorio XIII si rifiutò di adempiere alla richiesta di Filippo Il, di sottomettere l'Inquisizione portoghese a quella spagnola. Però nel 1586 dopo la morte di Almeida, questa carica venne consegnata al Cardinale Albrecht, Principe Arcivescovo dell'Austria, il quale nel contempo era Governatore del Portogallo. Sotto la sua direzione aumentò l'attività del Santo Uffizio e nei vent'anni tra il 1581 e 1600, i tre tribunali tennero complessivamente cinquanta « auto da fé ». Vennero giustiziate 162 persone, 54 in effigie e 1979 colpite di altre pene. Alla maggior parte dei condannati vennero confiscata i beni.

Non é difficile comprendere i motivi che indussero la popolazione ad emigrare durante il dominio spagnolo. Infatti la situazione del Portogallo era disastrosa, come risulta dalla descrizione del 1595 di Francesco Vendramini, Legato di Venezia. Lisboa che prima era una città ricca e popolosa, divenne quasi deserta. Il Portogallo aveva avuto settecento navi, delle quali cinquecento vennero catturate dagli inglesi. Ciò, come scriveva il Legato, non dispiaceva al Re, che volutamente cercava di indebolire il paese, poiché giovava al commercio spagnolo ed anche gli emigrati potevano sperare che, ignorando la loro vita precedente, l'Inquisizione non li perseguitasse.
Di conseguenza divenne sempre più forte l'immigrazione nella Spagna e gli effetti si mostrarono ben presto nei verbali dei Tribunali. Le cause per giudaismo, che erano fortemente diminuite, ad un tratto furono riprese su vasta scala e, scrutando nelle origini degli imputati, si rivelò fra essi un sempre crescente numero di portoghesi.

Nel 1593 fu aperta una istruttoria a Toledo contro sette portoghesi, ma siccome non vi era che un testimone contro di essi, la causa venne sospesa. Nell'anno seguente lo stesso tribunale tenne un « auto da fé », al quale vennero bruciati cinque portoghesi, mentre altri nove vennero giustiziati in effigie. Nel 1595 fecero un « auto da fé » a Sevilla, dove vennero puniti ottantanove ebrei e poco tempo dopo ad un altro « auto da fé » tenuto a Quintamar del Rey ne vennero giudicati trenta, tra i quali i renitenti furono gettati al Rogo e gli altri puniti con varie penitenze.

I neo-cristiani Portoghesi divennero molto ostinati tanto nel loro paese quanto nella Spagna, sotto la crescente oppressione. Essi erano per lo più benestanti e potevano pagare senza difficoltà notevoli somme, per ottenere assoluzioni per i loro peccati del passato. Nel 1602 furono intavolate trattative con Filippo III, perché il Papa emanasse una Pastorale favorevole ai convertiti. I cristiani ortodossi portoghesi fecero gran chiasso e gli Arcivescovi di Lisboa, Braga e Evora accorsero a Valladolid, per protestare alla Corte, che risiedeva allora in quella città.
Anche i cristiani bigotti spagnoli erano indignatissimi, tanto più che per loro una simile transazione era un fatto assolutamente nuovo. Dovunque si sentivano lamentele ed era opinione generale che una simile azione avrebbe portato un grande flagello al paese. Ma Filippo ed il suo favorito Lerma, si trovavano in grandi ristrettezze ed ogni scrupolo venne soffocato dalla seducente proposta dei neo-cristiani, di versare al Re, un milione e ottocentosessantamila ducati; al Lerma cinquantamila cruzados, ai membri del Consiglio Supremo, Joao de Boria e Pedro Alvarez Pereira rispettivamente quaranta e trentamila ed infine al Segretario del Consiglio Fernao de Mattos trentamila cruzados.
Venne compilata la Pastorale, ma l'affare all'ultimo momento minacciò di andare a monte, poiché i neo-cristiani chiesero un termine di otto anni per procurarsi l'enorme importo necessario. Tuttavia la minaccia di non pubblicare la Pastorale, fece loro cambiare idea ed il versamento fu effettuato.

La Pastorale privava del loro potere il Capo Inquisitore portoghese, l'Arcivescovo di Lisboa e le autorità dipendenti, vietando loro di infliggere agli ebrei portoghesi altre punizioni, che le penitenze spirituali. Ciò si riferiva a tutti gli imputati sotto istruttoria o per i quali non era ancora stata pubblicata la sentenza. Vennero sospese tutte le confische e venne fissato un termine di un anno, per i portoghesi che si trattenevano in Europa per presentarsi nel Portogallo e prendere possesso dei beni sequestrati.
La Pastorale arrivò il i ° Ottobre 1604 a Valladolid, ma venne pubblicata a Lisboa soltanto il 16 Gennaio 1605.
Nel frattempo però, un decreto reale vietò la pubblicazione ed esecuzione di qualsiasi sentenza, fino a che non fosse entrata in vigore questa Pastorale. Questo decreto ebbe un effetto drammatico. Il 20 Ottobre il Tribunale di Sevilla aveva annunciato un grande « auto da fé » per il 7 Novembre; i preparativi lasciavano prevedere una solennità inconsueta ed il 6 Novembre, vigilia dell'« auto da fé » si fece la processione della Croce Verde, alla quale parteciparono non meno di cinquecento famiglie. L'affluenza era enorme, tanto che i provinciali non riuscirono a trovare alloggio nella città. Nottetempo gli imputati vennero trasferiti nelle celle dei condannati ed ultimati i preparativi. Fernando de Aceredo, secondo inquisitore, si coricò verso le undici. Improvvisamente arrivò un corriere che chiese di essere ammesso immediatamente presso gli inquisitori, dovunque essi fossero. Questo corriere era partito nella notte del 3 Novembre da Valladolid ed, in una corsa sfrenata era arrivato in settantadue ore a Sevílla, appena in tempo per consegnare agli inquisitori il Decreto Reale, che vietava l'« auto da fé ».
Alcuni degli inquisitori erano del parere che non fosse necessario obbedire al Decreto Reale, perché mancante del visto del Gran Consiglio, ma dopo brevi parlamentari venne deciso di sospendere la solennità, con grande stupore della popolazione. Si fecero infinite congetture circa i motivi di questo improvviso mutamento e fra queste trovò il maggior credito la notizia, che i facoltosi neo-cristiani portoghesi avessero sacrificato una somma non inferiore ai seicentomila ducati, per impedire l' « auto da fé ». Ciò venne confermato anche dal notturno messaggero, che prima di recarsi all'Inquisizione si era fermato alla casa di Etor Autunes, facoltoso commerciante portoghese, il quale gli donò cinquanta ducati per la buona novella.

Durante questa grazia generale i tre tribunali portoghesi liberarono quattrocentodieci prigionieri ed indubbiamente gran parte degli ebrei portoghesi ricevette una preziosa assoluzione per ogni peccato del passato, sebbene l'Inquisizione avesse tentato tutto per impedirlo.
Filippo III, il 20 Aprile del 1619, richiamò l'attenzione del Capo Inquisitore sul fatto riprovevole, che molti portoghesi con le loro famiglie erano emigrati nella Francia; portando con se tutto il loro patrimonio. Perciò il Re ordinò che chiunque volesse abbandonare il paese senza passaporto, munito del suo sigillo, venisse fermato alle frontiere e gli venissero confiscati i beni.
La Suprema diede istruzioni in questo senso alle autorità portuali ed ai passaggi di frontiera. Ciò naturalmente portò alla limitazione dell'emigrazione portoghese e probabilmente dobbiamo attribuire a questo fatto, l'eloquente memorandum, che i neo-cristiani fecero pervenire al Sovrano chiedendo l'abolizione di queste restrizioni. Essi enumeravano i loro meriti, ricordando che molte delle più distinte famiglie si erano imparentate con essi e che, tanto nel Portogallo quanto nelle colonie, avevano sempre adempiuto ai loro doveri con la fondazione di chiese ed altre benefiche istituzioni.
L'attività commerciale dei neo-cristiani aveva fatto rifiorire, l'economia del Regno. Nel Brasile dove essi potevano possedere terre, quasi tutte le piantagioni di zucchero erano tra le loro mani, ciò che contribuiva assai al rendimento del dominio. Probabilmente, in seguito a questi argomenti le limitazioni vennero sospese per essere riattivate, come vedremo, poco tempo dopo.
Se gli ebrei volevano fuggire ad ogni costo dal Portogallo, i portoghesi, non li trattenevano affatto anzi cercavano con ogni mezzo di stimolarli ad abbandonare il paese. Il fanatismo religioso e l'odio contro gli ebrei, ottenne una viva espressione nell'azione di Vicente da Costa Mattos, nel 1621 che ebbe per scopo di cacciarli dalla nazione. Vennero raccolte tutte le dicerie inventate, che illustravano quanto fossero nemici gli ebrei dei cristiani e divulgate come verità inconfutabili.
Fu detto che gli ebrei erano nemici dell'umanità, che migravano come gli zingari da paese a paese, sfruttando dovunque il loro prossimo. Si impossessarono dovunque delle industrie e della terra e la grazia del Sovrano era tutta riservata per loro sebbene non avessero capitali, ma soltanto una grande astuzia. Essi vivevano soltanto per assoggettare il mondo e mentre nei tempi antichi Dio, aveva castigato coloro che li maltrattavano oggi avrebbe castigato quelli che li avessero sopportati. La decadenza dei reami spagnoli era pure un castigo di Dio, perché vi erano tollerati gli ebrei.
Erano tutti feticisti e sodomiti; dove posavano il piede, contaminavano il paese con le loro scelleratezze e si sforzavano di convertire i cristiani alla loro errata religione.

Anche Lutero aveva cominciato col giudaismo ed ogni eretico era ebreo o di origine ebraica, come si era visto in Inghilterra e in Germania ed in altri paesi che erano un tempo fiorenti. Calvino, si era chiamato « Padre degli Ebrei » come molti altri dei rinnegatori della Santa Trinità e Bucer aveva dichiarato che Cristo non era il Messia promesso all'umanità.
La migliore prova della loro perversa ostinazione era il fatto, che sebbene fossero stati bruciati molti di loro, il numero era in continuo aumento.
Questa manifestazione di odio morboso, corrispondeva talmente ai pregiudizi di quei tempi, che di tale libro si dovette pubblicare una seconda edizione nel 1633. Nel 1629 era stato tradotto in lingua spagnola e nel 1680 dovette essere ristampato.
L'odio contro gli ebrei, fomentato da sì vasta propaganda, portò ben presto all'inasprimento dell'Inquisizione. Nel 1623 il Tribunale di Evora fece arrestare cento neo-cristiani, nella città di Montemor o Novo. Gli « auto da fé », vennero tenuti con una frequenza che era sconosciuta persino nella famigerata Inquisizione Castigliana.

Al grande « auto da fé », del 16 Agosto 1626 comparvero 247 imputati; ad un altro del 6 Maggio 1629, 218 e ad un terzo del 17 Agosto 1631, 247. Le statistiche, tra il 1620 e 1640 non sono complete. In questo frattempo vennero tenuti dieci « autos da fé », ai quali, pur mancando dati precisi, presumibilmente vennero giustiziate duecento persone, centocinquanta furono bruciate in effigie, mentre il numero degli altri condannati si può calcolare a cinquemila senza tener conto di varie centinaia di persone che riuscirono a fuggire e di quelle che in base ai decreti di grazia del 1627 e 1630 vennero lasciate in libertà.

Si può facilmente immaginare quali cifre i neo-cristiani abbiano dovuto sacrificare per questi decreti. Secondo la relazione di Luis de Melo, l'Inquisizione in quell'epoca provocò lo spopolamento delle fiorenti città portoghesi.
Le carceri erano affollatissime e ciascun Tribunale teneva annualmente almeno un « auto da fé ». Ad un « auto da fé » di Coimbra, che durò due giorni, il numero dei condannati superò i duecento e fra questi si trovavano professori, canonici, ecclesiastici, suore, cavalieri, ufficiali e persino un frate francescano che venne arso vivo.

Nonostante questo enorme lavoro, gli inquisitori continuavano a lagnarsi dicendo che la loro opera era vana poiché gli ebrei aumentavano sempre di numero. La Suprema si rivolse a Filippo III, con un Memorandum, il 17 Gennaio 1619 pregandolo di concedere l'estensione della propria attività e competenza giuridica. Dicevano che il Sovrano non aveva bisogno soltanto di sudditi, ma di buoni sudditi e di conseguenza le persone soggette alla confisca, dovevano essere anche esiliate.
Uno dei membri della Suprema, Mendo de la Mota, chiese persino che indistintamente tutti i condannati fossero espulsi dal paese.
Il 30 Aprile 1620 i Tribunali di Lisboa ed Evora, inviarono i rapporti degli « auto da fé » tenuti nel settembre 1619 perché il Sovrano potesse vedere il gran numero dei condannati e si rendesse conto della necessità di un aumento nell'attività del Santo Uffizio. Fra i condannati figuravano tre canonici, tre frati e diversi avvocati. Altri sei canonici di Coimbra furono arrestati; erano tutti neo-cristiani nominati dal Papa e si pregò il Sovrano di intervenire presso il Pontefice perché si astenesse in avvenire le cariche ai discendenti della razza odiata.

Non appena il giovane Filippo IV ascese al trono, Fernando Mascarenhas, Vescovo di Faros, lo sollecitò nel 1622 ad agire contro il pericolo politico dell'invasione dei convertiti. Egli disse che indubbiamente tutti i convertiti erano segretamente giudei e che questo fatto costituiva un grave pericolo per lo Stato, dato che nelle città essi, con i mezzi che avevano a disposizione riuscivano ad accaparrarsi il potere, occupando le cariche pubbliche con i loro fidati. Si era inoltre venuti a sapere, che questi elementi investivano i loro capitali in imprese olandesi per poter disporre in caso di bisogno di capitali all'estero, che avrebbero potuto essere utilizzati contro lo Stato.

I Vescovi proposero al Sovrano di permettere l'emigrazione dal paese a patto che gli emigrati rinunciassero irrevocabilmente alla nazionalità; in tal caso essi potevano realizzare i loro averi ed esportarli, ma non in gioielli o in metalli preziosi.
Il Re rispose allora, che siccome aveva già una volta dato il permesso incondizionato all'emigrazione, non avrebbe potuto revocarlo, ma siccome il pericolo derivava proprio dal ritorno degli emigrati, era questo che bisognava impedire.
Inoltre volevano persuadere il Re di impedire i matrimoni misti. Dicevano che simili unioni non si dovevano concedere senza previo versamento di duemila cruzados e che il marito dovesse essere privato dal diritto di ricoprire qualsiasi carica o dignità.
La prima parte della domanda (con la pecunia!) venne accolta dal Sovrano, ma alla seconda egli rispose che bisognava rispettare i privilegi della nobiltà. Venne proposto al Papa di emanare una Pastorale che vietasse ai neo-cristiani, sino alla decima generazione di metter piede nelle chiese ed il Re promise di appoggiare questa richiesta dinanzi alla Santa Sede.
Quando però i Vescovi proposero che ai neo-cristiani fosse vietato di esercitare qualsiasi industria, commercio o l'appalto dei possedimenti reali, Filippo rispose freddamente, che ciò non li riguardava.

I neo-cristiani, nel timore di provvedimenti severi a loro carico, versarono ottantamila ducati a Filippo per passaporti e più di cinquemila famiglie emigrarono nella Spagna, dove presto non si trovò più comune, in cui non vi fossero stabili degli ebrei portoghesi. Qui essi potevano sentirsi in piena sicurezza poiché i Tribunali della Castiglia respingevano sistematicamente le domande di estradizione dei Tribunali portoghesi.

Nel 1632 divenne di nuovo di attualità la questione dell'emigrazione verso la Francia e la Suprema informò Filippo che, secondo i rapporti del commissario di Pampeluna, molte famiglie portoghesi avevano varcata la frontiera verso la Francia, con carri colmi di valori. Questo bisognava impedirlo e vennero ripristinate le disposizioni del 1619.
Tuttavia molte persone continuarono ad emigrare, particolarmente nell'Olanda, dove i neo-cristiani potevano lavorare in piena libertà ed aumentare il proprio patrimonio per poter un giorno colpire i loro oppressori. Questo era il principale motivo per cui si tendeva sempre più ad impedire l'emigrazione, ma ciò non era facile. Infatti Luís de Melo riferiva che più di duemila famiglie si erano recate nell'Olanda ed in quei paesi ribelli dove potevano erigere liberamente le loro sinagoghe.

Molti neo-cristiani, che avevano sofferta la miseria in Portogallo, erano riusciti a crearsi un patrimonio nell'Olanda e pagavano tasse a questi stati ribelli affinché potessero mantenere le loro flotte e i loro eserciti. Investivano grandi capitali nelle compagnie delle Indie Orientali, danneggiando con ciò, sensibilmente il commercio spagnolo. In breve la loro attività commerciale indeboliva la Spagna ed arricchiva i suoi nemici.
Nel 1834, il Capitano Esteban de Ares Fonseca, presentò un memorandum alla Suprema, in cui riferiva che i rifugiati nell'Olanda aiutavano efficacemente i nemici della Spagna e mantenevano una corrispondenza permanente con le loro spie, abilmente collocate nel mondo commerciale spagnolo. La compagnia delle Indie Orientali Olandesi, era completamente nelle mani degli ebrei, essi erano i principali azionisti e le loro rendite provenivano particolarmente dallo sfruttamento delle Colonie brasiliane del Portogallo, dove pure si trovava un gran numero di neo-cristiani, che mantenevano intenso rapporto col nemico.

Due ebrei, Nuno Alvares Franco e Manuel Fernandes Drago, abitanti di Bahia, stavano studiando il progetto di far passare nel 1825 la colonia brasiliana agli Olandesi. Un Capitano riferiva inoltre che il Franco, viveva allora a Lisboa come spia degli olandesi e che suo fratello minore Jacom Franco, faceva servizio di corriere per i complici di Anversa. Il Drago viveva tuttora a Bahia come Rabbino Capo, ed era pure una spia degli olandesi ai quali aveva scritto incitandoli ad occupare la colonia.
Anche l'occupazione di Pernanbuco era opera degli ebrei di Amsterdam, dei quali il principale fautore era Antonio Vaes Henriquez il quale aveva vissuto a Pernanbuco e poi prese parte all'organizzazione della spedizione olandese. Ora viveva a Sevilla, come commerciante, ma effettivamente era una spia. Il capitano riferiva inoltre che gli Olandesi avevano avviata una flotta di diciotto navi sotto il comando di un ebreo di nome Davide Peíxoto, per la difesa di Pernanbuco.
Il Peixoto, inoltre, aveva progettato una spedizione a Buarcos e a Coímbra per trucidare gli inquisitori e liberare i carcerati. Anche l'isola di Fernando de Noronha era stata occupata da un ebreo di Amsterdam di nome Francisco de Campos. Non sarebbe stato difficile riconquistare l'isola, poiché la guarnigione era composta da appena trentaquattro uomini e possedevano non più di quattro cannoni.

Queste accuse naturalmente non devono essere prese alla lettera, tuttavia ebbero il loro effetto. Nel 1640 i Tribunali di Lima e Cartagena de las Indias fecero rapporto, che gli ebrei portoghesi delle colonie mantenevano rapporti con le sinagoghe olandesi e levantine, fornendo a loro informazioni e denaro. Venne emanato un ordine di censurare tutte le lettere che i portoghesi della Spagna ricevevano dall'estero. Venne così scoperto un cifrario segreto, adoperato nella corrispondenza con la sinagoga olandese, e che in un breve tempo erano stati esportati dalla Spagna un milione e mezzo di ducati. Naturalmente il fatto venne denunciato subito al Capo Inquisitore. Non sono noti gli ulteriori sviluppi della faccenda, ma é molto probabile che i neo-cristiani portoghesi abbiano avuto una parte attiva nella rivoluzione del 1640.

Negli « autos da fé » del 1642 e 1645 vennero giustiziate centodiciassette persone, sei in effigie e centotrentasei vennero colpite di pene carcerarie. Tuttavia Giovanni IV concesse abbastanza libertà agli ebrei. Fra l'altro egli conduceva delle trattative con Roma, allo scopo di far cessare definitivamente le confische e cercava di convincere i neo-cristiani a far fruttare i loro capitali per il bene del paese. Mise a disposizione dei commercianti trentasei navi da guerra, perché potessero proteggere il commercio e l'industria nelle colonie. Venne ordinato al Capo Inquisitore che i decreti relativi venissero inoltrati . segretamente ai Tribunali, mentre Giovanni si impegnò a non revocarli.

Quando nel 1655 Giovanni morì e gli succedette la sua vedova Lucia de Guzman, fino alla maggiorità di Alfonso VI si verificò una lunga sosta nell'attività dell'Inquisizione. Viceversa quando la Santa Sede nel 1672 nominò a Capo Inquisitore Don Pedro de Lencastre, Arcivescovo di Side, riprese subito una rigida attività del Santo Uffizio. I Tribunali, tenevano di nuovo per lo meno un « auto da fé », all'anno e qualcuno di questi « auto da fé », durò anche due giorni.
Anzi quello di Coimbra del 1677 durò tre giorni e vennero giustiziate nove persone e carcerate duecentosessantaquattro. Gli « autos da fé », vennero tenuti indipendentemente dalla pace o dalla guerra. Infatti, il 23 Giugno 1663, ne venne tenuto uno con centoquarantadue imputati, sebbene la città fosse occupata da un grande esercito spagnolo sotto il comando di Don Juan de Austria.

Per trovare un inesauribile materiale per gli « auto da fé », si ricorse allo sfruttamento della « limpieza », che ricercavano attraverso molte generazioni. Quando potevano dimostrare di qualcuno, che i suoi avi erano stati in lontana parentela con degli ebrei o neocristiani, la persona veniva dichiarata subito ebrea. I matrimoni misti erano tanto frequenti, che in generale all'estero i portoghesi venivano considerati ebrei. In questo modo il campo di attività dell'Inquisizione era illimitato.

Nel 1671 una grande catastrofe minacciò i neo-cristiani. Nella chiesa di Orivellas venne rubato un calice contenente dell'ostia consacrata. L'Inquisizione Romana accolse notizia di questo sacrilegio con indifferenza, mentre enorme era l'indignazione nel Portogallo. L'Arcivescovo, Pedro e la Corte vestirono il lutto e con un editto venne ordinato che per alcuni giorni i cittadini lasciassero la propria casa per poter fornire informazioni su quanto avevano fatto nella notte fatale. Tuttavia risultarono vani tutti gli sforzi per scoprire il ladro sacrilego e perciò venne dichiarato che il colpevole era da ricercarsi tra i neo-cristiani, e la reggente firmò un decreto che ordinava l'espulsione di tutti i convertiti dal Portogallo.
Prima però che si passasse all'esecuzione dell'ordine, venne arrestato nelle prossimità di Coimbra, il ladro nella persona del giovane Antonio Ferreira e venne rinvenuto anche il calice rubato. Nemmeno con i massimi sforzi si riuscì però a dimostrare che gli scorresse sangue ebraico nelle vene e così i neo-cristiani poterono sfuggire alle rappresaglie, mentre il Ferreira venne bruciato al rogo.

Dopo questo incidente rifulse nuovamente la stella della speranza per i nuovi cristiani. Antonio Vieira, che la storia ricorda come Apostolo del Brasile, trattò con molta simpatia i neo-cristiani, sollecitando Giovanni IV a far cessare non soltanto le confische, ma anche ogni distinzione tra cristiani e convertiti. Con ciò il Vieira si procurò molti nemici, e l'Inquisizione si decise ad infliggergli una punizione esemplare.
I suoi scritti a difesa dei neo-cristiani vennero qualificati per aberrazioni e manifestazioni di ignoranza ed eresia. Dopo tre anni di prigionia venne atrocemente torturato nella sede del Tribunale di Coimbra e con ciò la sua simpatia aumentò ancora verso le vittime del Santo Uffizio. Quando si trovò al sicuro a Roma, alzò la sua voce a difesa degli oppressi e in innumerevoli pubblicazioni accusò il Santo Uffizio portoghese di essere una giurisdizione capace soltanto di privare i cittadini dei loro patrimonio, dei loro diritti civili o della vita, senza fare in realtà una distinzione tra innocenti e colpevoli.

Nel 1764 gli avvocati dei neo-cristiani sporsero lagnanza alla Santa Sede contro l'Inquisizione, dichiarando che gran parte delle vittime veniva condannata in base a false testimonianze. Citarono un caso avvenuto ad Evora nel 1673 in cui erano state bruciate al rogo due suore. Tra queste una era consacrata da quarant'anni, tutti l'amavano e rispettavano ed anche i padri confessori che l'avevano interrogata prima dell' « auto da fé » avevano avute parole di ammirazione per la sua devozione.
Quando si era formato il corteo dell' « auto da fé » la suora aveva riconosciuto tra i penitenti la propria sorella e una sua cugina che avevano avuta salva la vita per averla denunciata. Perdonò loro e morì esemplarmente, chiamando Cristo a testimone della propria innocenza.

Infatti gran parte dei Padri confessori riconosceva che agli « auto da fé » soffrivano il martirio molti veri e devoti cristiani e ciò era stato apertamente detto all'Università di Evora da Padre Manoel Dijaz, confessore del Principe Ereditario. Analoghe dichiarazioni facevano anche altri ecclesiastici e prelati.
Le false testimonianze venivano largamente mercanteggiate in quell'epoca e mentre da un lato fruttavano bene, d'altra parte offrivano la migliore occasione per disfarsi dei propri nemici.
Esistevano vere e proprie organizzazioni di spionaggio, che vivevano dell'estorsione praticata sui neo-cristiani, accusandoli qualora non fossero disposti a soddisfare le loro pretese; così la disgraziata razza viveva in continuo terrore. La falsa testimonianza non esponeva ad alcun pericolo colui che la praticava, poiché era permesso di dare un falso nome ed indirizzo, di modo che gli sciagurati accusati non potevano mai conoscerli e premunirsi contro la loro opera infame. Quando poi durante il procedimento si fosse reso necessario un confronto si permetteva al teste persino di portare una maschera.

Il gran numero delle confische spiega come l'Inquisizione abbia potuto conservarsi per un tempo tanto lungo. I Sovrani la appoggiavano e la sua attività era in parte messa al servizio della Tesoreria della Corona. I patrimoni confiscati rimanevano durante l'istruttoria nelle mani dei Tribunali e queste istruttorie talvolta duravano cinque, dieci ed anche dodici anni. Durante questo tempo naturalmente nessuno era responsabile dell'amministrazione. Non si facevano esatti conti delle somme prese in consegna e soltanto di tempo in tempo i Tribunali facevano dei versamenti allo Stato nella misura che credevano.
Il Capo Inquisitore aveva il diritto di fare donazione agli inquisitori e si avvaleva con molta larghezza di tale facoltà inquantoché elargiva somme che variavano da sei a quattordicimila ducati. L'arresto e la confisca di qualche ricco commerciante scuoteva nelle fondamenta tutto il commercio con l'estero, poiché data la confisca patrimoniale i creditori ed i clienti all'estero invano pretendevano il denaro o la merce spettante loro.

Comunque se pure l'Inquisizione, come vogliono alcuni storici, non gettò nella rovina irreparabile il Portogallo, bisogna tuttavia ammettere che essa contribuì in grande misura alla decadenza del paese.

I neo-cristiani continuavano a lavorare abilmente a Roma contro l'Inquisizione. Papa Clemente X, nell'Ottobre 1674, riassunse in una Pastorale tutte le loro lagnanze, richiedendo gli atti di tutte le cause in corso, che furono trasmessi all'Inquisizione romana. Nel contempo vietò l'apertura di nuove procedure. Il Tribunale di Coimbra interpretò questa disposizione come una grazia generale ed il 18 Novembre liberò tutti i prigionieri in istruttoria, ma gli altri Tribunali non ne seguirono l'esempio.
Probabilmente nell'interesse di questi detenuti Innocente XI diede istruzioni al Nunzio, nel 1676, di permettere agli inquisitori la definizione delle istruttorie, influendo però nel contempo, affinché non venisse pronunciata alcuna sentenza mortale, di confisca, o di galera a vita. Gli agenti dell'Inquisizione a Roma negavano l'accusa lanciata contro il loro procedimento che si commettessero delle ingiustizie e che il Santo Uffizio avesse costretto, con la minaccia di morte, dei buoni cristiani a confessare colpe non commesse.

Date le divergenze dei rapporti nelle relazioni, qualcuno suggerì al Papa che si sarebbe potuto stabilire la verità esaminando i verbali e perciò Innocenzo ordinò che gli atti di simili casi venissero trasmessi a Roma. Ma Verissimo de Lencastre, Arcivescovo di Braga e Capo Inquisitore rifiutò di obbedire con la motivazione che un simile procedimento avrebbe lesa la segretezza della giurisdizione inquisitoriale.
Il Papa qualificò ribelle questo atteggiamento e finalmente, il 24 Dicembre 1678, ordinò che i documenti venissero consegnati al Nunzio Marcello minacciando che, in caso contrario, avrebbe sospeso il Capo Inquisitore e tutti i suoi dipendenti. Ma nemmeno ciò valse ad infrangere la resistenza degli inquisitori e il 27 Maggio 1679 una Pastorale li sospese dalla loro carica, mentre il Nunzio venne istruito di porli sotto accusa e di inviare un rapporto esteso al pontefice.

Ciò ebbe per conseguenza che l'Inquisizione portoghese presentò alla Santa Sede gli atti di due cause, ma ciò non bastò a soddisfare il Papa che non revocò la sospensione sino al 1681, quando con un'altra Pastorale ripristinò gli inquisitori, con la motivazione che il grande ritardo nei procedimenti avrebbe danneggiato soltanto gli arrestati. Tuttavia la revoca della sospensione stabilì una maggiore moderazione per l'avvenire nei confronti degli imputati. Può darsi che l'Inquisizione si rendesse conto di non poter lottare con la Santa Sede, come potrebbe darsi anche che il materiale dei procedimenti stesse per esaurirsi, comunque il fatto sta che dal 1681 il numero delle vittime diminuì notevolmente. Dal 1682 al 1700, cioè per 19 anni, vennero condannate non più di 59 persone e 1351 punite con altre pene.

Sin qui abbiamo illustrato brevemente l'Inquisizione portoghese, constatando che essa completava ampiamente la consorella spagnola, convertendo al cristianesimo grandi masse. Uno dei più disastrosi effetti dell'Inquisizione fu la conservazione dei pregiudizi, che colpiva ugualmente religione e razza. Il germe seminato nell'opera di Costa Mattos cominciò a fiorire ancora più fortemente nell'opera « Centimela contra Judios » di Fra' Francisco de Torrejoncillos, che apparve la prima volta nel 1673 e venne ristampata nel 1728 e nel 1731.
La popolazione poco evoluta accettò ad occhi chiusi i racconti più assurdi se questi parlavano della corruzione degli ebrei e del loro subdolo lavorio contro i cristiani. I racconti del « Fortalicium Fidei » vennero ripetuti all'infinito come verità inconfutabili e ne furono inventati altri per avvelenare sempre più l'opinione pubblica.

Nello stesso tono venne scritto nella medesima epoca un memorandum da un inquisitore, in risposta alla proposta di moderare il procedimento inquisitoriale. Lo scrittore era indubbiamente persona colta ed istruita, ma l'opera é un'amara invettiva contro gli ebrei, inquantoché analizza la loro natura diabolica e asserisce che essi erano assai più scellerati in quell'epoca, di quanto non lo fossero stati quando crocifissero Cristo.
L'odio delle masse si manifestava anche in certe fantastiche credenze secondo le quali gli ebrei avevano la coda, erano individuabili dall'odore sgradevole emanato dal loro corpo ed i medici di razza giudaica uccidevano un quinto dei loro clienti cristiani.

Dinanzi all'inquisizione era sufficente accusare una persona di essere ebrea, perché venisse immediatamente aperta l'istruttoria a suo carico. Nel 1646 qualcuno asserì per scherzo che Padre Boil, predicatore reale, fosse ebreo. Il tribunale di Toledo lo fece immediatamente arrestare, trattenendolo nelle carceri per sei mesi, indi lo espulse dalla corte per due anni, vietandogli di predicare durante questo tempo.

Quando verso il 1632 i neo-cristiani fecero nuovi sforzi per far cessare gli abusi, l'Inquisitore Juan Adam de la Parra, sebbene fosse poeta e persona molto colta scrisse una lunga dissertazione in materia, per precauzione in lingua latina, per evitare che il popolo potesse discutere l'opera che trattava un argomento così delicato.
Egli non giudicava la questione sotto l'influenza dei pregiudizi del popolo, tentava invece di valersi di dati statistici per appoggiare le proprie idee. Tutta l'opera fornisce una chiara prova come anche una persona intelligente e colta possa essere soggettiva nei giudizi e deduzioni. Infatti egli attribuiva la decadenza dell'agricoltura, della navigazione e dell'artigianato al fatto che gli ebrei ripudiavano il lavoro manuale e si occupavano esclusivamente dell'usura.
Citò come esempio il Portogallo, dove questa razza traditrice aveva preparato il terreno all'invasione straniera, emigrando poi in Oriente e nelle Indie Occidentali per corrompervi con il lusso ed i vizi le ingenue popolazioni indigene e forte di questo argomento protestò vivamente contro il ripristino degli antichi privilegi dei neo-cristiani, prospettando il pericolo che essi, riavuto una volta il potere, avrebbero sopraffatti gli antichi cristiani.

Il timore che si abolissero le barriere tra le due razze non era infondato. Quando nel 1634 si vuotò quasi completamente la tesoreria spagnola, Olivares iniziò trattative con gli ebrei africani e levantini, prospettando ad essi la possibilità di ottenere concessioni reali. Nel 1641 questi ebrei inviarono i loro incaricati in Spagna e l'Olivares li ricevette. Le proteste della Suprema furono tacitate e venne proposto agli ebrei di stabilirsi nei sobborghi di Madrid, in un quartiere appartato, dove avrebbero potuto costruire una sinagoga come a Roma.
Olivares ottenne il consenso ai suoi progetti da vari membri del Consiglio Reale ed anche da qualche teologo, ma l'Inquisizione rimase inesorabile ed il Nunzio, Cardinale Monti, ammonì il Re dei pericoli che una simile decisione avrebbe apportato al paese, pregandolo di destituire l'Olivares. Ma l'Olivares era abbastanza folte per poter affrontare il Santo Uffizio e pretese la consegna dei documenti di qualche causa trattata dai Tribunali dell'Inquisizione.
Il Capo Inquisitole Sotomayor respinse dapprima la richiesta, ma non era abbastanza energico per resistere a lungo alle pressioni e finì col consegnare gli atti.
Olivares li fece bruciare ed ordinò la liberazione dei carcerati. Varie volte egli aveva manifestata l'intenzione di abolire completamente l'Inquisizione, ma Filippo IV era troppo convinto dell'utilità dell'istituzione, per lo Stato e per la Chiesa, e si oppose ai progetti del suo Ministro. L'insistente lavorio del Santo Uffizio provocò infine la caduta di questo uomo di Stato. Con ciò si interruppero anche le trattative con gli ebrei e nel 1643 la Suprema diede ordine al Tribunale di Valencia di impedire lo sbarco degli ebrei di Orano.

Successe un enorme putiferio quando nel 1645 due ebrei, Salomori Zaportas e Bale Zaportas, comparvero a Valencia con una concessione reale, del 1634, e con una commendatizia del Marchese de Viana, Governatore di Orano. Essi chiesero il permesso al Tribunale di poter sbrigare i loro affari nella città, indossando abiti da cristiani, per evitale qualche aggressione da parte della plebaglia. Il Tribunale si mostrò molto sorpreso ed ordinò loro di non abbandonare la città sino a che non fosse stata interpellata la Suprema. Il Supremo Consesso richiamò energicamente al Sovrano e i grandi pericoli a cui sarebbe stato esposto il paese se non fossero state revocate immediatamente le concessioni impartite dai suoi ministri, ed il Re ordinò infatti che i due ebrei venissero subito rimandati ad Orano, adducendo come pretesto che le concessioni del 1634 erano cadute in prescrizione e ordinando che qualora nell'avvenire qualche ebreo volesse recarsi in Spagna il Governatore di Orano avrebbe dovuto fare rapporto prima della loro partenza ed attendere il benestare del Sovrano.

Uno dei motivi principali della fondazione del Santo Uffizio era costituito dal fervore dei proseliti convertitisi alla religione ebraica ed al pericolo che essi costituivano per la Fede cristiana. Questo argomento discreditava notevolmente la costanza di fede degli spagnoli e simili casi venivano accuratamente messi in tacere dal Santo Uffizio che dichiarava apertamente che il giudaismo era questione di razza e non di dogma.
Tuttavia sembra che la maggior parte di queste conversioni siano state spontanee senza alcuna pressione da parte degli ebrei. Fra' Diego de Assumpçao venne gettato al rogo a Lisbona, nel 1603, perché si era convertito alla religione di Mosé. Egli disse di essersi deciso a questo passo per poter patire il martirio per coloro che venivano esposti a terribili sofferenze per la loro Fede.

Un caso ancor più interessante fu quello di Lope de Vera che suscitò grande clamore in tutta la Spagna, e che confermava l'esattezza dell'opinione che la convinzione della Fede era tanto maggiore quanto più basso era il livello intellettuale e culturale della popolazione.
Lope de Vera era figlio di un nobil uomo di San Clemente. All'età di diciannove anni si iscrisse all'Università di Salamanca, dedicandosi con tanto zelo allo studio delle lingue araba ed ebraica da poter concorrere nel Luglio 1638 alla cattedra di insegnamento di queste lingue. Si convertì il giudaismo e con lo zelo di un convertito tentò di convincere un suo collega all'Università, il quale finì col denunciarlo all'Inquisizione. Presto si trovò anche un altro testimonio e la Consulta de Fé di Valladolid non tardò a votare il suo arresto effettuato il 24 Giugno 1639.
Egli riconobbe apertamente i capi d'accusa, ma negò l'intenzionalità dichiarando che quanto aveva detto era piuttosto una argomentazione e che tuttavia si recava regolarmente a confessarsi e portava il Rosario. Nei seguenti interrogatori però le sue deposizioni erano divergenti e perciò la questione si protrasse a lungo.
Il 16 Aprile 1641 egli revocò tutte le deposizioni precedenti, dichiarando apertamente di essere israelita e di credere a tutto quanto credevano gli ebrei, poiché queste verità erano state comunicate ad essi direttamente da Dio. Fino a quel tempo era stato devoto alla Madre Chiesa, ma aveva dovuto convincersi che a Mosé le leggi erano state dettate da Dio. La religione romana e tutte le altre religioni erano errate. Sino allora non aveva solennizzati i riti ebrei, ma dichiarava di volerlo fare in avvenire.

Il Tribunale chiamò i più dotti scienziati, perché lo illuminassero sui suoi errori, ma questi costretti a rinunciare ad ogni sforzo dichiararono trattarsi di un individuo molto ostinato, pericolosissimo per la sua profonda istruzione in materia religiosa. L'8 Agosto il suo carceriere annunciò che il suo prigioniero si era circonciso con un osso, fatto che venne confermato dal medico che venne a visitarlo, il quale dichiarò inoltre che il prigioniero sperava di essere bruciato vivo per poter patire il martirio ed andare in Paradiso.

Vennero fatti i più seri sforzi per convincerlo, ma tutto fu vano. Infine lo pregarono di descrivere i testi ebraici sui quali fondava la sua convinzione, perché i Calificadores potessero confutarli. A questo scopo il 23 Dicembre gli venne data una bibbia, carta ed inchiostro, nonché una penna d'oca, che però egli rifiutò di adoperare dicendo che le leggi di Mosé ne vietavano l'uso ed in seguito gli diedero una penna di bronzo. Lo interrogavano spesso ed in generale dimostravano molta pazienza nei suoi confronti, ma egli infine rifiutò ogni risposta agli interrogatori.
Il Tribunale costernato fece rapporto alla Suprema, la quale ordinò che gli venissero inflitte cinquanta scudisciate. Sopportò la pena senza profferir parola e rimase muto anche in seguito. Ciò divenne molto imbarazzante essendo necessario che apponesse la firma alla deposizione e mentre questa gli venne letta turò le orecchie per non udire nulla.
Venne allora proposta la tortura, ma la Suprema per un senso di umanità rinunciò a questo mezzo ordinando la chiusura dell'istruttoria e l'apertura del dibattimento. La sentenza venne pronunciata il 27 Gennaio 1643 ed il de Vera venne condannato alla morte, al rogo, nonché al sequestro dei beni.

Tuttavia la Suprema ordinò al Tribunale di non lasciare intentato nulla per convertirlo prima dell'esecuzione, ma anche in questa circostanza il condannato conservò il mutismo. Quando gli inquisitori lo visitavano, una volta la settimana, egli si limitava a dire : « Viva la Ley de Moise », ed oltre a questo, nulla si poteva ottenere. Finalmente il 25 Giugno 1644 venne arso vivo e conservò sino agli ultimi istanti la sua fermezza.

Il caso di Lope de Vera stimolò ad una aumentata attività l'Inquisizione, che non dimostrò alcuno scrupolo di coscienza quando si trattava di identificare qualche persona sospetta. A questo riguardo é molto caratteristico un caso avvenuto nel Settembre 1642, quando il Tribunale di Galizia riferì a quello di Valladolid che un imputato durante l'istruttoria aveva deposto che un certo Antonio Lopez praticava il giudaismo a Manzaneda de Tribes, chiedendo il suo arresto.
Ben presto venne rintracciato un Antonio Lopez a Valladolid, il quale venne arrestato il 16 Settembre. Egli negò recisamente l'accusa, non venne trovata alcuna prova a suo carico e l'istruttoria si protrasse sino al 3 Febbraio 1644, quando fu pronunciata sentenza « il discordia ». Il caso venne sottoposto alla Suprema, la quale ordinò che il Tribunale. di Galizia facesse delle nuove indagini, nel corso delle quali si venne a sapere che l'imputato non era mai stato a Manzaneda. Ciò sarebbe stato un motivo abbastanza convincente per liberare lo sciagurato, ma tuttavia la Suprema ordinò anche una terza istruttoria che rimase infruttuosa come le precedenti.
Mentre costui si trovava tuttora nelle carceri, la Suprema ordinò l'arresto di un altro Antonio Lopez che era pittore a Sanabria. Era facile dimostrare che era neo-cristiano e nonostante la Consulta de Fé pronunciasse la sentenza in discordia, il 30 Aprile 1646, la Suprema ordinò l'applicazione delle torture ed il disgraziato legato ad un palo venne crudelmente flagellato. Aveva però i nervi tanto solidi da resistere e dichiararsi fedele cristiano. Il Tribunale rimase nell'incertezza e finalmente la Suprema, il 14 Luglio, ordinò la liberazione dei due carcerati, dopo che uno di essi era rimasto prigioniero per quattro anni, mentre l'altro aveva sofferto le pene della tortura, unicamente perché entrambi avevano lo stesso nome della persona sospettata dal Tribunale di un altro territorio.

Meno severo si dimostrò il Tribunale di Valladolid contro Gaspar Rodriguez, il quale venne arrestato il 4 Ottobre 1648, dietro richiesta del Tribunale di Cuenza, ma lasciato in libertà il 2 Ottobre, dell'anno seguente, poiché i suoi connotati non corrispondevano a quelli della persona imputata.
Un altro caso avvenuto a Valladolid dimostra come fosse sufficiente la più incerta accusa per procedere contro i portoghesi neocristiani. Quando l'inquisitore Pedro Munoz, nel 1619, visitò Oviedo, due donne asserirono che una donna portoghese, di nome Lucia Nunez, stabilitasi a Benavente aveva l'abitudine di cambiarsi la biancheria ogni sabato. Il Tribunale esaminò la questione e decise di non dar luogo ad alcun procedimento a carico della donna, ma la Suprema richiese gli atti ed ordinò, il 17 Agosto 1621, l'arresto della Nunez e la confisca dei suoi beni. L'arrestata venne trasferita nelle carceri segrete di Valladolid, dove alla prima interrogazione dichiarò che cambiava biancheria ogni giorno per puro amore alla pulizia e faceva ciò particolarmente durante il periodo di allattamento, non immaginando nemmeno lontanamente di commettere un peccato.
Era vero che era nata nel Portogallo, ma entrambi i suoi genitori erano antichi cristiani della Castiglia. L'istruttoria seguì il suo corso normale e nulla si poté trovare a carico della donna, la quale finalmente, in base alla decisione della Consulta da Fé, venne assolta il 15 Marzo 1622, dopo quasi cinque mesi di prigionia.

Si può vivamente immaginare quanto disgraziata fosse la sorte dei portoghesi nella Spagna, essendo capitati in un paese in cui l'Inquisizione era assai più rigorosa che non nella loro patria. Molte volte avveniva che il Santo Uffizio procedeva contro intere famiglie, perseguitandole attraverso tutto il paese e pronunciando condanne inesorabili, talvolta su tutti i membri delle famiglie stesse.
In quell'epoca le leggi vietavano l'emigrazione dei neo-cristiani e nel 1666 un falso Messia di nome Zabathia Tzevi procurò molte noie alle autorità, attirando grandi masse di ebrei nella Palestina. Infatti molti israeliti tentavano di varcare clandestinamente le frontiere e perciò la Suprema diede severi ordini alle autorità portuarie di arrestare ogni portoghese che tentasse di imbarcarsi, procedendo al sequestro patrimoniale e mandando rapporto al Supremo Consesso.

Questa febbre di emigrazione si estese ben presto in tutto il paese, cosicché la Suprema nel 1672 era costretta ad istituire una rigorosa sorveglianza anche sui passaggi di frontiera verso la Francia. Ogni persona che voleva abbandonare il paese doveva presentare domanda alla Suprema, motivando lo scopo del viaggio ed il permesso veniva concesso soltanto in casi eccezionali.

Gli immigrati portoghesi davano la maggior parte del lavoro ai Tribunali dell'Inquisizione spagnola. Tuttavia verso il principio del Secolo XVIII pareva che la vittoria sul giudaismo fosse completa. La guerra di successione naturalmente ostacolava il funzionamento del Santo Uffizio, ma ciò non spiega ancora il fatto. che agli « autos da fé » figuravano sempre in minor numero gli ebrei.
Nella Catalogna che per molto tempo rimase fedele a questa istituzione, quando già il resto della Spagna era parificato, nel 1715 venne ripristinata l'Inquisizione. Il Tribunale di Barcellona in tre anni pronunciò appena venticinque sentenze e fra queste soltanto tre colpivano degli ebrei che, fuggiti da Sevilla, avevano tentato di stabilirsi in Catalogna. I verbali del Tribunale di Cordova sono molto incompleti, tuttavia si può rilevare che tra il 1700 ed il 1720 vennero pronunciate complessivamente cinque sentenze. A Toledo nel medesimo tempo si svolgevano ottantotto istruttorie tra le quali 23 si riferivano ad ebrei.

Tuttavia il fuoco delle persecuzioni era soltanto calmato temporaneamente per ravvivarsi ben presto con maggiore violenza. Probabilmente il mutamento venne provocato dal fatto che circa venti famiglie fondarono a Madrid una sinagoga, eleggendo un rabbino. Tra il 1707 e il 1714 essi poterono rimanere inosservati, ma qualcuno li sorprese ad organizzare una festa da ballo in Quaresima.
Cinque di essi vennero giustiziati all'«auto da fé» del 7 Aprile 1720 e questa scoperta stimolò ad una maggiore attività anche gli altri Tribunali. Il 19 Marzo 1721 il Tribunale di Toledo condannò Sebastiano Antonio de Pas, administrador del tabaco, imputato d aver fatto celebrare secondo il rito ebraico le nozze della propria figlioccia.

Tra il 1721 ed il 1727 vennero tenuti sessantaquattro « autos, da fé ». Tra gli 868 imputati si trovavano 820 ebrei contro i quali i Tribunali procedettero col massimo rigore. Settantacinque vennero giustiziati, altri settantaquattro bruciati in effigie ed i rimanenti condannati a severe pene carcerarie e di galera.

Agli effetti del luogo di provenienza delle vittime a seconda delle varie regioni della Spagna, si possono fare interessanti rilievi in base ai dati statistici. Nella provincia di Aragona si trova appena qualche traccia del passaggio di ebrei; a Valencia ne vennero condannati venti, a Barcellona cinque, a Saragozza uno ed a Majorca nessuno.
Tra i Tribunali della Castiglia, quello di Longrono non tenne alcun « auto da fé »; Santiago pronunciò quattro sentenze, Sevilla centosessantasette e Cordova settantotto. Negli anni 1728, 1730 e 1731 il Tribunale di Cordova pronunziò ventisei sentenze per giudaismo mentre poi a tutto il 1475 si verificarono soltanto due casi. A Toledo dopo il 1726 ed a tutto il 1738 non si verificò alcun caso finché in quest'ultimo anno vennero promulgate quattordici condanne.

A quanto pare era esaurito ogni appiglio per operare delle persecuzioni poiché i verbali del Tribunale cessano nel 1794 rammentando un unico caso avvenuto nel 1756.
Questa decadenza dell'attività inquisitoriale conferma la vittoria del Santo Uffizio inquantoché si era riusciti ad estirpare completamente il giudaismo nelle province della Corona spagnola. Tra il 1780, ed il 1820 vennero condannate in tutto sedici persone per giudaismo fra le quali però dieci erano straniere. L'ultima sentenza di tale genere venne pronunciata nel 1818 con la condanna di Manuel Santiago Vibar e questo può essere considerato come l'ultimo atto del lungo dramma che per oltre tre secoli travagliò il Regno di Spagna.

Nell'ultimo periodo di questa persecuzione il Santo Uffizio ebbe molto più da fare con l'espulsione degli ebrei che non indagini di carattere religioso. Ricordiamo che nel 1499 Ferdinando ed Isabella vietarono il ritorno in Spagna agli ebrei espulsi e la forte immigrazione di stranieri sotto pena di morte e sequestro dei beni. Ordinarono l'esame di tutte le navi che giungevano nei porti spagnoli, per tenere lontani dal paese inizialmente gli ebrei e in seguito gli eretici luterani ed i loro libri. Quando un ebreo veniva scoperto a bordo veniva sottoposto ad interrogatorio. Se diceva di essere convertito lo arrestavano immediatamente e procedevano al sequestro dei suoi beni; se viceversa non era battezzato e non manifestava l'intenzione di scendere a terra gli permettevano di proseguire il viaggio con la nave.
È interessante la differenza di trattamento usata nella Spagna verso ebrei portoghesi in contrasto con quello riservato ai loro confratelli italiani. Mentre gli ebrei portoghesi dovevano recarsi clandestinamente a Nizza o in altri luoghi dell'estero per potervi praticare liberamente i loro riti religiosi, quelli italiani si recavano nella Spagna per lavorare e non si curavano affatto della vigilanza del Santo Uffizio. Per aumentare gli introiti della tesoreria venne dato a molti ebrei italiani un permesso di libero accesso nel paese.

Nel 1713 venne stipulato l'accordo di Utrecht nel quale venne pattuita la consegna di Gibraltar agli inglesi, a patto che sarebbe stato vietato agli ebrei ed ai Mori di stabilirvisi. Gli inglesi non si curavano molto di questo impegno, provocando infinite lamentele da parte delle autorità spagnole, le quali temevano continuamente una nuova invasione da quella parte. Ma era una vana preoccupazione, poiché il timore dell'Inquisizione di per sé valeva a tenere gli ebrei lontani dalla nazione.

Nel 1756 un certo Abraham Salusox, ebreo di Gerusalemme si recò a Valencia per vendere un leone. Il capitano della nave fece rapporto alle autorità, le quali ordinarono che egli fosse sorvegliato, tanto sul bastimento quanto a terra. Il Conte Almenara comperò il leone ed al Salusox venne permesso di trattenersi per qualche giorno nel palazzo del Conte, finché fosse preparata una nuova gabbia alla bestia, perché egli potesse provvedere al passaggio della belva. Indi si imbarcò e poté fare ritorno a Gerusalemme.
Nello stesso modo venne trattato un altro ebreo, nel 1759, il quale importò della merce da Gibraltar. Il custode incaricato di sorvegliarlo non si allontanò da lui nemmeno per un minuto ed al suo ritorno si procedette ad un accurato esame dei suoi libri e delle sue carte, per vedere se non vi era qualche cosa contrastante con le leggi.

Nel 1795 un decreto reale informò la Suprema che un suddito israelita del Bey di Marocco sarebbe arrivato a Valencia, trattenendovisi per otto giorni e che non si doveva importunarlo in alcun modo. In questo caso il Tribunale non si curò di lui, ottemperando così alle istruzioni del Decreto.
Nel periodo tra il 1645 e 1800 gli ebrei solo rare volte affrontavano il pericolo congiunto ad un viaggio in Spagna. Quelli che vi si recavano tuttavia segretamente correvano il rischio di essere scoperti da un momento all'altro. Nel 1781 Jacobo Pereira scese a terra a Cadice sotto falso nome, ma il Tribunale di Sevilla lo riconobbe e lo espulse immediatamente. Un Decreto Reale del 25 Aprile 1786 permetteva agli ebrei l'accesso in Spagna in casi eccezionali, quando potessero giustificare ampiamente lo scopo dei loro viaggio.

Una maggiore conciliazione venne tentata nel 1797, quando Don Pedro de Valera, Ministro delle finanze per dare un incremento alle industrie ed al commercio della Spagna propose di permettere agli ebrei il commercio a Cadice ed in altri porti, ma il Consiglio dei Ministri respinse la proposta dichiarando che era contraria alle leggi del paese. Indubbiamente la discussione continuò per lungo tempo e nel 1800 la Suprema invitò tutti i Tribunali a fare rapporto sul trattamento dato agli ebrei, quando essi chiedevano il permesso di entrare nel paese. A quanto pare in seguito a questo rapporto generale venne promulgato il decreto reale dell' 8 Giugno che imponeva la rigorosa osservanza delle antiche leggi.

I torbidi tempi delle guerre napoleoniche resero necessario di tenere più a freno gli ebrei e Ferdinando VII, nel 1816, promulgò un decreto che confermava pienamente le disposizioni del 1802. Ma era più facile la pubblicazione che non l'esecuzione di simili disposizioni. Il 12 Giugno 1819 il Tribunale di Sevilla fece rapporto alla Suprema che diversi ebrei di Algecira, Cadiz e Sevilla chiedevano il permesso di poter abbracciare la religione cattolica. Erano tutti mendicanti o evasi dalle prigioni.
In conseguenza a tale rapporto il Capo Inquisitore diede severo ordine ai Tribunali di attenersi rigorosamente ai decreti del 1786 e 1802.

Nel medesimo tempo anche i commissari portuari vennero istruiti di attenersi in tutto alle antiche disposizioni, che ordinavano la visita delle navi. Barcellona rispose che la visita veniva effettuata soltanto quando si otteneva il rapporto che vi fosse a bordo qualche ebreo.
Alicante rispondeva che la corruzione che si verificava intorno al controllo delle navi, aveva come conseguenza l'esodo degli ebrei verso Murcia. Cartagena mandava a dire che il controllo delle navi era stato fatto cessare e solo quando arrivavano delle persone sospette si doveva fare rapporto al commissario di porto. Cadiz ed Algeciras affermavano che il commissario di porto viene sempre avvertito quando ci sono arrivi di ebrei, rinnegati ed altre persone sospette e il commissario fa di tutto per prevenire i guai.
Nel porto di Motril le navi vengono visitate solo nel caso dell'arrivo di ebrei. Secondo Santiago le autorità dei porto osservano con la più grande scrupolosità le disposizioni regie del 1786 e del 1802, nonché le istruzioni dei Consiglio Supremo. Ciò nonostante risultava che le leggi ed istruzioni non erano severamente eseguite ma il Governo era fermamente deciso di raggiungere con ogni mezzo lo scopo prefisso e cioè l'espulsione, totale e completa degli ebrei dalla Spagna.

Furono indirizzate severissime istruzioni a tutti gli uffici regi secondo le quali nessun ebreo poteva entrare in terra spagnola se non disponeva di un permesso speciale regio. Se un ebreo invece era in possesso di un tale permesso, subito dopo la sua entrata in Spagna doveva personalmente recarsi presso l'Inquisizione oppure presso un suo agente affinché potesse essere tenuto sotto controllo dai tribunali. Questo ordine fu emesso dal Ministero di Giustizia il 31 Agosto 1819 ed il Consiglio Supremo il giorno 6 Settembre inoltrava le istruzioni relative a tutti i tribunali della Spagna.

Alcuni anni ancora e siamo verso gli ultimi anni dell'Inquisizione. Nel 1848 tutte queste leggi furono messe fuori uso e gli ebrei potevano liberamente circolare in Spagna senza essere più molestati. Fu permesso loro di esercitare liberamente anche le arti e mestieri, benché le leggi restrittive non furono ancora abolite dalla legislazione.
Solo nel 1854, quando sulla proposta del deputato Cortez la Spagna preparava la nuova Costituzione, gli ebrei tedeschi hanno inviato il rabbino di Magdeburgo Dott. Ludwig Philpson in Spagna con l'incarico di chiedere la definitiva abrogazione delle leggi contro i suoi correligionari, ma tale missione é rimasta senza risultato.
Finalmente quindici anni dopo - quando la rivoluzione scacciava dal trono Isabella II, la Spagna proclamava per legge la completa
uguaglianza religiosa in tutto il territorio spagnolo, compreso le Colonie e tale legge fu promulgata dal Parlamento nel 1869 e confermata nel 1876, con la clausola però che nessuno non doveva più essere molestato per causa della sua religione, ma pubblicamente solo i cattolici potevano celebrare dei riti religiosi.

Malgrado l'abrogazione rimaneva però sempre negli spagnoli un'avversione pronunciata contro gli ebrei e come diceva un pio frate francescano, il portare gli ebrei in Spagna, fu una colpa morale ed un errore politico e lo stesso frate prediceva che gli ebrei un giorno rovineranno la Spagna.

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