HENRI SANSON - "LE MEMORIE DEI CARNEFICI DI PARIGI"

LIBRO SECONDO
DAL MANOSCRITTO DI CARLO SANSON

(da pag. 53 a pag. 67 )

« La mia più cocente sventura fu sempre quella di dare alle mie passioni un potere dispotico sulla mia volontà e di rendermi in cotal guisa, per mio indurimento, indegno della benignità di Dio, a quale ciò nullameno e più, di una volta tentò di tirarmi dall'abisso dove quelle mi precipitavano.
Una grande afflizione contristò la mia gioventù; ma lunge dall'entrare contro essa in guerra e dal menomarla per ragionamento, per mortificazione e per preghiera, io siffattamente mi piacqui a sostenerla che meglio mi si sarebbe fatto lasciar la vita che non il mio pazzo amore; laonde cotesta servitù preparò il mio animo a subire tutte le deliberazioni violente che piacesse al mio cuore di comandargli.
Nell'anno 1662 io ero luogotenente nel reggimento del signor marchese di Laboissière, il quale, dopo aver fatto l'anno 1658, sotto il signor visconte di Turenna, la campagna in cui furono prese Bergues, Furnes e Gravelines, era venuto a tener presidio nella città di Dieppe.

In questo anno 1662 mio fratello, che già era stato consigliere, morì nella città di Abbeville dove aveva dimora, e fu per me grande dolore e grande turbamento, comechè Colomba Brossier de Limeux, la sua vedova, pochi giorni dopo di lui crudelmente si dipartisse da questo mondo.

Nel mese di 'luglio quell'aiuto di Dio che da me fu già menzionato, si era in mio favore manifestato con grande splendore; ma in quel tempo stesso che il mio Signore mettevami ben amaramente fuori di un pericolo che avrebbe potuto condurmi alla dannazione dell'anima, l'eterno nemico della nostra salute mi incitava che io cadessi in un altro.
In conseguenza di una caduta dal mio cavallo che pose la mia vita in grande pericolo, io fui portato alla dimora di un pover uomo il quale abitava la casa che denominasi del Cortile Maledetto, la quale trovasi fuori le mura della città di Dieppe, passato il cimitero, sulla strada di Neufchatel, in quel sito dove altra casa non esiste.
Quest'uomo fece per me quelllo che si era fatto dal buon Samaritano: lavò le mie piaghe, medicò le mie ferite, non mi diede congedo fino a tanto che io non fossi risanato. Ma io con me portavo dalla sua casa un altro male più tristo che quello da lui addolcito: ne uscivo innamorato di una fanciulla, Margherita e che era la sua unica figlia.
All'inizio non volli pensare alla cosa. Tuttochè io ignorassi lo stato vero del padre di Margherita, egli erami sembrato di meschina condizione, e non volendo pretenderla in moglie, non potevo condurre a male la figlia di colui che mi aveva beneficato.
La crudele perdita che io avevo allora sofferto nelle persone del mio bene amato fratello e della mia amatissima sorella, opprimeva la mia anima di lutto, e io feci risoluzione di consacrare tutta la mia vita a piangerla.
In quello stesso tempo, un cugino mio che si chiamava Paolo Bertauld, era venuto a Dieppe per suoi negozi, essendo egli di quelli che tenevano la Nuova Francia delle Indie, innanzi che il Re nostro signore non l'avesse riscattata dalle loro mani.
Benchè già io nutrissi un sordo odio contro i miei simili a cagione di travagli e miserie che mi avevano suscitato, e meglio mi fosse cara la solitudine che la loro compagnia, io molto amavo Paolo Bertauld da me conosciuto fanciulletto nella città di Quebec, quando ebbi a visitarla sui vascelli del Re.
Benchè Paolo ignorasse, come tutti, la vera cagione del mio nero umore e della mia melanconia, egli si ingegnava a distrarmi e a procacciarmi divertimenti, altrettanto in compagnia di lui quanto in quella del signor Valvins de Blignac, il quale al pari di me aveva una luogotenenza nel reggimento del signor marchese de la Boissiere, ed era pronto alla spada e molto giocondo compagno.
Un giorno d'autunno, mangiando noi tutti e tre alla riva del mare, nella casa d' Isacco Crocheton, il mio cugino Paolo dichiarò, in maniera d'uomo risoluto, che innanzi fosse scorso tutto il mese, egli avrebbe avuto per amica sua la più bella fanciulla che fosse nella città di Dieppe e luoghi vicini.
Il signor de Blignac, che d'indole sua era anche grande adulatore e abbondava nel lodare colui che lasciavasi volentieri gabbare al giunco e pagava volentieri le sue gozzoviglie, confermò quella millanteria come se egli conoscesse la donzella.

Incontinente io mi sentii tutto sossopra dentro me stesso, e il mio cuore si diede a battere, giacché io avevo già notato che da qualche giorno mio cugino portava sul suo cuore quel fiore della incolta campagna che denominasi col nome di colei a cui ogni giorno io pensavo, e mi ero già immaginato che fosse in suo onore.
lo ero in questo tre volte pazzo, poichè dopo l'afflizione che mi aveva arrecato la mia prima amicizia, in ragione del ricordo che di essa volevo conservare, avevo fatto giuramento di nulla più amare che Dio, poichè io non avevo riveduto Margherita (questo era il nome della donzella) dall'ora che risanato ero uscito dalla casa di suo padre; poichè in fine, supponendo che il proposito non fosse da millantatore, bene esistevano nella città di Dieppe e nei su
oi sobborghi cento fanciulle a cui il complimento poteva convenire.
Ma come se ceduto io avessi a una volontà più onnipotente che non la mia, io mi tolsi dalla tavola e pretendendo essere chiamato al castello, lasciai i miei compagno, mi gettai a piedi per una scorciatoia, attraversai le Polet, e per il sentiero do Bracquemont giunsi al Cortile Maledetto su la via di Neufchatel, dove più non ero tornato dopo che mi era stata così funesta.
Allorché io vidi tra i meli della cinta la casetta di Margherita, mi giunse l'idea di tornarmene alla mia casa, ma inutile era che io mi predicassi, camminavo sempre a quella volta.
Avevo veduto due volte il suo vecchio padre. Da ultimo, e dopo avermi restituito in sapute, egli mi aveva vietato di avvicinarmi ancora alla sua casa proferendo ogni sorta di minacce feroci, le quali io attribuivo a suo timore che io non facessi gli occhi dolci alla pulzelletta.
Io dunque non affrontai la morte nel timore che col suo temperamento a me ben noto, egli non castigasse l'innocente; feci il giro del cortile, che era circondato soltanto da una siepe di rose selvatiche, e avendo veduto lei che passeggiava, e profittando che ella si trovava in parte discosta dei detto cortile, saltai la siepe e corsi verso di lei.

Le menzogne non si contano a colpa di chi area poco o molto, e si può dire di esse che siano l'appannaggio dell'amore. Io raccontai alla donzella che non essendomi dato di dir grazie al burbero suo padre, a lei l'avevo voluto dire per le sue buone cure e caritatevoli uffici : poi, senza preamboli e come se non avessi saputo affrettarmi troppo, tanto la tema di essere da altro prevenuto mi speronava, le feci con tutta dolcezza la confessione del mio amore.
La fanciulla arrossì, ma non si mostrò crucciata : tuttavia io vidi che gli occhi suoi si empivano di lacrime, e poichè le domandavo che cosa la facesse piangere, ella rispose che non avrei dovuto amarla, che una tale amicizia mi avrebbe attirato sul capo grandi calamità, e mi ingiunse e mi supplicò di mettermi in salvo al più presto, dacchè suo padre poteva ed ogni istante discendere nel cortile.

Rimasi io nondimeno qualche tempo vicino a lei, ripetendole ciò che già detto le avevo, e me ne tornai in città con gran turbamento.
Ma il dì seguente ritornai al Cortile Maledetto, e ancora i prossimi giorno ci tornai.
In verità questa mia seconda follia, succedendo alla prima, la superava in veemenza. Invano io lusingavo me stesso, invano cercavo nuove forze nei ricordi di quella che avevo tanto amata : nelle preghiere che facevo sopra la sua tomba, mi sorprendevo di pensare a Margherita.
Nondimeno, molto essa era lontana dall'incoraggiare la mia amicizia per lei. Quanto più cotesta amicizie manifestavasi calda e fremente, tanto più ella metteva ogni ardore nell'implorare la rinuncia che fin dal primo incontro ella mi aveva domandata, e più di me stesso ella mi appariva melanconica.
Dacchè ella era saggia, e un giorno che io avevo voluto rubare di lei un semplice bacio ella era montata in grande corruccio e io avevo avuto molta pena a ottenerne perdono, non pensavo più a mio cugino Paolo e alla meravigliosa sua conquista.

Una sera tuttavia, sedendo io a mensa col signor Valvins de Blignac, riscaldato dal bere e di allegro umore, poiché io mi burlavo di lui e scherzando gli parlavo della bella amica di Paolo e del brutto mestiere che, se la cosa era vera, avrebbe egli fatto in cotesto negozio, egli mi rispose con uno strozzare dell'occhio che nulla era più vero e che, grazie ai suoi buoni uffici, in quell'ora mio cugino doveva godersi le buone grazie della più bella figliuola che ovunque s'avesse incontrata.
Imperocchè nessuna mi paresse in questo mondo più leggiadra creatura di Margherita, di nuovo io divenni inquieto. Lo tormentai di mie domande; egli fece un poco il difficile; ma poiché a tutte le qualità cattive del suddetto sire di Blignac potessi aggiungere quella di essere il piu gran ciarliero che mai fosse, la sua lingua si sciolse. Mi raccontò allora che la ragazza mostrandosi intrattabile nè per oro nè per amore volendo nulla accordare, per suo consiglio il signor Paolo Bertauld aveva acquistato dal farmacista di quella droga che fa dormire, la quale avendo consegnata al servo che egli aveva guadagnato, cotesto servo doveva la sera stessa farne le parti tra la padrona e la fante; aggiunse ancora che dovendosi il padre e detto servo quella notte assentare, poichè la casa era isolata, le donzella sarebbe stata molto a discrezione dal mio cugino.

Io credo che se la grande torre della Chiesa di San Giacorno fosse crollata sulla mia testa, non tanto sarebbe stato il mio terrore e il mio spavento quanto allorche il signor de Blignac ebbe detto questo.
Io perdetti la parola, e non vedevo più, e mi levai quindi casi impetuosamente che col mio sgabello gettai giù la tavola e la terraglia; spada e cappello avevo sopra un banco, e raccattai solo la spada, e nuda tenendola e fuori dal fodero, mi diedi a correre come forsennato attraverso la città.
Non so da quale istinto guidato, andai nella notte nera dritto per la mia strada come se fosse stato meriggio, e non avevo corso la metà di un'ora che vidi come una stella attraverso i meli del piccolo recinto.
All'idea che quel chiarore poteva illuminare il disonore della povera figliuola, sentii il mio cuore gonfiarsi di tanto odio e tanta rabbia che al bisogno avrei tratto contro venti la spada.
Nel momento che io mi avvicinavo alla casa, scorsi l'ombra di un uomo che strisciava lungo il muro. Gridai : --Olà. --- L'uomo prese la fuga, ma non così prestamente che tosto non lo avessi raggiunto e riconosciuto che il signor de Blignac non mi aveva detto menzogna e che bene era il mio cugino colui che aveva divisato assalire con tanta viltà la fanciulla addormentata.
Io lo trascinai in luogo discosto, e tutto ardente di corruccio e di dolore, gli rimproverai amaramente la sua condotta disonesta e sleale, facendo a lui vedere quanto fosse delitto condurre a perdizione una fanciulla alla quale tanto maggior rispetto dovevasi perchè essendo ella poveretta e di condizione misera chi le toglieva sua virtù le toglieva tutto il suo bene.

Il mio cugino si teneva a capo basso, e tutto contrito non faceva parola. Nondimeno, se egli solo fosse rimasto io avrei senza dubbio indotto a pentimento, imperocchè i suoi vizi erano vizi di giovinezza e di frequentazioni malvage, ma l'arrivo del signor Valvins de Blignac venne a guastare ogni cosa.
Il detto signore di Blignac, vedutomi fuggirmi da lui in grande scalmana, si era dubitato di quanto aveva a succedere, e comechè i malvagi non possano senza duolo veder scompigliate le loro tristi imprese, si era messo con molta prestezza sulla mia via.
Allora, cangiando il tono, con lui me la presi, e gli dissi con tutta l' indignazione dell' anima quanto pensavo della parte che in tale circostanza aveva tenuta, e gli dissi ancora che da sei mesi, da quanti il signor Bertauld era nella città, egli si era fatto propositi di condurlo a male, eccitandolo al giuoco, ebrietà, bagordi e ogni sorta di villania.
Il signor de Blignac rispose facendo elogio a mio cugino che tali rimproveri avesse sopportato, sbeffeggiando com'era sua abitudine, e giurando che se io seco m'ero corrucciato, ciò si doveva ad intenzioni che avessi io stesso sopra la bella: che io gli avrei reso ragione dei propositi che avevo detto sul suo conto, i quali egli mi avrebbe fatto rientrare nella gola; su di che, messa mano alla spada, mi affrontò, gridando a mio cugino di attaccarmi da parte sua, e che colui il quale ne uscisse meglio avrebbe la bella.
Sia che l'amore gli avesse voltato il cervello, sia che fosse egli punto dai motteggi e turlupinate del signor di Blignac, il signor Paolo Bertauld non ebbe vergogna di trarre il ferro contro il suo parente ed amico, e di assalirmi al tempo stesso ch'ero assalito dal signor de Blignac.
Io mi difesi alla meglio, rompendo per guadagnare gli alberi e coprirmi, ma poichè nel frattempo il signor di Blignac mi portava una botta, con una buona stoccata lo ferii così gravemente al polso, che la spada gli cadde al suolo, dove, messovi su il piede rapidamente, la potei afferrare, e tosto che la ebbi, la gettai lontano.

Il signor Paolo Bertauld da parte sua si era pigliato un fendente, ed io un colpo di punta alla spalla.
Allora i due compagni mi lasciarono e se ne andarono maledicendo, avendomi detto che il domani avrebbe fatto giorno e si sarebbe potuto tirare di spada senza rischio d' infilzarsi gli occhi come malandrini.
Vedutili partire, decisi che tuttavia sarei rimasto là tutta la notte, tanto diffidavo di quel signor di Blignac, uomo abbastanza fellone e perverso per istigare il signor Paolo Bertauld a trarre vantaggio dal mio dipartirmi per prendere la sua rivincita.
Verso mezzanotte, non sentendo alcun movimento nella casa, ancorchè non poco rumore si fosse fatto da noi, cominciai a inquietarmi che quella maledetta droga non avesse uccisa la ragazza e la fante : e questo fu che mi perdette. Il servo furfante aveva, com'era convenuto col signor Paolo Bertauld, lasciato la porta socchiusa; io entrai nella casa e montai la scala che menava alla cameretta della povera figliuola.
Qui, lo confesso con grande vergogna e contrizione, perdetti ogni beneficio di saggi ammonimenti, insegnamenti e consigli da me predicati al signor Paolo Bertauld. Quando vidi la fanciulla di cui ero innamorato, così bella e sul letto suo addormentata, si dileguò la mia virtù come fumo sparpagliato da ogni più leggero vento, io non mi mostrai nè più morigerato nè più savio che colui non sarebbe stato, e non temetti di commettere il crimine da me così aspramente biasimato.
Che Dio mi perdoni nell'altro mondo, poichè in questo io faccio espiazione della mia colpa.

L' indomani, venne il valletto del signor Paolo Bertauld a trovarmi nella mia casa e mi fece intendere che il suo padrone m'attendeva sulla piazza del Puits-Salè.
Credendo che egli mi chiamasse a duellare, presi la spada e seguii il servo.
Vi era grande moltitudine di popolo su detta piazza del Puits-Salè, e io ebbi molta meraviglia che il signor Paolo Bertauld avesse scelto tal luogo per conversare o per ucciderci, come già mi aveva meravigliato il modo suo di mandarmi il cartello.
Ma il signor Paolo Bertauld, quando ivi lo incontrai, non mi mostrò ne rancore nè fiele per quanto la vigilia era avvenuto tra noi. Anzi mi tese la mano, che io non presi, ricordandomi io, che egli s'era unito col signor di Blignac per sopraffarmi.
Mostrandomi allora un patibolo innalzato nel bel mezzo della piazza del Puits-Salè, mi invitò che io guardassi a quella vota; il che avendo fatto, riconobbi io un uomo che stava attaccando alcuni ragazzacci alla gogna, il mio ospite della casetta del Cortile Maledetto, e padre della mia amata; al tempo stesso mi diceva il signor Paolo Bertauld che, avendo saputo essere la sua bella la figlia di mastro Pietro Jouanne, maestro delle alte opere della città di Rouen e viscontado di Dieppe, egli mi aveva gratitudine che per me l'avessi presa, non volendo alcuna contaminazione di cuore o di carne con razza di carnefici.

Fui sul punto che lo aggredissi io. Ma vi eran intorno a noi tanta moltitudine che quasi subito ci trovammo separati e io me ne ritornai a casa molto mortificato e crudelmente afflitto.
Benchè mastro Pietro Jouanne mi fosse sempre sembrato di strano comportamento, non m'era mai venuto di pensare che egli potesse esercitar quella funzione per la quale non vi era in me che esecrazione e disprezzo. E nondimeno, e a dispetto dell'avversione mia per il padre, io mi dicevo tacitamente che la bellezza, che la virtù di Margherita, la facevano ben più degna di esser nata sui gradini di un trono che ai fianchi di un patibolo.
Ma poichè era l'ora d'andare al castello, uscii senza essermi deciso ad alcun partito.
Lungo il Corso, mi tenni certo che tutti i conoscenti miei torcessero da me la testa, e dentro al castello mi accorsi molto bene che quei signori del reggimento del signor de la Boissière mi facevano quel giorno più fredda accoglienza del solito.
Andandomene di là tutto pensieroso, accadde che, senza scegliere la via, solo per la onnipotenza dell'abitudine, io prendessi quella che prendere solevo tutti i giorni e senza addarmene, mi ritrovai di nuovo presso il Cortile Maledetto.
Margherita era sulla porta, ella m'aveva veduto, e quando pure fosse stata in me la tentazione di volgere indietro, la quale io non avevo affatto, per civiltà non avrei potuto. lo venni dunque a lei e la vidi, tanto fortemente impallidita e sfigurata che i rimorsi, i quali già mi stringevano, ebbero a mutassi in crudele angoscia.
E così fu che io vi tornai e l'indomani, e il giorno seguente, e tutti i giorni, e benchè non più che nel passato ella mi permettesse alcuna licenza, nè io osassi farmi forte di quello che le avevo rubato come un ladrone, la mia amicizia per lei crebbe sì forte che, figlia come ella era di boia, l'amavo nè più nè meno che se ella fosse stata figlia di re, e m' era impossibile pensare alla professione e mestiere del padre suo.

Si diede frattanto che il signor Valvins de Blignac, essendo ristabilito e guarito della sua stoccata, si mise a raggirarmi con ogni specie di turpitudini e di menzogne, tanto che un giorno, recatomi io alle esercitazioni militari, quei signori, fingendo non avermi veduto, nemmeno si tolsero per me il cappello.
Volevo senz'altro mandare a sfidare il signor di Blignac, e mi misi in cerca di un padrino.
Ma tutti quelli ai quali mi rivolgevo mi rispondevano no, corto e secco, senza volermi raffazzonare ragioni ne cattive nè buone del loro rifiuto; nè si trovò manco un semplice trombetto che si prendesse semplicemente la pena di dissimulare il fastidio che siffatta richiesta gli cagionava.

Ma stavo mettendo in via per domandar l'aiuto di qualche gentiluomo cittadino, quando il mio valletto venne a cercarmi da parte del signor marchese de la Boissière, che mi volev senza indugio presso di lui.
Recatomi alla sua casa, trovai il detto signor marchese de la Boissière corrucciato e in veemente collera, il quale mi gridò con forti imprecazioni che, non contento di aver già trasgredito e di voler ancora trasgredire le ordinanze del Re sire nostro riguardo al duello, io disonoravo il reggimento per i miei sozzi amori con la stessa figlia del boia : e senza concedermi tempo di rispondere una sola parola, egli sfregiò di odiatssimi epiteti il nome della povera fanciulla qualificandola di tal fatta che la pietà per la sua memoria mi vieta ripetere.
A quel punto il mio molto collerico temperamento s' infiammò e mi fece ribattere in modo così acre a colui che grandemente io dovevo rispettare per la qualità e l'età, che il signor de la Boissière mi ingiunse di togliermi dalla sua stanza e consegnarmi agli arresti nel castello finchè da lui s'informasse il Re del mio comportamento.
Io, non mi potendo più trattenere, sguainai la mia spada e piegandola sul ginocchio la ruppi, dicendogli ch' egli poteva risparmiarsi di scrivere al Re per togliermi il mio brevetto di luogotenente, poiché, sì tosto io fossi giunto a casa, avrei con le mie mani quel brevetto fatto a pezzi, com' egli m'avea veduto fare della mia spada.
E allontanandomi, non rimasi nel mio alloggio per timore di esservi preso dagli uomini del signor marchese de la Boissière. Raccolsi un po' di denaro che avevo, misi il mio cavallo in arnese, e saltato in sella mi affrettai ad uscire di città.
Avevo già deliberato di guadagnare la campagna dalla parte di settentrione e di imbarcarmi in qualche porto o scalo per le Indie d'Occidente, ove mi sarei ricondotto alla mia antica condizione di marinaio. Tuttavia, non volevo andarmene così lontano senza aver detto addio alla mia amica. Conservavo la speranza di deciderla a dividere la mia sorte, in paese dove nessuno avrebbe conosciuto il tristo mestiere del padre suo. Affinchè ella si risolvesse a venir con me, ero determinato a confessarle in qual modo, senza che ella ne dubitasse e con azione criminosa, io mi fossi reso di lei signore.
Appena fuori dalle mura, io spronai diritto verso il podere del Cortile Maledetto. Molto mi sorprese il vedere le finestre della sala tutte chiuse, poichè era ben lontano dall'esser tardi. Soltanto quando mi fui fatto dappresso, vidi fili di luce che passavano attraverso le fessure della porta d'una specie di magazzino attiguo alla casa, e al tempo stesso mi pareva udir come un gemito che venisse da quel magazzino.
Ancorchè non facile a sbigottire, mi ricordo che le mie carni, come fanno le foglie al vento, tremavano e rabbrividivano. Avevo attaccato la mia cavalcatura al tronco di un albero: mi accostai a quella porta : misi l'occhio alla fessura più larga, e di quel che io vidi, i miei capelli mi si rizzarono tutti sul capo.
Margherita, la diletta mia Margherita, stava distesa sul letto che serve alla inchiesta per mezzo di tortura; il suo padre carnefice, più simile a tigre che ad uomo, le aveva calzato gli stivaletti spagnoli del tormento; con le proprie sue mani di padre egli ribatteva con un magliolo dentro al calzaretto di legno il cuneo tutto arrossato d'un sangue che era quello della sua figlioletta, e ad ogni colpo le diceva con furiosa collera : - Confessa, confessa - e la poveretta, rovesciandosi indietro con lacrime
e grida d'angoscia, chiamava tutti i santi del Paradiso e Dio stesso a testimoni di sua innocenza.

Io non vidi cotesta crudeltà che mezzo minuto, poichè già io avevo raccolto un'asse che là si trovava, e dandomi Dio una forza quale non mai mi ero conosciuta, avevo fatto a un sol tratto volare la porta in frantumi, come avrebbe fatto un petardo d'artiglieria.
Tosto riconosciutomi, mastro Jouanne gettò lungi da sè il suo mazzapicchio, e impugnata la grande spada che gli serviva per la decapitazione dei gentiluomini, non mi scagliò minaccia, ma brandendo quella intorno alla testa di sua figlia, proferì giuramento orribile che, se soltanto un passo io movessi per soccorrer colei, avrebbe gettato incontanente quella testa giù dalle spalle che la portavano. Io caddi a' ginocchi gridando e gemendo come pur testè la povera Margherita gridava e gemeva. Allora mastro Jouanne, avendomi domandato che cosa mi conducesse a lui e se io gli portassi il nome del seduttore che egli vanamente da sua figlia implorava, io gli confessai la mia colpa dimostrandogli che io solo ero il colpevole, e non la molto santa e molto virtuosa sua figlia.

Il che avendo udito, quel mastro Jouanne così feroce e così crudele si prosternò davanti al letto del tormento, tutto sciogliendosi in pianto; egli levò dalla gamba di sua figlia lo stivaletto che la stritolava, e prendendo dolcemente fra le sue mani la detta gamba tutta livida e piagata, ne baciava le piaghe, ne blandiva le lacerazioni, da lei implorando grazia e perdono con tanta dolorosa commozione che a vederlo così disperato avrebbe pianto una roccia. Indi ancora egli moveva lamenti sulla sciagurata condizione dei miserabili in questo mondo, e diceva che Dio le fanciulle povere avrebbe dovuto farle brutte e ributtanti, imperocche virtù e castità non le difendevano contro la concupiscenza dei nobili e potenti.

Facendomi innanzi, io lo misi a parte delle mie intenzioni di abbandonare la mia patria e gli dichiarai che, andando lontano, volentieri avrei preso Margherita come moglie e sposa.
Mastro Jouanne si mostrò più commosso che innanzi non fosse stato; ma fu fermo e, volgendosi verso sua figlia, le disse che toccava a lei rispondere. Subito la figliola prese quelle mani che l'aveano sì duramente malmenata e fatta sanguinare; ed ella le baciò, dicendo che suo padre aveva lei sola come consolazione e sostegno della sua vita tanto solitaria, e che ella mai lo avrebbe abbandonato, quando pure io le offrissi il trono di quelle Indie dove volevo condurla.

Mastro Jouanne abbracciò sua figlia molto compuntamente e mi mostrò la porta gridando che egli era boia, ma non assassino, nè mi avrebbe ammazzato quel giorno, sebbene io mi dovessi guardare di ricomparire nella città o nel paese se avessi cara la vita.
E così me ne andavo a testa bassa e col cuore molto straziato: quando però il mio piede toccò la soglia della porta sentii dietro a me un grande singhiozzo, ed essendomi rivolto, vidi Margherita essersi svenuta tra le braccia del padre. Mastro Jouanne ancora mi respinse con molta rudezza. Vedendo allora, dall'afflizione della fanciulla, che la sua anima era amareggiata di quel distacco quanto la mia e riconoscendo che ella m'amava quanto io potevo amarla, nulla più riusciva a decidermi che io mi partissi. Dissi dunque al padre di darmi Margherita in sposa e che tutti e tre insieme saremmo andati in qualche remota contrada dove ignorati avremmo potuto vivere.
Ma quella proposta mia non gli piacque più delle altre già dette. Mi rispose che quel tardivo ed inefficace mutamento di mestiere non avrebbe tolto che il suo genero lo disprezzasse e facesse condividere cotesto disprezzo alla sua figliola; che questa avendo fatto abbandono della sua volontà e consegnatala a lui, ella non sarebbe divenuta mia se non quando fosse stato il mio sentimento così possente da affrontare ancor io l'odio e l'obbrobrio che erano il loro appannaggio di tutti e due. Che senza vergogna io avevo contaminato la figlia del boia, e non avrei potuto riparare la mia colpa se non divenendo boia al pari di lui. »

Qui termina il manoscritto del mio antenato.
Egli sposò Margherita Jouanne.
Io trovo nel processo verbale di un'esecuzione fatta a Rouen la prova che il feroce mastro Jouanne esigette dal suo genero che egli adempisse rigorosamente le condizioni del loro contratto.
Quel processo verbale riferisce : « Che dovendo rompere le ossa al nominato Martino Eslan, mastro Pietro Jouanne, esecutore delle alte opere, avendo forzato il suo genero, sposatosi da poco, a vibrare con la sbarra di ferro un colpo al paziente, il detto genero cadde in deliquio e fu coperto di scherni dalla folla. »
Questa felicità, che Carlo Sanson aveva acquistata a sì caro prezzo, doveva passar come un sogno. Margherita lo lasciò ben presto per un mondo migliore, dopo avergli dato un figlio; ella morì del male che suol chiamarsi la consunzione e che ha sede nell'anima ben più che nel corpo.
Proseguendo cronologicamente il nostro racconto, noi ritroveremo il cavaliere de Blignac e Paolo Bertaut : essi dovevano ancora una volta incontrarsi con Carlo Sanson a questo mondo.

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