la RIVOLUZIONE FRANCESE

LA DINASTIA DEI BOIA SANSON
( bisnonno, nonno, padre, figlio - TUTTI BOIA )

La ghigliottina

Per chi non conoscesse questo strumento di morte, basta descriverlo come una lama di metallo che viene fatta cadere da una determinata altezza sul collo del condannato, comportandone la fulminea decapitazione.

Il suo "inventore" un dottore,  Joseph Ignace Guillotin nato a Saintes il 28 maggio 1738.

Ma non sembra proprio che si stato lui a inventarla, egli propose solo all'Assemblea di adottare un metodo meno barbaro per i condannati a morte e forse contribuì solo a perfezionare questo strumento di morte istantaneo quasi indolore.
(vedi in fondo le dispute accademiche su questo modo di morire) (*)

Prima si usavano varie tecniche: i nobili dovevano appoggiare la testa su un ceppo e il boia con una scure la decapitava, ma non sempre al primo colpo. Per i plebei c'era invece la forca.  Il rogo veniva usato per i nemici della chiesa. In uso in particolari circostanze la ancora più barbara ruota con i condannati che morivano fra strazianti urli mentre gambe e braccia si spezzavano.

Infine c'era lo "spettacolare" squartamento che era riservato ai reicidi o agli stessi attentatori del re o dei suoi successori.
Si legavano agli arti del condannato a quattro cavalli si spronavano a farli  galoppare in quattro direzioni diverse e il condannato veniva squartato in quattro pezzi, in una scena rivoltante.

Tuttavia - con tanta sua amarezza- rimase a Guillottin la fama dell'invenzione, mentre questo dottore  fu un  laborioso organizzatore della professione medica a Parigi; membro di commissioni scientifiche, fu anche uno dei primi ad adottare il metodo della vaccinazione preventiva. Morì poi a Parigi il 26 marzo del 1814.

La proposta che forse fece Guillotin fu quella di trasformare le esecuzioni non in uno spettacolo pubblico incivile ma in qualcosa di più privato per la vittima.
Purtroppo dopo divenne un "pubblico spettacolo" anzi ancora "più spettacolare".
Da qualcuno questo arnese era già stato inventato, anche se non ancora utilizzato, e questo congegno indubbiamente Guillotin propose di adottare. 

Luigi XVI in persona che si dilettava spesso a passare il tempo nelle officine e nelle falegnamerie, incontrandolo consigliò il Dottore di apportare una modifica alla lama: propose che questa fosse obliqua e non perpendicolare al terreno; ed infatti fu in questa versione aggiornata che la ghigliottina tagliò la testa del Sovrano il 21 Gennaio 1793. 

Il Battesimo della ghigliottina fu tenuto nell'Aprile del 1792 per decapitare tale Nicolas Jacques Pelletier. I critici dissero che la ghigliottina meccanizzava e disumanizzava la morte: alla fine il Dottore raggiunse ben pochi dei suoi scopi.

Joseph Ignace Guillotin amareggiato e piuttosto  infastidito, passò inutilmente una gran parte della sua vita nel negare la paternità di questo strumento di morte chiamato con il suo nome, mentre dopo il successo  il falegname tedesco Schmidt,  che realmente costruì l'attrezzo passò tutta una vita per cercare di riscuotere i diritti della sua invenzione. Comunque i due,  insieme avevano sperimentato il prototipo nella Cour de Rohan, uno dei quartieri Parigini attualmente più frequentati dai turisti; le prime vittime furono alcune pecore, in seguito si passò ai cadaveri umani e poi ai malcapitati vivi. 

Le vittime fatte inginocchiare davanti al marchingegno,  nell'apposito incavo posavano il collo, questo veniva bloccato da una centina con una scanalatura e dentro questa da un'altra scanalatura posta ai lati  scorreva e piombava dall'alto in un istante l'affilata lama che decapitava il condannato. Un'apposita cesta raccoglieva la testa. Quando le esecuzioni erano fatte in serie, la cesta era sempre quella e di teste ne accoglieva più d'una. Con una rapidità alcune volte impressionante. Si arrivò anche a 13 in mezz'ora.

Ma la procedura richiedeva questa velocità proprio per evitare al condannato delle sofferenze. Tutto doveva avvenire nell'arco di due minuti. E' questa era la "professionalità".

Questa era la procedura che avveniva in parte nel carcere e quando il condannato poi saliva i gradini del patibolo: 

* dopo la sentenza, spogliazione della persona, esclusi  pantaloni e camicia,
*  legatura dei polsi dietro la schiena,
*  taglio dei capelli per coloro che li hanno lunghi
*  taglio del colletto della camicia
*  caricamento sulla carretta e percorso verso il patibolo, in mezzo alla folla
*  giunto a destinazione, il condannato viene rapidamente issato sul palco e legato, pancia in giu', sulla slitta,
*  il capo viene immobilizzato con un traversino appositamente sagomato e scanalato,
*  il boia rilascia la mannaia,
*  Il boia, o un suo aiutante, esibisce la testa mozzata al pubblico, reggendola per i capelli. 
Nel caso il giustiziato sia calvo, la testa deve essere esibita reggendola a due mani per le orecchie.
* Le teste finiscono dentro una capiente cesta
* I corpi dei condannati finiscono in  una carretta , 
che alla fine dello "spettacolo" li porta in cimitero dentro una fossa comune 

L'uomo che eseguiva le "alte opere della giustizia", soprannominato il "boia di Parigi", era Charles HENRY SANSON. Già aiutante del vecchio carnefice ai tempi del dispotismo di Luigi XV quando si usava squartare le vittime nel modo che abbiamo descritto sopra. Infatti Sanson aiutò il suo "maestro" a fare scempio di Damiens l'attentatore del Re. Poi con la nuova tecnica non si fermò più. Il suo "lavoro" -e fu Luigi XVI ad affidargli l'appalto- divenne intenso, quotidiano, facendosi aiutare anche dai figli; e non più isolato o davanti agli addetti, ma si trasformò il suo lavoro in uno spettacolo che veniva offerto a un numeroso pubblico in quella piazza che poi prese il nome "...Della Rivoluzione".. (ma più volte la ghigliottina fu spostata in altre piazze)

Una delle ultime vittime di Sanson fu proprio quella di Luigi XVI. Ma avvenne in un modo che -pur con la tempra di boia- lo sconvolse.
Luigi Capeto con una regale fierezza e con inaspettata freddezza si attenne a tutto il lugubre
cerimoniale che precedeva l'esecuzione. E non solo Sanson ma anche i nemici che su quel palco lo avevano mandato a morire, si chiesero dov'era quel  Monarca codardo e mediocre che alcuni da anni diffamavano?
Inoltre la morte di Luigi davanti agli occhi di Sanson fu atroce. Preso dall'emozione di uccidere un unto di Dio, Sanson aveva posizionato male il condannato. La lama cadde, ma non recise completamente il collo del re, che morì con la testa ancora mezzo attaccata al corpo lanciando grida atroci di dolore.

 Anche per la morte di Maria Antonietta si racconta un aneddoto: salita sul palco, lei piuttosto confusa, e altrettanto Sanson, la regina con un piede inavvertitamente gli calpestò il suo, affrettandosi però a dire pardon. Sembra che questa sia stata la sua ultima parola pronunciata.

CHARLES HENRI SANSON, era nato nel 1739 da una lontana famiglia  di origine fiorentina, giunta in Francia nella seconda meta' del 1500. Charles era subentrato al padre Jean-Baptiste nel 1778 e manterrà la carica sino al 30 agosto del 1795, quando a sua volta lasciò il "mestiere" al figlio Henri.
Dunque una dinastia di boia, nonno, padre e figlio esecutori capitali. Con Sanson il primo ad usare la ghigliottina e l'unico ad usarla sopra il collo di un re e di una regina.  L'anno dei grandi guadagni fu ovviamente quello del 1793-1994, e dato il ritmo delle esecuzioni e le varie indennità speciali elargite dallo Stato per il  "superlavoro", permise alla famiglia di accumulare un cospicuo patrimonio, sembra poi lasciato alla sua morte al clero; una somma per far celebrare delle messe in suffragio a Luigi XVI il 21 gennaio di ogni anno. Ma questo non è dimostrato 

Prima di morire, Sanson scriverà le sue memorie;  secondo il suo calcolo le vittime della ghigliottina in Francia furono 14.000. Charles Sanson, con l'aiuto dei suoi figli aiutanti, sembra che ne abbia giustiziato solo lui circa 2800.
Nei famosi giorni (28-31 luglio) quando furono decapitati Robespierre e seguaci, si racconta anche (ma forse non e' vero) che il boia Sanson ed i suoi figli, in questa occasione, abbiano battuto il record, poco invidiabile, di 12 esecuzioni in 13 minuti. Comunque in tre giorni ci finirono sotto 1306 persone.

Un altro aneddoto della famiglia Sanson è questo:  Un giorno, uno dei suoi figli, mentre esibiva al pubblico la testa dell'ennesimo giustiziato, inciampò, cadde all'indietro dal palco della ghigliottina (piuttosto alto)  e morì sul colpo. Quel giorno i parigini videro il loro boia Sanson piangere.
Ma alla fine il Sanson padre,  morì pur sempre nel suo letto, pur avendo tagliato teste in una e nell'altra fazione. 

Alla Rivolta di Lione i suoi colleghi non furono così fortunati. Assieme ai 1700 ribelli, salirono sullo stesso patibolo il carnefice e il suo aiutante che prima aveva offerto i suoi "servizi" ai suoi sfortunati compagni di sventura.

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(*) . Non tutti erano d'accordo che lo strumento provocava la morte istantanea ed indolore. Di dispute ce ne furono molte e piuttosto accanite, e su vari temi, quello morale ma anche su quello scientifico e filosofico.

Alcuni medici sostenevano che, malgrado la decapitazione, il cervello, abbondantemente irrorato di sangue per l'intensa emozione, continui ancora a vivere ed a pensare per qualche minuto; alcuni sostenevano per 2-3 minuti, altri sino a 15.
Il problema morale e filosofico che molti si ponevano invece era questo: a che cosa pensa una testa mozzata che "sa di essere già morta?" Quali orrendi pensieri agitano quella mente nei pochi minuti che ancora resta cosciente dopo il rapidissimo taglio? Angoscia, terrore, disperazione, rabbia oppure rassegnazione? Molti si chiedevano se, in quei momenti, sia ancora valido il concetto cartesiano del cogito ergo sum. (penso quindi sono, ma sono senza un corpo).
In effetti alcune teste quando cadevano per alcuni istanti gli occhi seguitavano a roteare intorno con uno sguardo terrorizzante.


La risposta, almeno su quella fisiologica, venne poi nel 1936, quando il russo Pavlov, riuscì a mozzare la testa di un cane e a trapiantarla efficacemente su un altro cane. Ma sugli esseri umani una operazione simile non è mai stata tentata, quindi nulla sappiamo sul pensiero cosciente.
Ma neuroscientificamente, in teoria, la testa di un soggetto seguita  a vivere e pensare.
(la morte cerebrale avviene dopo 2-3 minuti, ma se  irrorato il cervello di sangue ossigenato artificialmente, lo stesso dovrebbe conservare integre tutte le sue funzioni).

I SANSON
Da sette generazioni i Sanson si trasmisero di padre in figlio l'ufficio di carnefice presso la Corte di giustizia di Parigi. Le memorie che l'ultimo discendente raccolse alla fine della sua carriera nel 1847, comprendono le proprie, quelle di suo padre, ma soprattutto vi è riportato il "giornale delle esecuzioni" di suo nonno, con la scellerata serie di pene capitali nei tragici giorni della Rivoluzione Francese, quando fu proprio Carlo Enrico Sanson (lui come i suoi avi fino allora abituato a rompere le ossa dei condannati prima di finirli sulla ruota, o a farli squartare dal tiro a quattro cavalli) ad inaugurare la ghigliottina a Parigi nel periodo del terrore, e a tagliare le teste di 2918 persone, 2548 uomini e 370 donne. Fra questi sventurati, Re Luigi XVI, Maria Antonietta, Carlotta Corday, Robespierre, Saint-Just, Desmoulins, Danton, Lavosier, e tanti altri celebri nomi, di cui Sanson il "boia" , nella sua "cronaca giornaliera" ci racconta gli iniqui processi - i più palpitanti della storia moderna - le inutili difese, e ci narra come poi i condannati fronteggiavano la morte e i loro ultimi istanti sotto l'affilata lama della sanguinaria "giustizia rivoluzionaria".
E' una singolare storia vista dal profondo delle camere di tortura
e dall'alto dei patiboli di un intero secolo.

Nessun romanzo è più penetrante, più "attraente" e più vario di queste "memorie":
afferrano il lettore, e non lo lasciàno più.
Questa "Prima edizione" in italiano apparve in Italia solo nel 1925, stampata a Bologna con i tipi della Editrice Apollo. Da questa rara edizione noi abbiamo tratto integralmente le interessanti 407 pagine. Sono anche queste un singolare compendio di Storia di Francia, e sono pure una rappresentazione continuata ed inesorabile della tragedia umana. Quando spesso gli umani diventano folli.
Non è la storia raccontata da uno storico, ma quella scritta dall'ultimo boia: HENRI SANSON.
Ed è una storia - per l'umanità del boia che in essa traspira - che fa molto riflettere.
La dinastia Sanson inizia nelle prime pagine con una intricata e struggente storia d'amore del primo avo: Carlo Sanson di Longval, di origine nobile. Questi, dopo una sofferta passione con l'amica d'infanzia, Colomba, data però dal padre in sposa a suo fratello maggiore, ma finita poi in tragedia, Carlo d'allora insensibile ad altre relazioni sentimentali, fugge lontano, ma poi s'innamora perdutamente a prima vista di Margherita, la più bella ragazza di Dieppe. Quando tenta di conoscerla scopre con raccapriccio che è la figlia del boia. In clandestini incontri la fanciulla gli ricambia l'amore, ma lui vuole convincerla a fuggire, lontano e cambiar nome. Scoperta il padre la relazione, il piano di fuga e per aver contaminata la virtù di sua figlia, la furia del boia gli risparmia la vita, ma a una condizione: sposare sua figlia e diventare suo aiutante. Inizia così la dinastia dei "Sanson boia", con le prime esecuzioni di Carlo con i più celebri condannati in famosi processi del '700, con le agghiaccianti pene di morte eseguite ancora sul ceppo a colpi di mannaia dopo aver prima rotte le ossa del malcapitato, o con lo squartamento quando il reato era il reicidio; fin quando morto lui lascia la pesante eredità ai figli e ai nipoti, in piena Rivoluzione Francese, quando un implacabile strumento di morte, la ghigliottina, dominò nell'offrire "spettacoli" agli assetati di sangue, quasi ogni giorno, a tutte le ore.
PER LA CRUDEZZA DI ALCUNE SCENE DESCRITTE
SE SIETE IMPRESSIONABILI EVITATE DI LEGGERE QUESTE PAGINE
INDICE DEI CAPITOLI
INTRODUZIONE
qui sotto
(da pag. 9 a pag. 13)

LIBRO I
ORIGINE DELLA MIA FAMIGLIA

(da pag. 15 a pag. 52 )

* Carlo Sanson de Longval
* L'oroscopo
* La morte di Colomba


LIBRO II
DAL MANOSCRITTO DI CARLO SANSON

(da pag. 53 a pag. 67 )
* L'incontro con Margherita
* Il boia di Dieppe


LIBRO III
L'ARRIVO A PARIGI

( da pag. 60 a pag. 123 )
* Processo ed esecuzione della signora Tiquet
* I libelli sotto Luigi XIV
* Nicola Larcher
* Un covo di malviventi nel secolo XVIII
* Il mendicante


LIBRO IV
IL CONTE DI HORN

( da pag. 125 a pag. 172 )
* Cartouche
* Francesco Damiens
* L'attentato al re
* Il processo
* Lo squartamento
* La morte dei gentiluomini


LIBRO V
L'AUTO DA FE' DI VERSAILLES

( da pag. 173 a pag. 219 )
* La fine della ruota - L'udienza reale
* Il marchese di Favras
* La ghigliottina
* Il tribunale del 17 agosto 1792
* La decapitazione di Luigi XVI

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LIBRO VI
LA MESSA ESPIATORIA

( da pag. 221 a pag. 277 )
* Il tribunale rivoluzionario
* Prime esecuzioni
* Carlotta Corday
* La Regina
* I Girondini
* Il Terrore
* Dal giornale di Carlo Enrico Sanson


LIBRO VII
DANTON

( da pag. 279 a pag. 342 )
* Lucilla Desmoulins
* La ghigliottina infuria
* Il 9 termidoro
* L'esecuzione del 9 termidoro
* La fine di Robespierre
* Fouquier-Tinville e i Giacobini


LIBRO VIII
LA COSPIRAZIONE DI BABEUF

( da pag. 343 a pag. 365 )
* Le congiure sotto il Consolato
* L'innocenza di Lesurques


LIBRO IX
LA MIA GIOVINEZZA

( da pag. 367 a pag. 407 )
* La mia prima esecuzione
* Louvel
* I quattro sergenti della Rochelle
* Le mie esecuzioni
* Epilogo

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INTRODUZIONE
Il 18 marzo 1847, me ne tornavo a casa stanco da una di quelle lunghe passeggiate nelle quali non cercavo che i siti solitari per seppellirvi le mie tristi fantasticherie e l'ossessione costante del mio spirito. Avevo appena varcata la soglia, e il vecchio cancello, che s'apriva tanto di rado, ricadeva con tutto il suo peso, cigolando sui cardini irrugginiti, quando il portinaio mi porse una lettera.
Riconobbi subito quella larga piegatura e quel largo sigillo, che a vederlo mi aveva sempre fatto fremere di spavento e di dolore; presi tremando il messaggio, e aspettando di trovarvi uno di quegli ordini funebri ai quali la mia terribile carica mi faceva dovere di obbedire, salii svogliatamente i gradini della mia casa.
Giunto nella mia stanza, infransi con disperazione il piego fatale che doveva confidarmi qualche missione di morte; aprii la lettera: era la mia revoca dal posto!

Un sentimento strano ed indefinibile si impadronì di me. Levai gli occhi ai ritratti dei miei antenati; percorsi tutte quelle figure cupe, meditative, su cui si leggeva quello stesso pensiero che aveva sino ad allora avvilito la mia esistenza; contemplai mio nonno, in vestito da caccia, melanconicamente appoggiato sulla canna del suo fucile, mentre la mano carezzava il suo cane, l'unico amico forse.

Contemplai mio padre, serio, il cappello nella mano, vestito del lugubre abito da lutto che non aveva dimesso mai. Mi pareva di comunicare a tutti quei morti testimoni la fine della fatalità che era pesata sulla nostra stirpe; mi pareva associarli a quello che ero adesso per fare. Tirai il cordone d'un campanello, ordinai mi si portasse un catino d'acqua, e là, solo davanti a Dio che vede nel profondo dei cuori e nei più bui recessi della coscienza, lavai solennemente quelle mani che il sangue dei miei simili non avrebbe macchiato mai più.
Indi mi recai nell'appartamento di mia madre, povera santa donna: giacchè noi trovavamo delle donne, noi! Les loups et les seigneurs n'ont ils pas leur famille?
Mi pare ancora vederla nella sua vecchia poltrona di velluto d'Utrecht, d'onde ormai ella non si levava che difficilmente. Deposi sui suoi ginocchi la missiva del signor Ministro della Giustizia. Ella la lesse; poi volgendo verso di me i suoi buoni occhi, nei quali avevo tante volte attinto tutta la mia forza ed il mio coraggio - Sia benedetto questo giorno, figlio mio! - mi disse. - Esso vi toglie infine la parte odiosa dell'eredità dei vostri padri; voi godrete in pace tutto il resto, e forse la Provvidenza vorrà ancora accordarvi qualche altro dono....
Poi, giacchè io continuavo a rimanermene muto, soffocato da una commozione che incominciava appena a illuminarsi di gioia. - D'altronde - ella soggiunse, - bisognava pure che ciò avesse fine. Voi siete l'ultimo della vostra razza. Il cielo non vi ha dato che delle figlie; l'ho sempre ringraziato di questo.
L'indomani, diciotto competitori si disputavano la mia successione sanguinosa, e le loro istanze, constellate delle più alte postille, correvano le anticamere ministeriali. Si vede che non fu difficile il sostituirmi.

Quanto a me, avevo già preso la mia risoluzione. Mi affrettai a vendere la mia vecchia casa, popolata di così tristi ricordi, per sette generazioni dei miei che vi erano vissute nell'obbrobrio e nell'ignominia; vendetti i miei cavalli, il mio equipaggio, sul quale, eloquente divisa, (*) una campana fessa stava al posto d'un vecchio scudo baronale. Allontanai da me, in una parola, tutto ciò che poteva conservare o ravvivare il ricordo del passato; poi, scuotendo sulla soglia la polvere dei miei calzoni, me ne andai per sempre da quella ereditaria dimora, dove, come i miei vecchi, non avevo potuto godere nè la pace dei giorni nè il riposo delle notti.

Meno di tre anni dopo l'episodio della mia revoca, ebbi l'irreparabile sventura di veder mia madre partire per la patria dei santi e degli angeli. Mi affrettai allora a lasciar Parigi e a scegliermi un ritiro così sicuro e così profondo che nulla potesse venire a ricordarmi il triste impiego dei miei begli anni di giovinezza e di maturità. Ci vivo sepolto da dodici anni, sotto un nome che non è il mio, godendovi con segreta vergogna amicizie che mi faccio rimprovero di usurpare e che tremo di veder dileguate da un momento all'altro per lo smascheramento del mio incognito; infine non osando amare io stesso senza rimorso, se non alcuni animali, compagni della mia solitudine, e ai quali (mi si perdoni questo sentimentalismo) io tributo cure affettuose per consolarmi d'aver avuto il triste coraggio di soffocare il grido dell'umanità quando si è trattato dei miei simili.

Ebbene, precauzioni vane della povera nostra saggezza! proprio in quel ritiro oscuro, dove volevo fuggire perfino i miei ricordi, li sentii al contrario rivivere e opprimermi di tutto il loro peso. E là, sessagenario, stanco della vita di cui non conobbi mai le dolcezze senza che vi si mescolasse una spaventosa amarezza, ho ceduto alla più strana, alla più vertiginosa tentazione che potesse impadronirsi del mio spirito: quella di scrivere il libro che ha in queste pagine il suo frontespizio.

Mi rappresentai quella serie di antenati, tra i quali nemmeno un bambino di sette anni aveva potuto trovar grazia. Il mio bisavolo, Carlo-Giovanni-Battista Sanson, nato a Parigi il 19 aprile 1719, succedette a suo padre, il 2 ottobre 1726, e poichè non era possibile che un fanciullo di quell'età potesse compiere da sè il sinistro ufficio di cui era investito, il Parlamento gli diede come sostituto un torturatore di nome Prudhomme, esigendo tuttavia che egli assistesse alle esecuzioni, le quali, come si sa, comportavano allora abominevoli supplizi, per dare ad esse la sanzione legale della sua presenza. E' ben cosa degna di una certa considerazione quella minorità e quella reggenza nella storia del patibolo!
Pensavo a mio nonno, rivestito di quella camicia di Nesso, nei tempi inauditi per i quali la parola Terrore sembra un nome troppo dolce, obbligato a far passare il filo livellatore della scure sulle teste più nobili al pari che sulle più colpevoli, non avendo nemmeno più a rafforzarlo nella sua bisogna, quell'orrore del delitto e quel disprezzo della vittima che, quanto a me, lo dichiaro, non sono mai giunti a soffocare il grido del cuore e i mormorii della coscienza.

Scorrendo quei singolari annali, che io stesso ho continuato, e che si iniziano dalla « Chambre ardente », indi passano per i saturnali della Reggenza e del regno di Luigi XV per arrivare alla Rivoluzione e inoltrarsi alfine nel nostro secolo; trovando in ogni pagina di essi singolari ricordi, aneddoti affatto ignoti d'altri tempi, un rimescolio strano di nomi illustri e di nomi abietti, una catena di foschi drammi che mi lasciarono l'eredità dei loro epiloghi sanguinosi, io mi son domandato se non ci fossero ivi gli elementi di un libro e se la cura di scriverlo non fosse il miglior impiego che potessi fare delle ore della mia vecchiezza.
Confesso, poichè è la mia scusa, che non ebbi un istante di dubbio. Mi posi al lavoro, e lentamente questo libro fu scritto.
Se mi si domanda come, nonostante i miei sentimenti e la mia persuasione dell'inutilità della pena di morte, io ho potuto sostenere per tanto tempo le funzioni terribili che mi erano toccate in eredità, non mi è dato rispondere che questo: si vogliano riguardare le condizioni nelle quali ero nato. I figli di Giacomo d'Armagnac sentirono, si racconta, il sangue del proprio padre sgocciolare su loro attraverso i mal connessi assiti d'un patibolo. Non meno degno di pietà, io ho vestito la toga virile sull'altare espiatorio della giustizia umana il giorno che, giovane levita, assistetti per la prima volta mio padre nell'esercizio del sacerdozio terribile. Il brando della legge si è tramandato nella mia famiglia come la spada in quella dei gentiluomini, come lo scettro nella stirpe dei re, potevo scegliermi un altro destino senza rinnegare la memoria dei miei antenati e recare oltraggio alla vecchiezza di mio padre seduto allo stesso mio focolare? Avvinto da doveri sacri al ceppo e alla scure, mi fu forza adempiere la missione sinistra che la nascita mi comandava. Ma nel mezzo della mia carriera, rampollo unico di questa specie di dinastia d'esecutori, ho deposto con gioia la porpora del patibolo e lo scettro della morte.

Mi sia dato, prima che la mia testa vada a riposare nella tomba spregiata dei miei padri, veder scomparire dalle nostre istituzioni una pena che gli addolciti costumi rendono sempre più rara, un supplizio che, in mezzo alla civiltà nostra, è come l'ultimo vestigio: dei sacrifici umani della barbarie! Possano in un vicino avvenire coloro che avranno letto queste pagine rinchiudere il libro dicendo:
E' il testamento della pena di morte, scritto dall'ultimo boia!

H E N R I
S A N S O N
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